Fanfic su attori > Ben Barnes
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Autore: saraviktoria    24/11/2013    2 recensioni
Dal prologo:
"oddio, chi lo vorrebbe morto?"
"tanto per fare un esempio? Io " certe volte era proprio una bambina. Stava a me riportarla con i piedi per terra. Ma al nostro capo non piaceva molto il mio modo di fare. Era lì, seduto dietro la scrivania, che ci guardava beccarci come due galline. È che proprio non la sopportavo. Ma dico io, con tutta la gente che lavora qui, proprio lei dovevo beccarmi? E, come se non bastasse, adesso anche questo. Avevo ventotto anni, avevo passato due anni a fare l'addestramento a Norfolk, diciotto mesi di servizio attivo a bordo della Enterprise, sei sulla Kitty Hawk, prima di diventare un agente di servizio ordinario della CIA. E ora mi sarebbe toccato fare da baby-sitter a un attore strapagato, viziatissimo e pieno di sé?
Genere: Azione, Erotico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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buonasera tutte/i!
eccomi tornata, questa volta con due capitoli, di cui l'ultimo un po' più lungo del solito :)
ci tengo a precisare che sono conscia del fatto che il capitolo 35 è un tantino surreale ma, quando la mia fantasia ha partorito l'idea, non sembrava così tanto strano. lo è sembrato rileggendolo ora, dopo qualche tempo. ma, nonostante tutto, continua a piacermi, e spero piaccia anche a voi
buona lettura
baci
SaraViktoria
 

35-cretino, era una battuta. Non puoi fare niente, nessuno può fare niente

"quindi qui ti chiamano Axenne?" chiese, dopo un po'

"già. Ti piace?"

"vuoi la verità?" cosa me ne fregava? Gliel'avevo chiesto solo perché non mi andava di rimanere in silenzio, perché volevo poter parlare il più possibile inglese. "preferisco Chantal"

"e allora fai in modo che possa tornare in America, Mago Merlino!"

"cosa posso fare?"

"cretino, era una battuta. Non puoi fare niente, nessuno può fare niente" risposi, intristendomi .

Non era da me fare la melodrammatica, ma dovevo ammettere che in quel momento non mi era venuto  in mente niente di meglio. Anche perché sapevo di avere ragione. Potevo solo aspettare. Aspettare e sperare.

"non hai appena detto che alla gente importano le dicerie e i pettegolezzi, no?"

"non esattamente" corressi, ricordando le mie parole "ma il succo è quello" liquidai, cercando di capire dove volesse andare a parare.

"se la gente ti credesse colpevole, potrebbe ricredersi vedendoti in giro con qualcuno di importante"

"potrebbe. Ma purtroppo la casa bianca non è sulla mia lista di posti da visitare"

"parlavo di me"

"tu ti consideri importante?" chiesi, scettica.

"era per dire. " acconsentì "ma, per quanto tu faccia fatica a crederci, c'è gente che segue i miei film"

"non posso non crederci" obbiettai "lavoro con Anne, ricordatelo. Solo, non credo che possa funzionare"

"e perché no? Anche se mi conoscono in pochi" ammise "quando la gente vede gli attori, pensa solo il meglio, finché non sono coinvolti in qualche scandalo. E fanno lo stesso con chi li accompagna, è una reazione psicologica del subconscio  … "

"ti prego, evita la psicologia!" esclamai.

"hai capito?"

"sì, credo di sì. Anche se per me non funziona"

"parlerò con il tuo capo" risi

"e secondo te il direttore della CIA accetterà una soluzione con tutte queste incognite? E la Simmons?"

"secondo te sono scemo? No … non voglio una risposta. Anne può farsi vedere con un mio collega, Will "

"perché non potrei stare io con questo Will?" chiesi, accusatoria

"perché l'idea è stata mia. E decido io. Quante ore ci vogliono per arrivare in America?"

"otto o dieci, dipende" si alzò in piedi di scatto, poi mi porse una mano. Che ovviamente ignorai: ero capace di rimettermi in piedi anche da sola, grazie.

Tornammo alla fattoria, dove convinsi Andrè a dargli un passaggio fino a Bordeaux.

"ci vediamo presto" feci una smorfia "e dai! Se tutto va bene, potrai tornare in America!" mi lasciai abbracciare anche perché, nonostante tutto, era una delle poche speranze che mi erano rimasto. La più ovvia e sicura sarebbe stato aspettare che la giustizia americana facesse il suo corso.

Sì, come no.

"Axenne, alors!"

"pardon" borbottai, fermandomi . Era mezz'ora che andavo avanti e indietro per il soggiorno, era naturale che perdesse la pazienza.

Era passata una settimana da che Barnes se n'era andato, e stavo per cedere alle mie convinzioni pessimistiche: dovevo aver ragione io, la sua idea doveva essere una cazzata.  E la cosa non mi faceva molto piacere, soprattutto perché, per un attimo, avevo creduto di poter tornare a casa, alla vita di tutti i giorni, al mio ufficio. Non potevo nemmeno chiamare i miei genitori, e iniziavo a pensare alla sgridata che mi sarebbe toccata non appena avessi rimesso piede sul suolo statunitense. Ma non era niente, in confronto al resto. In confronto alla prospettiva di rimanere bloccata per tutta la vita in quel paesino sperduto nel nulla.

 Neanche a dirlo, il mio futuro era nelle mani di un ragazzo scemo e della sua idea, ancora più scema.

Neanche a dirlo, mi trovavo a sperare che funzionasse.

Quando ormai stavo perdendo la speranza, cercando di adattarmi a quella vita strana e assurda, ricevetti una chiamata.

"Axenne, c'est pour toi!" urlò Andrè dall'altra stanza. Non sapevo nemmeno che ci fosse un telefono in quella casa. Titubante, andai a rispondere

"Halo?"

"Chantal? Dimmi che sei tu, ti prego, che quell'uomo …" risi. Il direttore non parlava francese.

"sì, direttore, sono io. Come sta?"

"come stai tu!"

"diciamo che ho passato momenti migliori. Ci sono novità?" chiesi, torturando il filo arricciato del telefono.

"forse" trattenni il respiro "c'è di buono che nessuno sapeva esattamente chi ci fosse a bordo della Roosevelt, e l'equipaggio si è dimostrato particolarmente collaborativo. Ma non ti ho chiamato per questo. Ricordi quel ragazzo che avete protetto in Inghilterra?" ma mi stava prendendo in giro? Sogghignai "a quanto pare sì … beh, è venuto in ufficio da me qualche ora fa, proponendomi una soluzione interessante. La vuoi sentire?"

"lo so già, grazie" borbottai "gli dica anche lei che è una cosa inutile"

"io non trovo. Se ci aggiungi il fatto che nessuno può essere certo della vostra presenza su quella portaerei …"

"va bene, ho capito. Ma secondo lei potrebbe, anche solo lontanamente, funzionare?"

"perché no? E soprattutto, cosa ci costa provare?" dovetti arrendermi davanti alla lampante veridicità di quell'informazione. Anche se non l'avrei mai ammesso. Non risposi, e lui lo prese come un sì.

"sto per dirti qualcosa che ti farà felice: ho parlato con alcuni miei collaboratori, tu e Anne potete tornare quando volete"

"davvero??" chiesi. Non ci potevo credere.

 

36-posso dirti che stai bene? Posso dirti di andare aff...

"a quanto pare mi devi un favore"

"vedi di non farmi cambiare idea" borbottai minacciosa, brandendo in mano un paio di scarpe. E stavo veramente cambiando idea. Se all'inizio ero più che felice di poter tornare in America, al mio lavoro e, soprattutto, in un paese dove c'era traffico al mattino, mi stavo lentamente ricredendo. Non tanto per l'America in sé -adoravo McLean e Langley-, ma piuttosto per le conseguenze di tutto quello. Secondo il direttore, avremmo dovuto farci vedere in giro con Barnes e il suo amico, tale Will. Non avevo capito che intendeva anche per feste, eventi mondani e quant'altro. Avevo cambiato idea non appena ci ero arrivata. Perché io vestiti non ne mettevo. E, cosa più importante, non portavo i tacchi. Per nessun motivo. Li tenevo in mano, aspettando che, o un fulmine li colpisse dandogli fuoco, o la donna che si occupava dell'immagine di quei due attori cambiasse idea. Inutile dire che non avvenne nessuna delle due cose.

"signorina, che facciamo?" mi incitò la donna. Era alta, bionda ossigenata, sui quarantacinque, vestita in modo classico. E se lei poteva stare in tailleur, perché io dovevo essere vestita così?

"posso dirti che stai bene?"

"posso dirti di andare aff … "

"no, non puoi" mi fermò Anne, agghindata secondo la sua migliore idea di eleganza. Barnes rise. E ti pareva. Tra l'altro, lei avrebbe passato la serata con un ragazzo biondo, molto più giovane di lei, inglese e decisamente più simpatico del principe Caspian. Perché? Parlava poco, anzi,pochissimo.

Alla fine mi convinsero a mettere anche le scarpe, dato che non ero intenzionata a uscire a piedi nudi

"Barnes, sai guidare all'americana?" chiesi, ricordandomi di quello che mi aveva detto qualche tempo prima. Stava arrivando l'estate e, anche se in Virginia a fine maggio la temperatura non superava i 15° -di notte- mi sembrava vestito un po' troppo pesante.

"e che cos'è, uno stile?" rispose lui, facendomi ridere, nervosa. c'era un altro problema. Oltre al vestito, alle scarpe e all'acconciatura troppo elaborata, mi preoccupavo per il trucco. Sapevo che Anne correva in bagno a sistemarsi minimo ogni due ore e molte nostre colleghe la seguivano a ruota. Sapevo che non sarei mai arrivata a tanto, anche perché non avrei saputo da dove cominciare, ne tantomeno mi importava il make-up.

In effetti, dovevo ammettere, se la cavava meglio di me, alla sua prima guida a destra. Forse perché non era la prima volta, forse perché era lui quello che viaggiava in continuazione.

"tu mi devi ancora una risposta"

"davvero?" chiesi, sincera. Non riuscivo a capire a quale delle tante domande senza risposta si riferisse.

"volevo un bacio"

"ti ho già risposto" ribattei, acida. Ma ancora ci provava?

"allora posso baciare Axenne?"

"Axenne non esiste più, grazie al cielo" per fortuna in quel momento dovette fermare l'auto davanti all'hotel che avrebbe ospitato a festa. Era la seconda volta, per mia sfortuna, che mi toccava andare a una festa del genere. Speravo solo che finisse presto. Tra l'altro, pensai sarcastica, era sempre colpa sua. Che fosse stato mandato da qualche strana divinità per sconvolgermi la vita?

 

 

Il salone era spettacolare. c'era un lampadario enorme al soffitto, quadri alle pareti, tavoli apparecchiati in bianco e oro. Sapevo apprezzare l'arte, dopotutto. Piccolo neo, c'erano anche parecchi giornalisti

"avanti, Chantal, dovresti esserne contenta" mi sussurrò a un orecchio l'inglese. Ancora non riuscivo a trovare gradevole quel suo accento."saranno la vostra salvezza"

"sai, sto iniziando a pensare che forse sarebbe stato meglio rimanere in Francia" borbottai, cercando di sorridere. Mi facevano male i piedi. E la testa, anche se non capivo cosa c'entrasse. Avevo mal di testa molto spesso, ultimamente. Ovviamente ero felice di poter dare la colpa a lui.

"signor Barnes, ha un minuto?" chiese una giornalista, con due occhi grandi come piattini. Sembrava un gatto in cerca della sua preda. O è più giusto dire tigre?

"come no. Chantal, vieni?" la donna ci portò in un angolo riparato della sala, seguita a ruota dal suo cameraman.

"cosa la porta in America?" gli chiese, inquisitoria.

"non potevo mancare a una festa così ben organizzata" rise lui. Mi distrassi, finché non sentii il mio nome. Barnes stava rispondendo a una domanda che non avevo sentito

"lei? È la mia Chantal " disse, con un accento troppo marcato su 'mia'. La giornalista ridacchiò, cristallina.

"Chantal … sei francese?"

"canadese" mormorai, pensando che le sarebbe bastato sentirmi parlare per capirlo anche da sola

"Canada … signor Barnes, le bellezze di casa sua non le piacciono?"

"oh, le ragazze inglesi sono molto belle" rispose, sempre ridendo. E adesso avevo capito il perché. Dopo tutto quello che avevo detto e pensato su e contro di lui, dopo tutte le volte che gli avevo fatto capire quanto mi costasse sopportare la sua presenza, ora mi toccava stare in silenzio, mentre parlava di me ai quattro venti, lasciando intendere che non era solo un rapporto professionale. Non lo era, lo sapevo bene, ma erano affari miei. E poi ero io la stronza?

"mi sta dicendo che state insieme?" riprese la giornalista

"come si dice?... Non confermo ne smentisco " rideva apertamente, ormai,  tanto che credo che anche la giornalista si stesse facendo qualche domanda.  Ci lasciò poco dopo, decisamente confusa. Allora non ero l'unica a cui faceva questo effetto, grazie al cielo!

"cos'hai?"
"secondo te?" mi guardò interrogativo "stai lasciando intendere a mezzo mondo che stiamo insieme!" bisbigliai, concitata.

"non sei contenta?"

"secondo te?" gli feci il verso. Rise. Ma perché rideva sempre? Oh, certo, perché secondo uno dei giornali che da giorni mi facevano trovare la mia scrivania -che carini i miei colleghi, li avrei strozzati tutti- il suo sorriso era 'disarmante'. Già, come no.

"ma proprio non mi sopporti, è?"

"se non fossi un attore 'famoso' che si diverte ad avere una schiera di ragazzine che gli sbavano dietro … no, nemmeno in quel caso. "

"e se tu non fossi stata un agente segreto tanto scorbutico,  io …  " si fermò, forse a pensare. Ma che dico? Non aveva un cervello. Si fermò solamente perché il criceto che andava sulla ruota nella sua testa doveva prendere fiato. Fatto sta che diventò tutto rosso e fece passare gli occhi su tutta la sala, finché un giornalista alto a magrissimo non catturò la sua attenzione

"Ben! Anche tu qua?"
"ciao,Max!" si batterono il cinque.

"e questa bellezza chi è?" chiese, interessato. Oh, ma i giornalisti dovevano essere fatti tutti con lo stampino?

"lei è Chantal,Max" mi tese la mano e gliela strinsi.

"se scrivo che state insieme mi fai causa?" chiese il tale chiamato Max, ghignando

"non sarai l'unico, non posso citare tutte le testate di gossip" continuarono a scherzare così per un po', tanto da farmi capire che di eventi mondani ne avevo avuto abbastanza per una vita intera.

Fui felice di potermi allontanare, sentendo suonare il telefono in quella specie di buco che mi avevano convinto essere una borsa. 

   
 
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