Mi osserva.
Mi osserva da più di un’ora.
Il suo sguardo famelico mi tormenta.
È notte, la stanza è illuminata solo dalla lampadina al neon proveniente dall’acquario.
Quella luce verde smeraldo infonde tutt’altro che speranza.
 
 
Sono fermo, immobile.
   Terrore.
   Un suono metallico alle mie spalle.
   Brividi.
   Le gambe iniziano a intorpidirsi.
   Lo sguardo è fisso sull’acquario di fronte ai miei occhi.
Eccolo, di nuovo.
Come coltelli affilati le sue squame fanno capolino tra le alghe.
La curiosità mi impedisce di restare tra queste fredde lenzuola.
Mi avvicino a passi lenti, ammaliato dagli occhi d’oro dell’animale.
 
Lo amo. È bellissimo.
   Sento dei sussurri.
   Poso l’orecchio sul vetro gelido.
   Le parole bisbigliate sono in una lingua antica, non capisco.
Trascorro tutte le notti allo stesso modo, in attesa.
E io, come fosse un’abitudine, compio i medesimi gesti con assuefazione.
   Un urlo.
   È stato lui.
   Si, lui. L’ha fatto di nuovo.
Digrigna i denti affilati.
L’angoscia mi perseguita.
Un ghigno si fa largo sulla sua bocca.
Vorrei aprire la porta e correre via, ma nonostante la sua
nascosta malvagità, mi sento in dovere di accudirlo,
un legame indissolubile ci lega da sempre.
Ogni mio pensiero notturno è dedicato a lui.
Spesso parla alla mia psiche, mi comanda.
Ma è giusto, così deve essere.
Concetti indefiniti, astratti e confusi.
Progetti che non comprendo pienamente,
ma che porto a termine in modo lucido.
 
Ha ripreso a piovere. L’acqua scroscia sulla serranda.
Sembra mi stia cullando.
Ho sonno, l’orologio segna le due.
Lui continua a fissarmi.
Le palpebre si chiudono sotto il peso della stanchezza.
 Nero.
 Silenzio, ha smesso di piovere.
 Tranquillità.
 Un grido sommesso.
 Apro gli occhi.
È lui, una nuova missione sta per iniziare.