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Autore: Halloween_    23/11/2013    2 recensioni
[Seconda classificata al contest “ three words for weep” di W i n d_]
{Scritta con Lola, "Queen of Hurts"}
{Angst ~ Drammatico ~ EndouKaze onesided ~ AU}
Aw, è il mio primo contest… Che emozione! **
È stata scritta da me e Lola, speriamo di suscitare un po' il vostro interesse~
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[…]Era il suo unico ricordo e il solo oggetto che portava in sé tutti i suoi peccati; osservandolo si affacciò alla sua mente una leggenda udita alcuni anni prima, qualcosa a proposito di un certo “Vaso di Pandora” che si narrava contenesse tutti i mali del mondo. Quella piccola scatola rettangolare né era la versione rimpiccolita, non conteneva i mali dell’umanità ma solo i suoi ed era ancor più terrificante quella consapevolezza, gli causava un’insana ansia che minacciava di stritolargli il cuore. Gli occhi velati da una sottile patina chiara, liquida, esprimevano tanta dolcezza quanta rabbia, pura e incondizionata verso il suo precedente proprietario.[…]
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Se vi abbiamo interessati un po' ci vediamo dentro, okay?~
Kuro & Lola❤
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Mark/Mamoru, Nathan/Ichirouta
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Autore/i: Lola (Queen of Hurts) & Kuro (Halloween_).
Coppia: Endou x Kazemaru.
Titolo: Lost in Pain.
Parole: Responsabilità – Ansia – Perdita.
Pacchetto e sottopacchetto: Nebbia - n
Note: Sono Kuro gente~
Ci tengo a ringraziare chiunque legga questa One-shot e anche W i n d per aver permesso a me e Lola di partecipare al contest. L’idea del Medioevo è venuta me, così un giorno… Poi Lola ha dato la prima stesura e ritocco dopo ritocco, abbiamo ottenuto questo (In verità ne abbiamo scritta una ciascuno, anche se poi abbiamo lavorato su quella di Lola; chissà, magari un giorno pubblicherò anche la mia) c:
La parte in corsivo sarebbero i ricordi di Kazumaru, mentre la parte “normale” sarebbe il presente. Benissimo, mi auguro siamo riuscite e restare nel tema del contest e del pacchetto… Speriamo in bene. Sono emozionata perché è il mio primo contest; ah, pubblico io perché mi occupo della formattazione. Ehm, niente… Buona lettura. c:

Ehm, vediamo un po’, ah sì! Questa è la mia prima storia del mio primo contest, e sono piuttosto emozionata. Forse troppo, neh.
Allora, salve, io sono Lola e sono felice che qualcuno stia leggendo questa one-shot mia e di Kuro. Perché, ovviamente, se siete riusciti a leggere questa parte significa che siamo riusciti almeno un po’ ad incuriosirsi, e speriamo di non annoiarvi in modo di arrivare, almeno, alla fine.
Ci tengo a ringraziare W i n d, l’organizzatrice di questo contest. Grazie mille, madame!
Beh, a me il medioevo è sempre piaciuto ma, nonostante tutto, l’idea è stata della ragazza qua con me. E non so se ringraziarla ancora dopo trecento volte di fila. Ma ho dato anche io il mio contributo scrivendone una bozza, arricchita successivamente da Kuro-chan. Quindi il tocco di classe lo si deve a lei e a me una buona parte delle idee espresse.
Non so quanto siamo rientrate nel pacchetto, conto che almeno un po’ ci stiamo dentro, no?
Mi auguro di che la storia piaccia un po’ a tutti, che se ne abbia un ricordo positivo degno di almeno una bandierina verde, e che i fan di questa OTP, che è anche la mia, ne siano un po' soddisfatti. Ah, dimenticavo… Buona lettura a tutti.







Lost in Pain.




Odore di morte.
È una sensazione inebriante inspirare quella dolce e famelica fragranza; impregna con insistenza una veste del colorito bianco latte, ammantando il proprietario di un piacevole tepore interno. Un leggero e impercettibile gemito accompagnato da un brivido lungo la schiena, ecco cosa sente il giovane.
È felice di quel sangue, che pian piano tinge le sue vesti di un debole color scarlatto, perché suo e proveniente dal debole corpo che possiede. C’è gioia in lui, e le sporche lacrime che rigano le sue guance esangui sono una prova fin troppo evidente.
Nessuna morte è più dolce e desiderata.

♱♱♱


Chiuse a chiave il piccolo scrigno, accarezzò la superficie metallica con lentezza assaporando la sensazione liscia e fredda sotto i polpastrelli e studiando con lo sguardo ogni venatura, come a volersela imprimere a fuoco nel cuore. Era il suo unico ricordo e il solo oggetto che portava in sé tutti i suoi peccati; osservandolo si affacciò alla sua mente una leggenda udita alcuni anni prima, qualcosa a proposito di un certo “Vaso di Pandora” che si narrava contenesse tutti i mali del mondo. Quella piccola scatola rettangolare né era la versione rimpiccolita, non conteneva i mali dell’umanità ma solo i suoi ed era ancor più terrificante quella consapevolezza, gli causava un’insana ansia che minacciava di stritolargli il cuore. Gli occhi velati da una sottile patina chiara, liquida, esprimevano tanta dolcezza quanta rabbia, pura e incondizionata verso il suo precedente proprietario.
Kazemaru detestava con ogni fibra del suo essere perdersi nelle memorie di quando era bambino. Risentire l’odore rancido e deplorevole di quell’animale che era costretto a chiamare “padre” lo nauseava oltremodo. Odiava udire le urla spaventate della madre, quella creatura tanto simile a lui ma troppo fragile e tenera; le sue carezze rassicuranti sulla nuca e le dolci parole sussurrate al suo orecchio di bambino.
Spudoratamente false quelle menzogne dal sapore agrodolce.
«Kaze-chan, sei qui?» la dolce filastrocca del suo passato si spense al sentire quella voce. L’azzurro, sorrise e ricacciò con forza le lacrime al loro luogo di provenienza, celate dalle sue palpebre. Davanti a lui piangere era come commettere un nuovo peccato. La chioma castana di Endou spuntò sulla soglia della porta assieme all’inconfondibile e raggiante sorriso del ragazzo. Una dannazione nella vita di Kazemaru, quel sorriso così luminoso gli aveva sottratto un frammento del suo tenero cuore senza remore o pentimenti, ma non poteva averne perché fatto con innocente inconsapevolezza.
Strinse tra le sue braccia, forse troppo deboli perché appartengano a un uomo della sua età, la scatolina appartenuta in passato al padre, con fare possessivo ma non cancellò per un solo secondo il sorriso rivolto al moro.
Non poteva e nemmeno voleva negargli il sorriso.
«Endou, finalmente ti fai vedere. Sai da quanto tempo è che aspetto?» gli disse con una punta di rimprovero nella voce. Il più grande non si curò nemmeno di ascoltare le sue parole e si sedette al suo fianco, facendo infossare un po’ il letto dell’azzurro sotto il suo peso.
E la cassetta fu abbandonata sul pavimento e cacciata, con un secco movimento del piede, nel buio dello spazio di sotto il letto, ma i suoi peccati erano ancora lì, muti.
Uno solo era il ricordo che il giovane Kazemaru tratteneva al suo interno che appartenesse a Endou Mamoru. Peccato troppo perfetto e dannato, ma forse era proprio per quello che in sua presenza non poteva che… Sorridere.


♱♱♱


Nel vederlo Kazemaru rischiò di piangere, dovette stropicciarsi gli occhi nocciola per non farlo. Era bellissimo con capelli castani donati dalla madre, e gli occhi luminosi identici al padre. Tenma, lo avevano chiamato. In vita sua mai aveva conosciuto bambino più solare, giocoso e gentile di lui; era sempre sorridente, non stava fermo per un solo secondo e una bizzarra quanto perenne voglia di mele lo caratterizzava.
«Fratellone, ho una fame! C’è qualcosa da mangiare? Dimmi che ci sono delle mele, ti prego.» lo chiamava “fratellone”, Tenma, e lo faceva anche in pubblico per le strade cittadine; era sempre dietro al piccolo, come se fosse la sua balia. Le responsabilità della sua educazione e del suo futuro nel campo politico cadevano su Kazemaru, ma li voleva bene nonostante fosse nato dall’unione del suo amore, Endou, e la moglie Lady Natsumi.
Per lui, nel piccolo scrigno, vi era una mela rossa.


♱♱♱


Guerra.
La detestava; lì aveva perso molti amici. E ora, per crudeltà del destino, pure Endou era pronto alla battaglia. Era pronto alla sua morte.
Responsabilità verso i popolani che lavoravano nel suo feudo, diceva il castano.
Responsabilità verso la sua famiglia per farla vivere in serenità, aggiungeva.
Come se la sua morte avrebbe potuto potar gioia a qualcuno, pensava, invece, Kazumaru.
Sorrise afferrando quel filone sbrindellato di memorie. Era buffo sapere che la sua vita sembrasse detestare così tanto i pareri del suo cuore, pareva far di tutto per andarvi contro; non era la prima volta che qualcuno a lui caro incontrava la morte.
Ormai, il vago sospetto di esser causa di quelle sciagure era mutato in certezza nell’anima di Ichirouta; più il tempo procedeva nel suo incedere immutabile, più lui si convinceva di potar disgrazie proprio come quelle streghe tanto temute e cacciate da chiunque.
Sarebbe finito anche a lui a bruciarsi su un rogo, sentendo il corpo carbonizzarsi?
Probabilmente no, la perdita di Endou l’avrebbe condotto alla fine molto prima di qualsiasi altra cosa.
Si riscosse da quei pensieri eccessivamente lugubri, era –quasi sicuramente- il loro ultimo incontro e di tempo per abbandonarsi alle ansie e alle paure ce ne sarebbe stato a sufficienza in seguito. Varcò la soglia della stanza spingendo la porta socchiusa di legno massiccio, e le sue labbra si piegarono, come per abitudine, verso l’alto.
Vederlo lì, intendo a preparare il necessario per partire, lo fece sorridere con una dolcezza infinita. Dirà addio anche a lui?
Sentì i capelli solleticargli la base del collo, così strinse con impazienza quel laccio di cuoio che teneva imprigionata in una coda bassa la cascata di ciocche azzurre che era la chioma di Kazemaru; poi, finalmente, si avvicinò da dietro, con movimenti delicati, e l’abbracciò «Sai che non tornerai, vero Endou?» sorrise contro la sua pelle scura coperta dall’armatura argentea, gli ricordava il suo cofanetto.
In quel momento notò un piccolo dettaglio e ridacchiò -forse per non piangere- «Poi chi ti ha conciato così?» continuò il ragazzo dagli occhi color nocciola «Ti hanno perfino legato i capelli; ma chi è stato? Sei ridicolo!» in effetti, era buffo Endou.
I capelli castani del maggiore erano corti e poco adatti a essere imprigionati in code, al contrario di quelli dell’azzurro.
Nonostante la lieve risata, in cuor suo si sentì morire.


♱♱♱


Il ricordo cominciò a sbiadirsi sempre di più finché l’unica immagine visibile per il ragazzo fu la sua veste bianca. Ridere per dire addio era una stupidaggine, e ora lo sapeva bene.
Era passato un anno e lui non tornava.
Erano tutti in ansia: Natsumi, l’intera corte, e persino il piccolo Tenma stava cominciando a capire tutto.
Kazemaru, però, era il più preoccupato mentre l’ansia e la lenta consapevolezza che non avrebbe mai più rivisto il suo signore lo stavano divorando dall’interno; non passava giorno senza che maledisse quelle “responsabilità” che li avevano sottratto una persona a lui così cara.
Ogni abitante di quel castello era terrorizzato e stanco di sentire le urla strazianti del giovane sofferente, era disperato e nulla faceva per nasconderlo così scagliò la scatolina lontano con rabbia e frustrazione, quei pensieri lo stavano logorando.
Colpì la pietra grigia del muro e lasciò che il suo contenuto si spargesse sul pavimento, chissà magari ero troppo anche per quel pezzo di metallo che vibrò per un po’ dopo la caduta a terra. Ma oramai, il ragazzo non ne aveva più le orecchie per ascoltare né gli occhi per vedere.
Nemmeno quando un piccolo pugnale, rifinito in oro, cadde ai suoi piedi. Era di Endou ed era il suo peccato più grande.
Era l’Amore.

♱♱♱


È morto. Ne è sicuro.
Nessun messaggio o voce può confermare i suoi pensieri, ma il suo cuore n’è certo come mai prima di allora. Morto, e presto lo riabbraccerà.
Per un attimo l’immagine del corpo di Endou esangue, steso nella polvere e imbrattato di sangue scuro, gli attraversa la mente soffermandosi sul viso sfigurato dal dolore e gli occhi vitrei… Completamente spenti e gelidi.
La scaccia senza indugi, e sorride mentre lustra con cura la lama affilata del suo pugnale. Così bello e nuovo, non sembra essere stato mai usato dalla sua forgiatura sino a quel giorno. Il manico è in oro e inciso a mano, vale tanto di quel denaro che potrebbe sistemarsi a vita. Magari anche di più.
Ma non gli importa perché ha perduto l’amore. Per sempre.
Stringe l’impugnatura del pugnale fino a che le nocche delle mani non si tingono di un colore biancastro; lo porta vicino al retro del collo e la fredda lama a contatto con la pelle gli provoca un brivido.
Recide di netto.
Alcune ciocche azzurrine cadono colorando il pavimento cupo insieme a quel laccio, lascia i capelli liberi da vincoli e sente avvolgere il viso con ruvide carezze; notando quelli caduti afferra un altro ciuffo e lo recide senza motivo osservandolo, poi, scivolare via dalla sua mano.
La sofferenza lo fa’ stare male.
Non mangia, né beve, né desidera visita alcuna: addirittura il piccolo Tenma è respinto malamente, solo per aver cercato di confortare il ragazzo con un abbraccio.
Il dolore però cessa di ferirlo appena sia la veste sia la chiara lama del coltello cominciano a tingersi di cremisi, è scuro, denso e caldo quel sangue mentre sgorga in ipnotiche scie lontano dal suo corpo solamente per andare ad accumularsi in una pozza attorno ai suoi piedi.
Morire per amore, che cosa ridicola.
Se l’avesse letto su un qualche libro che la signorina Natsumi è solita consultare si sarebbe volentieri messo a ridere; ma in quel momento l’unica cosa che Kazemaru Ichirouta avverte è un calore crescente nel petto, alla base dello squarcio appena inflittosi.
«Ehi, che bella sensazione. Chissà se il Paradiso sarà in grado di accogliermi, sarebbe un bel regalo.» e le palpebre cominciano ad appesantirsi fino a chiudersi in eterno, precludendo agli occhi nocciola l’ultimo raggio del sole al tramonto.
La bella veste di seta bianca è tinta di rosso ormai, profuma di sangue fresco così come il resto della stanza. Ogni cosa ne è impregnata.
Però Ichirouta non nota nulla di tutto ciò, sapeva già che la perdita di Endou l’avrebbe ucciso però è felice mentre allontana da sé anche il restante brandello di vita.
Sorrise, e lo farà per l’eternità.
   
 
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