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Autore: lithium    24/11/2013    2 recensioni
Fergus Finnigan non può credere alle sue orecchie quando, fresco diplomato dell'Accademia degli Auror, gli viene offerta la posizione di Assistente Personale Temporaneo del Capitano Ronald Weasley. Si imbarcherà in un'avventura roccambolesca, fatta di appunti indecifrabili, auror gelosi, incidenti di percorso e un cattivissimo mago oscuro. E chissà se lungo la strada non troverà anche il tempo per innamorarsi.
Dal primo capitolo: "“Ehi, su, su, ora non fare quella faccia! Dannazione, Hermione mi ha detto un milione di volte che devo essere meno severo con le reclute. Non dirai a nessuno che ti ho spaventato, vero?” Chiese il Capitano, passando in venti secondi netti da minaccioso e terrorizzante all’uomo più sorridente ed accomodante che Fergus avesse mai visto.
Scosse la testa “Nossignore, Signore.”
“Bravo ragazzo! Ci intenderemo alla grande io e te! Certo non hai le gambe che aveva Annette, ma non si può avere tutto. E poi, ripensandoci, credo che siano state proprio le gambe di Annette a causarle quest’increscioso incidente dei gemelli…” disse Ron, pensieroso.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hermione Granger, Nuovo personaggio, Percy Weasley, Ron Weasley | Coppie: Harry/Ginny, Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il caso Mackenzie serie'
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N.d.A. Come si comprenderà dal titolo questo penultimo capitolo è piuttosto tragico, ma c’è sempre speranza a questo mondo. Fidatevi. Buona Lettura. L.

CAPITOLO XIX

DI DISPERAZIONE, DOLORE E DIODORA

Ron aveva urlato.

Percy aveva urlato

Seymour aveva urlato.

Ma nessuno all’interno del dipartimento degli Auror aveva sentito la loro voce.

La  vibrazione creata dall’onda sonora che Audrey aveva evocato si era infranta contro l’incantesimo scudo scagliato da Hermione con lo stesso fragore di mille tuoni che si concentrassero in un solo punto. Tutti i presenti erano caduti al suolo come fulminati, tenendosi disperatamente la testa tra le mani, privati della vista dall’inteso bagliore che aveva pervaso l’ambiente. In piedi era rimasta solo Audrey il suo corpo improvvisamente quasi opaco contro il fascio di luce.

Se qualcuno avesse potuto guardarla ora si sarebbe reso conto che repentinamente i suoi occhi che, sino a qualche istante prima erano stati fissi come se non vedessero nulla, in un certo senso inumani, avevano ripreso il loro consueto colore ed la capacità di focalizzarsi sugli oggetti. Una piccola lacrima simile ad una goccia di pioggia che si era posata sulla guancia ancora luminosa e candida come la neve di Audrey disegnò un minuscolo rivolo su una gota.

Con un suono simile ad un singhiozzo l’Auror ruotò su se stessa, il suo sguardo ancora così terribile da sembrare insostenibile si fissò su Diodora.

La strega si mosse disperatamente, cercando di raggiungere con il braccio la bacchetta che giaceva al di fuori della sua portata, senza poter far affidamento sulle gambe fratturate. Per la prima volta da quando l’aveva rapita, Audrey percepì l’allarme e la sensazione di vulnerabilità nella sua sequestratrice.

Chiudendo gli occhi, Audrey soffiò piano sul pavimento intorno alla strega. Come dal nulla l'aria intorno alla strega si condensò, una gabbia opalescente si materializzò intorno a Diodora, la bacchetta irraggiungibile oltre la sua prigione. Chiusa nel bozzolo creato da quelle che sembravano enormi zanne d’elefante la strega strillò tutta la sua rabbia.

Audrey non la degnò di uno sguardo. Improvvisamente l’estrema fatica che le era costata utilizzare l’immenso potenziale magico durante la battaglia la colse. Ogni più piccola funzione corporea come respirare o tenere aperte le palpebre si stava facendo fisicamente insostenibile. Con le ultime forze che le restavano, gli occhi che già minacciavano di girare all’indietro, l’auror si diresse verso il punto in cui Percy giaceva, le dita saldamente strette intorno al manufatto che Diodora aveva cercato di riprendersi.

** * **

Harry aprì gli occhi. Tutto intorno a lui era poco chiaro, le sue pupille quasi incapaci di vedere dopo il lampo di luce che li aveva accecati. Aveva l’impressione di scrutare ciò che lo circondava attraverso uno schermo lattiginoso.

Alla sensazione straniante che percepiva contribuiva certamente il fatto che non riusciva a percepire più alcun suono attorno a sé. Il forte dolore che aveva percepito quando l’incantesimo lanciato da Audrey aveva impattato contro lo scudo scagliato da Hermione e il piccolo rivolo di sangue che gocciolava lungo entrambe le guance ai lati delle sue orecchie costituivano la prova tangibile che lo spostamento d’aria e l’intensità del suono gli avevano fatto esplodere entrambi i timpani. Si trattava di un infortunio minore, uno che avrebbe richiesto pochi minuti di cure di un Medimago per essere riparato, ma in quel momento il suo effetto era a dir poco terrorizzante. La confusione accentuata da quel silenzio di tomba.

Facendosi forza il Bambino-Che-Era-Sopravvissuto-Per-L’Ennesima-Volta si alzò in ginocchio e poi in piedi aggrappandosi a ciò che restava di quella che era stata una scrivania. La devastazione intorno ai suoi occhi rivaleggiava quella di Hogwarts dopo la dipartita di Tom Riddle: a pochi passi da lui, Seymour giaceva svenuto, la bacchetta ancora in pugno. L’esplosione li aveva colti mentre entrambi cercavano di raggiungere Diodora.

Da dietro un mucchio di detriti, Harry vide spuntare il giovane volto pallido di Fergus Finnigan. Il sangue gli copriva gran parte del volto, ma da ciò che poteva capire non si trattava di nulla di grave.

Era preoccupatissimo, lo vide emettere un sospiro di sollievo accorgendosi che Harry era in piedi, salvo, anche se ferito, poi vide le sue labbra formare una domanda. Sicuramente il giovane gli stava chiedendo freneticamente qualcosa, ma lui non poteva sentirlo. Scosse la testa indicando con le dita le sue orecchie. La bacchetta di Harry era praticamente inservibile, l’esplosione aveva distrutto gran parte del legno della punta, scoprendone il cuore.

Scostando un ciuffo di capelli color sabbia ormai raggrumati di sangue coagulato, Fergus annuì, indicandogli di star fermo. Accostò la bacchetta prima ad un orecchio del Capitano Potter e poi all’altro, mormorando delle parole inudibili.

“Meglio?” Il suono giunse alle orecchie di Harry gracchiante come attraverso un antico grammofono sul quale qualcuno avesse posato un disco pieno di graffi.

“Ti capisco.” Mormorò a mo' di risposta.

Fergus annuì. “Ci vorrà un po’ per tornare come prima, purtroppo, Capitano.”

“Controlla Smith, devo trovare gli altri. E guarisci quella ferita alla tua testa, Fergus.”

L’Auror si precipitò verso l’auror biondo a pochi passi da lui.

** * **

Hector Rednails riprese pian piano i sensi. Tutto era di nuovo visibile intorno a lui. Quanto tutto era esploso, il vecchio Auror si era accasciato contro una parete cercando di proteggere con il suo corpo Thabatha. La giovane era avvolta nelle sue braccia come in un bozzolo, ma la ferita che Fergus aveva tentato di rimarginare si era riaperta e, con suo immenso orrore, Hector si rese conto che la sensazione umidiccia ed appiccicosa, che sentiva contro il braccio dell’uniforme, era determinata dal sangue della sua collega che aveva inzuppato la stoffa.

Facendosi forza, nonostante l’intenso dolore che percepiva per le contusioni in tutto il corpo, Hector decise di tentare il tutto per tutto. Smaterilizzarsi con un ferito instabile era estremamente pericoloso, ma se Thabatha non fosse giunta al San Mungo al più presto non avrebbe avuto alcuna speranza di sopravvivere.

** * **

Ciò che lo colpì per primo fu il suono.

Attraverso le sue orecchie che avevano da poco iniziato nuovamente a sentire, quel rumore giungeva simile ad un latrato. Gli ricordava qualcosa eppure non riusciva a dire esattamente cosa. E poi capì, erano anni che non la sentiva ed ora gli pareva di sentire la risata del suo padrino, Sirius Black. Quante volte Harry aveva desiderato risentirla. Ma c’era qualcosa in quella voce di altrettanto familiare, eppure diverso. Non era la voce di Sirius quella che sentiva, ma quella del suo migliore amico, di suo cognato.

Per un momento Harry fu pervaso da un senso di giubilo. Se Ron rideva, oltre quella montagna di detriti e macerie che gli impediva la vista, significava che tutto era andato per il meglio: Hermione stava bene, il suo bimbo stava bene, Percy ed Audrey stavano bene.

Perché come avrebbe potuto Ron ridere se qualcosa di terribile fosse successo ad una parte della sua famiglia?

Ed allora perché Harry sentiva il sangue gelare nelle vene ad ogni ulteriore passo?

Sbucando oltre le macerie, Harry vide la gabbia eburnea in cui Diodora Mackenzie schiumava di rabbia e rancore, le sue urla si univano e ricorrevano con l’unico altro suono che colpiva le sue orecchie ronzanti.

Poi mentre i suoi occhi prendevano cognizione della scena devastante innanzi a sé, Harry capì.

Non era una risata.

Non era un urlo.

Era il suono più disumano che il Capitano Potter avesse mai incontrato sulla sua strada.

** * **

Neville Paciock non era un Auror. Non aveva mai avuto il desiderio di esserlo, non aveva mai avuto l’inclinazione di combattere in vita sua, ma era un uomo coraggioso, suo malgrado. Lo era stato da ragazzo, si era ricordato di esserlo quando Hermione Granger-Weasley era comparsa una mattina nel camino della sua camera da letto per chiedergli aiuto.

Aiuto. Non sembrava altro che una parola quando qualcuno si soffermava a pensarci. Eppure Neville aveva fatto tutto ciò che era in suo potere per aiutare il Trio Magico.

La sua vita era cambiata il giorno in cui Neville aveva conosciuto una bimba saccente dai capelli incredibilmente cespugliosi che si era offerta di aiutarlo a cercare Oscar, il suo rospo. Cresciuto fondamentalmente solo, il bambino pacioccone, impacciato e spaurito, cercando un anfibio, aveva trovato degli amici, uno dei tesori più preziosi della vita.

Molte volte Neville aveva combattuto nella sua vita a fianco del Trio Magico, prima nell’Esercito di Silente e poi nella Battaglia Finale, diverse volte si era trovato ad affrontare situazioni spiacevoli e disperate: quando aveva tagliato la testa di Nagini con la spada di Godric Grifondoro, il ragazzo non sapeva perché uccidere quel tremendo serpente fosse tanto importante, ma la fede in Harry l’aveva guidato.

Come quella volta, anche questa Neville aveva accettato di essere parte della battaglia, fidandosi completamente della parola dei suoi amici, anche questa volta si era reso conto che, per quanto non avesse in fondo mai smesso di dubitare di sé, il suo aiuto poteva essere prezioso.

Eppure in quel momento Neville non sapeva assolutamente che fare. Si sentiva come paralizzato nel punto in cui si trovava. I suoi occhi incontrarono quelli di Harry e, per un attimo, nonostante le differenze somatiche, l’insegnante si sentì come di fronte ad uno specchio: l’orrore e la disperazione presente negli occhi dell’amico, simile a quello che sentiva crescere nel suo petto.

Vide Harry cominciare a tremare in tutto il corpo, come se un vento gelido l’avesse investito, facendogli battere i denti. Fu in quel momento che Neville comprese che doveva riprendere il controllo di sé. Era necessario.

Concentrandosi intensamente sul movimento delle sue gambe, l’uomo si mosse pian piano, verso il punto in cui il corpo di Ron Weasley gli appariva per la prima volta da quando lo conosceva piccolo. Sapeva che non poteva essere possibile. Il rosso aveva sempre sovrastato in statura tutti gli altri, il suo corpo per anni incapace di tenere il passo con la costante crescita delle sue ossa.

Eppure ora, seduto sul pavimento coperto di ciottoli e polvere, la schiena scossa dai singhiozzi con il corpo di Hermione tra le braccia, Ron, uno degli uomini più forti e coraggiosi che Neville avesse mai incontrato, pareva più sperduto e piccolo di un neonato.

A pochi passi dalla coppia, Audrey se ne stava riversa sul corpo di Percy. Neville poteva vedere il corpo dell’Auror respirare flebilmente, mentre il sangue che gocciolava dal fianco del procuratore Weasley imbrattava la veste bianca come la neve che ancora indossava.

Alzando lo sguardo verso Harry, urlò “Chiama Fergus, presto.”

Per un attimo Harry batté le palpebre come se non avesse compreso le parole di Neville, poi annuì e corse indietro per la strada da cui era venuto.

Cercando di ingoiare l’enorme groppo che gli ostruiva la gola, Neville si avvicinò a Ron, toccandogli la spalla.

“Ron…” chiamò piano, ma l’Auror continuò il movimento meccanico simile a un ninnare la donna che aveva tra le braccia, senza dar segno che aveva compreso.

“Ron, ti prego…”

Alla terza volta che Neville pronunciò il suo nome, Ronald Weasley alzò il volto dal corpo esanime di sua moglie e per un attimo il suo amico di infanzia ebbe difficoltà a riconoscerlo.

Per tutti gli anni in cui l’aveva conosciuto in Ron c’era stata come una scintilla, un'inesauribile forza vitale. La vita l’aveva presa a calci, maltrattata, magari oscurata per un poco, ma era sempre stata lì. Ora quel bagliore di vita sembrava essere scomparso.

Fissando gli occhi azzurri del Capitano Weasley per la prima volta Neville non vi scorse nulla se non muta, abissale disperazione. Con la coda degli occhi, prese nota di Fergus che arrivava trafelato a soccorrere Percy ed Audrey.

“Ho bisogno di aiuto, Capitano… Non posso… Il San Mungo… Qualcuno chiami il San Mungo…”

Le parole spezzate e disperate del giovane Auror gli arrivarono sommesse, mentre le sue mani cercavano di sciogliere le nocche di Ron dall’abbraccio mortalmente stretto in cui stringeva l’esile corpo di Hermione.

Sentì Harry chiamare i soccorsi servendosi del particolare medaglione che ogni Auror portava al collo. Era un miracolo che non si fossero tutti infranti con l’onda sonora provocata da Audrey. Quello che Ron portava al collo, giaceva contro il suo petto, inservibile e spezzato tanto quanto l’uomo che lo portava.

Vide i Medimaghi intervenire come al rallentatore. Le barelle apparire nell’aria come dal nulla e per tutto il tempo, la voce sommessa di Neville pregò Ronald Weasley di mollare la presa, di lasciare andare il corpo senza vita di Hermione. Nemmeno una montagna avrebbe smosso la volontà di ferro di un uomo a pezzi.

Vagamente udì Harry avvicinarsi, unire la sua voce disperata alla sua.

Vide Fergus aiutare i medimaghi a trasferire il procuratore Weasley su una barella.

La battaglia era stata vinta ancora una volta, ma qual’era il prezzo ?

Un sonoro crack segnalò che il ferito era stato portato all’ospedale.

** * **

Audrey riaprì gli occhi sentendo un forte pizzicore in tutto il corpo.

Le veniva da vomitare, ma più di tutto sentiva la mancanza di Percy. Non sapeva come ma aveva l’acuta certezza che non fosse più lì con lei.

I suoi occhi incontrarono alla cieca quelli di Fergus. Il giovane auror stava piangendo, ma quando la vide rinvenire tentò di sorridere, mormorando “Non preoccuparti Audrey, torneranno presto a prenderti. Il Procuratore Weasley è al San Mungo. Andrà tutto bene, vedrai.”

Eppure la voce di Fergus diceva che nulla andava bene e, poi, Audrey ricordò, come qualcuno che nel bel mezzo del giorno a furia di pensare riesce a ricostruire il significato di un sogno caparbiamente dimenticato.

Hermione. Il suo scudo che salvava l’uomo che Audrey amava più della sua stessa vita, l’uomo che era stata ad un passo dal disintegrare con le sue stesse mani.

Hermione di cui Ron parlava come se camminasse a dieci centimetri da terra, come se le sue parole fossero di zucchero filato ed il suo corpo il tempio più prezioso che un uomo avesse mai avuto la fortuna di adorare. Nel primo bagliore di piena coscienza che aveva avuto dopo giorni di prigionia, aveva sentito l’urlo di Hermione, aveva percepito il suo incantesimo infrangersi contro l’onda di magia pura che aveva creato. Dov’era ora Hermione?

La domanda silenziosa nei suoi occhi trovò risposta seguendo lo sguardo di Fergus.

Tre uomini con le teste chinate di tre colori differenti stavano inginocchiati sul pavimento, quella che sembrava una minuscola bambola di pezza tra loro.

Non era possibile.

Non era giusto.

Non Hermione. Non lei. Non la vita che racchiudeva dentro di lei.

Non poteva permetterlo nemmeno se quell’ultimo sforzo l’avesse uccisa. Afferrando con tutta la forza che le restava il pugno di Fergus, mormorò quasi impercettibilmente “Su”.

Vide l’auror Finnigan scuotere la testa, ma al contempo, benché si vedesse che non lo considerava saggio, Fergus l’aiutò a sollevarsi, tenendola praticamente in piedi per le spalle, non prima che la destra di Audrey si fosse chiusa contro quella sfera liscia come una pietra di fiume che tanto dolore e sangue aveva portato.

Sorretta, praticamente sollevata da Fergus, Audrey si avvicinò al quartetto con il manufatto stretto saldamente tra le mani.

Il volto di Hermione era candido come la neve.

Vide i tre uomini che la circondavano guardarla in volto, prima che Harry pronunciasse sommesso “Non è colpa tua.”

Ma al momento non era una questione di colpe. Era una questione di vita e di morte e degli ultimi riverberi di magia pura che Audrey sentiva vibrare nel suo corpo. Il manufatto tra le sue mani si era fatto improvvisamente calmo. Respirando affannosamente, come dopo una tremenda corsa, l’Auror lasciò che tutto il suo corpo fosse investito per l’ultima volta da quella potenza.

Il suo corpo cominciò a tremare convulsamente tra le braccia di Fergus, così forte che l’auror dovette utilizzare tutta la sua capacità per non farla cadere.

Come se fosse allo specchio, anche Hermione cominciò a muoversi tra le braccia di Ron, strappando all’uomo un gemito di sorpresa.

Il corpo dell’Auror divenne per un momento ancora luminescente mentre allungava la punta del dito indice verso la guancia di Hermione.

Quando la pelle di una donna toccò quella dell’altra successe l’inverosimile. Il manufatto che Audrey stringeva nell’altra mano volò in aria. Il corpo di Hermione assunse per un momento la stessa fosforescenza di quello di Audrey prima che, come risvegliata da una scossa elettrica, i suoi occhi si aprissero di scatto proprio nel momento in cui Audrey s’accasciava tra le braccia di Fergus.

Tutto si fece buio, tranne per le due donne, una che diveniva sempre più luminosa e l’altra che perdeva luce. Il manufatto crollò sul pavimento tra di loro, con un clang metallico.

Un’enorme fiamma si sprigionò dal suo interno, vorticò oltre le teste degli auror e di Neville infrangendosi contro la prigione di Diodora qualche metro più in là.

Fu un attimo.

 

Il tempo di sentire il grido della maga.

Quando staccandosi dal gruppo Harry corse verso di lei, nulla più restava di Diodora Mackenzie se non un mucchietto di cenere distrutta da quella stessa fiamma gelata che aveva rincorso per mesi.

Poco più in là uno spaurito gruppo di persone guardava senza capire i corpi di due donne, una viva, l’altra esanime e Ronald Weasley stringeva sua moglie, fissando incapace di comprendere la donna di suo fratello, la testa gettata all’indietro tra le braccia del suo assistente personale.

Come avrebbe spiegato a Percy che il motivo per cui Hermione era tornata da lui era perché aveva permesso ad Audrey di prenderne il posto?

   
 
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