Poteva sembrare
una mattina come tante altre, quella, vista da un occhio comune. A Londra
il traffico era costante ed incessante. Centinaia di macchine, decine
e decine di moto, migliaia di clacson uniti in un unico coro. Le poche
persone che desideravano farsi una passeggiata in santa pace dovevano
ricorrere ai viottoli e alle strade meno usate. Anche gli edifici erano
strapieni: turisti che sfagiolavano foto, mercanti e piazzisti che cercavano
di accalappiare le loro offerte al primo passante e anche gli studenti
che venivano da altri stati per imparare l'inglese o frequentare importanti
corsi universitari.
A parte la folla si stava abbastanza bene. Il cielo azzurro era appena
velato in alcune zone con delle sporadiche nubi in lontananza. Il clima
era tiepido e tranquillo, senza neanche un soffio di vento.
Un ragazzo alto, sui vent'anni circa, forse un po' di più, forse
ventitrè o ventiquattro, con un viso un po' pallido, ma che sembrava
combattuto da solarium e cosmetici e bellissimi capelli biondi che raggiungevano
la metà del suo collo dietro e davanti si svasavano in disordinati
ciuffi misteriosi sul suo volto dagli occhi verde smeraldo, avanzava per
una stradina lontana dal centro, vietata alle macchine e ai mezzi di locomozione,
e molto stretta. Lui portava dei normali vestiti comuni: un paio di jeans,
una maglia della Lonsdale scura a scritte giallo-oro e alcuni braccialetti
da mercato ai polsi e alla caviglia sinistra. Il suo passo lo portò
a raggiungere una ristretta e piccola cabina telefonica. Sembrava essere
stata mezza distrutta dai vandali, ma lui entrò, afferrò
la cornetta e disse, con voce forte e chiara: "Draco Malfoy, Ministro
della Magia".
La cabina si chiuse, sigillandosi, e sprofondò sotto terra, facendogli
raggiungere un grosso atrio diviso in più gradinate fatte da lui
costruire. Sulle più alte, magici giardini pensili come quelli
babilonesi. Su quelli bassi, statue dorate di importanti creature o eventi.
Oltre, un grosso corridoio che portava agli ascensori per i settori del
Ministero.
Entrando, alzò una lunga bacchetta legno acero e venne rivestito
dei suoi abiti usuali: una lunga tunica di un verde turbinante e smeraldino
che arrivava fino ai piedi; un mantello nero con alcune scritte verdi
anch'esse e un paio di spalliere con sopra delle altre scritte di attestazione.
Come lui era arrivato, tutti i presenti si voltarono e applaudirono, com'era
di consueto ogni giorno da prima ancora della sua elezione.
Camminò alzando la mano destra come un imperatore romano, in gesto
di saluto, e si diresse fino agli ascensori. I due d'oro erano affollati
come sempre, ma lui ne aveva uno personale. Era d'argento, distante una
decina di passi. Una volta raggiunto, schiacciò la sua mano sulla
porta, che lo riconobbe e si aprì.
"Piano degli Sport, le gare e gli intrattenimenti magici" esordì
stancamente, appoggiandosi a una piccola sedia in un angolo dell'ascensore,
che si spostò velocemente senza il minimo rumore. Oggi non era
un giorno come tanti altri, per il terzo piano. L'anniversario di Henry
Stricker, il grandissimo cercatore della squadra di Quidditch dei Polytans
nel XIX secolo d.C., un evento da non perdere. Aveva concesso lui quel
giorno come festivo per loro, e non era un caso. Quando la porta si aprì,
uscì nel corridoio deserto, che ispirava quasi malinconia. Lo percorse,
leggendo ad una ad una sulle porte, fino a quando non esordi un "Aha!"
di trionfo su una targhetta d'oro: "Mick Island - Responsabile
della sicurezza e della vigilanza per gli Sport, le gare e gli intrattenimenti
magici" e sotto "Comprendente il chiarimento di equivoci
sul capo, il ripristino da errori e il controllo e l'analisi di qualsiasi
strumento".
"Bene" e senza attendere oltre, aprì. La stanza che trovò
era buia. Le finestre -ovviamente magiche; finestre normali avrebbero
solo visto il resto della struttura, muro o pietra, cemento o terra o
roccia- erano chiuse e tirate con una tapparella. Lui alzò la bacchetta
ed esse si alzarono, mostrando un panorama sui tropici nient'affatto male.
Persino l'odore in quella stanza divenne tropicale. Era stata lasciata
in disordine. Il grosso ufficio del misterioso ma molto stimato Mick Island
aveva la schiena principale disordinata, con quaderni, fogli di pergamena
e boccette d'inchiostro varie sparse qua e là. Anche la seconda
scrivania, che dava su un'alta serie di pratiche sbrigate o da sbrigare,
non era messo meglio. Sul resto della stanza, un armadio di legno alto
circa due metri, tre grosse librerie con tutto il materiale utile per
un ufficio del genere sul Quidditch, gli altri sport, le gare e gli eventi
indetti.
Lui era più volte stato in quell'ufficio, per ispezioni varie.
Mick Island era una persona bizzarra, soprattutto perchè il più
delle volte mangiava nel suo stesso ufficio. Non era difficile capire
il come. Si avvicinò all'armadio e scosse la bacchetta, spostando
tutto il materiale contenuto. Tolse gli scaffali e guardò l'anta
posteriore, di chiusura, tappezzata da un quadro del cantante Bruce Link
con la chitarra mentre cantava in un live. Si avvicino e gli fece il solletico
sotto un ascella. Sentì una risatina provenire dal cantante, e
l'anta di fronte a lui si aprì di lato, facendolo passare ed entrare
in una seconda stanza. La seconda casa di Mick Island. Era adibita come
cucina, con diverse apparecchiature, alcune anche babbane, come il forno
a micro-onde e una moderna lavastoviglie. In un angolo, un box appartato,
un angolo toilette. Aveva visto un paio di volte quella stanza. Era segreta
quasi a tutti, tranne ovviamente che a lui e a un altro paio di colleghi,
che gli avevano dato l'autorizzazione dato il brillante lavoro. Ma lui
sapeva che Island aveva escogitato qualcos'altro ancora. Entrò
nella toilette. Aveva più volte ispezionato da cima a fondo. Si
chinò e tastò dietro il water, trovando infine le due grosse
viti di sostenimento. Una delle due era falsa. La tirò appena su,
poi le fece fare tre giri su di essa in senso anti-orario. Sentì
un clic, quel clic che ti avverte sempre quando scatta qualcosa. Proveniva
da un congegno babbano affisato alla parete del water da cui, tirando
sotto, usciva della carta igenica. Ma lui non tirò. Lo afferrò
ai lati, dal basso, e tirò in su. Ricordava bene. Il congegno si
staccò, ruotando sul lato superiore fissato alla parete. Davanti
a lui, in una piccola rientranza del muro, una chiave. La afferrò,
curioso di sapere cosa avesse inventato, e si diresse verso il frigo,
un'altra diavoleria babbana. Lo svuotò, tolse gli scaffali e le
cassette, e infine una cassetta alta e vertical, in un angolo. Accanto
alla batteria, c'era un buco. Perfetto per la chiave. La immise e grattò
nella serratura. La batteria lampeggio. Il retro del frigo, proprio come
l'armadio, si aprì ruotando, e lui, dopo essersi per precauzione
messo un mantello dell'invisibilità, arrivò infine nella
stanza segreta del misterioso Mick Island.
Credeva di averli seminati, invece li aveva ancora alle spalle. Non poteva
volare e difendersi senza compiere errori: non era mai stata granchè
a fare multiple azioni su manici di scopa. Da dietro la bersagliavano,
e lei capì che c'era solo una situazione applicabile. Inclinò
la scopa e si diresse verso il basso. Da un pasio d'ore volavano su quella
gigantesca e quasi sconfinata foresta. Lei scese, sempre più velocemente,
sempre più radente, fino ad entrare quasi per miracolo, filtrando
tra le chiome di due alberi. Scese veloce a terra e adocchiò subito
una grande sequoia dalle radici sproporzionate, di quelle in cui è
mooolto facile inciampare. Le salì a piccoli balzi e si rifugiò
dietro il tronco, preparandosi a riceverli. Premette con le mani sul manico
di scopa e quella fu avvolto di una lieve luce solare, poi diventò
un ciolo che si mise al collo. Estrasse la bacchetta. Ora che poteva usarla
senza difficoltà era pronta ad atterrare i suoi avversari. Ne aveva
avute a palate dal momento della condanna, ma nessuno era mai riuscito
a prenderla o ad ucciderla. Nessuno, a parte un paio di persone, era al
suo livello o meglio di lei per quanto riguarda la magia. Ma non era solo
quello il motivo per cui era ancora viva e vegeta da tempo, salva e libera.
La sua testa e astuzia, e il suo fisico atletico che si era costruita
in tanti anni: quella era la carta vincente unica all'asso magico. Si
tenne silenziosa appostata al tronco, pronta a colpire. Al momento, solo
una coppia la seguiva. Era una coppia di Rowen, guardie ufficiali del
Mondo Magico. Dopo aver ingaggiato tutti gli Auror e i Rowen in massa
di trovarla senza alcun risultato, li avevano divisi stupidamente in coppie,
errore ancor più grave. Sentì due fruscii e tonfi leggeri.
Erano scesi.
"L'hai vista, ragazzo? E' scesa proprio qui" disse una voce
burbera. Lei la ricordò con un ghigno. Adrian Dabelt, un Rowen
che aveva già spedito in coma diversi mesi prima. Aveva fegato
per tornare a cercarla, quando lei poteva benissimo spedirlo all'altro
mondo "Quella mostruosità mi deve qualcosa. Ha un conto da
pagare."
"Me ne occuperò prima io, se permette, signor Dabelt"
disse una voce giovane, ma forte e decisa. La donna riconobbe quella voce
trattenendo bruscamente il fiato. Questo era un inconveniente. Era lui.
Lui era qui. Adesso. Non avrebbe mai avuto il coraggio di affrontarlo
direttamente o colpirlo. Non ancora. Probabilmente, non in quella vita.
Avvertì Dean Thomas camminare lento e furtivo verso la quercia...
Gli aveva fatto ribollire il sangue. Una volta era la cosa più
preziosa che potesse mai avere, ora era la cosa più mostruosa che
vedeva sulla faccia della terra. Sapeva cosa fare. Sapeva che era dietro
a quella quercia, per qualche motivo, nonostante non l'avesse vista. Il
sole picchiava da davanti a lui. La parte di quercia che dava sulla sua
parte era dunque scura; l'altra doveva ovviamente essere luminosa. L'avrebbe
colpita, e uccisa. Non solo per sentimenti personali, ma per quello che
aveva anche fatto al resto del mondo. Lui, Dean Thomas, si mosse lentamente,
odendo solo il debole fruscio dell'erba sotto i suoi piedi. La voce burberà
di Dabelt lo riscosse "Signor Thomas! Con la sua andatura il soggetto
avrà tutto il tempo di farsi una crociera ai caraibi!"
Scattò in piedi, la bacchetta a lato, e corse su per le radici
enormi. Fu un errore, se ne rese conto. Proprio mentre raggiungeva la
cima inciampò su una radice e roteò su se stesso, ricadendo
e rotolando dall'altra parte della quercia, fino a uno spiazzo erboso.
Si rialzò quasi immediatamente. Mentre rotolava, da un fianco altro,
l'aveva vista di sfuggita, bella come nessun'altra creatura al mondo che
esistesse. Ora non c'era più, ma aveva lasciato una cosa affissa
sul tronco. Qualcosa che gli bastò a capire che non voleva più
ucciderla. No, avrebbe lasciato perdere. Dabelt lo raggiunse, e come fu
da lui, la cosa sul tronco giustamente svanì. Pazienza, l'aveva
guardata abbastanza.
"Prestazione patetica!" tuonò burbero Dabelt "Che
fine ha fatto il soggetto?"
"Non era qui" si affrettò a dire lui. Non era proprio
il caso di ficcare in una pattumiera tutta la sua carriera.
"Cerchiamo, allora! Sarà certamente nei dintorni!" "Sì...
cerchiamo."
La soluzione migliore. Sapeva che lei non era più lì con
loro, e si era già allontanata a sufficienza.
Uno spettacolo. Quel Mick Island è veramente una testa geniale,
pensò Draco, mentre girava su se stesso nella stanza appena di
una lieve oscurità, guardandosi attorno affascinato. Aveva portato
in quella stanza segretissima e sconosciuta a tutti, perfino a lui fino
a quel momento, tutti i migliori modelli babbani di tecnologia. Aveva
importato la corrente elettrico, collegandosi ai cavi londinesi, e molta
era motorizzata magicamente. Ma il vero fascino non era questo: era che
aveva unito magia alla tecnologia. Ovunque schermi al plasma e tele su
cui veniva riprodotti più filmati in condizioni diversi e con una
tale risoluzione da essere meglio che veri. Su uno schermo, lui vide la
prestazione di Klaus Felt, il cercatore del Puddlemere Unt. durante una
delle ultime partite. Mentre si avvicinava velocissimo al boccino, la
registrazione dell'omniocolo di Mick lo incentrava nella splendida presa.
Lui ne sapeva qualcosa: era stato cercatore per sei anni a Hogwarts, e
negli ultimi due anni era stato proclamato capitano ed era divenuto il
miglior cercatore dell'intera scuola. Ma non era lì per quello.
Sapeva che Island non aveva costruito una stanza speciale per vedere riproduzioni
di partite. Da qualche parte, cercando molto bene, avrebbe trovato quello
che inderessava davvero al misterioso Mick Island. Si guardò intorno,
telecamere dappertutto. Per fortuna che aveva addosso il mantello dell'invisibilità.
Poi il suo sguardo cadde su un pendolo d'antiquariato, di nobile fattura.
Il pendolo non roteava ed era fatto di oro puro. Si avvicino e fece uscire
il dito, strofinandolo appena sul disco. L'oro lo aveva sempre attratto.
Ritirò la mano nel mantello, e si guardò attorno. Poi vide
tre colonne a un angolo della stanza. Alzò la bacchetta da dentro
il mantello. Non aveva fatto tanta babbanologia per niente. Costrinse
magicamente le telecamere a ripetere lo stesso filmato per venti minuti,
così pote uscire allo scoperto -o quasi- e dedicarsi alle colonne.
Una era un computer, che per ora non lo interessava. L'altra era una semplice
colonna cementata e poi una cabina telefonica. Sollevò la cornetta
e la portò a un orecchio. Una voce metallica disse "Sistema
non attiva". Lui si affrettò ad accendere il computer. Voleva
una password, sei caratteri. Sapeva benissimo quale mettere. Mick una
volta gli aveva fatto vedere dal portatile una web-chat, in cui di solito
si usano "nickname", ossia "pseudonimi". Spesso erano
nomi come NomeGiorno di nascita, tipo Robert21. Le password spesso erano
messe con date di nascita. Lui sapeva i dati che aveva nelle web-chat.
O almeno, solo il nome utente: Mick16. Digitò i sei caratteri,
due per il giorno di nascita, due per il mesi e due per le ultime due
cifre dell'anno. Bingo. Il computer diede cenno d'assenso e si accese.
Comparve solo una grande scritta "Accesso effettuato. Sistema operativo."
Le luci si accesero, diversi ventilatori entrarono in funzione, una voce
metallica annunciò "Bentornato signor Island" e da alcuni
cassetti uscirono schermi con altri video. Tornò alla cornetta,
che diceva, sempre con la stessa voce metallizzata: "Immettere codice
d'accesso". Lui digitò nuovamente la stessa password, ma la
voce disse "wrong". Allora provo Mick16. Altro centro. Appoggiò
la cornetta. La colonnina cementata ebbe un lungo cigolio, poi si aprì
in due...
Basta, ne era convinta. Era brava, bella, atletica, studiosa, astuta,
intelligente, imbattibile o quasi per magia, modesta, e chi più
ne ha più ne metta, ma in quanto fortuna era davvero a zero. Come
aveva raggiunto un margine della foresta vicino al piccolo Monte Porro,
dove c'era una vecchia fattoria abbandonata, era incappata in una seconda
coppia. Per fortuna, non quella di Dean. Era composta dall'ex-bigliettaio
del Nottetempo, Stan Picchetto, e il nuovo Rowen, Seamus Finnigan. Appena
gli era sembrato di averla vista, lei vide nei suoi occhi una luce maniacale.
Seamus la odiava, probabilmente a causa di Dean, il suo migliore amico,
e per quello che era -o doveva essere- successo.
"Me ne occupo io" lo sentì dire a Stan, che si appostò
dietro una barricata di paglia con della legna davanti. "Attento"
lo ammonì Stan "Sai già di cosa è capace."
"Lei non sa di cosa sono capace io" ringhiò Seamus vieni
fuori, mostro!"
Scusa Seamus, ma gli autografì un altro giorno. Scattò in
un'altra direzione. Errore. Era deconcentrata. Nei pressi di un piccolo
insediamento Rowen nascosti, ovvio ci fossero delle trappole. Calpestò
una zona vietata, e lunghe travi si alzarono davanti a lei con effetto
catapulta, spedendolo all'indietro, fino allo spiazzo vicino alla fattoria,
a pochi metri da Seamus. La bacchetta le era caduta da qualche parte.
Tastava, senza risultati.
"Ah-ha!" sentì il trionfo di Seamus "Baciato dalla
fortuna! La buona sorte aiuta sempre la gente onesta!" Aveva la sua
bacchetta puntata alla gola. Solo un movimento, e l'avrebbe avuta in fiamme.
Era il momento di applicare il suo cervello e quanto sapesse su Seamus
e la loro organizzazione.
"Qualcosa da dire, prima della tua fine?" chiese lui, mostrandosi
falsamente gentile, velenoso.
Lei sapeva che poteva anche dire qualcosa, ma che non sarebbe servito
a nulla... tranne qualcosa "Direi solo una cosa...Ministro, una sepoltura degna, per cortesia" chiese, facendo finta di guardare un punto oltre Seamus.
"Co-cosa?" esclamò lui, voltando di scatto il capo, ma
con la bacchetta sempre puntata "Il Ministro qui? Ma dov..."
Era il momento. Atletica, alzò la gamba sinistra e colpì
con un netto calcio il braccio di Seamus, alzandolo di parecchio e facendogli
saltar via la bacchetta magica.
"Puttana!" gridò lui, massaggiandosi il braccio dove
aveva ricevuto il calcio, e mentre lei si rialzava, gliene mirò
uno al petto. Lei si gettò nuovamente, appoggiandosi al suolo con
la mano destra, fece una ruota come le era stato insegnato da delle ballerine
di danza classica a Dijone, e lo colpì alla guancia destra. Come
atterrò, gliene ripetè uno allo stomaco. Vide la sua bacchetta,
cinque metri più in là. La raggiunse, e sentì un
epiteto. Uno schiantesimo. Si accucciò giusto in tempo per schivarlo,
caricando un colpo e voltandosi glielo sparò. Una piccola sfera
lucente che sembrava ribollire di fuoco. Seamus fu costretto a correre
per evitarlo, mentre sentiva qualcosa alle spalle. Stan aveva cambiato
postazione, dalla barricata di paglia a un paio di casse al lato nord.
Era pronto a intervenire "Incendio!" gridò lei, e le
casse presero quasi istantaneamente fuoco, stanandolo. "Hai abbassato
la guardia! Pagherai cara questa distrazione, mostro!" gridò
Seamus, alzando la bacchetta "Rigor mortis!" ma non era affatto
vero, non aveva mai abbassato la guardia. Forse non aveva notato che la
sfera di fuoco stava tornando indietro, ma un sibilo glielò segnalò,
e il risultato fu un impatto tra gli incantesimi. Lui cadde a terra, e
roteò la bacchetta tra barriere di protezione e schiantesimi. Ma
lei si era già portata dietro la bassa barricata di legno e paglia.
Alle sue spalle, vecchio pollaio simile a una casetta delle bidonvilles
di New York.
"Stella cadente!" ringhiò furioso Seamus. Eccola. Lei
sapeva che sarebbe giunto il momento. L'unica cosa per cui avesse mai
provato, una volta nella sua vita, un senso di soddisfazione verso Seamus
era quell'incantesimo. Lo aveva inventato lui, e nessun'altro sulla faccia
della terra sapeva imitarlo. Si trattava di una sorta di globo seguito
da un lungo scintillio, una specie di 'stella cometa'. La vera sorpresa
della stella cadente non era la potenza, di linea mediocre, ma la durata
e la velocità. Sapeva andare veloce quanto una Firebolt, e poteva
marciare in volo per ore costantemente alla stessa velcità. Poteva
comodamente spedirla a Londra, sapendo che sarebbe arrivata abbastanza
in fretta.
Lei fece appenna in tempo a evitarla, evitando che la mozzasse. Il raggio
colpì uno dei pali che sostenevano il vecchio pollaio, distruggendolo
in due, e poi il tetto in lamiera, bruciandolo e facendolo ricadere su
se stesso. Il pollaio andava a fuoco. Era il momento adatto. Lei sparò
uno schiantesimo seguitò da una seconda palla di fuoco. Lo schiantesimo
ebbe un impatto con una seconda stella cadene proprio sopra la barricata,
come secondo i suoi piani. Lo schiantesimo era più potente, ma
la velocità della stella cadente riuscì a non farlo avanzare.
L'impatto causò un forte spostamento d'aria che, come previsto,
mandò la sfera a cozzare sulla barrica, alzando ovunque per ella
alte fiamme e fumo che coprivano a lei la vista di Seamus, che certamente
pensò non fosse un fatto desiderato. Lei corse per l'area e si
lanciò nelle fiamme, nei turbinii rossi, arancioni, gialli e grigi.
Merdalizione, pensò Draco! Il vero materiale, scoprì, non
si trovava lì in quella stanza, che era una stanza di analisi.
Veniva importato da un altro locale che sembrava inespugnabile e che ancora
non era riuscito a trovare. Doveva assolutamente sapere su cosa stava
lavorando Mick Island. Poteva seriamente essere un colpaccio. Ma sentì
che per oggi aveva chiesto troppo. Non poteva trovare altro dalla sua
posizione. Doveva ispezionare nei giorni seguenti. Non era deluso o amareggiato.
Era stato un risultato soddisfacente. Uscì fino sul corridoio,
poi l'ascensore lo trasportò fino al settimo piano sotterraneo.
Ancora una volta, scrosci di applausi per il corridoio. Quel piano non
era in vacanza. Era un piano di autorità. Li salutò con
un gesto e un falso sorriso. Per loro, per tutti, lui era un eroe. Percorse
il corridoio fino a un grosso portone. Sopra, in lettere scolpite sull'oro,
stava scritto: "Ufficio di Draco Malfoy, Ministro della Magia"
e "Ordine di Merlino, Prima Classe, Rettore del Wizengamot, Vincitore
del Magnitudo per Maghi Soddisfacenti per tre volte". Lui toccò
il portone con la bacchetta. Inespugnabile a tutti, meno che a lui. Entrò,
nel suo grosso ufficio con moquette di cinque centimetri, sapore caraibico,
bevande e vivande su un lungo tavolo da un lato. Gli altri tre lati era
completamente costituiti da un lungo vetro che tracciava una semi-circoferenza.
Era fatato, e mostrava l'esterno come una vista dal un trentesimo piano
su Los Angeles. Andò a sedersi alla lunga scrivania in legno di
quercia, alzò la bacchetta puntandola sul grammofono, che eseguì
l'ultimo disco del suo cantante preferito, Kimch Sidaln.
Poi, per ignoti motivi, la musica cambiò in una sorta di marcia
funebre, lui si voltò di scattò. Perchè? Come mai
era cambiata da rock puro a una musica da funerale?
"Ciao, Draco" disse una voce, bassa e tenebrosa. Sembrava il
demone peggiore che lui potesse incontrare. Aveva lunghi capelli rossi
e lisci che raggiungevano i glutei quasi.
"Tu?" disse lui in tono piatto, mentre un pallore gli conquistava
dominante il viso dagli occhi sorpresui.
"Io." un altro uomo avrebbe definito Draco un pazzo per come
sembrava spaventato da quella donna, di una bellezza incredibile. I lunghi
capelli rosso vivo la facevano sembrare a una sirena, grazie anche ai
bellissimi lineamenti del viso e agli occhi verdi brillanti. Era vestita
come una babbana, una t-short spaccata all'altezza della spalle che metteva
in risalto il seno e lasciava visibile l'ombellico, e un paio di pantaloni
bianchi con tre linee verdi verticali su ognuno, da cima a fondo, culminanti
con un paio di scarpe da tennis lucide, come nuove.
"Cosa fai qui?" chiese, anche se, musica a parte, pensò
di aver già capito. Inutile ignorare la realtà. "Lo
sai cosa ci faccio qui". Gli bastò questo in risposta. Calciò
contrò la scrivania, cosicché la sedia a ruote su cui era
seduto scivolasse all'indietro. Salì in piedi su ella e accese
una piccola fiamma sulla bacchetta, la quale mosse in avanti, dilungando
la fiammella. La striscia di fuoco si ridusse e divenne solida. Un bastone.
Ficcò la bacchetta in tasca, afferrò il bastone e lo usò
come un'asta: salto e lo piantò per terra, saltando ancora raggiungendo
la scrivania, mentre la sedia cozzava contro i vetri. Temeva quella donna
per mille ragioni. E mille motivi gli dicevano che si stava giocando tutta
la vita in quegli istanti. Già il fatto che fosse riuscita ad entrare
nel suo ufficio, inespugnabile e inacessibile da nessuno se non col suo
assenso -date tutte le sicurezze e magie adottate-, lo preoccupava ancora
di più di quanto sapesse del suo potere. Poi, il fatto che anche
una volta dentro non avesse percepito la sua presenza, era un secondo
motivo. Saltò e piantò nuovamente il bastone, dandosi un
velocissimo slancio verso di lei, pronto a colpirlo dall'alto. La cosa
non gli piaceva: nonostante tutti i suoi movimenti non si era ancora mossa.
E poi capì. Era già successo una volta, anche se non con
lui. Fosse era troppo tardi, ma doveva provare a rimediare. Lei divenne,
in una sezione di istante, trasparente sempre di più, fino a scomparire
dal punto dov'era. Lui aveva già capito e piantato il bastone davanti
a sé, cercando in qualche modo di frenare, squarciando la moquette
e rigando il pavimento, e scattò all'indietro. Troppo tardi, non
ce l'aveva fatta. Ginny Weasley era riapparsa dietro di lui, e dentro
la sua mano aveva una specie di pugnale poligonale, con cui l'aveva colpito
al collo.
Draco Malfoy cadde lungo disteso sul pavimento assieme al bastone, seguito
da una lunga scia di sangue. Ginny era già scomparsa.
Era passato già un bel pezzo. Decise che poteva azzardarsi a rischiare,
ed uscì dalla barricata distrutta. Ottima invenzione, la polverina
sbarazzina dei gemelli Weasley. Una polvere rossa che lei aveva imparato
a mischiare, se necessario, coi suoi incantesimi di fuoco. Formava fiamme
irreali, almeno in parte: esseri umani o comunque vivi non subivano il
minimo danno da esse. Mosse alcuni passi, guardandosi attorno. Non percepiva
particolari presenze, se non qualcosa di molto inferiore là, vicino,
da qualche parte, sottoterra. Una tana di conigli, probabilmente. Si avvicinò
appena per appurare. Meglio avere certezze, in certi momenti. Fu un errore
fatale. Come si avvicinò, scattò un'altra trappola, più
evoluta: trasfigurazione dinamica e autonoma. I conigli diventarono bombe
ed esplosero. Lei riuscì ad evitare il grosso ma non lo spostamento
d'aria. Volo di quasi sei metri e cadde a terra, strisciando sul terreno
per un po'. Non sentiva più la bacchetta nella mano. Ricadde sulla
pancia. Sentì un piede sulla schiena, poi la voce di Seamus: "Sei
finita!" ghignò. E in effetti, non poteva dargli torto. Non
sapeva come avrebbe potuto uscirne viva. Seamus agitò la bacchetta
e ne uscì una lunga scia verde scuro, tagliente come una lama,
e lo comandò alla gola della donna. Il caso Granger su cui pendeva
una delle più alti taglie mondiali, sentì fremente di eccitazione,
stava per essere concluso per opera sua.
Fine primo capitolo
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