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Autore: Water_wolf    23/11/2013    13 recensioni
Tutti conoscono Percy Jackson e Annabeth Chase. Tutti sanno chi sono. Ma ancora nessuno sa chi sono Alex Dahl e Astrid Jensen, semidei nordici che passano l'estate a sventrare giganti al Campo Nord.
Che cos'hanno in comune questi ragazzi? Be', nulla, finché il martello di Thor viene rubato e l'ultimo luogo di avvistamento sono gli States.
Chi è stato? No, sbagliato, non Miley Cyrus. Ma sarà quando gli yankees incontreranno il sangue del nord che la nostra storia ha inizio.
Scritta a quattro mani e un koala, cosa riusciranno a combinare due autori non proprio normali?
Non so bene quando mi svegliai, quella mattina: so solo che quel giorno iniziò normale e finì nel casino. || Promemoria: non fare arrabbiare Percy Jackson.
// Percy si diede una sistemata ai capelli e domandò: «E da dove spunta un arcobaleno su cui si può camminare?» Scrollai le spalle. «L’avrà vomitato un unicorno.» «Dolcezza, questo è il Bifrost» mi apostrofò Einar. «Un unicorno non può vomitare Bifrost.»
Genere: Avventura, Comico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Annabeth Chase, Gli Dèi, Nuovo personaggio, Percy Jackson, Quasi tutti
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache del Nord'
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Achtung: Water_wolf è una ragazza, sesso femminile, periodo rosso ogni mese. AxXx  ( http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=218778 ) invece è un ragazzo, sesso maschile. Grazie per l'attensione :)

Scopro che anche i martelli hanno il GPS

♦Astrid♦

Ci sono solo due motivi per cui dei figli di Thor dovrebbero strillare come galline sgozzate: il primo, è successo qualcosa di grave; secondo, è successo qualcosa di molto, molto grave. E, visto che l’estate era iniziata da poco e che non era accaduto niente fuori dalla routine, avrei scommesso l’elmo che l’ultima ipotesi era quella corretta.
Un pensiero corse a quei poveri, piccoli e indifesi semidei appena arrivati al Campo che già si trovavano ad affrontare chissà quale problema –come se rischiare di distruggere scuole, essere attaccata da un mostro o scoprire accidentalmente che lo stoccafisso che ti ritrovavi come genitore aveva attirato l’interesse di un dio, non lo fossero.
Be’, non che fosse difficile attirare le attenzioni di una dea femminista e leggermente incline all’amore. Nel caso di Thor, avrebbero fatto furore ragazze che lavoravano in un officina come assistenti meccanico o qualcuna disposta a farsi chiamare “donna”, con uno spiccato prolungamento dell’ultima vocale. Mi persi a riflettere su come si presentasse Odino ai mortali, senza un occhio e accompagnato da due corvacci che avrebbero speso volentieri le loro ferie in gita in Inghilterra, decisi a sedurre qualche cornacchia di uno sconosciuto castello britannico. Un altro grido interruppe il filo del mio pensiero, riportandomi al presente.
Mi riportai indietro i capelli, mi fermai ad allacciare gli anfibi bordeaux e mi diressi verso il tempio dedicato a Thor. Se le figlie di Eir erano delle maghe nell’utilizzo delle erbe medicinali, quelle Freyja a essere dannatamente perfette in ogni momento, quelle di Hell, oltre a possedere una lista personale di nemici più lunga di quella di Adolf Hitler, avevano degli assi nella manica piuttosto versatili. Perché limitarsi a sembrare un’ombra quando lo si può essere veramente, viaggiando attraverso le tenebre? Oltrepassai le palizzate, notando che nessuno era ancora uscito dal tempio.
Era un edificio di pietra sbozzato, niente a che vedere con le cupole a volta dorata dei cristiani, ma che dava ugualmente l’idea di quanto fossero forti e superiori gli Dèi. Due grossi massi, tagliati a formare alte e massicce colonne, riportavano incisioni e pitture che raffiguravano Thor in varie imprese, accompagnato dall’imponente martello, la sua inseparabile arma. Camminai svelta verso di esso, mi appiattii contro un pietrone e tesi l’orecchio. Non capivo tutte le parole, ma non era certo molto difficile intendere che metà di esse fossero imprecazioni e maledizioni.
Mi sistemai all’ombra del tempio, in modo che neanche un raggio di Sole colpisse la mia pelle, ed evocai i miei poteri. In teoria, era proibito entrare nel luogo sacro di un dio che non fosse tuo padre o tua madre, ma da brava semidea mi interessava solo la pratica. Mi ritrovai all’interno della costruzione, nascosta dietro una statua di un gigante supplicante ai piedi di un Thor furente ma soddisfatto. Tutti i suoi figli, compreso Egil, che si era beccato una strigliata da Alex questa mattina, erano prostrati a terra con timore più che reverenziale, qualcosa che si avvicinava molto al terrore.
E poi la notai. La più sontuosa e meravigliosa statua del dio, scolpita nei minimi dettagli tanto che si vedeva ogni singola maglia della cotta da battaglia che indossava, i lunghi capelli biondi scossi dal vento e il cipiglio severo e truce. Ma non era tanto la scultura in sé che mi aveva colpita, tanto il fatto che era viva e si muoveva, sbraitando contro i suoi sottoposti.
«… voi non avete idea dell’oltraggio che mi è stato arrecato, i vostri crani ripieni di poltiglia grigia non possono nemmeno partorire un’idea tanto subdola e manipolatrice e knulle!* Avete capito, no?»
Se Thor-statua si aspettava un coro di “sissignore!”, o un impavido “ovvio che non possiamo concepire l’immagine, visto che un cervello non partorisce ma pensa”, ottenne un gemito complessivo. Il dio incrociò le braccia con un frullio di baffi e barba, volendo continuare il discorso, quando il suo sguardo incrociò la scultura dietro la quale mi trovavo.

Ti prego, supplicai, fa che non si accorga di me e non mi riduca in cibo per cani. Ma Thor non era minimamente interessato a me, anzi, i suoi occhi di pietra erano persi in chissà quali ricordi nostalgici. Gli fremette il labbro inferiore quando mormorò: «Il mio martello… »
Allungò una mano verso di esso, come a reclamarlo, e la sua voce assunse una nota malinconica.
«Il mio piccolo, adorato, bravo ragazzo…»
Lo attirò a sé, rischiando di far crollare la statua, e se lo strinse al petto, coccolandolo come si farebbe con un gattino. Stavo per scoppiare a ridere, quando il martello scomparse all’improvviso nel nulla, lasciando Thor con la sorpresa ancora stampata sul viso di pietra. Oh cavolo, pensai, prima che il dio singhiozzasse: «I-i-il m-mio ragazzo… » e concludesse con un acuto che avrebbe fatto invidia al migliore soprano dell’Opera. Qualcosa che suonò come “AAAARRRGH!”  e che mi distrusse i timpani.
Una minuscola pietruzza mi cadde sulla nuca con uno sbuffo di polvere. Subito dopo, gli ingranaggi della mia mente iniziarono a girare freneticamente. Thor arrabbiato, i figli terrorizzati, il martello che scompariva al tocco… No. Non poteva essere quella la ragione. Ma i semidei hanno la percentuale di sfortuna che alza la media della sfiga ogni anno più insù, perché dai ragazzi si alzò Johannes, un tipo robusto dai capelli biondo cenere, che dichiarò: «Divino Padre, comprendiamo la tua rabbia perché la condividiamo. E giuriamo sulle nostre vite e su Asgard che non permetteremo al colpevole di farla franca: troveremo chi ha rubato il tuo martello e gli faremo desiderare di morire.»
Mi sfuggì un gemito, che attirò l’attenzione di un altro figlio di Thor. Si girò nella mia direzione, cercando nell’ombra con gli occhi finché non mi trovò. Mi misi l’indice contro le labbra, in un’ultima supplica disperata, scongiurandolo di non fare la spia. Ma sarebbe stato strano quanto una mucca volante che qualcuno non mi volesse morta, infatti, il ragazzo puntò il dito contro di me e si alzò di scatto, gridando: «La figlia di Hell è qui!»
Balzai in piedi, evitano il braccio di pietra del gigante di un soffio, e sfruttai le tenebre per uscire il più in fretta possibile da lì. Corsi come una dannata verso la palizzata, cercando asilo, sicura che se i figli di Thor mi avessero presa nessuno sarebbe riuscito a farmi ritornare indietro viva. Un’esclamazione unanime di battaglia si levò alle mie spalle, spronandomi a un passo se possibile ancora più veloce.
L’erba scorreva così rapidamente sotto i miei che non riuscivo a vederne il verde brillante. Sentivo il fiato di quei mastini sul mio collo, anche se non mi sarebbero stati addosso prima di un’altra ventina di metri, e ringraziai un milionesimo di volte la mia forma fisica e la mia naturale inclinazione alla rapidità, più che alla forza. Mi concentrai solo sul respiro che bruciava i miei polmoni come fuoco, eliminando tutto ciò che mi stava attorno. E probabilmente non avrei dovuto farlo, perché qualche secondo dopo mi scontrai contro qualcosa di duro e freddo.
Caddi a terra, che aveva stranamente assunto la consistenza dell’acciaio, e ruggii: «Levati!»
E, dopo un nano secondo, mi resi conto che avevo atterrato il capo della mia Orda e gli avevo appena intimato di togliersi dai piedi con la grazia di uno scaricatore di porto. Sbiancai.
«Ehi, Alex» pigolai, lasciandolo libero di alzarsi.
«Astrid.»
«Credo di aver combinato un casino» continuai, remissiva.
«Lo credo anch’io» brontolò. «Sembra sempre che i problemi mi vedano come una calamita.»
Mi si dipinse un sorrisetto sulle labbra. «Perché non sai ancora che cos’è successo là dentro.»
Alex mi scoccò un’occhiata interrogativa. Mi arricciai con calma ostentata una ciocca di capelli sul dito, come se nulla fosse successo, e commentai: «Sai com’è, il martello di Thor è scompars-»
«Cosa!?» mi interruppe, un miscuglio di emozioni che gli coloravano la faccia, la sorpresa prima tra tutti.
«Mh mh» confermai, annuendo. Il ragazzo avrebbe probabilmente voluto dire altro, ma i figli di Thor arrivarono disordinati e rumorosi come bufali. Johannes ansimò pesantemente, prima di prendere un grosso respiro e decretare, furente: «Da Hermdor. Subito.»

 

Quando si andava dal Comandante Supremo, era sicuramente accaduto qualcosa di grave e, ancora peggio, sarebbe successo dopo. Probabilmente, il giorno in cui arrivai al Campo Nord e lo vidi per la prima volta, avrei perso l’uso della parola o mi sarei trasformata in un ameboide di qualche genere, se non fossi stata così infreddolita, arrabbiata e elettrizzata contemporaneamente. Non era certo colpa mia se un gigante dei ghiacci aveva deciso di pattinare con me su una pista aperta anche d’estate che, per la gioia dei turisti, riproduceva in tutto e per tutto un vero lago, sorgente gelida compresa. Vorrei anche precisare che i giganti dei ghiacci non hanno mai visto una di quelle pubblicità in cui esiste un’acqua che elimina l’acqua e una barretta di cereali ha la vita snella.
E avevo dodici anni, già abbastanza grande per aggirare il “controllo parenti” della televisione e guardare programmi adatti a un solo pubblico adulto, figuriamoci come si doveva essere sentito Alex di fronte a quel colosso a solo nove anni. Colosso che ora poteva decidere del mio destino in tutta tranquillità, visto che avevo disobbedito a una delle regole del Campo e non ero esattamente in una buona posizione.
Mi dondolai sulla sedia, sfilando dalla tasca dei jeans un accendino d’argento e giocando con il suo cappuccio. Studiai chi era stato convocato, tra cui Johannes, rappresentante dei figli di Thor; Alex, in quanto mio superiore e uno dei semidei più esperti, oltre che comandante; infine, io e Einar, un figlio di Loki che si era sempre distinto per i discorsi acuti, la logica di ferro e osservazioni vincenti. Spaghetti mori gli ricadevano in un morbido ciuffo sugli occhi, nocciola e guizzanti, così come tutto il suo fisico suggeriva che sarebbe stato pronto a scattare in ogni momento. Mi notò con la coda dell’occhio, accennò un sorriso ambiguo e ammiccò all’accendino.
Alzai il labbro come un cane che mostra le zanne, a mo’ di “non rompere o ti spacco la faccia, perché sono certa che non ti piacerebbe essere al mio posto”.
Mi rispose con un bacio che diceva “bisogna essere gentili anche quando si ha il ciclo”.
Fermai il cappuccio, smisi di dondolarmi e puntai i gomiti sul tavolo che mi trovavo davanti. Feci per far scattare la fiamma e bruciargli la punta del ciuffo, ma Alex si intromise e ci divise prima che lo scontro avesse inizio. Mi lasciai ricadere sullo schienale della sedia, riprendendo a giocherellare con l’accendino, osservando il figlio di Odino di soppiatto. A differenza di suo padre, aveva entrambi gli occhi, di un colore indefinito che mi ricordavano una tempesta nel pieno della sua potenza; i lineamenti non particolarmente dolci, dalle curve grezze, ma che non davano fastidio allo sguardo, anche perché ammorbiditi da una cascata di ricci neri non troppo lunghi. Mi piaceva, Alex, il suo essere una persona aperta nonostante avesse segreti che condivideva solo con gli alberi della foresta del Campo. Era quello che molti ragazzi non erano: interessante.
La porta della stanza si spalancò all’improvviso, rivelando il profilo di Hermdor. Se era impressionato dal fatto che fossimo ancora vivi e vegeti e che non c’erano stati tentati omicidi, non lo diede a vedere. Aggirò il tavolo di legno massello su cui eravamo riuniti, ignorò la sua comoda poltrona e si mise a capo tavola, le braccia incrociate. Ci fissò tutti intensamente, ricordandomi per l’ennesima volta il mio professore di lettere delle medie, che sembrava considerarci libri da leggere tra una pausa e l’altra della spiegazione.
«Abbiamo un grande problema e uno più piccolo» esordì. «Sapete già il motivo per cui siete qui, quindi, tenete chiuso il becco e parlate solo se ve lo dico io, chiaro?»
«Chiarissimo, signore» rispondemmo all’unisono.
Il Comandante Supremo concesse la parola a Johannes, che raccontò con dovizia di particolari il crimine commesso nei confronti di Thor. «E poi» sottolineò, «uno dei miei fratelli ha beccato lei nel nostro tempio, a origliare come una subdola spia.»
Smisi di torturare l’accendino, facendomi più attenta. Hermdor alzò un sopracciglio al mio indirizzo, incalzandomi a dire la mia.
«Non stavo origliando, bensì riferivo ciò che succedeva alla mia Orda, cosa che delle grida da donnicciole spaventate non facevano» lo corressi, con finta noncuranza.
«Stai mentendo, lo sappiamo» ribatté subito Johannes, assottigliando gli occhi azzurri a fessura. «Ci aspettiamo questo e altro da una traditrice
Mi sentii punta sul vivo. Corrugai la fronte, presi un bel respiro e replicai, piccata: «Veramente, l’unica cosa che tradisce, qui, è la tua stupidità con l’intelligenza.»
Impiegò qualche secondo per assimilare la battuta e l’insulto implicito e, quando lo fece, assunse lo stesso colore delle mie scarpe. Si portò la mano alla cintura, dove teneva appesa una daga, e l’avrebbe usata per decapitarmi se il Comandante Supremo non fosse intervenuto, privandolo dell’arma con una mossa così veloce che quasi non la vidi.
«Non fiatate» intimò, fece roteare la daga e se la infilò nella cinta come una pistola che ha appena sparato. Einar e Alex erano seduti sul bordo della sedia.
«Il grande problema è questo: il martello di Thor è scomparso. Supponiamo sia stato rubato, ma non ne abbiamo la certezza, anche se dubito che un’arma come quella si possa perdere» esordì, risoluto.
Il figlio di Loki tossicchiò, facendosi dare la parola da Hermdor. «Sapete tutti che cos’è un GPS divino, vero?»
Quel “vero” suonò come “se non lo sapete sareste intelligenti quanto un montone impagliato”; e, visto che rientravo in quella categoria, mi sentii piuttosto offesa. Alex rifletté un momento, poi annuì e spiegò: «Un segnalatore che indica la posizione in cui si trova l’arma preferita di un dio, utile nei casi come questo.»
Guardò di traverso Einar, giungendo alla sua stessa conclusione. «Thor vi avrà detto dov’era stato registrato l’ultimo segnale, giusto, Johannes?»
Il biondo impallidì, improvvisamente nervoso. «Ecco… io…»
«Non ti ho insegnato a balbettare frasi senza senso, ragazzo, ma a combattere e a scrivere rapporti» lo rimbrottò Hermdor, incrociando le braccia.
Johannes deglutì, prese il coraggio a due mani e disse: «Mi ero dimenticato di dirglielo, signore.» Prima che il Comandante potesse inserirsi, continuò precipitosamente: «Il GPS segnalava la sua posizione negli Stati Uniti, precisamente a New York, Long Island, prima che si spegnesse.»
Ovvero che qualcuno lo disattivasse, pensai, riconoscendo che la questione si infittiva sempre più.
«Così» il tono di voce di Hermodr mi ricordò il ringhio di un orso, «tu e i tuoi fratelli sareste partiti alla ricerca del martello di Thor dimenticandovi da dove cominciare le ricerche e girando, magari, per tutta l’Europa invano. » Bloccò l’obiezione con un gesto della mano. «Se volessimo dirlo dolcemente, i figli di Thor sono troppo coinvolti per ragionare normalmente e compiere quest’impresa.»
L’ultima parola rimbombò per la stanza, zittendo tutti. Un’impresa. Un’avventura il più delle volte mortale, piena di pericoli, inganni, intrighi, trappole che ti potrebbero costare la vita e… assolutamente fantastica. Siamo semidei, ragazzi che rischiano da quando sono nati, con l’iperattività alle stelle e un deficit per l’attenzione, tutto ciò che comprende un’impresa è così elettrizzante ed eccitante che non si può volerne restare fuori. Nessuno, poi, riceveva l’onore di parteciparvici da anni, magari secoli, mentre invece la nostra generazione poteva compierne una.
La mia reazione e quella di Alex furono contemporanee: scattammo in piedi, lui rovesciando persino la sedia, ed esclamammo: «Mi offro volontario per l’impresa!» Hermdor sbuffò, cercando la pace interiore dentro di sé.
«Tanto per cominciare» disse, «tu, Astrid Jensen, hai ignorato una delle regole del Campo; secondariamente, un’impresa va affidata, i volontari sono quelli delle imprese delle pulizie.»
Mi rimisi a sedere, fissandolo truce.
«Non possiamo partecipare alla ricerca del martello di Thor!» intervenne Johannes, furioso. «Signore, è nostro padre, è come se avessero offeso anche il nostro orgogl-»
«Buono» ringhiò il Hermdor. «Ho deciso che non vi prenderete parte e così sarà. Nessun “ma”, “se” o “però”. Se la cosa non ti va giù, esci da questa stanza.»
«Credo che lo farò» replicò Johannes e, impettito, varcò la soglia.
Einar fece un sorriso sghembo, probabilmente pensando “il biondo senza cervello se ne è andato, finalmente”. Mi ritrovai a condividere quell’opinione, accompagnata da un “meno uno”. Il Comandante Supremo camminò avanti e indietro per la stanza, come il pendolo di un orologio a cucù, facendomi andare insieme lo sguardo.
Quando si fermò, esordì: «E’ da molto tempo che nessuno riceve l’onore di un’impresa. Per portarla a termine, serve un eroe, un semidio capace di gestire la situazione, di convincere i compagni e, ovviamente, di sopravvivere e far sopravvivere loro. Per queste ragioni, e perché credo di conoscerlo da abbastanza anni per considerarlo uno dei migliori, che affido l’impresa alla ricerca del martello di Thor al qui presente Alex Dahl.»
Il corpo del ragazzo fu attraversato da un tremito e temetti sarebbe caduto a terra, reazione che avrei probabilmente io al suo posto. Sapevo che Hermdor non avrebbe mai affidato quei compiti a me, né Einar sembrava sorpreso di non essere stato menzionato, ma questo non fece altro che farmi pensare a quale sarebbe stata la mia punizione o se Alex avesse deciso di portarmi con lui. Era circondato da buoni candidati, anche migliori di me, e poteva scegliere solo due compagni di avventura. Quante erano le possibilità che fossi stata considerata nella sua decisione?
«Grazie, signore» disse, quando si fu ripreso dal leggero shock, che aveva lasciato spazio all’elettrizzazione e alla gioia. Hermdor fece un cenno col capo. «Sai come funziona la cosa, nomina due compagni e domani lascerai il Campo Nord con loro.»
Alex si nascose dietro la fitta coltre di nubi che erano i suoi occhi, senza permetterci di capire su chi sarebbe ricaduta la sua scelta. Passò un minuto intero in silenzio, spostò il peso da un gamba all’altra e dichiarò: «Scelgo di portare con me il mio braccio destro, Sarah Nilsen, figlia di Eir.» Fece una pausa, mentre un brivido freddo mi colava lungo la schiena. «Infine, verrà anche Astrid Jensen, figlia di Hell.»
E BAM, sganciò la bomba. C’era una parte della mia mente che si rifiutava di accettare quelle parole, trovandole troppo sbagliate associate al mio nome, mentre l’altra stava accumulando energia per lo scoppio. Alla fine, la seconda mandò a quel paese la prima e mi fece sfuggire un gridolino di gioia. Alex mi rivolse un sorriso che ero troppo esaltata per ricambiare.
«Bene» intervenne Hermdor. «Jensen, discuteremo della tua punizione dopo l’impresa, se sarai ancora viva per poterla sopportare.» Suonò un tantino come una minaccia o un sincero augurio di non ritorno, ma non me ne curai più di tanto, mi avevano appena incluso in un’impresa!
Alex si sedette, mentre il Comandante Supremo spiegava come ci saremmo organizzati, l’orario della partenza e tutte quel genere di questioni che fanno abbassare le palpebre finché non cadi addormentato. Non so con che energia le affrontò Einar, che non era nemmeno stato scelto. Quando l’agenzia aerea ci confermò la prenotazione dei tre biglietti online per New York, nonostante il prezzo e altre complicazioni che avevano un nome troppo lungo per essere ricordato, era quasi sera. L’ora di cena se n’era già andata da un bel po’, ma ricevemmo il permesso di poterci rifocillare nelle nostre stanze.
Einar ci superò, allontanandosi dall’abitazione del Comandante Supremo da solo, lasciando me e Alex a camminare fianco a fianco, persi ognuno nei propri pensieri. Raggiunta la Sala Comune, il ragazzo prese una direzione diversa dalla mia, diretto alla propria stanza. Dopo qualche istante, mi resi conto che non lo avevo nemmeno ringraziato per la sua scelta.
«Ehi, Alex, aspetta!» esclamai. Lui si girò, facendo tintinnare la cotta di maglia. Sentii che stavo arrossendo leggermente, ma continuai comunque: «Volevo solo… solo dirti grazie per avermi voluta con te nell’impresa. Davvero.»
Mi sorrise. «Non c’è di che, Astrid. A domani.»
«A domani» salutai, osservandone il profilo mentre si allontanava.
Mi voltai, percorrendo la breve strada che mi separava dalla mia camera, dove già le mie compagne erano entrate. Schiusi piano la porta, controllando la situazione e constatando che tutt’e tre se ne stavano per i fatti loro. Mi infilai dentro, beccandomi solo un’occhiata incuriosita di Mathilde. Mi slacciai gli stivali militari, donando un po’ di sollievo ai miei piedi, raccolsi il mio iPod e mi arrampicai sul piano superiore del letto a castello.
Mi infilai le cuffiette nelle orecchie, scorsi la playlist e scelsi un brano a casaccio tra i primi che mi si presentarono davanti agli occhi. I Paramore iniziarono a far gioire i miei timpani. Incrociai i piedi, muovendo la testa a ritmo di musica. Lo stomaco era ancora troppo attorcigliato per poter reclamare cibo, dopotutto, domani avrei lasciato il Campo Nord per andare in America, uno dei Paesi più famosi e sognati al mondo. Altro che la Norvegia, di cui si ricordavano solo i bambini perché patria di Babbo Natale. E poi, come potevo rilassarmi se ero stata inclusa in un’impresa?

 


*knulle = ca**o/ fanc**o in norvegese
koala's corner.
Buonasera a tutti! Come avrete inteso, AxXx e Water_wolf sono degli animali notturni che pubblicano a orari poco normali.
Visto le buone visualizzazioni e l'aumento delle recensioni, abbiamo deciso di pubblicare prima^^
Questo è il capitolo scritto da me, con uno stile un po' diverso dal suo, spero possa piacervi ugualmente e che non vi abbia fatto venire voglia di vomitare/ andare in bagno / buttarsi giù dalla finestra...
Abbiamo capito.
^^"
Come avrete inteso, Astrid è una tipa piuttosto particolare: gioca con un accendino quando è nervosa, ha una fissa per i cereali e la musica rock. Scoprirete in seguito quali altri gruppi ascolta.
Ringraziamo chi ci ha recensito: Fenice14, Anna Love, DracoDormiens e nemy1990. Un abbraccio anche a chi ha inserito Sangue del Nord tra le preferite, seguite e ricordate.
Saluti a tutti, alla prossima!

Soon on Sangue del Nord: Alex incontra i suoi genitori, fa fuori un po' di manichini e ci avviciniamo all'Half-Blood Camp.

  
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