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Autore: mysterious    23/11/2013    1 recensioni
Red John, finalmente, non rappresenta più una minaccia. La sua morte ha posto fine ad uno dei capitoli più tristi della vita di Patrick Jane. Ma che ne sarà di lui, ora? E' proprio vero che la vendetta fa sentire meglio?
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Kimball Cho, Patrick Jane, Teresa Lisbon | Coppie: Jane/Lisbon
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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(P.o.v. Jane)

 

Una fitta lancinante alla nuca, alla quale istintivamente porto la mano fasciata, mi suggerisce che questo non è sicuramente il mio periodo fortunato.
Ad occhi ancora chiusi, esploro con le dita la parte ammaccata. Niente escoriazioni, solo un discreto gonfiore, per il quale basterà un po' di ghiaccio.
D'un tratto, realizzo quant'era successo: ricordo la porta che si spalancava, la mia caduta all'indietro, le voci e le sagome annebbiate di qualcuno che entrava... e spalanco gli occhi.

“Hey, Jane. Bentornato!”

Metto a fuoco l'immagine china su di me: “Lisbon...”

Faccio per mettermi a sedere sul letto, ma è come se la mia testa pesasse una tonnellata. La lascio ricadere sul cuscino, strizzando gli occhi in una smorfia di dolore. La stanza è in penombra, ma la poca luce che filtra mi procura già fastidio. Con il dorso di una mano poggiato sulla fronte a guisa di schermo, articolo qualche parola: “Come avete fatto a...”. Ma non termino la domanda. Improvvisamente, la risposta mi appare chiara come il sole, per cui continuo, sorridendo mestamente per l'errore commesso il giorno prima: “I vestiti... la carta di credito, vero?”
Lo sguardo sottilmente divertito di Lisbon è una conferma più che sufficiente.
“Ok, in fondo ero solo un consulente, non un agente addestrato.”
“Perché dici ero?”, fa lei. “Nessuno ti ha licenziato, finora, anche se il tuo comportamento meriterebbe di peggio!”
Lo dice con un tono indispettito. Capisco che ha preso la faccenda molto sul personale.
“Lisbon... ascolta... “ Un po' a fatica, mi volto su un fianco e sollevo un po' il busto appoggiandomi su un gomito. I nostri volti, ora, sono più vicini e lei sembra sentirsi a disagio.
“Senti, Jane”, mi anticipa con quel tono da maestrina severa che adotta ogni volta che deve redarguirmi per qualcosa: “Non cominciare a propinarmi le tue solite spiegazioni, del tipo Non volevo coinvolgerti oppure Dovevo riflettere o Volevo starmene un po' da solo... Sono stanca di questo atteggiamento: ogni volta che qualcuno sta per tenderti una mano, tu lo eviti e sparisci. Come credi che ci sentiamo noi? Giù al dipartimento ci siamo preoccupati tutti appena ci siamo resi conto che avevi fatto perdere le tue tracce. Abbiamo pensato al peggio, abbiamo allertato ospedali, pattuglie... abbiamo provato a chiamarti milioni di volte... Perché, Jane?”
“Ho gettato il cellulare... non volevo essere rintracciato. Van Pelt sa fare miracoli con il suo computer e io... non volevo darle la possibilità di seguire i miei movimenti. So che non vuoi sentirtelo dire, ma... davvero, Lisbon... avevo bisogno di restare solo.”
Mi guarda con aria di rimprovero. Sembra sul punto di dire qualcosa, ma le sue labbra restano dischiuse senza emettere alcun suono. Con un sospiro crolla il capo, cerca dentro di sé il coraggio di parlare, finché, evitando di guardarmi, tira fuori il suo peso:
“Ricordi la sera in cui convocasti a casa tua i cinque sospetti rimasti? Ti fermasti a guardare il tramonto, dicesti tu: mi imbambolasti con un sacco di ringraziamenti, e frasi gentili, e quell'abbraccio stranamente prolungato, del tutto inatteso da uno come te... Era tutta una messinscena, vero? Una messinscena da bravo mentalista, che sa come prendersi gioco dei sentimenti degli altri, … di me. Non devi aver faticato molto a mettere su un discorso che sapesse toccarmi il cuore, ammettilo. Dev'essere facile con una povera illusa come me. E l'abbraccio?” a quel punto mi rivolge uno sguardo infuocato: “Soltanto un espediente per arrivare al cellulare che portavo in tasca e...”
Le poso un dito sulle labbra per farla tacere.
“Non dire altro, Lisbon. Certo, non posso negare di aver architettato un piano per non coinvolgerti : sai benissimo quali fossero le mie intenzioni, se avessi scoperto l'identità di Red John, e non potevo rischiare che tu fossi accusata di favoreggiamento o, peggio ancora, che restassi ferita. Tuttavia... avrei potuto ingannarti in un sacco di altri modi, pensaci. Se ho agito così è perché non volevo ferirti più di quanto fosse necessario e l'unica maniera possibile per non lasciarti furiosa sul bordo della strada era confessarti qualcosa che sentivo... che sento veramente. Ho impiegato un attimo a rubarti il cellulare... avrei potuto sciogliere quell'abbraccio immediatamente, come altre volte, ma non l'ho fatto...”

Lei mi scruta per alcuni, interminabili istanti, tentando di capire se sto dicendo o meno la verità. Sta pensando che vorrebbe tanto possedere il mio stesso dono, ma sa che le toccherà fare affidamento solo sul suo istinto.

“Lisbon... te lo giuro... tu rappresenti davvero molto per me. Come potrebbe essere altrimenti? Mi sei sempre stata accanto, hai coperto i miei passi falsi, hai giustificato con i tuoi superiori il mio modus operandi poco ortodosso; sei l'unica alla quale abbia confessato certi episodi della mia vita di cui non vado particolarmente fiero... insomma, ci sei sempre stata. ”
“Sì, certo. Quando ti faceva comodo per pararti...” e con uno sbuffo ruota il capo dall'altra parte, per non spingersi oltre. “Non è così che credevo si sarebbe evoluta la nostra... amicizia, nel momento in cui tutto fosse finalmente finito.”
Le costa molto ammetterlo... Forse, mentre lo dice, è già pentita di averlo fatto. Da tempo so che la sua amicizia per me si è trasformata in qualcosa di più profondo – e d'altronde mentirei a me stesso se non riconoscessi che anch'io non guardo più a lei come ad una semplice, per quanto cara, amica – ma io non... non riesco a dare questa svolta alla mia vita.
“Lisbon... hai mai perso qualcuno per il quale ritieni di non aver fatto tutto quello che potevi... che dovevi?”
“No”, risponde continuando ad evitare il mio sguardo.
Ma sta già iniziando a capire dove intendo arrivare, perché, fissando d'un tratto i suoi occhi nei miei, aggiunge sommessamente: “Jane, non puoi restare ancorato in un porto che non esiste più. Hai avuto la tua vendetta, hai dato un volto all'assassino di tua moglie e di tua figlia, hai dedicato alla tua famiglia undici anni della tua vita... della tua vita, capisci? Quanti, al posto tuo, l'avrebbero fatto? Quante sono state le vittime di Red John? Quanti dei loro congiunti o parenti o compagni hanno fatto la tua stessa scelta? quanti hanno votato la propria esistenza ad una causa che sembrava persa in partenza? Se qualcosa o qualcuno lassù esiste, sa che non potevi fare di più. Per quanto tempo ancora continuerai a tormentarti?”+Si accorge che le sue parole hanno colpito nel segno: “Scrivi la parola “fine”, Jane. Torna a vivere. Loro non vorrebbero vederti così.”
Ma io non la ascolto più. Ho rimesso la testa sul cuscino e mi sono voltato verso la finestra. Le tende ancora tirate fanno da schermo alle immagini in movimento di una bambina bionda seduta al pianoforte, e di una donna bellissima, vestita di bianco, che mi abbraccia ridendo, mentre insieme ascoltiamo la melodia insicura che quelle piccole dita compongono danzando sui tasti.

Ti piace, papà?”
Non è bravissima, Patrick?”

Voci che si perdono nel tempo, che riaffiorano alla mia memoria come un'eco fievole, rimbalzata già più volte tra le vette dei monti...
Chiudo gli occhi e una lacrima scende lungo lo zigomo fino ad assorbirsi nel cuscino. Scrivi la parola fine, ha detto Lisbon, loro non vorrebbero vederti così... ma allora perché ho continuamente l'impressione di tradirle, anche solo pensando alla possibilità di ricostruirmi una vita, una nuova famiglia? Potrò mai liberarmi da questo insopprimibile senso di colpa?

  
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