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Autore: Clovely    24/11/2013    5 recensioni
«La storia di Cato e Clove ebbe inizio molto prima dei Giochi, quando erano ancora dei bambini. A Clove bastò solo uno sguardo per capire che c'era qualcosa di più sotto l'espression beffarda di Cato, il ragazzo dai profondi occhi di ghiaccio. Qualcosa di irresistibile e misterioso. Fu così, dopo un solo, breve incontro, che le loro vite iniziarono ad intrecciarsi, portandoli lentamente verso il loro destino.»
Noi tutti conosciamo Cato e Clove come i Tributi letali e spietati dal Distretto 2. Ma cosa sappiamo veramente di loro? La risposta è semplice: nulla. Per questo motivo ho deciso di scrivere questa fanfiction, per tutti quelli che credono ci sia stato qualcosa di più, sotto la superficie dei due Favoriti. Anche loro devono avere una storia, una vita... un passato.
Questa è la mia storia di Cato e Clove, prima e durante gli Hunger Games e se vi ho incuriositi, leggete e lasciatemi una recensione, mi farebbe davvero piacere ;)
Genere: Azione, Generale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri tributi, Cato, Clove, Favoriti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Till your last breath
CAPITOLO 18
STAY WITH ME



Il bosco era buio e silenzioso. Gli alti rami stipati di foglie scure oscuravano il cielo ma Cato e Clove camminavano veloci, a proprio agio anche nel buio. Sapevano che mancava poco all’alba, ormai. Il tempo dell’azione si avvicinava sempre di più.
Il loro piano era pronto, ora. E loro si stavano spostando per occupare le posizioni prestabilite. Cato si sarebbe nascosto al limitare della foresta, vicino alla territorio misterioso e inesplorato dove si nascondeva Thresh. Clove invece si sarebbe nascosta nel bosco, vicina alla cornucopia. In quel luogo, avrebbe aspettato fino a quando la ragazza del 12 non si fosse decisa ad uscire allo scoperto. Solo allora avrebbe attaccato. E una volta partita, non si sarebbe dovuta preoccupare di nulla se non di ucciderla. Cato le copriva le spalle e avrebbe intercettato Thresh non appena lo avesse visto dirigersi alla cornucopia. Una volta uccisa 12, Clove sarebbe corsa ad aiutarlo, nel caso ne avesse avuto bisogno, ovviamente, per sconfiggere il nemico. Se fossero stati fortunati, avrebbero trovato anche l’ultimo tributo e poi sarebbe rimasto solo il Ragazzo Innamorato. Ma erano certi che, senza la medicina di cui aveva disperatamente bisogno, la natura l’avrebbe ucciso prima ancora che loro lo trovassero.
Questo era il loro piano. E se tutta andava come avevano previsto, i Giochi sarebbero presto finiti. E loro sarebbero stati incoronati vincitori. Presto, avrebbero potuto tornare a casa.
Immersa nei suoi pensieri, Clove quasi non si rese conto di essere arrivata. Erano ad un bivio ora e lì le loro strade si sarebbero divise: lei si sarebbe diretta verso il limitare della foresta, verso la cornucopia; Cato avrebbe proseguito dritto, girando attorno alla radura e portandosi il più vicino possibile al luogo dove si sarebbe nascosto Thresh.
Si fermarono. Erano sicuri del loro piano, erano decisi, pronti e combattivi. Letali e senza scrupoli. Ma in quel momento, in quel solo momento, esitarono. Clove non avrebbe voluto dividersi da lui, ma sapeva che era la cosa giusta da fare. Andare tutti e due alla cornucopia sarebbe stata una follia. Thresh avrebbe potuto tendere loro un’imboscata ed ucciderli. Dovevano dividersi, non c’era altro modo.
Clove abbassò lo sguardo. «Allora siamo arrivati. Buona fortuna, Cato.»
Lui le si avvicinò e la costrinse a guardarlo. Le strinse le mani, i loro volti erano così vicini che a lui bastò sussurrare per farsi sentire. Clove ricordò quando le loro labbra si erano sfiorate, il giorno prima. Era inesperta in materia, ma era stata una sensazione magnifica, che l’aveva scaldata dall’interno. E ora il solo pensiero di perdere Cato la faceva sentire come prima, come quando aveva paura del futuro, quando pensava che avrebbe dovuto ucciderlo.
«Non abbiamo bisogno di fortuna, Clove.» Le sussurrò Cato. «Noi abbiamo la forza e la tecnica. Non ci serve altro.»
Clove sorrise debolmente. Non voleva che Cato la vedesse tesa. «Ad ogni modo, sii prudente.»
«Anche tu. Ma non preoccuparti, ci rivedremo presto. E a quell’ora i Giochi saranno finiti e io e te saremo i vincitori. Ok?»
Clove annuì ma non riuscì a trattenersi e lo strinse per qualche secondo in una abbraccio. Inspirò a fondo, cercando di assorbire la forza e la sicurezza che l’abbraccio di Cato le trasmise. «Vai, ora.»
Lui si sciolse dall’abbraccio e le strinse la mano un’ultima volta. Poi, dopo averla guardata bene, come se volesse imprimesi il suo volto nella memoria, si voltò e si inoltrò nel bosco. Clove rimase qualche istante ad osservarlo mentre si allontanava, fino a quando l’oscurità lo inghiottì e lui scomparve nel buio. Allora prese un profondo respiro e riprese la sua strada. Non poté evitare però di pensare ancora a Cato. A come fossero cambiate le cose tra loro. Prima dei Giochi erano solo conoscenti e niente di più. Ora invece... invece cos’erano? Amici? Forse. Qualcosa di più? Clove non lo sapeva, sapeva soltanto di tenere a lui più di ogni altra cosa al mondo. Ci teneva così tanto che il solo pensiero di perderlo le faceva male.
Ma ora, pensò iniziando a intravedere la luce dell’alba e lo scintillio della cornucopia, non poteva permettersi di pensare a lui. Doveva concentrarsi sul presente, sul piano.
Doveva essere concentrata al massimo, non poteva permettersi di fallire. Non ci sarebbero state altre possibilità altrimenti. Doveva scacciare, sebbene a malincuore, tutti i pensieri su Cato. Lui la distraeva, i ricordi le annebbiavano la mente, i sentimenti ancora incompresi che provava per lui la rendevano debole. Doveva isolarli e rinchiuderli in un recesso remoto della sua testa. Almeno per allora.
Doveva tornare ad essere Clove, la ragazza fredda e calcolatrice. Letale e senza scrupoli. Strinse tra le mani un paio di coltelli e subito il freddo famigliare del metallo le infuse forza e sicurezza. Clove, la ragazza che non sbaglia mai il colpo.


Rimase in silenzio a lungo, acquattata nell’ombra, in attesa. Aveva visto il lungo tavolo con gli zainetti adagiati sopra. Lì dentro c’erano le cose delle quali ognuno di loro aveva disperatamente bisogno; tra di essere, le loro armature. Erano quattro zainetti. Il primo aveva sul davanti un grosso numero due. Il loro.
Il secondo aveva un cinque. Quindi il tributo di cui non si ricordava veniva del Distretto 5. Probabilmente era la ragazza, ragionò Clove. Se non ricordava male il ragazzo era morto nel bagno di sangue. Cercò in ogni modo di ricordarsela ma aveva solo vaghi ricordi. Non era nulla di eccezionale durante gli allenamenti. Non era una minaccia per lei. Probabilmente era sopravvissuta grazie all’ingegno, molti altri tributi l’avevano fatto in altre edizioni. Di fianco allo zaino con il numero cinque ce n’erano due. L'undici, ovviamente, quello di Thresh e di fianco quello del dodici, che doveva contenere la medicina del Ragazzo Innamorato.
Clove rimase pazientemente in attesa fino a quando notò un movimento. Ma, con sua grande sorpresa, non proveniva dalla foresta. Arrivava da dentro la cornucopia.
Clove si mise sull’attenti, pronta a partire all’attacco. Ma poi si fermò.
Era la ragazza del 5. Si era nascosta nella cornucopia e ora afferrava velocemente il suo zaino e poi si dirigeva verso il bosco, correndo rapida e senza mai voltarsi indietro. Dunque era davvero per questo che era sopravvissuta. Astuzia e ingegno. C’erano molti tributi che arrivavano vicino alla vittoria restando nascosti per tutti i Giochi, senza uccidere nessuno, semplicemente sopravvivendo. Quella doveva essere la tattica della ragazza dai capelli rossi del 5. Clove strinse i pugni, costringendosi a stare ferma e a non attaccare. Un preda scoperta come quella sarebbe stata facile da abbattere, anche perché pareva del tutto disarmata. Ma non poteva fare nulla, doveva attenersi al piano e aspettare che arrivasse la ragazza del 12.
Proprio mentre passava lo sguardo verso i boschi per capire se stesse succedendo qualcosa, la vide. La ragazza in fiamme.
Si era fatta avanti dopo aver visto quella del 5 fuggire e ora si guardava attorno, circospetta, indecisa sul da farsi. Non c’era traccia del Ragazzo Innamorato. Clove indietreggiò tra gli alberi e quando fu certa di non poter essere vista, iniziò a correre. Si portò in fretta sul retro della cornucopia e corse allo scoperto. Ma da quella posizione, 12 non poteva vederla. Rallentò la sua corsa solo quando le sue mani si posarono sul metallo della coda della cornucopia. Riprese fiato.
E attese in silenzio. Poi sentì. Sentì i passi veloci di 12 che correva sull’erba, dalla parte opposta a lei, dritta verso la bocca della cornucopia. Clove non ebbe esitazioni.
Si buttò di lato e aspettò solo un frazione di secondo, per identificare la posizione della sua preda. La vide, era lei. Questo le bastò. Scagliò con furia il suo primo coltello.
La ragazza però riuscì a deviarlo e le sparò contro una freccia, dritta verso il suo cuore. Clove si scansò veloce, ma non abbastanza. La freccia arrivò sibilando e la colpì al braccio sinistro. Rallentò l’andatura ed estrasse la freccia, gettandola a terra con rabbia e poi lanciò il secondo coltello. Questa volta il colpo andò a segno.
Lo capì dal sangue che iniziò a fuoriuscire da una ferita superficiale alla fronte di 12. Non era una ferita mortale, ma bastò a disorientarla. Infatti quando lanciò un’altra freccia nella sua direzione, fu facile per Clove evitarla. Approfittando della debolezza del nemico, le si gettò addosso con furia e la forza dell’impatto le fece cadere entrambe a terra.
La ragazza in fiamme sbatté la schiena con violenza e chiuse gli occhi ma non si arrese e cercò in ogni modo di disarcionarla. Si ritrovarono a rotolare sull’erba un paio di volte, combattendo con braccia e gambe. Ma alla fine, ovviamente, Clove ebbe la meglio.
Con prontezza, si apprestò a bloccarle le ginocchia in modo che non potesse più sfuggirle. Era sua ora, la preda era caduta nella trappola della predatrice. E quella era un trappola senza vie di fuga, pensò Clove con malvagità, stringendo la presa.
«Dov’è il Ragazzo Innamorato? È ancora in giro? Aspetta che tu gli porti la medicina? Che cosa dolce.» Sussurrò Clove, la voce profonda e carica di veleno mentre teneva bloccata la sua preda a terra. Guardò da così vicino il volto della ragazza che tanto odiava per la prima volta. Non era nulla di speciale, era solo una ragazza, una normale ragazza.
Ma Clove la odiava, perché li aveva presi in giro tante volte nell’arena, le era sfuggita, aveva preso un voto più alto del suo alle sessioni con gli strateghi. Aveva attirato tanti sponsor non per un suo merito personale, ma solo grazie alle abilità del suo stilista e allo show del Ragazzo Innamorato. Cos’aveva fatto di suo pugno? Cosa? Nulla.
Aveva solo accettato la fortuna che le era piombata addosso e usato bene il suo maledetto arco. Tutti l’amavano già dal principio perché si era offerta volontaria al posto della sorellina. La sua fama era cresciuta dopo la sfilata, perché il suo stilista aveva deciso di mandarle in fiamme il vestito. Poi c’era stata la volta delle sessioni private. E poi alle interviste, dove si era messa a volteggiare in modo così sciocco, mandando in fiamme anche quel secondo abito. E poi era arrivata tutta quella balla colossale degli innamorati sfortunati. Clove non metteva in dubbio il fatto che lui fosse innamorato di lei. Ma lei non lo era. Non le importava niente di tutto quello show, voleva solo tornarsene a casa. Ma non ce l’avrebbe fatta. Clove l’avrebbe impedito. Avrebbe dimostrato che la fortuna non sempre può vince.
«Lui è la fuori. Sta dando la caccia a Cato.» Disse la ragazza, guardandola con sfida. «Peeta!» Urlò poi. Clove le premette il gomito sulla trachea, impedendole di urlare, poi si guardò attorno, attentamente. Ma il Ragazzo Innamorato non si vedeva. Stava bluffando, era ovvio. La cosa che odiava più di tutto, era la sua spavalderia. Ma preso avrebbe perso anche quella. Presto avrebbe perso tutto.
«Bugiarda.» Le disse Clove sorridendo con aria di scherno. «Cato l’ha colpito ed è un miracolo che sia ancora vivo. L’avrai lasciato da qualche parte, morente, in attesa della sua medicina. Peccato che non la otterrà mai.» La ragazza si aprì la giacca e afferrò un nuovo coltello, piccolo e dalla lama ricurva. «Ho promesso a Cato che, se ti avesse lasciata a me, avrei offerto al pubblico un buono spettacolo. Ma la tentazione di eliminarti subito è forte.» Clove si mordicchiò il labbro, indecisa. Si fermò ad osservare attentamente il viso della sua nemica, a studiarlo. Ora capiva perché la odiava così tanto. Non lo aveva mai realizzato perché per tutto quel tempo non aveva pensato a Cato in quel modo. Ma ora aveva capito che 12 e il suo compagno non erano i soli innamoratati sventurati di quei Giochi. Anzi, non lo erano nemmeno per davvero. Lei aveva solo sfruttato quella storia per ottenere sponsor. Non sapeva, non lo sapeva cosa volesse dire vive ogni giorno nella disperazione dovuta al fatto di sapere di dover perdere una persona così importante. La certezza che uno dei due sarebbe morto, che per loro non ci sarebbe stato un futuro. Non lo sapeva, perché per lei era solo una recita.
La rabbia le crebbe dentro ma poi si ricordò improvvisamente che c’era stato qualcuno a cui aveva tenuto davvero. Qualcuno che poi aveva perso.
La ragazza in fiamme cercò inutilmente di divincolarsi e di liberarsi, ma Clove strinse la presa su di lei, immobilizzandola. «Lascia perdere, 12.» E poi decise di attaccare e di farla soffrire in ogni modo possibile. Era quello che si meritava, pensò Clove con cattiveria, alimentata da una folle rabbia. «È tutto inutile. Ti uccideremo. Proprio come abbiamo fatto con la tua amichetta. Come si chiamava? Rue? Prima Rue, poi te e poi verrà il turno del Ragazzo Innamorato. Ma credo che senza quella medicina non ci sarà nemmeno il bisogno di un nostro intervento.» Clove ridacchiò, spietata. «Sarà meglio iniziare.»
Detto questo, calò il suo coltello, ma a pochi centimetri dal suo viso si bloccò. «Vuoi mandare un ultimo bacio al Ragazzo Innamorato? Ti conviene approfittarne, non credo che avrai molte altre occasioni simili, dopo.»  La ragazza iniziò a divincolarsi, cercando di gridare, rabbiosa. Ma non c’era nulla che potesse fare. Clove posò la lama sulla sue pelle, sul bordo delle sue labbra e aprì un piccolo taglio.
Un sorriso folle, malsano le si dipinse sulle labbra sottili. Non era più in lei, l’odio e la frustrazione accumulata in tutti quei giorni nell’arena stavano ottenendo il proprio sfogo in quel momento. Allontanò il coltello dalle labbra di 12 e prese la mira, pronta a mettere fine alla sua vita una volta per tutte.
Ma il suo colpo non calò mai. Qualcosa la afferrò da dietro. Clove fu colta totalmente alla sprovvista mentre una forza a lei sconosciuta la sollevava da terra. Il coltello le sfuggì dalle mani e un flebile grido le sfuggì dalle labbra.  No, non è possibile.
Ora vedeva il volto del suo aggressore. La teneva sollevata da terra, soffocandola. Clove scalciò nel vano tentativo di liberarsi, ma era tutto inutile. Thresh l’aveva presa.


Che cosa era successo? Cato avrebbe dovuto occuparsi di Thresh. Le guardava le spalle, in attesa di vederlo arrivare. Thresh aveva forse ucciso Cato? Impossibile, nessun cannone aveva sparato. Allora la ragazza arrivò alla conclusione più ovvia: Thresh non era arrivato da dove loro si aspettavano che arrivasse. Veniva dalla foresta. Gli era piombato alle spalle ma lei, troppo presa com’era nella sua vendetta, non lo aveva sentito.
E ora Cato era lontano, dalla parte opposta della radura, ad aspettare un nemico che non sarebbe mai arrivato. Perché aveva già raggiunto il suo obiettivo.
La faccia scura di Thresh era colma di rabbia, la sovrastava, era grosso e possente e la teneva sollevata da terra senza il minimo sforzo. Poi, senza preavviso, la lanciò in aria. Clove cadde a terra, gemendo, e un terrore senza precedenti invase ogni nervo del suo corpo mentre cercava di rialzarsi, senza riuscirci. Gattonò all’indietro, senza capire più nulla. Non sapeva cosa fare, sembrava quasi che la sua testa si fosse svuotata. Tutto ciò che aveva imparato all’Accademia, i suoi coltelli... tutto andato, perduto.
«Cosa hai fatto a quella ragazzina? L’hai uccisa? L’HAI UCCISA?!» Tuonò lui e il suono della sua voce, profonda e graffiante, risvegliò in lei una paura che non aveva mai provato.
«No!» Esclamò Clove, rimettendosi in piedi a fatica. «No!»
«Hai detto il suo nome! Era il suo nome!» Urlò lui, avvicinandosi con impeto a Clove.
«No! Non sono stata io!» Ma lui avanzò ancora e la inchiodò contro la cornucopia, senza lasciarle via di scampo. E fu in quel momento che Clove vide cosa Thresh stringeva in una mano. Un sasso, una grande sasso grigio.
No no no no no. Oh, ti prego, no!
Quella visione risvegliò Clove all’improvviso. Non poteva arrendersi così, senza lottare. Non poteva andarsene, non ora. Aveva promesso a Cato di tornare. Cato...
«Cato!» Urlò, ricordandosi del ragazzo. «CATO!» Il suo urlo riecheggiò nella radura, straziante, carico di terrore.
«Clove!» La risposta di Cato le arrivò alle orecchie, infondendole una debole luce di speranza. Non voleva ammetterlo a sé stessa ma dentro di lei lo sapeva già: la sua voce era troppo lontana. Lui non sarebbe mai arrivato in tempo.
Clove scalciò, cercando di allontanare da lei quel gigante dall’espressione folle, ma era tutto inutile. Non era abbastanza forte. Cato. Cato. Cato! Era tutto quello a cui riusciva a pensare, l’unico appiglio che trovò in quel mondo di terrore. L’unico nome che le impediva di impazzire.
Ma di nuovo, fu tutto inutile. Chiuse gli occhi quando vide il braccio di Thresh alzarsi e calare il masso verso di lei, veloce e letale.
Il dolore esplose veloce come uno sparo di cannone. Non aveva mai sentito niente di più terribile. La testa le esplodeva, sangue caldo le colava tra i capelli corvini mentre senza forze si accasciava a terra. Aumentava sempre di più, facendole lacrimare gli occhi che, tuttavia, non riusciva a chiudere. Credeva che se l’avesse fatto non li avrebbe mai più potuti riaprire. E c’era ancora una cosa che voleva fare, prima di andarsene.
Le immagini ora le arrivavano sfocate, ma vide il suo assassino e 12 che parlavano. E capì che per lei era finita. Capì che i Giochi le avevano portato via tutto, persino la sua sanità mentale e la sua umanità. L’avevano resa un animale, le avevano fatto uccidere altri ragazzi. Le avevano fatto perdere tutto e lei se n’era accorta soltanto ora.
Pensò a suo padre, a casa. Pensò a lui mentre la guardava spegnersi nello schermo. Lo aveva lasciato solo, solo in quell’universo di dolore che ora non avrebbe fatto altro che ingrandirsi e inghiottirlo ancora di più. Pensò a sua madre, che non avrebbe mai voluto questo per lei. Non avrebbe mai voluto vedere la sua famiglia andare a pezzi. Pensò a Damien, che aveva finalmente ottenuto la sua vendetta. Sarebbe stato felice, ora? Nel vederla a terra? Non avrebbe mai scoperto se la sua storia era vera, se erano veramente fratello e sorella. Non l’avrebbe mai saputo. Mai...
Vide l’immagine sfocata di due ragazzi che correvano via. Cercò ancora di parlare, di gridare, ma dalle labbra le usciva solo un rantolo incomprensibile e doloroso. Allora era così che se ne sarebbe andata? La ragazza letale dei Distretto 2, quella che non sbaglia mai. Bé, questa volta hai sbagliato. E ne pagherai le conseguenze. Il male che sentiva era così forte che anche pensare le risultava doloroso. Ma allora perché non finiva? Perché sono ancora qui?
Ma lo sapeva, perché era ancora lì. Non se ne voleva andare, non ancora. Non ancora.
«Clove!» La voce che la chiamava era più vicina adesso. Ed era colma di dolore. Qualcuno le si inginocchiò vicino. Sentì il rumore di qualcosa che cadeva, poi un volto apparve nel suo campo visivo. Quel volto. Le strinse forte una mano, ma lei lo sentì appena.
«Clove! Oddio, Clove. Ti prego, resta con me. Ti prego. Ti prego.»
Lei provò a ricambiare la stretta sulla sua mano, ma non ci riuscì. Provò a parlare, ma anche quella semplice azione le parve un’impresa impossibile. Era come se si stesse spegnendo e nulla avrebbe potuto cambiare ciò che stava accadendo. Era troppo tardi.
«Ca...to...» Riuscì a sussurrare, con voce rotta e tremante.
«Stai con me Clove, ti prego. Andrà tutto bene. Staremo bene.» Ma quando lo disse, Clove capì che non sarebbe stato così. Non c’era più speranza per lei, non poteva essere salvata, lo sapeva. Avrebbe voluto dire a Cato di essere forte, di lottare, di farlo anche per lei. Di vincere per entrambi. Ma non ne ebbe la forza. Il dolore alla testa iniziò a diminuire, finalmente. La percezione del suo corpo divenne sempre più vaga. Solo la voce di Cato, così vicina, così calda, la legava ancora al mondo circostante. Vedeva i suoi occhi, azzurri come il cielo e freddi come il ghiaccio e per un momento le parve di essere tornata bambina. Ma solo per un momento.
«Resta con me, ti prego.» Ma anche la voce di lui ormai era solo un flebile sussurro, una litania ripetuta all’infinito. Dentro di essa non vi è più speranza. Solo dolore.
Malgrado tutto, Clove fu felice di aver resistito ancora per qualche minuto. Fu felice di avere davanti agli occhi il viso di Cato. Fu felice di vederlo per l’ultima volta, di osservare i suoi occhi luminosi prima di emettere il suo ultimo respiro.
Lui continuava a parlarle, ma le sue parole si persero nel nulla. Gli occhi di Clove vedevano solo oscurità e sebbene Cato continuasse a chiamarla, lei se n’era già andata, troppo lontana per poterlo sentire.

***

«No. NO!»
Cato urlò, gridò con tutta la forza della sua disperazione. «Clove! Clove!» Ma gli occhi della ragazza si erano già velati e non potevano più vedere il suo volto. Non vedevano più niente. Lui lasciò la mano fredda di Clove, lanciò lontano la spada, continuando a gridare. Batté i pugni a terra. Pianse lacrime di disperazione. Non aveva mai pianto, nemmeno da bambino, ma ora lo fece. Non poteva essere successo. Non poteva essere. No.
Lei non poteva essere morta. Non poteva essere morta. Non così. No.
L’aveva tenuta tra le braccia e l’aveva vista andarsene. E non aveva fatto niente. Non era arrivato in tempo. Mentre lei lottava per la sua vita, lui era lontano e il nemico che aveva l’incarico di braccare era spuntato da un’altra parte e anziché sfidare lui, si era preso lei.
Cato strinse gli occhi, serrando le mani a pugno. Dalle sue labbra usciva un rantolo disperato mentre sentiva un colpo di cannone sparare. Urlò di nuovo tutta la sua disperazione. Quel colpo era per Clove.
La guardò. Il suo volto era di un pallore mortale e la luce che aveva da sempre visto nei suoi occhi scuri e vivi si era spenta. Le strinse di nuovo la mano, la sollevò e l’abbracciò, come aveva fatto prima di lasciarla, quando si erano promessi che si sarebbero ritrovati e che avrebbero vinto. Non avrebbe mai dovuto lasciarla andare da sola. Era tutta colpa sua. Era colpa sua se ora stringeva il suo corpo senza vita tra le braccia. Colpa sua, perché non era arrivato in tempo. Non aveva corso abbastanza velocemente. E ora l’unica ragione che lo aveva tenuto sano di mente, l’unica ragione per cui avrebbe voluto tornare a casa, se n’era andata. E con lei tutta la speranza. Cosa gli restava ora? Cosa?
Niente.
Anzi no, una cosa soltanto.
Cato posò delicatamente il corpo di Clove a terra e le abbassò le palpebre. Lasciò scorrere la mano sulla sua guancia fredda, delicatamente, come una carezza. Non poteva restare lì per sempre. Lei non lo avrebbe voluto.
«Ti vendicherò, Clove. Lo giuro. Fosse l’ultima cosa che faccio. Ti vendicherò.» Si asciugò gli occhi con rabbia e, faticosamente, si rialzò. Il suo sguardo non riusciva a lasciare il volto di Clove, immobile. Senza vita. Ma si costrinse a farlo. Prese dei lunghi, profondi respiri. Recuperò la spada. Non si girò più indietro. E iniziò a correre.
Chiunque l’avesse uccisa, chiunque l’avesse fatta soffrire in quel modo, aveva i battiti del cuore contati. Non gli avrebbe permesso di vivere un istante di più. L’avrebbe ucciso. Quando riaprì gli occhi, essi erano asciutti e brucianti d'odio e di una determinazione quasi folle. Iniziò a correre, distruggendo qualsiasi cosa intralciasse il suo cammino. «Ti troverò! Ovunque tu sia!» Gridò con furia, recidendo una ramo con un solo colpo di spada.


Cato correva, correva veloce. Una furia cieca lo guidava e gli indicava la via. La voglia di uccidere, la sete di sangue erano le uniche ragioni che gli impedivano di tornare indietro, di tornare da lei. Il ricordo di Clove che se ne andava tra le sue braccia lo perseguitava come un fantasma. La realtà lo investiva come un’onda di fuoco, bruciandolo vivo senza che potesse opporvisi. Anche se avesse vinto, lei non ci sarebbe stata più. Questa era la cruda verità.
 Si fermò in una radura spoglia. Si guardò attorno. Sentì un rumore.
«Vieni fuori! So che sei qui! È inutile che ti nascondi, tanto ti troverò!» Il suo grido riecheggiò tra gli alberi, facendo fuggire gli uccelli dai propri nidi. «Vieni fuori, vigliacco!»
Sentì il rumore di un ramo spezzato e si voltò. Alle sue spalle, lo vide.
«Non sono un vigliacco.» Tuonò Thresh, avanzando lentamente. Sulla schiena portava due zainetti. E improvvisamente Cato si ricordò del perché Clove si trovava sola a fronteggiare quel gigante. Il festino, gli zainetti. Per quello era morta. E ora quel mostro, oltre ad averle rubato la vita, le aveva anche sottratto ciò che di diritto apparteneva a loro.
«Non mi importa quello che pensi di essere o no. So solo che presto sarai morto.» Detto questo, Cato partì all’attacco. La sua spada però cozzò contro una spessa lama argentea che Thresh estrasse velocemente. Cato attaccò ancora, facendo arretrare l’avversario. Lo colpiva senza sosta, senza dargli il tempo di contrattaccare ma solo di difendersi, mettendolo in difficoltà. La sua furia passava dalle sue mani alla spada, che fendeva l’aria veloce e letale, bramando il sangue del nemico.
Il colpo successivo fu talmente forte che fece quasi perdere l’equilibrio a Thresh. Il ragazzo venne sbalzato all’indietro e  inciampando cadde a terra.
«Fine dei Giochi.» Sussurrò Cato, con voce folle e spietata, avventandosi su di lui. Ma Thresh balzò in piedi velocemente, liberandosi allo stesso tempo del peso degli zainetti, che restarono a terra. Lo sguardo di Cato fu per un istante attirato da un luccichio. Lo zaino con il numero due si era aperto e qualcosa vi era fuoriuscito.
Le sue labbra si dischiusero per la sorpresa quando riconobbe l’oggetto. Perché lì, sulla terra brulla dell’arena, c’era il coltello che aveva regalato a Clove. Quello che le aveva donato sul tetto dell’Accademia. Il suo primo coltello, quello che lei aveva portato a Capitol City perché non aveva cuore di separarsene. E ora era lì, nell’arena, a pochi centimetri da lui. Ma lei non c’era più.
Mentre Cato era distratto Thresh gli piombò addosso. Lo mandò a sbattere a terra e non perse tempo. La sua enorme lama puntava dritta alla sua testa quando calò il colpo, ma Cato riuscì a spostarsi di poco e quella incise la carne della sua guancia, aprendo una ferita superficiale. Il sangue iniziò a sgorgare. Cato perse la ragione.
Con la sola forza delle gambe spinse via Thresh, facendolo volare in aria. Mollò la spada e si gettò in avanti, verso gli zainetti. Strinse tra le mani il coltello di Clove e per un istante gli sembrò quasi che lei fosse lì, con lui. Al suo fianco.
Mentre Thresh si gettava ancora su di lui, abbassandosi quel tanto che gli serviva per conficcargli la lama nel cuore, Cato alzò il braccio, stringendo con forza il manico del coltello mentre la lama penetrava nella carne del ragazzo fino al manico. Lui spalancò le labbra, sorpreso, facendo cadere la sua arma.
Cato si alzò e lo spinse a terra, sovrastandolo.
In quel momento, iniziò a piovere. Thresh era ancora vivo, respirava a fatica, rantolando e lo guardava con gli occhi sgranati, carico d’odio.
«Tu hai ucciso lei. Ora io ammazzerò te. Avresti dovuto saperlo che sarebbe andata così.»
Lui ridacchiò, sputacchiando sangue. «Lei?» Chiese con voce roca. «Lei aveva ucciso Rue. Meritava di morire.»
Un ringhio gutturale salì per la gola di Cato mentre lui affondava ancora di più il coltello. Thresh strinse i denti, impedendosi di urlare.
«Non dire un’altra parola.» Ringhiò Cato pieno di odio e di ribrezzo.
«Allora ti importava... di lei.» Disse Thresh con enorme fatica, quasi soffocato dal suo stesso sangue. «Credevo che ai Favoriti non importasse di nessuno.» Cercò ancora di ridacchiare, ma finì per tossire.
«Ti sbagli. Era la sola cosa che mi importava. Saremmo dovuti tornare a casa assieme. È tutta colpa tua. Pagherai per questo. La vendicherò.»
Lui fece per replicare, ma ormai non riusciva più a parlare. Cato estrasse con un colpo secco il pugnale e Thresh sussultò, in preda a spasmi di dolore. Cato sentì di essere stato fin troppo misericordioso quando, guardando il nemico negli occhi, calò su di lui il suo ultimo colpo. Dritto nel suo cuore.
Quando Thresh morì, la pioggia iniziò a scrosciare sempre più forte, diventando un vero temporale. Un possente tuono accompagnò il colpo di cannone.
Cato estrasse il coltello dal cadavere del ragazzo e lo strinse forte tra le dita, mentre si chinava a terra, con i gomiti affondati nel fango e le mani che stringevano i capelli biondi fino a fargli male. Il suo grido si confuse con il fragore di un tuono. Le poche lacrime di rabbia che riuscì ancora a versare si confusero con la pioggia e con il sangue che colava dalla ferita che aveva sul viso. Ma non gli importava, nulla gli importava. Aveva vendicato Clove, aveva ammazzato colui che le aveva tolto la vita e il suo corpo sanguinante era a pochi centimetri da lui. Ma nulla di quello gli diede pace.
Il dolore era troppo grande. La disperazione lo attanagliava in una ferrea morsa. La perdita che aveva subito stava facendo riaffiorare la pazzia che lo aveva perseguitato durante tutti gli Hunger Games. Strinse forte il coltello nella mano, fino a che la lama non gli intaccò la pelle del palmo. Ma nemmeno questo gli importava. Nulla aveva più senso. Cato si strinse a quell’oggetto come se ne andasse della sua vita. La lama gli tagliava la pelle, ma non vi badò. Non poteva lasciarlo andare, non poteva farlo nemmeno per un secondo. Perché quel coltello era tutto ciò che gli restava di Clove. Assieme al suo ricordo.
E così sarebbe stato per sempre.


SPAZIO AUTORE

Ok. Bene. Eccomi qua.
Il fatidico capitolo è arrivato. È normale sentirsi male leggendo il proprio lavoro?? No perché... ok, la smetto. Sto bene. Sto bene.
Ho appena ucciso uno dei miei personaggi preferiti della trilogia con le mie stesse parole, ma sto bene D: Alcuni lettori si chiedevano se magari avessi potuto scrivere un “finale alternativo”, sapete, per non distruggerci i feelings di nuovo etc etc...
E anche io ci avevo pensato. Ma poi mi sono detta... stai scrivendo la vera storia di Cato e Clove. O almeno, la mia versione della loro vera storia. Non posso cambiare il finale se sono partita da questo presupposto. Quindi credetemi, avrei voluto farlo, ma non ho potuto. Ad ogni modo, spero non mi odierete per questo! E, più di ogni altra cosa, spero di aver reso bene questo momento, che a parer mio è uno dei più intensi di TUTTA la trilogia ç______ç
Non so che altro dire, sono abbastanza depressa *masochismo mode on* quindi lascio a voi la parola, sperando non mi malediciate x''D No davvero, ci tengo a sapere che ne pensate, quindi resto in attesa di commenti ;) ♥
E vi ringrazio, ringrazio tutti voi, che seguiate la storia qui da efp o da facebook, per avermi seguita fino a questo punto! Senza di voi probabilmente mi sarei fermata molto prima, ma, anche se mi sono trovata a scrivere cose mooolto difficili a livello emotivo, sono felice di essere arrivata fino a qui, e di aver dato una storia ai miei personaggi preferiti :')
Ok, ora taccio davvero!
Al prossimo capitolo... ♥

~ C
   
 
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