Anime & Manga > Katekyo Hitman Reborn
Segui la storia  |       
Autore: Yuki Kushinada    24/11/2013    5 recensioni
[Lambo]: Lambo non aveva mai considerato Tsuna come un Boss, tanto meno come il proprio Boss, quanto più come un fratello maggiore.
Ma c’erano alcune giornate, alcuni momenti, in cui Tsunayoshi Sawada era veramente un Boss, al di là di ciò che a tutti loro piaceva credere.

[Ryohei]: Non serviva sapere quale fosse il peccato che si sentiva sulla coscienza, semplicemente, non stava bene con se stesso. La mafia non faceva stare nessuno bene.
[Takeshi]: Non fu nell’istante in cui il sangue gli schizzò sulla pelle in macchie che avrebbe poi lavato, macchie che sarebbero comunque rimaste, che il panico lo assalì nella consapevolezza di essere diventato un assassino.
[Mukuro & Chrome]: Non era una sceneggiata a beneficio della malavita, era un giuramento che riguardava esclusivamente loro tre.
[Hayato]: Gokudera Hayato, ex Guardiano della Tempesta della Decima generazione della Famiglia Vongola, deglutì a vuoto, ma non rispose. Sollevò la pistola e se la porse alla tempia.
Un Boss e un Guardiano. E una Famiglia che sa essere maledizione e conforto insieme.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Lambo, Mukuro Rokudo, Ryohei Sasagawa, Takeshi Yamamoto, Tsunayoshi Sawada
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Note oscenamente lunghe dell'Autrice ma saltabili: Bon, che dire. Sto facendo una cosa che non avevo assolutamente voglia di fare. Non con Reborn almeno, creare una serie.
Spieghiamoci un po', Reborn è una specie di malattia che non mi levo dalla mente, ecco perché ci scrivo fic sopra, cosa che in realtà non dovrei fare visto che prima di realizzare il sogno di pubblicare un libro dovrei finire di scriverlo. Per tal motivo, mi sono messa in testa che con Reborn avrei fatto solo oneshot: non impegnative eccessivamente per me da scrivere e per i lettori da seguire.
Ho tempi di aggiornamenti schifosi. Eppure, nonostante questa storia fosse prevista come a sé stante e conclusa da un anno eccomi qui.
Perderò due minuti a dirvene il perché. Ho sempre voluto scrivere su Ryohei Sasagawa. Non perché è il mio personaggio preferito, ma perché credo sia il personaggio più difficile su cui tirare fuori qualcosa.
Lui e Hibari, scriverli bene e mantenerli IC è tutto men che un gioco da ragazzi.
Ecco perché una storia su di lui, perché si trova qui è un altro discorso più delicato e c'entra Tsuna, che invece è diventato prepotentemente il mio personaggio preferito. Non lo era quando ho cominciato a scrivere di Reborn, giuro.
Questa storia ha tutti gli obiettivi che aveva la prima di Lambo ecco perché le ho messe insieme.
Primo fra tutti, la mafia vera. La domanda di base era: i Vongola sono inguiati di soldi, non possono esserlo facendo i bravi ragazzi, francamente. L'unico modo è che anche loro facciano tutto quel giro di cose mafiose, alias droga, prostituzione, tangenti. Dei guardiani chi si occuperebbe mai di cosa?
Ecco dove mi viene fuori una storia su Ryohei. Se c'è un elemento che di lui hanno sottolineato sulla storia è che è molto protettivo con le ragazze in generale. Al punto che sacrificherebbe se stesso - la propria morale - per salvaguardare una ragazza.
Da qui l'altro tema. La fede. Perché lo stereotipo del mafioso medio indossa un crocifisso. Lo premetto subito. Non è una storia religiosa ma mi piace analizzare tutti i punti di vista dei personaggi e sostanzialmente il fatto che Tsuna pur non avendo le stesse idee le rispetta tutte (incluse il buddhismo versione Mukuro XD).
Secondo punto, confronto Famiglia/famiglia e di conseguenza confronto tra lo Tsuna "buono a nulla" di sempre e lo Tsunayoshi Sawada don Vongola.
Terzo punto, sviluppare il rapporto tra Tsuna e i suoi guardiani. Il che mi fa venir voglia di scrivere sette storie per ciascuno di loro. Il guaio è che mentre per alcuni è abbastanza semplice tirare fuori un'idea, per altri (e più di tutti Gokudera, ma anche Yamamoto non ci scherza) per niente.
Per cui... Non so se concluderò mai tutte e sette le storie, ma almeno sono scollegate tra loro.
Con questo vi ho annoiato abbastanza vi lascio alla storia. Spero possa piacervi.




 

 

 

 

 

 

 

 

Vongola Decimo

~ Ryohei ~

 

 

 

 

 

 

 

…la madre e onora il padre. Non uccidere. Non commettere atti impuri. Non rubare. Non commettere falsa testimonianza. Non desiderare…

“Ama il tuo Dio con tutto il tuo cuore e ama il prossimo come te stesso.”

Ryohei si voltò di scatto stupito. Seduto sulla panca alle sue spalle, nella piccola cappella all’interno della magione, vi era il Boss di una delle più potenti famiglie mafiose, in Italia e nel mondo.

Tsuna…

Il ragazzo si strinse nelle spalle. Gli occhi fissi sulla croce dietro l’altare. “Reborn era convinto che per completare il mio addestramento come padrino dovessi conoscere a memoria il Vangelo.”

Il boxer si buttò contro la spalliera della panca, le braccia allargate lungo il banco, la testa rivolta all’indietro. Indossava ancora lo smoking. Da quando era rientrato dall’ultima missione aveva avuto giusto il tempo di consegnare i rapporti a Gokudera, prima che sentisse il bisogno di andare in Chiesa.

“E perché mai?” domandò, non trovandoci un nesso.

“Diceva che un giorno avrei sentito il bisogno di chiedere perdono. E che sarebbe stato meglio se per allora avessi idea di come fare.”

Mh” annuì il ragazzo più grande. “E aveva ragione?”

“Non lo so. Non sono cristiano, quindi non so se ha senso. Ma anche se fosse, il giorno che mi ritroverò a chiedere scusa per i miei peccati non mancherò di far presente che è colpa sua se mi sono ritrovato coinvolto nella mafia” sbottò con una smorfia che fece scoppiare di risate Ryohei Sasagawa.

Ryohei in una parola era rumoroso. Non che gli altri Guardiani lo fossero meno messi insieme, ma Ryohei aveva una sorta di primato. Non osservava il silenzio in nessun posto e per nessun motivo. Neanche in ospedale. Anzi, soprattutto in ospedale, decretò poi, visto che era la sua sede principale.

La Fiamma del Sole serviva per curare e dare vita, non era fatta per uccidere. Proprio per questo nella Famiglia il ruolo di Sasagawa era presto diventato quello di medico. Era lui ad occuparsi di dare il primo soccorso ai feriti e quando partecipava a missioni il suo preciso compito era quello di supporto, mai di esecutore.

Dei suoi Guardiani, Ryohei e Lambo erano gli unici che non si portavano il peso della morte sulla coscienza. Uno perché non poteva uccidere, l’altro perché era ancora troppo giovane per lasciarsi coinvolgere pienamente dallo squallore della mafia.

Qualunque fosse il motivo, avrebbe fatto di tutto perché le loro mani, almeno le loro, rimanessero pulite.

Ironicamente, erano anche i suoi unici Guardiani ad avere il coraggio di credere in un Dio. In realtà, Lambo non si era posto troppe domande esistenziali, semplicemente i Bovino erano cattolici e Lambo lo era diventato di conseguenza. Quella di Ryohei, invece, era una specie di crescita morale, o estrema illuminazione, che aveva intrapreso da quando erano arrivati in Italia.

Neanche Chrome aveva mai commesso un omicidio, ad esser sinceri, ma di questo doveva ringraziare Mukuro Rokudo, che l’aveva sempre protetta e tenuta lontana dal campo di battaglia quando la situazione si metteva male. Peccato che lui invece ne commettesse abbastanza da compensare tranquillamente per la sua compagna.

“Non sapevo che il maestro Pao Pao fosse credente” rifletté ad alta voce il boxer.

Tsuna non trattenne una smorfia sarcastica. “Penso sia più il diavolo in persona, ma non so se questo significhi che crede nell’esistenza di una sua controparte buona. Credo anche che abbia un girone dell’inferno riservato solo per me, pieno di scartoffie da leggere e firmare, conti da pagare e burocrazia varia. Un giorno me l’ha anche confessato, sai? Ha detto che stava scherzando, ma non mi fido affatto, se vuoi la verità.”

Ryohei rise ancora, una risata forte, virile, vitale.

Sawada, sembra estremamente simile al tuo ufficio, sai?”

“Tu dici?” ribatté retorico. “Come è andata la missione?” Gli chiese poi, appoggiandosi al banco di fronte, accanto al braccio sinistro del boxer, tonificato di anni di allenamento.

Reborn non c’era andato piano quando si trattava di addestrarlo, eppure lui non aveva mai messo su troppi muscoli, pensò distratto.

Il Guardiano si concesse qualche secondo di silenzio, tornò a guardare l’altare di fronte a sé, chiuse gli occhi.

“Ho già dato tutto a Testa di Polpo.”

“Sì, Hayato ha sistemato il rapporto e me lo ha consegnato. Ma non mi interessa sapere che c’è scritto, voglio che tu mi dica come è andata.”

Ryohei sbuffò. Riaprì gli occhi, si concentrò sulla statua del crocifisso finemente lavorata.

“Certi uomini non li capisco, Sawada” borbottò a bassa voce come se gli stesse confessando un segreto.

Tsuna non lo interruppe, non gli chiese spiegazioni, lasciò che si sfogasse.

“Come possono costringere delle donne a vendersi per strada o picchiarle in quel modo? Insomma, anche loro hanno madri o sorelle. Alcuni sono pure sposati e con figlie. Come possono farlo? E se accadesse a qualcuna di loro?” Si fermò un istante, strinse i pugni senza accorgersene, tremava. “Se una cosa del genere fosse successa a Kyoko…

“Non le potrebbe mai accadere nulla di simile. Tu non lo permetteresti, nessuno di noi lo farebbe.”

Negli ultimi giorni i casi di prostitute assassinate erano aumentati in maniera preoccupante. Probabilmente, si trattava di una faida: per ostacolare una Famiglia rivale, qualcuno aveva deciso di ucciderne una delle principali fonti di guadagno.

Benché i Vongola non fossero mischiati direttamente in quella storia, Tsunayoshi Sawada non era il tipo di Boss capace di starsene con le mani in mano. Nessuno poteva permettersi di uccidere liberamente nella sua zona.

Dopo anni nella mafia, un po’ mafioso lo era diventato pure lui, a modo suo. Quanto fosse grande la sua zona andava dal proprio bagno al mondo intero, a seconda dell’umore. In quel caso nella fattispecie, la sua zona comprendeva perfettamente l’area dove erano avvenuti gli omicidi.

Si era occupato di persona, con l’aiuto di Gokudera e Chrome, della Famiglia responsabile di tutte quelle vittime. Aveva punito ciascuno dei sicari, e dato al Boss più di una valida motivazione per non provare mai più a mettersi contro di lui.

Tsunayoshi Sawada, a capo dei Vongola, era il terrore nel terrore. Le altre Famiglie temevano i Vongola più di ogni altra possibile minaccia, Tsunayoshi era la legge, impietoso con i nemici, misericordioso con gli amici, come gli aveva insegnato Reborn.

Tsuna, beh, non era né un demone, né un santo. Ma non poteva riportare la mafia al ruolo di vigilanti e protettori senza combatterla dall’interno e, ormai, aveva visto e sentito troppo, per non sapere quando fosse necessario essere implacabile.

Quando la Fondazione di Hibari aveva indagato ulteriormente sul caso, per capire come fosse possibile quella strage nel loro territorio, aveva scoperto che una delle Famiglie alleate aveva messo su di nascosto un giro di prostituzione che copriva tutta la regione, e invischiava un centinaio di ragazze dai tredici ai venticinque anni. Sfruttando la protezione dei Vongola, sfruttando la sua di protezione.

Reborn gli aveva consigliato di non esporsi personalmente, non ancora almeno, non prima di aver fatto sputare la verità al Boss alleato. La scelta era stata se mandare Mukuro ad occuparsene o Ryohei.

Se avesse optato per Mukuro, era certo non ci sarebbero stati sopravvissuti. Il Guardiano della Nebbia aveva una vena omicida talvolta incontrollabile. Già normalmente non era la persona più pacifica del mondo, ma qualunque missione implicasse sfruttamento di minori si traduceva in un lago di sangue.

Era così d’altronde che era finita quando gli aveva chiesto di occuparsi di due Famiglie del Nord che mandavano avanti il mercato nero degli organi di bambini.

Ryohei, invece, non avrebbe ucciso nessuno, non era nella sua indole e non si sarebbe abbassato a sporcarsi le mani con gente che considerava indegna. Ma non l’avrebbe fatta passare liscia a chi buttava con la violenza delle ragazze sulla strada.

“Continuo a non capire. Tsuna, tu non hai visto le cicatrici che avevano addosso. I lividi. Le bruciature. Un uomo che fa queste cose non è estremamente un uomo” urlò alla fine, come a sfogarsi.

Tsuna non negò, non cercò neanche di consolarlo, perché Ryohei non aveva bisogno di false parole di conforto, gli guardò le mani: erano bendate, doveva essersi ferito a furia di usarle.

“Non avrei dovuto mandarti da solo” disse, pensando a quanto dovesse aver lottato.

“No, hai fatto bene. Quelle ragazze erano spaventate. Ho faticato parecchio a convincerle a fidarsi di me, se fossimo stati in tanti sarebbe stato peggio.”

“Quante sono?”

Sessantatré in tutto. Almeno adesso. Ne sono morte almeno ventuno durante la faida. Le ho rintracciate tutte, le ho curate come ho potuto. Però…

Si interruppe di nuovo. La fronte corrugata, gli occhi sempre fissi sul Cristo, quasi cercasse una risposta che non riusciva a trovare.

Quando Tsuna capì che non avrebbe proseguito da solo gli diede uno stimolo. Gli posò una mano sulla spalla, stringendo con affetto. “Però?”

“Ho detto loro che sono libere, che possono cambiare vita, ma non tutte vogliono.”

“In che senso?”

Finalmente Ryohei si voltò verso di lui. Si girò a guardarlo negli occhi e Tsuna vi lesse tutta la confusione e il dolore che il Guardiano provava in quel momento.

“Hanno paura, Sawada. Sono confuse, non lo so. Almeno una dozzina di loro mi ha chiesto di lavorare per me. Io non sono quel tipo di uomo, Sawada! Mi rifiuto che delle ragazze debbano prostituirsi e pagarmi, ma loro vogliono assicurarsi la mia protezione. La mia parola non basta, vogliono avere una conferma nell’unico modo che conoscono. Qualunque cosa dicessi, loro non mi credevano, anche quando ho giurato di essere disposto a proteggerle senza bisogno di nulla in cambio.”

“Di cos’è che hanno paura, Ryo?”

“Dicono che altri mafiosi le conoscono, che prima o poi le costringerebbero a tornare su quella strada e che, se proprio devono prostituirsi, vogliono un protettore che non le massacri. Che razza di uomo sarei se accettassi una cosa del genere? Sarei identico ai bastardi che le hanno costrette a…

“No” lo interruppe Tsuna, rilassandosi contro lo schienale. Fu lui a guardare la statua del Gesù crocifisso questa volta.

Non era la sua religione quella e in realtà non ce l’aveva neanche una religione, ma capiva benissimo ugualmente che Ryohei era andato in Chiesa per seguire quel consiglio che Reborn aveva dato a lui a suo tempo. Aveva bisogno di chiedere perdono.

Non serviva sapere quale fosse il peccato che si sentiva sulla coscienza, semplicemente, non stava bene con se stesso. La mafia non faceva stare nessuno bene.

“Tu non hai mai forzato nessuno a fare nulla, né tanto meno hai usato la violenza su delle donne. Se scelgono di continuare a fare quello che facevano prima, non è colpa tua. Neanche se accetti di proteggerle.”

“Ma io non voglio estremamente che continuino” puntualizzò il più grande.

Tsuna si grattò la testa pensieroso. I suoi Guardiani facevano a gara a chi fosse più cocciuto: avrebbe potuto cercare di far ragionare Ryohei per ore, ma non aveva speranze di fargli capire che non era responsabile delle azioni altrui.

D’altronde, neanche Reborn ci riusciva molto con lui stesso.

Ma se tutto ciò che Tsuna faceva era per proteggere la sua famiglia e le persone che gli stavano a cuore, Ryohei d’altro canto aveva la sindrome del fratello maggiore. Non poteva dirgli che una cosa non lo riguardava in prima persona, quando si convinceva del contrario. Smise anche di provarci.

“Cosa credi che farebbe Lui al tuo posto?” chiese invece, indicando col mento la statua.

Ryohei si voltò di nuovo, concentrato seriamente come lo era stato prima quando ripeteva i Comandamenti. Tornò a guardare il suo boss. “Insegnerebbe loro ad amarsi.”

Mh. Allora sai cosa fare.”

“Ma io non ne sono capace, Sawada!”

“Sì, che lo sai fare. In questi anni ti sei preso cura di Kyoko, di me, dei bambini e di tutti gli altri.”

“Curare una ferita o due è estremamente diverso.”

“No, ti sei preso cura di noi come farebbe un fratello. E’ quello che sai fare di più e se continui non puoi sbagliare.”

Tsuna, quelle ragazze hanno subito troppo per fidarsi fino a questo punto di un uomo, di uno come me per lo più” chiarì, implicando il suo appartenere alla mafia. “Non vogliono un fratello e non vogliono me per fratello.”

Ryohei” lo chiamò l’altro dolcemente “da quando ti arrendi al primo tentativo? Mi hai tormentato per il club di boxe per cinque anni e adesso getti già la spugna?”

“Ma non è la stessa cosa…

“Tu però puoi affrontarla allo stesso modo.”

Ryohei si fermò un attimo a riflettere sul senso di quelle parole. Non aveva mai convinto il ragazzo che gli era di fronte ad accettare la boxe come proprio destino. Anzi, nel tentativo di farlo, era stato lui piuttosto a cambiare idea e capire che preferiva più imparare come salvare i propri amici e non come affrontare i propri nemici.

Ma non aveva mai mollato, anche quando sapeva che era una causa persa.

D’altra parte Sawada non aveva vissuto ciò che avevano provato quelle povere ragazze sulla loro pelle. Non quando frequentavano ancora le scuole, almeno. Lui non aveva demoni da affrontare.

Lo guardò attentamente, ne studiò il sorriso caldo, affettuoso, quello che non mancava mai di rivolgere ai suoi amici, ma gli occhi erano stanchi, provati, vissuti. Si contraddisse, sia Tsuna che lui stesso avevano conosciuto la violenza sin dalle medie. Solo perché il modo era diverso, non significava che la mafia non avesse messo più volte le loro vite in pericolo.

Ryohei aveva solo sedici anni quando era finito nelle mani dei Vindice e, seppur per breve, aveva assaggiato ciò che Mukuro Rokudo aveva vissuto per anni, fin da quando era solo un bambino.

Tutti loro, in qualche modo, avevano dovuto lottare contro le proprio paure, contro se stessi e un mondo perverso, quando erano ancora adolescenti. Ma erano sempre stati uniti, si erano protetti a vicenda ed erano diventati ogni volta più forti.

Solo perché quelle ragazze temevano la libertà, non significava che lui non potesse aiutarle a crescere ugualmente. Doveva quanto meno provarci. E riprovarci. E riprovarci ancora, finché non avesse compiuto il suo obiettivo.

Il Maestro Colonnello non gli aveva insegnato ad arrendersi alla prima difficoltà, ma ad abbattere con un pugno una montagna intera. Anche quando quella montagna non esisteva affatto, se non negli incubi di qualcuno.

Tsuna sorrise ancora di più: poteva quasi vedere le fiamme della risoluzione accendersi nei suoi occhi.

“Hai ragione. Me ne prenderò cura io e le convincerò che quella vita non fa per loro.” Si fermò a pensare a quale alternativa proporre loro, come convincerle che se ne sarebbe preso cura ugualmente. “Sawada!” gli urlò rompendogli un timpano “A te servono dodici infermiere, vero?”

“Se le tieni lontane da Shamal” mormorò, tenendosi dolorosamente le orecchie.

“Bene, mi faccio una doccia e vado in missione.”

“Dovresti dormire un paio d’ore prima, lo sai?”

“Non c’è tempo. Finisci di pregare per me. Io vado.”

Quando lo vide uscire dalla cappella come se volesse demolirla temette di aver creato un mostro. Si alzò anche lui, buttando un ultimo sguardo al Cristo.

“Non ti offendi, vero?”

Mettersi a pregare al posto di Ryohei ad un Dio in cui non credeva sarebbe stato fin troppo ambiguo anche per lui. Quando nessuno lo fulminò, ne dedusse che, ammesso che Ryohei aveva ragione e quel Dio esisteva, non se l’era presa.

“Mi chiedevo se avessi intenzione di restare qui per sempre” mormorò appena uscì alla cappella, senza bisogno di guardare la figura di Reborn, stagliato accanto alla porta.

“Te ne eri accorto.”

In realtà, l’intuito dei Vongola gli diceva sempre quando c’era un pericolo in agguato, e lui era il più grande che potesse affrontare. Non lo disse ad alta voce, ma da come l’hitman ghignò, dedusse che l’aveva capito lo stesso.

“Potevi anche entrare e darmi una mano, comunque. A Ryohei non sarebbe spiaciuto il parere di una persona che stima.”

“Ti stima.”

“Come amico, non come maestro. E’ diverso.”

Reborn si strinse nelle spalle. “Beh, te la sei cavata comunque da solo e poi il suo maestro è Colonnello. In più, io non posso entrare in Chiesa.”

“E perché?” chiese Tsuna con aria scettica, già prevedendo come sarebbe andato a finire.

“Rischierei di bruciarmi e trasformarmi in cenere” gli rispose con un sorriso troppo grande per i suoi gusti, roteando la testa in una posizione innaturale del collo.

Tsuna lo guardò con una specie di tic ad una palpebra. Poteva scherzare quanto voleva, ma iniziava a pensarlo davvero che Reborn fosse il diavolo in persona!

 

 

“Don Maurizio, non vi trovo in forma come l’ultima volta che ci siamo incontrati” esordì in tono provocatorio, quando entrò nella stanza buia e angusta.

La prima volta che era entrato nel quartier generale Vongola, ancor prima di diventare Boss, Reborn lo aveva obbligato ad un tour forzato di tutta la magione, costringendolo a subire tutte le trappole mortali che erano nascoste dietro ogni singolo angolo.

Quando erano scesi nei sotterranei era rimasto sorpreso nello scoprire l’esistenza di prigioni vere e proprie, per quanto inutilizzate, e di quella che Reborn gli aveva indicato come “La sala per le torture, ossia per gli interrogatori”.

Non aveva dato retta alle sue spiegazioni, non gli interessavano, sapeva solo che quella stanza non l’avrebbe usata mai, per nessun motivo al mondo. Poi era diventato Boss e aveva perso un pezzo in più di innocenza.

Non era un sadico, non si divertiva a torturare gli altri, ma far credere ai suoi nemici che lo fosse, gli aveva risparmiato ben più di un omicidio. Nella sua ottica, quella stanza serviva per  creare un po’ di scenografia.

Tuttavia, era ovvio che l’uomo che aveva di fronte non doveva essere piaciuto particolarmente a Ryohei, visti i lividi ormai giallastri che gli coloravano il volto. E, a giudicare dalle ferite fresche, era stato Hibari ad accompagnarlo in lì dentro.

L’uomo, malmenato e legato ad una sedia sgangherata, lo guardò con rabbia feroce, ma conosceva abbastanza la sua posizione da sapere bene che in quel momento non gli conveniva offendere l’altro.

Lui era legato e disarmato, il giovane Don che lo squadrava dall’alto in basso con una gelida sfumatura arancio negli occhi non lo era affatto.

“Don Vongola, vi prego” cominciò tremante. Di paura, ma anche di ira, capì Tsunayoshi. “Mi dovete credere, non avrei mai voluto offendervi. Le nostre Famiglie sono alleate da sempre!”

Quando era diventato Boss, Tsuna aveva riconfermato tutte le alleanze di Vongola IX, al di là di qualunque cosa gli suggerisse il proprio istinto. In più, era sempre stato pronto sin da ragazzo a perdonare i propri nemici e ad accoglierli come amici. Reborn glielo rinfacciava continuamente, nonostante fosse orgoglioso di lui proprio per questo.

I Vongola avevano molti più alleati che rivali, il primo passo verso il cambiamento che Tsuna voleva raggiungere. Un mondo senza mafia.

“Vedete, don Maurizio, è proprio questo il problema. Io vi ho dato la mia amicizia, voi la disprezzate così.”

Sentì Reborn alle sue spalle trattenere a stento una risata e spacciarla per un ghigno sadico. Se avesse potuto permetterselo, Tsuna avrebbe riso anche lui, ma in quel momento rischiava probabilmente che il suo ex tutor e attuale Consigliere Interno lo sparasse.

Usare quella stanza non aveva senso se non si dava un qual certo contegno, e in fondo i mafiosi come Maurizio Pantaleone non avevano veramente voglia di discutere e di cercare di capire perché si fosse arrabbiato. Tirare fuori un repertorio da film gangster stranamente li terrorizzava abbastanza da renderli docili, per quanto lui in quel momento si sentisse come Marlon Brando ne Il Padrino.

“Don Vongola, non oserei mai, vi giuro!”

“Don Maurizio avete sfruttato la nostra alleanza per azioni che io e la mia Famiglia non abbiamo mai approvato. E ora mi dite di non disprezzare la mia amicizia?”

“Vi prometto che non accadrà più, Vongola!”

“Lo spero bene per voi! Avete almeno idea di quello che avete fatto a quelle povere ragazze?”

Reborn alle sue spalle sbuffò, senza farsi sentire dalla loro vittima. Tsuna recitava da cani, era quella la verità. E non avrebbe mai imparato a non farsi coinvolgere in prima persona. Era anche pronto a giurare che se quel povero bastardo fosse riuscito a convincere il suo istinto di essere chiaramente pentito, il suo studente buono a nulla lo avrebbe lasciato andare. Come Mukuro non mancava di sottolineare mai, Tsunayoshi era la vergogna di tutti i Boss della mafia. Ma era il migliore proprio per questo.

Purtroppo per lui, Don Maurizio Pantaleone era troppo idiota per capire quale fosse la sua possibilità di salvezza ed intraprese la scelta sbagliata.

“Vongola, suvvia non fraintendete, alla fine non è così grave la situazione” cominciò persuasivo, con un sorriso falso sulle labbra. “In fondo, a quelle quattro puttanelle vogliose di…

Si zittì quando una stretta ferrea gli afferrò rudemente il colletto. Non capì neanche come aveva fatto quella specie di marmocchio che si spacciava per Boss della malavita a muoversi tanto velocemente.

“Non pensateci nemmeno a finire la frase, se volete uscire di qui con le vostre gambe.”

L’uomo, ingoiò a vuoto, poteva quasi giurare che il tono di voce del Don di fronte a lui fosse cambiato, come se fosse sceso di qualche ottava. Gli occhi erano di una sfumatura arancia del sole al tramonto.

Quello fu il momento in cui capì di aver mandato a puttane la sua unica occasione.

“Don Maurizio, ora vi dico che farete. Ve ne andrete da qui e vi costituirete alla polizia. Confesserete tutto ciò che avete fatto e mai, se non volete condannarvi a morte con le vostre stesse mani, cercherete vendetta contro quelle povere ragazze. Mi sono spiegato a sufficienza?” L’uomo lo guardò con occhi sgranati, non riusciva a credere a ciò che aveva appena sentito e il panico di quella morsa lo attanagliava. “Avete ventiquattro ore per costituirvi, vi avverto. Se provate a scappare vi giuro che vi ritroverò anche in capo al mondo e che lascerò che siano i Vindice a giudicarvi. E ora sparite immediatamente dalla mia vista.”

“Non potete farmi questo” biascicò per quanto la stretta del ragazzo gli permettesse.

“Non mettete alla prova la mia pazienza, non vi conviene.”

Tsunayoshi lasciò la presa sulla camicia per liberarlo in fretta e lasciare che se ne andasse. Don Maurizio non ci pensò due volte a prendere la porta.

“Un’ultima cosa” lo fermò Reborn, prima che potesse uscire. L’uomo si voltò terrorizzato sentendo un rumore metallico a lui familiare. L’hitman non lo guardava, ma stava controllando quanti colpi avesse in canna. “Quando sarete di fronte al commissario di polizia, non pensate nemmeno di tradire l’Alleanza. Sapete cosa accade a chi infrange l’omertà, vero?” chiese angelico, prima di richiudere la pistola.

L’uomo scappò urlando a gambe levate.

Quando Tsunayoshi fu sicuro che non fosse nelle vicinanze tirò un sospiro. Era esausto. “Era necessario minacciarlo di morte in quel modo?” chiese, arrabbiato, a Reborn.

L’altro si calò meglio in testa il cappello, come a nascondere un ghigno divertito. “Non l’ho mica minacciato, stavo solo controllando l’arma. E poi c’hai pensato tu a fare tutto il resto.”

“Non me la dai a bere” lo informò tanto per fare, decidendosi ad uscire anche lui da quella stanza che sapeva di tutto ciò che odiava della mafia.

“Non mi spreco neanche con quelli del suo rango, dovresti saperlo, Tsuna. E ora datti una mossa” lo riprese, con un calcio ben mirato in testa che lo fece urlare come una ragazzina. “Guarda che i tuoi documenti non si leggono e non si firmano da soli. E ora che Ryohei ha deciso di arruolare nella famiglia anche una dozzina di ragazze in più, ti tocca un bel po’ di burocrazia da firmare.”

“Ehi, aspetta, ma aveva detto che se ne sarebbe occupato lui!”

“Sì, ma ho pensato preferissi farlo tu e gli ho mandato a dire di portarti tutte le scartoffie nel tuo girone. Ops, intendevo nel tuo studio” concluse il sicario sbattendo gli occhi con faccia innocente e un vestito da angelo che Tsuna non riusciva a capire da dove diavolo avesse tirato fuori. Aveva anche una specie di aureola che gli galleggiava sulla testa.

“Ma come diav… No, non me lo dire. Preferisco non saperlo.”

Reborn si limitò a ghignare mentre svolazzava letteralmente per i corridoi dei sotterranei, neanche fosse Byakuran. Aveva un alleato con il complesso del dio e Satana come consigliere, prima o poi avrebbe fatto una brutta fine, se lo sentiva.

  
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Katekyo Hitman Reborn / Vai alla pagina dell'autore: Yuki Kushinada