Storie originali > Generale
Ricorda la storia  |      
Autore: EJL    23/11/2013    0 recensioni
Un giorno come mille altri, un giorno in cui la parola FORSE assume nuovo significato..
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Nonsense | Avvertimenti: Contenuti forti
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

La panchina è ancora bagnata per via della pioggia di questi ultimi giorni, e il sole appena sorto scalda appena.

Andrea mi sta seduto accanto, parla e parla, ma io sono troppo intenta a studiare delle formiche che banchettano ai nostri piedi con un acino d’ uva, per sentirlo veramente.

Abbiamo un ora buca, perché manca il prof con cui facevamo educazione pratica. Così, dato che a scuola non potevamo rimanere ho detto ad Andrea di venire con me al parco. Non ho mai veramente capito quali fossero i problemi di Andrea, so solo che è capace di ripetere la stessa identica frase per almeno dieci volte e che la sua capacità di intendere e volere e molto limitata. Mi sta simpatico perché non approfitta del suo status per romperti le palle come invece fanno molti altri.

Mi accendo una sigaretta e mi volto verso di lui.

-Te la posso fare una foto da mettere nell’ album dei ricordi del liceo?- Gli chiedo più per farlo smettere di parlare che per altro. Lui scatta in piedi e mi rivolge un sorriso a trentadue denti. Io prendo il cellulare e scatto la foto. I tratti del volto esageratamente pronunciati e i grossi occhiali con l’ enorme montatura rossa gli conferiscono un aspetto un po’ tanto da sfigato, ma tutto sommato non è brutto come ragazzo.

-Come sono venuto?- Mi chiede tutto contento.

-Oh, davvero bene, guarda.- Gli dico porgendogli il cellullare.

Poi di punto in bianco mi chiede: -Quando fai gli anni?-

-Il quindici dicembre, te?-

-Tre gennaio!- Mi risponde. Poi continua -e si, il tre gennaio faccio gli anni io, ne faccio venti il tre gennaio!-

Io annuisco finché la smette.

Sinceramente mi fa sentire utile stare con persone che presentano problemi, ma preferisco quelle poco loquaci.

-Andiamo a fare un giro?- Mi chiede ad un tratto.

-Dai, stiamo qua, si sta così bene sotto questi alberi.- La verità è che anch’ io preferirei camminare un po’, ma l’ esperienza di un quarto d’ ora prima è ancora impressa nella mia mente e mi turba: ha attraversato senza guardare e per di più correndo, lo preso per la cartella se no finiva sotto una corriera.

Quindi preferisco tardare il più possibile il ritorno alla civiltà.

Lui non sembra affatto deluso e mi dice va bene sorridendo. Io mi rilasso, ed improvviso mi ricordo di avere una bottiglia da mezzo di birra dallo zaino. Butto a terra la cicca e prendo la birra dallo zaino.

-Ne vuoi?- Gli domando mentre prendo il coltellino multi uso dalla tasca per togliere il tappo.

-Si! Si! Si! Non l’ ho mai assaggiata, mamma dice sempre di no!- Esclama tutto eccitato.

Io sorrido e gliela porgo, lui la prede e comincia a mandarla giù come fosse acqua.-Ehm, piano.- Tento, ma lui è già a metà e non da segno di aver capito. Vedo la birra scorrergli giù per il mento e mi vien male pensando alla sete che ho. Finalmente si stacca e me la porge, ne è rimaste quattro dita al massimo. Lo guardo, ha l’ aria smarrita e mi guarda senza vedermi. Mi chiedo se sia possibile che gli abbia già fatto effetto. Guardo i gradi, 6.7. si, fortina ma non gli sarà neanche scesa nello stomaco ancora. Cominciano a passarmi per la testa tanti pensieri sconfortanti, i due peggiori sono: come faccio a presentarmi con lui ubriaco a scuola. E, mica lo posso lasciare qui da solo.

Lui continua a guardami stralunato e non dice una parola.

-Come va?- Gli chiedo e lui si mette a sbaccanare come se gli avessi appena detto la cosa più stupida e divertente del mondo.

Io rimango a guardarlo, comincio a spaventarmi. Di colpo torna serio e mi fissa come un ebete.

Ora capisco perché non gli fanno bere la birra.

Allungo una mano verso di lui, per provare a scuotergli un po’ la spalla. Lui scatta in piedi e comincia a correre e a urlare che lo voglio uccidere. Per la sorpresa ci manca poco che cado dalla panchina.

Mi lancio al suo inseguimento dato che punta verso l’ uscita del parco, riesco a sorpassarlo e a fargli cambiare direzione. Ci mancherebbe solo che mi andasse in strada.

-Fermati!- Gli grido, ma serve solo a farlo correre più veloce. Si dirige verso il grande prato del parco e con un salto che mi lascia spiazzata si arrampica sulla prima delle tre rotoballe di fieno poste vicino al muro che delimita il parco.

Finalmente posso riprendere fiato, i miei polmoni da fumatrice sono una tragedia.

Lui mi guarda dall’ alto come un topo in trappola. -Giuro che non ti faccio niente, ma scendi!- Provo a supplicarlo. Ma lui continua a fissarmi pronto a scappare al mio primo cenno di avvicinamento.

Maledetta me e a quando mi è venuta voglia di portarmelo dietro.

Cambio strategia. -Mi dai il numero di tua mamma che le diciamo che non stai tanto bene e che ti venga a prendere?-

-No! Vuoi uccidere anche lei!- Mi grida.

-Ma no te lo giuro, voglio solo dirle che non stai bene!-

Nei miei diciott’ anni me ne sono successe di tutti i colori, ma non penso di essermi mai sentita così impaurita ed incazzata insieme.

Che cazzo faccio adesso?! La domanda continua a strillarmi in testa, ma non ho la risposta.

Inizia a vomitare ed io penso che se butta fuori starà meglio, avrà magari mal di testa, ma almeno la smetterà di dar di matto. Guardo l’ ora, un imprecazione di quelle toste mi sale alla gola, mancano quindici minuti al ritorno a scuola. L’ odore acre del suo vomito mi prende le narici e la gola facendomi venire un conato che trattengo a stento.

Alzò gli occhi disgustata su di lui e mi accorgo che ha preso a vomitare qualcosa di un rosso scuro, quasi nero. La birra era un doppio malto rossa, ma non può comunque avere quell’ colore! Con sgomento mi accorgo che è sangue, vado nel panico.

Andrea non riesce nemmeno a respirare tanto sono frequenti i conati. È un attimo e lo vedo cadere a terra.

Non si muove, non riesco a capire se respira, ho una paura tremenda.

Mi tremano le mani, ma comunque riesco a comporre il numero del 118.

Me ne rimango immobile senza nemmeno il coraggio di muovermi, in lontananza sento le sirene dell’ ambulanza, ma non riesco ancora a tirare un sospiro di sollievo. Lui è immobile da diversi minuti.

Vedo degli uomini con delle tute e dei camici che mi sorpassano veloci, si chinano su di lui, gli strappano i vestiti e il suo petto scheletrico rimane esposto hai miei occhi. Gli fanno qualcosa con una macchina, lui sobbalza ad ogni contatto, poi spalanca gli occhi ed io mi ritrovo a fissare gli occhi di un morto, morto per causa mia.

Forse se quel prof non fosse mancato, forse se non l’ avessi portato con me al parco, forse se non gli avessi dato quella birra.. Andrea sarebbe vivo... forse...

  
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: EJL