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Autore: Gabbo Massidda    24/11/2013    0 recensioni
«Riposa in pace, Alec James».
Genere: Dark, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Città di Norfolk, Stato del Nebraska, ore 22:15. Alec Stevenson era chino sul proprio libro di storia e tentava inutilmente di memorizzare qualcosa ma la sua testa era altrove. Pensava a Blayze e a come lo aveva spudoratamente rifiutato. Alec pensava di poter superare una difficoltà come quella, di solito si schermava dal dolore pensando ci sono cose molto più importanti, un NO in amore non è tra quelle! Sapeva perfettamente che stava mentendo, in primis a sé stesso. Ogni notte si addormentava pensado a Blayze e più di una volta aveva sognato di ucciderlo. Si ritrovava in mezzo ad un enorme piazzale, nel sogno sapeva dove si trovava ma quando si destava non aveva la più pallida idea della reale esistenza di quel posto. Nel sogno aveva un'arma scintillante, emanava una sinistra luce color ambra ed inoltre gli provocava uno strano ma piacevole formicolio alla mano. Ogni volta che faceva quell'incubo si risvegliava ricoperto di sudore e con il cuore a mille. Ogni volta l'incubo finiva faceva lo stesso identico gesto: andava in bagno, si sciacquava la faccia, si guardava allo specchio e vedeva la propria faccia ricoperta da strane escoriazioni, la pelle rossa come il sangue e gli occhi color ambra, proprio come la luce emanata dall'arma nel sogno. L'immagine dello specchio lo fissava per qualche secondo, poi sorrideva e gli mostrava la terrificante fila di denti aguzzi. Ruggiva e lo specchio si spaccava, alché Ryan si svegliava una seconda volta, rendendosi conto, stavolta, di non stare più sognando e di essere completamente sveglio. Una strana sensazione, come di attesa di qualcosa, s'insinuava dentro di lui e diventava più intensa e vibrante ogni giorno. A volte si ritrovava a issare il vuoto per ore, sia che fosse in classe o a casa, da solo o con gli amici. Quest'ultimi avevano cominciato a preoccuparsi enormemente e più volte gli avevano chiesto come stava, lui rispondeva sempre «al solito» e chiudeva lì la conversazione. Ryan volse lo sguardo alla radiosveglia posta sul comodino, erano le 22.17, aveva un sonno pazzesco e non aveva studiato niente. Chiuse il libro di scatto, si stroinò la accia e decise di coricarsi. Era disteso a pancia in giù e guardava il soffitto, aveva paura di addormentarsi, di ricadere in quell'incubo maledetto e di rivivere sempre le stesse, velenose emozioni. La rabbia nei confronti di Blayze, la voglia di ucciderlo, di porre ine alla sua vita. Perché voglio ucciderlo? Perché covo questo costante, morboso, violento desiderio di morte, della sua morte? Non aveva risposte e ciò era frustrante. Aveva paura, paura d'impazzire improvvisamente da un giorno all'altro, di perdere il controllo di sé stesso e delle proprie azioni, di fare del male a qualcuno, di arrecare danno a Blayze. Voleva tutto ciò? No di certo!, si rispose. Si girò su un fianco e chiuse gli occhi, sperando di cadere in fretta e furia in un sonno senza sogni e di risvegliarsi l'indomani mattina perfettamente riposato e pronto per affrontare un'interessantissima (l'avrebbe resa tale) giornata di scuola. Si assopì per un paio d'ore, quando si svegliò era già passata la mezzanotte e si sentiva strano. Non stava sognando, ne era certo. Prese la bottiglietta d'acqua posata sul comodinò e la vuotò d'un sorso, po si diresse in bagno. Stava tornando in camera quando una strana luce bianca apparve alla fine del corridoio che conduceva alle scale. Era piccola, come se fosse lontana decine e decine di metri. Pulsava. Ad un certo punto Ryan udì una strana melodia che riconobbe subito data la sua passione per le opere liriche: era "Un bel dì vedremo", brano tratto dall'opera Madama Butterfly. Era bellissima, una voce di donna eseguiva degli splendidi vocalizzi su quelle note inebrianti come il profumo d'incenso. Si diresse verso la luce, non che la sua volontà fosse d'accordo, ma era come se qualcosa lo spingesse dolcemente verso quel piccolo lume pulsante come un cuore. A piccoli passi la raggiunse e si dovette coprire gli occhi quando il bagliore divenne tale da accecarlo. Non vide più niente, sentì la pelle bruciargli come fosse ricoperta di fuoco. Dopo ci fu solamente il nulla. Si ritrovò in una specie di piazza, era uguale a quella del sogno. Sembrava una distesa di cemento anonima, ma riconobbe essere un piazzale di parcheggi nella periferia della città. Si sentiva strano, si sentiva potente. In mano stringeva qualcosa. Un tridente d'oro massiccio, esattamente come quello che stringeva nel sogno, solo che stavolta non stava dormendo, era tutto real. Sapeva che era tutto reale. Notò che qualcos'altro brillava oltre al tridente: la sua pelle. La guardò meglio e vide che era interamente coperta di piccoli e scintillanti diamanti. Tutto il suo corpo ne era ricoperto, solo la faccia era libera. Si specchiò nel tridente, i suoi capelli spuntavano da quella che sembrava essere una corona. La sua faccia era rossa e ricoperta di escoriazioni, i suoi denti erano aguzzi come quelli di un piranha. Emise un tremendo ruggito. Brandì il tridente in alto e il cielo si ricoprì di nubi nere come il petrolio, l'aria venne squarciata dal rumore dei tuoni, la notte sembrava giorno alla luce dei fulmini che, come milioni di scariche elettriche, attraversavano le nubi. In mente aveva solo un obiettivo: stanare e rapire Blayze. Ad un tratto fu come se l'intero universo obedisse ai suoi pensieri, ai suoi desideri, al suo istinto. Un fulmine scese in terra e lo colpì ma senza ferirlo. La scarica elettrica lo trasportò nel cortile della casa della sua preda. Nessuno se ne accorse, tutti pensavano fosse in corso una tempesta, un tremendo temporale. Guardò la finestra della camera di Blayze e sorrise: la finestra era spalancata. Una sottile corrente d'aria lo sollevò da terra, dolcemente atterrò sulla morbida e grigia moquette di quella camera da letto. Blayze dormiva profondamente. Ryan lo guardò e sorrise una seconda volta, fece svanire il tridente in modo da avere le mani libere e cinse il corpo del bell'addormentato e lo portò con sé. Poco distante da dove si trovava Ryan, in tre case diverse, dormivano tre ragazzi diversi: Alec, Trisha e Johel. Tutti e tre si svegliarono di scatto, Trisha prese il telefono e compose il numero di Alec, poi aggiunse Johel alla conversazione. «Alec, Johel, ho un bruttissimo presentimento» «Anche io» - rispose Johel e lo stesso fece Alec. «Dobbiamo fare urgentemente qualcosa, avete fatto anche voi lo stesso sogno?» - domandò Alec. Sia Trisha e Johel risposero di sì. Non c'era bisogno che specificassero di chi o cosa stessereo parlando, il soggetto era chiaro come il sole: Ryan. Tutti e tre avevano sognato Ryan che uccideva Balyze in una piazzola di parcheggi nella periferia di Norfolk. Tutti e tre chiusero la chiamata, si vestirono di tutta fretta e s'incontrarono nel parchetto dove trascorrevano tutte le loro serate. Sia che fosse estate sia che fosse inverno. Quel parchetto li aveva visti crescere, tutti e quattro. Ora ne vedeva solo tre, agitati e tremanti come foglie, pallidi come vampiri. «Che facciamo?» «Non lo so, davvero non lo so!» «Dobbiamo fare qualcosa!» «Sì, ma cosa? Non possiamo piombarne in quella piazzola aspettando di vedere Ryan e Blayze, non sappiamo nemmeno se quello che abbiamo sognato abbia a che fare con la realtà oppure no». «Cosa vi dice l'istinto?» - chiese Johel. Non risposero, si guardarono e basta. A tutti e tre l'istinto diceva che ciò che avevano sognato non solo aveva a che fare con la realtà, bensì era la realtà. Quel sogno era una premonizione. Dovevano agire, dovevano almeno provare a fare qualcosa, a fermare il loro amico che, in quel momento (tutti e tre ne erano sicuri) era vittima di una chissà quale forza soprannaturale che aveva dato sfogo a tutta la sua rabbia repressa, alla sua frustrazione, al suo dolore, al suo odio/amore verso Blayze. «Andiamo!» - esclamò decisa Trisha. «E come?» - domandò Alec. Trisha, in tutta risposta, gli sventolò davanti un mazzo di chiavi. «Tuo padre ci ucciderà» - disse l'amico, ma non si oppose a quella decisione. La Audi rossa sfrecciava per le strade di Norfolk, stranamente deserte. Vuole inconsciamente che lo raggiungiamo, una parte di lui vuole che lo fermiamo, non vuole uccidere Blayze, pensò Alec. Mio Dio, pensò Johel vedendo il cielo coperto di nubi e queste ultime attraversate da possenti fulmini argentei. Trisha non pensava ma concentrava tutte le sue energie nella guida dell'auto, se fosse uscita fuori strada o avesse arrecato danno alla macchina, suo padre l'avrebbe ammazzata sul serio. Arrivarono senza problemi a destinazione. Cominciò a piovere, sempre più forte tanto che ogni goccia sembrava una secchiata. I fulmini illuminavano a giorno il piazzale e Ryan e Blayze. Blayze era rannichiato a terra e schivava i lampi di luce dorata che Ryan scagliava col suo tridente. Alla vista di quella raccapriciante scena, il cuore dei tre appena arrivati saltò un battito ed una dolorosa fitta attraversò loro lo sterno. «RYAN» - urlò Trisha disperata. «BASTA RYAN, COSI' LO UCCIDERAI» - gridò Joel. Alec si lanciò verso l'amico ricoperto di diamanti e gli saltò addosso ma venne scagliato lontano. «CHE CAZZO VOLEVI FARE, EH?» - gli urlò Ryan. Gli puntava il tridente contro e aveva tutta l'aria di volerlo eliminare per essersi messo tra lui e Blayze. «Ryan, ti prego, lascialo andare, così non risolvi il problema. Ti fai solo del male. Così non lenisci il tuo dolore, fai solamente soffrire una persona. Lo so che fa male, credimi, ma non risolvi il problema uccidendo chi ti ha detto NO!». Ryan gli scagliò contro un lampo che si riflesse negli occhi di Alec. Quella fu l'ultima cosa che quest'ultimo vide prima di morire, disintegrandosi completamente. Trisha si portò le mani alla bocca, scioccata. Johel urlò «NO». Ryan tornò a guardare Blayze. Prima che potesse scagliargli contro un fulmine vide una sottile polvere dorata aleggiare nell'aria. Si addensò e apparve una figura evanescente, quasi come un fantasma. Era Alec. Si interpose tra Ryan e Blayze, prese la ma mano del primo e disse - «lascialo andare Ryan, tu non sei malvagio, non fare a lui quello che non volutamente hai fatto a me. Ti prego, lascialo andare». Lo fissava e gli sorrideva, con amicizia e fraternità. Per Ryan fu come destarsi da un sogno anzi, da un incubo. Le sue iridi, prima dorate, tornarono del colore normale. «Che cosa ho fatto» - disse. La figura di Alec scomparve, insieme al tridente, ai diamanti, alla corona e ai demoniaci poteri di cui Ryan era imbevuto. Continuava a piovere e la piazzola era completamente allagata tanto che l'acqua raggiungeva l'altezza delle caviglie. Ryan si voltò verso Blayze, il cui volto era una maschera di puro terrore - «fila a casa Blayze» - disse apatico e Blayze fuggì. Johel e Trisha fecero per raggiungere Ryan ma si bloccarono a metà strada quando l'acqua che allagava la piazzola iniziò a convogliarsi verso il punto in cui c'era Ryan. Quest'ultimo volse lo sguardo verso il cielo e chiuse gli occhi. Un'ultima lacrima gli scivolò via, un turbine d'acqua lo avvolse e prese a brillare di un'intensa luce dorata. Poi il turbine si spostò nel punto in cui fino a poco prima si trovava Alec e si dissolse. Al suo posto apparve la figura dell'amico morto, ora vivo. Di Ryan nessuna traccia. Aveva sacrificato la sua vita per resuscitare Alec, l'universo aveva obbedito un'ultima volta alla sua volontà. Trisha e Johel raggiunsero Alec e si strinsero in un forte abbraccio fraterno. L'indomani tornarono in quella piazzola, volevano incidere una sorta di epitaffio nel punto esatto in cui Ryan era scomparso. Si accorsero però che qualcuno l'aveva già fatto. Si disposero a cerchio attorno alla scritta e Trisha la lesse ad alta voce. R.I.P. A.J. «Riposa in pace, Alec James». FINE
  
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