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Autore: Friedrike    24/11/2013    3 recensioni
[Ispirata al film di titolo "Der Verdingbub."]
 
Campagne italiane, inizi del '900.
Ormai mandare avanti la fattoria da soli, sembra impossibile: è per questo che una coppia di coniugi non più giovani decide di farsi aiutare. Il parroco del piccolo villaggio in cui vivono affida loro due ragazzi, Ludwig e Felicia. 
Ben presto però i due adulti si riveleranno sfruttatori senza scrupoli che li umilieranno continuamente. 
-Tienimi con te- lo supplicò. -Non mi fido di nessun altro.- 
-Lo prometto- le rispose. -Rimarrai qui con me.-
Genere: Angst, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Dovunque sarai, ti amerò per sempre.'
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Un paio d'occhi azzurri guardarono il cielo.
C'era solo qualche nuvola.
-Sembra un cavallino- esclamò la piccina, poi scoppiò a ridere. Sentendosi chiamare, balzò in piedi e lasciando che il vestitino stropicciato le ricadesse sulle ginocchia, iniziò a correre verso il suo papà. 
Lui si chinò appena ed allargò le braccia per accoglierla, una volta al suo petto la strinse a sé e le baciò una tempia. La sollevò per aria e la vide ridacchiare ancora. La sua bambina rideva sempre. 
Si chiamava Sophie, ed aveva ormai quasi quattro anni. Aveva gli occhi azzurro scuro ed i capelli castani raccolti in due codine laterali, un poco naturalmente arricciate, i dentini bianchi ancora non avevano iniziato a cadere. 
-Also, facciamo la merenda?- le domandò lui. La vide annuire così la portò in casa.
Non era granché, ma per loro era tutto. In legno, in mezzo alla natura, con una mucca che aveva dato latte a tutti i loro bambini ed un asinello che li aveva fatti giocare. Poco lontano, c'era un laghetto con acqua limpida, ancora incontaminata, qualche anatra ogni tanto vi faceva il bagno. 
Ludwig lasciò la piccina solo davanti la sua sediolina, non avevano molto, però avevano una sedia ciascuno, un letto ciascuno, una piattino ed giocattolo ciascuno. 
Sophie aveva la sua bambola di pezza, l'aveva chiamata Mariabella e non se ne voleva mai separare. Qualche volta confondeva il tedesco con l'italiano ed il nome lo storpiava un po' -ma guai a farglielo notare! Si offendeva!
Lei non era la più piccina tra i fratelli: Anna (che il biondo pronunciava alla tedesca) non aveva che otto mesi e stava sempre in braccio alla mamma, suscitando le gelosie degli altri. 
Poi c'erano Heide. Lei aveva ormai nove anni ed era già una signorina, con lunghe trecce bionde e gli occhi nocciola, una passione per il canto e qualche lentiggine sul viso. E Tommaso, che aveva bene sei anni e mezzo ed un amore irrazionale per il suo trenino di legno. Occhi scuri e capelli anch'essi scuri. 
Heide e Tommaso erano seduti già in tavola, lui con una camicia bianca e dei pantaloncini corti, con le bretelle, lei con un vestito largo celeste e bianco. 
Adesso seduta accanto a loro c'era anche la sorellina, che subito si mise e dondolare i piedini dalla sedia, i quali non toccavano ancora terra. 
-Che buon odore- mormorò il tedesco appoggiando le labbra sulla guancia della sua donna. Lei sorrise e gli baciò leggermente le labbra, poi gli fece l'occhiolino e gli mise in braccio la più piccola dei loro figli.
Lui non era uno dei papà della sua epoca e alle volte veniva preso in giro per questo, ma non gli importava. Amava i suoi figli, giocava con loro, dava loro da mangiare, e anche se non faceva loro il bagnetto, aiutava comunque la moglie qualche volta.
Si sedette dunque a capotavola e sistemò Anna su un ginocchio, facendola dondolare un poco, ma stando ben attento a non farla cascare.
Qualche minuto dopo, Felicia sistemò sul tavolo cinque porzioni di torta di mele ed i bambini spazzolarono la loro in fretta. Il biondo ne fece assaggiare un po' alla piccola, che la leccò con gusto dalle dita del papà. 
-Ludwig! E' troppo piccola- si lamentò la mamma, guardandolo un poco preoccupata. 
Lui, asciugandosi le dita in uno strofinaccio, le rispose: -Era solo un assaggio...- 
-Mamma, mamma!- la chiamò d'un tratto il maschietto.
-Sì, tesoro, cosa c'è?-
-Quando torna la zia?- 
-Presto, piccolo. La zia torna presto.- 
-E dov'è andata?-
-In Spagna. Sai dov'è?- vedendo il bimbo scuotere il capino, continuò. -Tanto lontano. Ma poi torna. E allora vi porta un regalo.-
I marmocchi si dissero entusiasti ed in poco tempo scapparono via di casa, per tornare a correre spensierati in gairdino, a lanciarsi la palla un po' improvvisata fatta di stracci legati insieme. E continuavano tutti a ridacchiare tra loro. 
Ludwig finì lento la sua porzione, se aveva imparato una cosa, era questa: gustarsi piano il piatto, ché chissà quando avrebbe mangiato di nuovo. Non avrebbe mai fatto mancare, però, da mangiare ai suoi figli, piuttosto sarebbe morto di fame. Capitò, una volta o due, che saltò i pasti perché non v'era abbastanza zuppa per i pargoli e disse di non avere fame perché loro mangiassero di più. 
Ogni tanto aveva qualche dolore, era giovane, aveva solo ventotto anni, ma ne aveva passati almeno venti a lavorare duramente. 
Gli era rimasta una cicatrice sulla schiena ed una piccola sotto il mento, ma l'importante per lui era essere vivo, avere una famiglia che lo amava e che amava. 
Uscito anche lui in giardino, si sedette sull'erba, con la bambina ancora tra le braccia.
-Guardali, Anna- le disse. -Non sono belli, mentre giocano? Voi dovete crescere sereni, capisci? Non come la mamma ed il papà.-   
Perciò le baciò i capelli chiari e le carezzò dolcemente la guancia rosea. Le parlava spesso in tedesco, non l'aveva mai voluto dimenticare. Lo faceva con i bambini, voleva che conoscessero il loro secondo paese d'origine (perché erano tutti nati in Italia) e allo stesso tempo voleva non crescessero ignoranti e bigotti; e allora insegnava loro a leggere e scrivere e far qualche conto. 
Anche l'istruzione dell'italiana era molto migliorata anche se talvolta, quando il marito le insegnava, lei sbuffava e diceva di avere troppo da fare con la casa per mettersi lì ad imparare notizie storiche inutili. 
Lui allora le prendeva la mano, la stringeva da dietro, per non farla scappare e le baciava il collo, e la sentiva ridere dolcemente. 
Lei si impegnava. E faceva dei disegni meravigliosi, con le poche cose che aveva a disposizione. Un giorno, per il suo ventiduesimo compleanno, lui le portò dei colori nuovi. Non erano tanti, era stato tutto quello che aveva potuto permettersi, ma lei si sentì la donna più importante al mondo. Diceva sempre: "Non importa se abbiamo poco, abbiamo noi stessi e la nostra famiglia, e allora abbiamo tutto."
Pensandoci su, ora, il biondo accennò un sorriso. 
Prese le manine della piccola e le carezzò col pollice distrattamente, gli occhi erano fissi sugli altri bambini. 
Felicia si sedette vicino a loro, aveva in mano un blocco da disegni ed uno di quei carboncini che aveva custodito religiosamente da cinque anni prima. Iniziò ad abbozzare qualcosa, mentre una ciocca di capelli le scappava dalle trecce e le nascondeva una parte del suo occhio bello, quello sinistro; il marito gliela sistemò. 
Poi notò i bambini litigare. E s'incupì. 
-Liebe, prendila un attimo- chiese, e sistemò Anna tra le braccia della madre, dopo essersi alzato. S'avvicinò i bambini che si fermarono e puntarono gli occhi su di lui, poi abbassarono il capino.
-Cosa vi avevo detto?-  domandò retorico incrociando le braccia al petto, severo. 
-Scusa...- risposero in coro loro due più grandi.
-Siete bambini, esseri umani, non dovete alzarvi le mani, klar? Gli animali si fanno male, non le persone.- 
Il maschietto osservò la sorella maggiore e sbattè un paio di volte le palpebre dubbioso. -Non volevo tirarti i capelli.-
-E io non volevo spingerti.- 
-Fate la pace, forza- intervenne il papà. 
E quando i bambini ebbero ubbidito spuntò la piccola Sophie con un libro dalla copertina ormai logora tra le mani. -Vati! Ce lo leggi?- chiese impertinente. 
Lui annuì. Ritornò a prendere Anna, perché la moglie potesse rilassarsi un po' da sola, libera dai doveri di casa e sistemandosela di nuovo tra le braccia, iniziò a leggere, una volta in cerchio coi figli.
Felicia sorrise. 
Staccò il foglio già abbozzato dal blocco e ne prese uno pulito, quello l'avrebbe continuato un'altra volta, adesso aveva davanti un meraviglioso quadretto familiare.
Abbozzò il cielo, le poche nuvole sottili, disegnò quel dono che Dio le aveva messo accanto come marito, le creature più dolci che avesse mai potuto avere in grembo per nove mesi ciascuna, il bambino più sveglio e le bambine più belle che avesse mai conosciuto e visto. 
Poi accennò al laghetto, con le sue paperelle bianche che facevano un po' di schizzi agitandosi tra loro. Riuscì a scolpire su carta la tranquillità di quel momento, poi piegò di più le ginocchia al petto per facilitare il disegno delle sfumature, appoggiandosi al tronco di un albero.
Sfiorò appena il volto di Ludwig, nel disegno appena volto verso destra, ed istintivamente sorrise. "Amore mio, sono così fiera di te. Sei diventato un meraviglioso padre, sei venuto da una situazione così brutta, ma non hai mai alzato un dito sui tuoi figli. Non potrei chiedere di meglio, al mio fianco, se non un uomo così forte e coraggioso. E.. bello." Ed il sorrisetto si colorò di furbizia. Li osservò ancora e fece qualche dettaglio, poi si voltò verso il suo Dio e lo ringraziò ancora una volta, per averle dato la forza di andare avanti. 
Ludwig non l'aveva mai costretta a fare nulla, aveva rispettato il suo dolore ed aveva aspettato fosse pronta a fare l'amore, senza affrettare minimamente i tempi. La prima loro bambina nacque quando lei aveva diciotto anni e lui ne aveva diciannove. Si erano da poco sposati ed avevano appena iniziato a sistemare la nuova casa che con mille difficoltà avevano trovato.
Lei ricordava ancora guardarsi con meraviglia e stupore allo specchio, osservarsi il pancione e promettere al nascituro tante cose. Che non avrebbe mai lasciato che gli (o le) facessero del male, che l'avrebbe sempre protetto o protetta, che gli/le avrebbe per sempre voluto bene, qualsiasi cosa fosse accaduta.
Ricordava anche Ludwig promettere qualcosa.
Ricordava aver sentito al sua mano accarezzala sul ventre, delicato, dolce, protettivo, e sussurrare con occhi tristi ma deciso: "Io non ti alzerò mai un dito, te lo prometto."
Aveva mantenuto la promessa, con Heidi e con gli altri tre. 
Felicia si sentiva realizzata così, non avvertiva la necessità di avere un altro figlio, lei stava bene con quattro meraviglie accanto, una casa ed un marito. Lui, e le sue mille iniziative per dare a tutti loro una vita migliore.
Aveva sentito di una donna con undici figli e quella notizie le aveva dato un brivido lungo la schiena. 
Quella sera, a letto, ne parlò con Ludwig, infilandosi sotto le coperte accanto a lui, i capelli sciolti le ricadevano disordinati sulle spalle. Si accoccolò al suo petto ed ascoltò i battiti del suo cuore.
-Ho sentito della signora Pia. E' di nuovo incinta. E' l'undicesimo- mormorò, attenta ad una qualsiasi reazione. 
Lui era stanco, aveva lavorato dalle prime luci dell'alba sino a poco prima l'ora della merenda, poi aveva giocato coi pargoli, ed anche quello era stato stancante, seppure bello. 
Le carezzò i capelli, fissando il soffitto. -Cosa ne pensi, du?- chiese, sinceramente curioso.
-Che non è giusto. Lei non è un oggetto che serve solo a mettere al mondo i figli. Lei è un essere umano e merita dignità.- Parlò decisa, mettendosi seduta. 
La spallina della camicia da notte le ricadde sul braccio, ma non se ne curò. Qualche ciocca di capelli le copriva le nudità che quella stessa spallina stava per lasciare scoperte. Quasi non se ne accorse. Lui però la invitò a coprirsi, così lei lo ubbidì.
Poi disse la sua. -Ich weiss das. Ma evidentemente suo marito non ha alcun rispetto nei suoi riguardi; e allora non si preoccupa di darle ancora il suo seme.- 
Le scappò un sorriso. Sfiorò il petto con le dita e poi sistemò una ciocca di capelli biondi via da quegl'occhi azzurro cielo. 
-Lo so, a che pensi. Non voglio altri figli. Sto bene così.-
-E se arrivassero, invece?- insistette lei.
-Non possiamo buttarli via, in quel caso. Ma faremo in modo, ehm, che non... avvenga.-
-Sei arrossito!- lo prese in giro l'italiana. Si distese su di lui e si strinse. -Non preoccuparti. Noi donne sappiamo sempre come fare- spiegò enigmatica facendogli l'occhiolino.
Il biondo si limitò ad annuire, anche se era alquanto dubbioso a riguardo.
La coprì per bene e la guardò per un poco addormentarsi, poi la sistemò al suo fianco, circondandole le spalle con un braccio.
-Ich liebe dich.-
-Ti amo anch'io- sussurrò lei in dormiveglia. 


Ludwig guardò il cielo. 
Buttò via la spugna centrando il secchiello di fragile materiale per un terzo pieno di acqua e sospirò. 
Non era solo il cielo grigio, quel giorno. Anche lui soffriva ogni tanto. 
Lo sapeva, che era meglio che nessuno capisse nulla, neanche Felicia, perché era lui che l'aveva sempre incoraggiata e le aveva sempre detto di lottare. 
Chiuse gli occhi per non vedere gli ambienti così sfortunatamente familiari di una stalla; s'appoggiò alla parete. 
"Mi manchi, Bruder.." pensò tra sé nella sua lingua madre, lasciandosi scappare una lacrima. Non era sua abitudine, però.. 
Non si può sempre essere perfettamente forti. 
Qualche volta la corazza va scalfita.
Asciugatosi la lacrima, deglutiti i cattivi pensieri, ritornò a pensare che il fratello albino non avrebbe mai voluto vederlo piangere per lui. Riprese il controllo e appoggiò una mano sul dorso della mucca, i piedi incrociati e la mano destra a scacciare qualche lacrima. Alzò lo sguardo e lo roteò un paio di volte in modo da scongiurare il rischio di inumidire gli occhi, poi si schiarì la voce. 
Sentì subito la moglie giungere dietro di lui, avrebbe riconosciuto i suoi passi tra mille.
-Cos'hai?- chiese lei. 
Avrebbe riconosciuto quegl'occhi tra mille e sempre avrebbe saputo interpretarli. Si avvicinò a lui e gli cinse il collo con le braccia, carezzandogli accorta i capelli biondi.
-Nulla..- rispose lui abbracciandole i fianchi. La sollevò un po', facendola ridere e sorridendo a sua volta, e le baciò le labbra. E ripetè: -Nulla.- 
-Sei molto stanco... non tornare tardi- gli fece promettere appoggiando una mano sul suo petto. Sapeva che stava male, ma non volle insistere. Lo guardò negli occhi e quando fu sicura che l'avrebbe ascoltata,  si voltò. All'uscita della stalla c'era la piccola Sophie. Le prese la mano e la riportò in casa. Lei saltellando una o due volte seguì la madre, ma non arrivarono sulla soglia di porta che una voce da dietro li richiamò all'ordine.
-Insomma! Neanche si saluta?- mugugnò una voce sentitamente offesa. 
Voltandosi entrambe spalancarono gli occhi. 
-Zia!- esclamò la piccina e corse incontro una donna con un abito non troppo semplice ed i capelli sciolti, che appoggiò la mano sul suo capo. 
-Bambini, venite, è tornata la zia!- 
Heide prese in braccio la piccola Anna e corse col fratello alla porta; poi si avvicinarono svelti e salutarono anche loro. 



Camminavano ormai da mezz'ora tenendosi per mano, finalmente avevano un momento per loro, perché i bambini erano con la zia, la quale li aveva appunto invitati ad uscire per prendere un po' di tempo da passare da soli. 
I piccoli erano rimasti a giocare con la palla nuova, tonda, perfetta, proveniente dalla Spagna, se la passavano con le manine e la calciavano, stando attenti a non sporcarla, perché era la prima volta che la usavano, e non volevano si rovinasse. 
Loro non lo sapevano, ma qualche volta anche gli adulti avevano gli incubi. 
E gli incubi dei loro genitori, scombussolavano il sonno di quei poveri due ragazzi, che si stringevano notte tempo l'uno all'altra, cercando l'affetto che per molto gli era stato negato. 
Non pensavano nient'altro che a loro, passeggiando come due ragazzini alla prima storia d'amore -ma dopotutto, cos'erano se non questo? Due ragazzini cresciuti troppo in fretta, senza altra compagnia che loro stessi e il loro amore.
D'un tratto sentirono qualcuno gridare forte e la stretta delle loro mani divenne più ferrea, s'intensificò. Il ragazzo per tranquillizzarla prese ad accarezzarla col pollice. Aveva dedotto il suo pensiero, perché era lo stesso che aveva avuto lui e che malgrado il passare degli anni non se n'era mai andato. 
Non piacevano a nessuno dei due le grida, né i rumori forti. 
La signora Pia sembrava distrutta, alle prese con troppi figli, tutta da sola a badare anche alla casa e nuovamente incinta, con quel pancione indecente che non si addice più alla sua età. Felicia si chiese come facesse ancora a procreare.
-Pare molto stanca. Non voglio ridurmi così, Ludwig- chiarì riprendendo a camminare. Aveva il terrore di diventare brutta, tozza, goffa, con la gobba. Di non sentire più il suo innamorato dirle: sei bellissima.
Lui la prese per la vita e la costrinse ad appoggiarsi al tronco di un albero poco lontano, riparato dalla vista altrui, e la baciò con passione, senza però usare violenza su di lei, senza farle male, pronto a spostarsi nel caso lei non sia favorevole a quell'approccio. 
Stavano sempre ben attenti a calibrare tono di voce e parole, sia per i bambini, sia per sé, perché per rispettare gli altri, prima di tutto sapevano di dover ritrovare l'amore per sé stessi.
L'italiana ricambiò il bacio e gli carezzò la guancia. Si strinse a lui quando sentì un brivido attraversarle la schiena. Appoggiò le mani al suo petto e con lo sguardo gli chiese un altro bacio; lui non esitò a donarglielo. 
-Sei sempre così dolce.. come fai? Non ti arrabbia mai...- domandò lei. 
-Non potrei mai arrabbiarmi con le persone che amo- ed insieme conclusero: -siamo persone, non animali.- Poi ridacchiarono. 
Quelle erano le parole più importanti per loro. 
Sebbene molto nervosi, stressati o infuriati, non potevano permettersi di alzare le mani su qualcuno; a meno che questo qualcuno non stesse ferendo un loro stretto familiare. Per esempio uno di quei ladruncoli di cui avevano sentito ultimamente. 
Per fortuna, non vi era un alto tasso di delinquenza in quello sperduto posto di campagna, terribilmente pacifico, silenzioso, paradisiaco; si chiedevano qualche volta se ai loro bambini non spettasse qualcosa in più. Se essi, crescendo, non avrebbero preferito trasferirsi in città. Studiare, studiare molto, per magari insegnare, fare il medico o l'avvocato. Non glielo avrebbero impedito e si sentivano sinceramente in colpa per non riuscire ad assicurargli qualcosa di meglio della vita alla loro modesta casetta. Li mandavano a scuola, certo, e li lasciavano tranquilli nel pomeriggio. Soltanto Heike e Tommaso aiutavano i genitori nei lavori del giorno, qualche volta anche la piccola Sophie, decisamente vivace, perché si imponeva come "bimba grande." 
Ludwig una volta si chiese se avesse sbagliato a dar a due figli su quattro nomi tedeschi; nessuno li aveva mai presi in giro, ma gli altri bambini erano spesso cattivi e persecutori. Si augurava ogni giorno che i suoi vivessero una vita piena e felice. 
Adesso lui teneva stretta quella mano, scendendo per le strade del paese guardandosi intorno. Non capivano come mai, ma la gente li osservava spesso. Fissava le loro mani unite, il modo in cui il papà prendeva in braccio i suoi bambini, qualche donna lo riteneva raccapricciante ("E quello sarebbe un uomo?"), molte altre invidiavano Felicia, perché non doveva occuparsi di ogni cosa da sola.
Scesero anche quel giorno in Chiesa, soltanto perché l'italiana lo voleva. 
Il biondo si chiedeva, inizialmente, come lei potesse riuscire a pregare tanto e forse un po' ora lo aveva capito, ma non sarebbe comunque mai diventato un ottimo credente. La affidò all'entrata della casa di Dio e la salutò con un bacio sulla guancia. -Devo fare una cosa, ci vediamo tra un po'- le disse.
Lei sistemò un fazzoletto scuro sul capo, in segno di rispetto, ed avvicinandosi ad alcune conoscenti prese posto ed iniziò a pregare con loro.
Il tedesco scese fino in piazza e voltò l'angolo alla destra della fontana, andando dieci metri più in là della libreria modestissima con l'insegna verde; allora giunse dinnanzi il salumiere, poi salutò qualcuno, cordiale.
Ed entrò in un piccolo locale. 
-Salve- fece. 
Nessuna risposta. 
Si schiarì la voce e di nuovo: -Salve.-
-Calma, calma. Cosa c'è, chi parla?-
-Sono io. Avete qualche lavoro per me?- chiese, e pregò che l'uomo che aveva ora davanti dicesse di sì.
Solitamente non era roba grossa. Piccoli aiuti che gli facevano guadagnare qualche soldo, alcune consegne da effettuare, un aiuto per il trasferimento del sindaco ad una casa più grande, dipingere una parete o due; niente più di un semplice lavoretto.
-Una proposta per te ce l' avrei- annunciò quel tale. 
Lo scrutò poi come si fa con un soldato indisciplinato, notò il suo volto magro ma le braccia forti di chi conosce il duro lavoro, le occhiaie sotto i suoi occhi, segno che la notte non era necessaria per riposarsi, i vestiti non propriamente nuovi, indice che sì, quel lavoro gli sarebbe servito ma che forse non avrebbe speso per sé il ricavato.
-Senti un po', hai famiglia?- 
-Sì, signore. Ho una moglie e quattro figli- rispose lui.
-Ah, una moglie. E come si chiama?- 
-Voglio solo lavorare, se non c'è niente, vado via.-
-Eh, quanta impazienza! Dimmi, lei è bella?- 
-Sì, signore. Per me lo è senza dubbio.- 
-Portala qui- continuò questo. Si sistemò il sigaro tra le labbra, sotto i baffi, e buttò via un po' di fumo. -Posso trovarle un lavoro.-
Ultimamente, avevano bisogno di più soldi, era vero, ma il ragazzo aveva paura di affidare ad un estraneo la sua donna, lei era sì bella, ma fragile; nessuno avrebbe più potuto sfiorarla, glielo aveva promesso.
-Non avete niente per  me?-
-No. Ma per lei sì.-
-Posso farlo io.-
-Cosa, servire ai tavoli? Non scherziamo. Ho bisogno di una donna. Mia figlia, con suo marito, ha da poco aperto una taverna. Niente di ché- minimizzò con un gesto della mano ed una smorfia -ma cercano una cameriera. Bella presenza, sorriso. Non deve fare niente di niente: servire una birra, un zuppa calda, del pane. Può riuscirci?-
-Altroché, signore. Ma non voglio lei lavori.-
-Giovanotto, giovanotto, non essere frettoloso. Pensaci bene, le cose stanno cambiando. Lei ha diritto di lavorare, chiedile se le va, riflettete insieme. Poi, mi darai la risposta. Ti aspetto qui domani pomeriggio. Sono fiducioso.- 
Ludwig uscì di lì dopo averlo doverosamente ringraziato e sospirò via un po' della sua inquietudine. Non poteva starsene solo a badar alla fattoria, mentre lei lavorava; era lui che doveva mantenere la famiglia, era lui l'uomo, e non viceversa. 
Avrebbe continuato a cercare e non gliene avrebbe fatto parola, era fuori discussione. 
Quando Felicia uscì dalla chiesa, un mano ossuta l'afferrò per il polso, lei sussultò e si voltò di scatto. 
-Signora Susanna! Mi avete messo paura..- 
-Cara, un momento, ho da dirti una parola. Il mio povero Gino è tanto stanco...-
-Oh, mamma mia, ma che c'ha? Si è preso un malanno?- domandò agitata, appoggiando una mano sul petto. 
-E' il malanno che colpisce tutti gli uomini: la vecchiaia. Pure io sono stanca! Una vita a lavorare, sono stata, una vita intera, ti dico; e i dolori mi tengono sveglia la notte. Abbiamo bisogno di qualcuno che ci aiuti. Perciò, ho pensato a voi, a te e tuo marito.-
La ragazza sfoderò un bel sorriso a quella parole e si avvicinò un poco a lei per non impedire il passaggio d'uscita e d'entrata alla chiesa. 
-Io voglio lavorare, signora, ma ho una bambina piccola, dove la lascio? come faccio? Ora è con mia sorella, ma lei tra poco se ne parte di nuovo e allora devo restare io con la bambina.- 
-Oh! E che problema c'è? La porti con te. Ho sempre voluto dei nipotini.-
-Voi siete tanto buona con me, ma l'altra mia bambina c'ha quattro anni, non va ancora a scuola, e non posso angustiarvi pure con questa mia altra figlia.-
Detto ciò si voltò verso l'altare e, quasi a scusarsi, si fece il segno della croce. 
-La casa è grande: troveremo posto per tutti. Vieni domani pomeriggio.-
Felicia la ringraziò ancora una volta, poi si strinse nello scialle ed accelerò il passo. Si avvicinò al marito, che vide appoggiato al muretto immerso nei suoi pensieri a fissare il cielo. Si fermò a due metri da lui e lo osservò, giocando nella mente col suo profilo. 
D'un tratto, quando lui si sentì osservato, abbassò lo sguardo e le andò incontro, senza però baciarla, sebbene lo volesse, perché erano ancora davanti la Chiesa e non era cosa da fare. Si allontanarono di nuovo, ma entrambi muti. 
-Senti, Ludwig... la signora Susanna mi ha proposto una cosa- incalzò lei, muovendo nervosamente le mani. 
-Mh? Was?-
-Andare a lavorare da lei. E dai, ti prego, fammi spiegare. Non fare quella faccia. So che non vuoi, ma è per portare a casa qualche soldo in più. I bambini iniziano a crescere e tra poco non si accontenteranno più di una bambola di pezza o un trenino in legno.- 
-Noi ci siamo accontentati di molto meno.-
-Sono io che non voglio si accontentino- rispose più decisa la giovane donna. 
Lo guardò come solo una donna sa fare con il proprio marito e si convinse di continuare. -Vuole parlarmi domani pomeriggio ed io c'andrò. Se tu non vuoi venire, non t'obbligherò di certo, ma non mi priverai di quest'opportunità.- 



Una nuvola passò nel cielo, sorvolò il sole e andò via, esattamente come un brutto ed improvviso pensiero.
Ludwig non aveva ancora avuto modo di parlare alla sua bella moglie della proposta fattagli da quel tale e non aveva ancora intenzione di abbozzare alcunché. Lei non doveva lavorare. Forse, come molti uomini del suo tempo, aveva paura dell'emancipazione femminile? No, non era questo. Ma voleva lei potesse vivere libera da qualsiasi obbligo, ben lontana dal peso di mantenere una famiglia; e non sapeva però che era questo ciò che lei desiderava. Aiutare il marito a rendere più felici i loro figli. 
Fece finta di niente, preparò la cena, la colazione ed il successivo pranzo, quando venne l'ora era già pronta per scendere giù dalla città e recarsi poi a casa della signora Susanna, che era una delle donne più eleganti del piccolo paesino delle campagne italiane di quei tempi. 
Si diceva in giro che era stata una cavallerizza e che aveva vinto alcuni premi, ma forse erano solo voci da strada. 
Intanto, però, lei ed il marito Gino avevano alcuni cavalli nella loro fattoria e sui genitori di questi e sui loro nonni erano andati in groppa e al trotto ai tempi della loro gioventù. Felicia non aveva mai cavalcato. 
Si strinse nello scialle ancora una volta, quel giorno faceva piuttosto fresco, strano, era insolito quel clima per la stagione. Affidò i bambini alla sorella ed uscì di casa, testarda, per andare alla dimora della donna, ignorando le inutili lamentele del marito che, orgoglioso, non aveva voluto seguirla.
Da sola, con dignità, attraversò le strade del paese salutando tutti con una parola ed un sorriso cordiale. Poi intraprese con delle scarpe che ricordava di aver sempre tenuto ai piedi un stretto vicolo in salita. Lo percorse nella sua interezza e bussò poi alla porta di casa. 
Una porta di legno chiaro, con una piccola sezione in vetro nella parte centrale. Il campanello suonò e qualcuno venne ad aprire. 
Mentre il colloquio di consumava, il tedesco rimuginava zappando la terra sul da farsi. D'un tratto sospirò pesantemente, buttò via i suoi attrezzi del lavoro e si lavò le mani. Sistemò i vestiti ma li lasciò comunque macchiati di terra rossastra su una parte della braccio destro, poi a passo svelto si diresse anhe lui dai due benestanti consorti. 
Quando arrivò, Felicia era su sulla porta., pronta a tornare a casa. Sorrideva, sembrava finalmente spensierata e felice, non più angustiata dai molti problemi che l'affligevano ultimamente.
"Che idiota sono stato" si rimproverò e si avvicinò schiarendosi la voce. 
-Ludwig...- fece l'italiana sorpresa. Lo vide venirle incontro e accennò un sorriso nella sua direzione. 
Gino e Susanna sorrisero. -Devo dedurre che.. accetterete questo lavoro?- 
-Sì- rispose il biondo. 
Prese la mano della sua bella e la strinse. -Lo accettiamo entrambi, di qualsiasi cosa si tratti.-
La ragazza lo guardò innamorata ringraziandolo con quel sorriso che, Dio, nascondeva il sole. 
Decisero gli ultimi dettagli insieme. 
Avrebbero finalmente potuto avere la vita che volevano per i loro bambini e per loro, lontani da stenti e dalla cattiveria della gente.
Potevano finalmente camminare a testa alta, fieri dei loro progressi. 
E non potevano che amarsi fino alla fine dei loro giorni. 









..Salve.
Ho messo questo capitolo decisamente in ritardo, quasi stavo per cancellare tutto, ma un ultimo capitolo... beh, dovevo metterlo.
Spero mi scriviate qualche parole. Mi sono impegnata, comunque, per questa storia, mi è piaciuto scriverla, ho pianto e ho riso e vi ringrazi per essere giunti fin qui.
Questa è la fine, signori! 
Non spenderò altre parole. 

Grazie ancora. 
  
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