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Autore: Patosangel32    24/11/2013    7 recensioni
E se Clary avesse sempre saputo di essere una Shadowhunter? Se Valentine l'avesse addestrata insieme a suo fratello Jonathan, il quale è solo un pupazzo tra le mani del padre? Avete mai provato ad immaginare cosa sarebbe successo se la rivolta non fosse mai scoppiata? Come avrebbero fatto Magnus e Alec ad incontrarsi? Ed Izzy e Simon? E possibile che due anime che siano fatte per stare insieme, si ritrovino sempre in qualunque circostanza?
Dal capitolo 15:
-“Potresti avere di meglio, Jace. Sono solo una ragazzina con problemi familiari che…” ha paura di amare.
-“Voglio te, e questo dovrebbe bastarti” mormorò Jace con voce soave. Riprese a baciarla ma poco dopo Clary si fermò. Di nuovo.
-“Hai aperto tu la finestra prima?” chiese Clary che aveva sentito un brivido di freddo accarezzarle la pelle laddove il corpo di Jace non la copriva.
-“No, sono stato io.” disse ad alta voce qualcun altro nella stanza.
Genere: Angst, Avventura, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: OOC, Otherverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Due consigli. Innanzitutto parliamo del titolo Vide Me è latino (lingua di Stephen Herondale, che l’Angelo lo benedica <3) e vuol dire Fidati di me.
Seconde indicazioni, nel testo specialmente nella seconda parte sono presenti vere e proprie citazioni di Isabelle dalla saga. Sono in generale le mie preferite, ma non le ho messe in evidenza.
Eeee niente, immagino che perdoniate la mia predilezione alla Sizzy, ma io li amo!
Lasciate una recensione :* Lettori/lettrici passate a trovarmi su questa paginettaCherik Italia ! È una ship bella quanto la Malec...

With Love,
-A.
 
 

Vide me

Un odore dolce, di sangue,
 mortalità e gardenie
Simon Lewis
 
 
 
Clary sentiva la gola serrata, come se le avessero colato cemento armato nei polmoni. Una vocina nel cervello le stava urlando “Jonathan non ha fatto niente. Non è un mostro”. Ma la realtà era un’altra. Lei sapeva inventare rune, l’ultima che continuava a comparirle davanti ogni trenta secondi ne era la prova, e Jace spiccava voli angelici senz’ali. Perché Jonathan doveva essere dannato?
-“Clary!” gridò Jace da dietro. La ragazza non voleva che Jace la vedesse piangere. Voleva stare sola in quel momento per compiangere tutta la sua vita marcia, vittima di un padre squilibrato con enormi disturbi mentali. Non poteva parlare con Jace perché aveva appena dichiarato ad alta voce di odiare suo fratello e perché era l’unica persona che poteva capirla. Jace la leggeva come un libro aperto lasciato alla portata di tutti su una scrivania in un biblioteca. La capiva e bastava solo che la guardasse negli occhi. La spogliava con lo sguardo di tutte le insicurezze, e in quel momento, Clary non aveva bisogno di essere abbracciata. Non aveva bisogno dei baci di Jace, né delle sue parole confortanti. Voleva vederci chiaro da sola, ma quando Jace si avvicinò ad un passo dalle spalle di Clary, la ragazza si passò una mano sotto gli occhi per asciugarsi le lacrime, e si voltò lentamente.
Jace le alzò il mento con un dito e i loro sguardi si incrociarono. Clary adorava gli occhi di Jace, ci vedeva la ricchezza della sua intelligenza, della furbizia e della passione. Nessuno dei due aveva mai provato un sentimento tanto forte per un’altra persona, e Clary non sapeva come poterlo dire a Jace, che la fissava senza sorridere. Era silenzioso nella sua preoccupazione, che riempì il cuore di Clary come se per anni fosse stato totalmente vuoto.
-“Jonathan non è un mostro” sussurrò per convincere se stessa. Jace scosse la testa lentamente senza staccarle lo sguardo dal viso. Passò un pollice sugli zigomi di Clary per assicurarsi che non ci fossero lacrime a bagnarle il viso. Clary affandò tutto il viso nella mano di Jace, che accolse l’invito e alla fine la circondò con tutto il suo corpo. La testa di Clary gli arrivava al petto tanto da poter sentire il battito veloce del suo cuore. Clary strinse il borso della maglietta nera di Jace, e scoppiò a piangere di nuovo. Sapeva che non sarebbe bastato neanche Jace. Era indubbiamente bellissimo aver trovato qualcuno che le stesse vicino, ma non bastava perché nessuno sapeva cosa voleva dire voler bene a suo fratello. Se Jonathan fosse un demone, a Clary non lo aveva mai fatto notare. Si ricordò di quando erano più piccoli e lui le faceva spazio sulla tovaglia a quadretti che stendevano sul prato di fronte casa a fissare le nuvole del cielo di Alicante. Ognuno immaginava e dava alle nuvole le forme che voleva. Si ricordò di quando Jonathan salisse sugli alberi più alti a leggere i suoi libri preferiti. Solo a Clary era permesso salire, perché era l’unica che voleva ascoltarlo. Clary aveva ammirato il cambio di voce del fratello, un tempo voce da bambino, poi divenuto grande. Era graffiata quel tanto che bastava da farlo sembrare grande e impavido. E quando rideva le sorrideva con i suoi denti dritti e bianchi, un sorriso che conservava solo per i momenti tra fratelli. Che altro motivo aveva Jonathan di ridere? Quando suo padre non c’era passava il tempo sui libri di greco e latino, quando c’era ed era di buon umore lo faceva sudare per l’addestramento, e quando invece il suo umore era scuro come gli occhi di Jonathan, suo fratello doveva subire fisicamente tutta la sua ira.
-“No, no, no.”
-“No, cosa?” chiese Clary con la faccia schiacciata contro il petto di Jace. La sua maglietta era macchiata delle sue lacrime, ma continuava a profumare di limone e pulito, odori che Clary associava direttamente a Jace.
-“Non riesco a vederti piangere” sussurrò Jace al suo orecchio. Clary prese un bel respiro, e insieme un’inalazione del suo profumo, si distanziò da Jace.
-“Ha ancora un briciolo di umanità, vero Jace? Lui non è perduto. E’ mio fratello..” disse Clary come se quella motivazione potesse bastare a chiarire tutto. Jace non rispose rimase a fissarla con l’espressione contrita di uno che vuole dire come stanno veramente le cose, ma ha paura di ferirti. Eppure Jace, dice sempre le cose come stanno. Jace non si tiene mai nulla. Isabelle una volta, aveva detto a Clary che se non vuoi sapere la verità non devi chiederla a Jace, perché lui non ha peli sulla lingua. Eppure esitava.
-“Non è colpa sua. E’ colpa di Valentine. Mio fratello… è così per colpa sua.” Clary continuava a ripeterlo come un mantra. La ripeteva così le si sarebbe impressa nel cervello, e se un giorno avesse rivisto Valetine, gliel’avrebbe fatta pagare.
-“Lo so, Clary” disse Jace sottovoce. Poggiò la fronte sulla sua e il suo respiro leggero solleticava le ciglia di Clary. Circondò il collo del ragazzo alzandosi sulle mezze punte, e gli stampò un bacio sulla bocca piccolo e sfuggente come a dirgli Grazie per esserci adesso, Jace.
-“Ci sarò sempre per te, questo sia chiaro.” Le rispose ad alta voce.
 
Simon era rimasto accanto ad Isabelle quando il biondo aveva seguito la sua ragazza lontano dalla stanza. Isabelle si era subito rabbuiata e gli aveva sussurrato all’orecchio di aver bisogno di un po’ di aria fresca. Simon si era offerto di accompagnarla per paura che fosse ancora troppo turbata per rimanere da sola in un posto noto come ‘Foresta Nera’. Qualcuno si è mai chiesto perché si chiama così? Beh, a Simon non serviva sapere la storia, bastava l’aggettivo Nera a farlo preoccupare.
-“Non avrei dovotu dire tutte quelle cose, vero? Non ci ho pensato… Clary era lì e io le ho sputato in faccia la realtà. Sono una persona crudele” blaterava Izzy tutta corrucciata. A Simon piaceva il modo i cui teneva il muso. Le sue morbide labbra rosate si piegava all’ingiù in modo quasi impercettibile. Il ragazzo si ritrovò a sorridere nonostante la gravità della situazione.
-“Perché sorridi?” chiese Isabelle bruscamente. C’erano due lati di Isabelle che Simon aveva capito: uno era quello formato da una crosta esterna che a momenti non avrebbe fatto traspirare neanche l’aria ed era quello che Izzy usava con tutti; l’altro era quello più vulnerabile, la parte di Isabelle più profonda e fragile, la Izzy che piange insomma, che non era visibile a tutti. E se Simon era riuscito a scorgerle entrambe , doveva esserci un motivo no?
-“Tu non sei crudele, Isabelle. Hai solo un modo schietto di dire le cose, ma cosa ci puoi fare tu? Hai dovuto affrontare situazione che nessuno avrebbe voluto neanche solo immaginare per se stesso, non è colpa tua.” Disse Simon stringendosi nelle spalle. A lui piaceva un sacco guardare Isabelle indossare la sua felpa. Non le stava male, forse un po’ abbondante ma siccome Isabelle era dotata di lunghe braccia, le andava anche giusta di manica.
-“Come fai a capirmi così?” chiese lei sussurrando. Forse aveva sperato che Simon non la sentisse, ma il suo udito era molto sviluppato, diciamo.
-“E’ come se ti avessi già conosciuta. Non dirmi dove e neanche quando perché sono quasi sicura che la prima volta in cui ti ho vista è stata oggi.” Simon cercava di tenersi lontano da Isabelle. Il vento continuava a scuotere i capelli di Isabelle e propagava il suo profumo tutto intorno. Senza riuscire a fermarsi, sentì un morso di fame proprio al centro dello stomaco. Ma non poteva essere perché aveva mangiato poche ore prima.
-“Vorrei potermi fidare veramente di te.” Sussurrò Isabelle mestamente. Gli occhi scuri avevano preso il colore della notte intorno, e Simon non riusciva a scorgere niente che non fosse tristezza.
-“Perché non puoi?” chiese Simon lottando contro il dolore lancinante. Quando un vampiro ha fame, ha fame. Non ci si può sbagliare. Ecco spiegati i sensi super sviluppati, in condizioni di sazietà Simon non avrebbe sentito l’odore speziato di Isabelle, ecco spiegati i canini che premevano per uscire.
-“Tutti gli uomini che ho incontrato mi hanno tradito. Mi hanno fatto del male… a parte Alec, ma lui è mio fratello” diceva Isabelle avvicinandosi lentamente. Simon notò con grande interesse, il modo leggero in cui i piedi di Isabelle toccavano il suolo. Sembravano nati per non fare rumore.
-“Quanti sarebbero questi tutti ?” chiese Simon sforzandosi di non sorridere. Gli aveva fatto piacere essere definito ‘uomo’, ma avrebbe risposto che lui era un vampiro. Mostri succhiasangue, allergici alla luce del sole… è chiaro, no?
Isabelle rise questa volta di gusto.
-“No, no, Simon. I ragazzi con cui esco in genere sono innocui. Dicono in giro che io prenda i loro cuori e ci cammini sopra con i tacchi a spillo. Io parlo di uomini, di cui mi sono fidata. Mio padre è in cima alla lista. Ora spiegami tu, come posso fidarmi di te? Come posso sapere che tu non mi ferirai come gli altri? I cuori si spezzano, e pure quando si ricompongono non si torna più gli stessi di prima” disse Isabelle pericolosamente vicina. Simon aveva le idee annebbiate, i pensieri sconnessi, era tutti istinto e niente razionalità. Lottò contro la sua natura, una lotta che aveva già un vincitore, ma strinse forte i denti. Ritirò le zanne e smise di respirare per evitare di sentire ancora l’odore della ragazza.
-“Non so se puoi fidarti di me. Ma io ti ho trovata Isabelle. Non ero certo di cosa stessi cercando, fino a quando non ho incontrato te.” Disse sorprendendosi delle sue stesse parole.
-“Voglio tornare a casa e voglio che tu venga con me”
-“Anche io ho una casa, Isabelle” mormorò Simon prendendo tra le mani una ciocca di capelli neri.
-“Stai già per ferirmi, lo sai?” chiese Isabelle con un sorriso innocente sulle labbra. Non era un gran sorriso, ma Isabelle rimaneva comunque bellissima.
 
Rimasti soli nel ’salotto’ di casa Bane, Magnus occupò posto sul divanetto di fronte al cacciatore. Il ragazzo era ancora scosso per tutte le notizie che avevano dato, e perché no? anche perché era rimasto solo in uno spazio circoscritto da un barriera invisibile con uno stregone. In altri termini, poteva sembrare inquietante come scena.
-“A quanto pare siamo solo noi due, Alexander” nel sentire il suo nome, il giovane alzò gli occhi azzurri così profondi e turbati. Magnus voleva poter fare qualcosa per vedere quello splendido azzurro limpido come il mare. Eppure doveva smetterla di correre in aiuto a persone con gli occhi azzurri. C’era stato Axel che gli aveva chiesto aiuto per salvare Maria Antonietta di Francia, William Herondale e la sua maledizione e prima ancora suo padre Edmund e la sua naturale spontaneità che lo aveva portato a compiere scelte difficili... e poi adesso c’era Alec e una serie di altri nomi che purtroppo non ricordava, perché quando non incontri le persone per lungo tempo finisci per dimenticartene.
Gli occhi di Alexander però avevano qualcosa di familiare. Forse la loro tendenza al colore del cielo quando la Luna usurpa il trono al Sole. Forse la loro spontaneità a essere spettacolari e pungenti. Ora che ci pensava due secoli prima un Lightwood aveva sposato una Herondale, forse proprio la sorella di Will. E se da cosa nasce cosa… Si potevano spiegare anche i capelli marrone e l’infinita dolcezza dei movimenti, caratteristica un po’ comune in tutti i Nephilim.
-“A quanto pare.” Disse Alec, che non era mai stato un grande chiacchierone. Magnus voleva che il Nephilim non si sentisse minacciato dalla sua presenza, anche perché nella sua lunga vita lo stregone aveva giurato di non far male a una mosca benché questa non fosse irrimediabilmente cattiva.
-“Mi spiace per tua sorella. Per quanto possa importare, il tempo aiuta a dimenticare. Persone, cose, momenti si allontanano fino a sbiadire e arriva un giorno in cui non ricordi più” Magnus si alzò perché il divano era diventato troppo scomodo.
-“Grazie” mormorò Alec con un tono piatto che fece accigliare Magnus. Forse era il caso di lasciar stare il Nephilim, eppure qualcosa gli diceva che doveva provarci.
Mai sentito parlare di senso dello stregone? E’ simile al sesto senso femminile, ma molto più acuto e in genere non sbaglia mai. Certo, Magnus non sbagliava mai.
-“Qualcosa non va?” chiese Magnus avvicinandosi pericolosamente al cacciatore. Alec non aveva abbassato lo sguardo neanche di un soffio e questo incoraggiò Magnus nella mossa successiva.
Afferrò un passante dei pantaloni e trascinò Alec a un paio di centimetri dalla sua faccia. Il ragazzo, impaurito da tanta confidenza, lo guardò negli occhi. Magnus sorrideva con gli occhi gialli dilatati nel buio. 
-“Alexander, sei un po’ teso” disse alla fine facendo salire le mani delicatamente per la schiena del ragazzo. Gli occhi azzurri di Alec si abbassarono per un attimo, giusto per vedere quanto spazio lo separasse da Magnus.
Vedendo che Alec era sul punto di scoppiare, Magnus lo attirò a sé con maggiore foga. Ora le New Rock del cacciatore sfioravano la punta dei mocassini turchesi di Magnus.
Magnus faceva scivolare la mano tra le scapole del ragazzo, non potendo non desiderare di toccare la pelle calda di Alec, di poter accarezzare le cicatrici delle sue rune.
Afferrò i polsi del Cacciatore e le portò dietro il suo collo, per far ricambiare l’abbraccio. Magnus poteva sentire il calore che Alec emanava dal suo corpo slanciato e atletico. Si chiese cosa stesse provando in quel momento. Si chiese se fosse la prima volta che Alec manifestava i suoi interessi sessuali oppure se avesse paura di dichiararlo anche solo a se stesso.
-“Sta tranquillo, Nephilim, ti insegno io come si fa”
Magnus prese il volto di Alec tra le mani e posò delicatamente le labbra su quelle di Alec, che dapprima si era irrigidito neanche Magnus avesse fatto la cosa più assurda del mondo, ma poi si sciolse ricambiando il bacio. Magnus si sentiva strano, in secoli di vita non aveva mai provato quella sensazione. Come se non ci fosse niente al di fuori di Alec, al di fuori delle sue mani tra i capelli, al di fuori delle sue labbra. Separandosi dal ragazzo solo per vederlo negli occhi, Magnus poggiò la fronte su quella di Alec che aveva le guance arrossate e le labbra gonfie. Mentre Magnus lo guardava, fece scivolare lo sguardo sulla runa del collo, lungo le braccia nerborute, più giù fin sotto la cintura carica di armi. Lentamente risalì, per godersi tanta giovinezza e tanta mortalità, soffermandosi sulle labbra socchiuse del cacciatore e per la seconda volta si ritrovò a sentirsi strano. Le sue labbra bruciavano dal desiderio, così senza nessun ripensamento, si avvicinò a baciare Alec per puro bisogno.
Strano che per un immortale, sentirsi vivo significasse trovare qualcuno con cui sentirsi bene fosse naturale, no?
 
-“Stiamo perdendo solo tempo, padre. Sappiamo dov’è Clary, perché non vai semplicemente a prenderla?” chiese Jonathan sperando di sbagliarsi. Sperava che Clary non fosse rimasta a casa, perché era proprio lì che suo padre sarebbe ritornato.
-“Perché la questione non è solo trovare tua sorella. Dobbiamo organizzare un esercito per entrare ad Alicante.”
Un’esercito ? Allora, parliamoci chiaro: nessuno sarebbe andato nella tenuta dei Morgenstern con un esercito solo per prendere sua sorella. A Clary nessuno avrebbe torto un fottuto capello.
-“Si, ma sarebbe più semplice…”
-“Finiscila, Jonathan” –lo interruppe Valentine –“Sei con me o contro di me?” gli chiese. Jonathan abbassò la testa bionda e fissò il pavimento cercando di non scatenare l’inferno contando fino a dieci.
-“Ottimo. Allora ascolterai ciò che dico. Ammesso che Clarissa non è ad Alicante, la troveremo e allora avremo gli strumenti mortali in pugno”
Si certo.. poi invitiamo Raziel a cena e ci mettiamo a cantare Carole Natalizie bevendo l’ambrosia degli dei dalla coppa mortale, pensò Jonathan. Senza aggiungere altro uscì dalla porta e giusto per lo sfizio di uccidere, tagliò la gola al mostro di guardia alla sua sinistra. Si allontanò con il bagliore di luce alle sue spalle che indicava che il demone era stato spedito nella sua dimensione.
Meno uno, pensò sorridendo tra sé.
   
 
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