Libri > I Miserabili
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Autore: _Noodle    25/11/2013    2 recensioni
Hogwarts. Anno scolastico 1942-1943. La Camera dei Segreti è stata aperta: che la caccia ai mezzosangue abbia inizio. Quindici maghi e streghe legati tra di loro da solidi legami, quali l'amicizia, l'amore, l'intesa e lo scontro, ma al contempo distanti, diversi, a causa di un liquido terribile, rosso come la paura e l'imbarazzo.
I fantomatici Amis de l'Abc, da "I Miserabili" di Victor Hugo, alle prese con la magia. Ok, tutto ciò è folle.
"Lo seguirai, anche se contro il tuo sangue? Ti unirai a lui profanando ciò che c'è di più sacro a questo mondo? Sporcherai le tue origini e le tue labbra? Sta a te decidere: o il sangue o la morte" .
Coppie: EnjolrasxGrantaire, CourfeyracxJehan, JolyxBossuet (con intervento di Musichetta), BahorelxEponine (con intervento di Montparnasse), MariusxCosette.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Enjolras aveva sempre amato la solitudine. Amava restare ore ed ore seduto in mezzo al nulla, ad osservare la pioggia, pensando. Quella mattina era arrabbiato, sperso, confuso, incapace di formulare un pensiero razionale, giusto. Il cielo freddo e grigio non lo aiutava a rischiarare le sue idee: chi l’aveva asfaltato era stato sconsiderato, non si era preoccupato di lui. Le lampadine dei suoi neuroni si erano spente, qualcuna si era anche bruciata, e l’elettricità che gli scorreva per tutto il corpo non era nient’altro che un fastidioso formicolio.
I suoi pensieri assomigliavano a geroglifici sbiaditi.
Dov’erano i posti in cui si capivano le cose? Dov’era il vento che scompigliava i capelli ai dubbi? Dov’era il calore? Dov’era il caldo? Dov’erano i colori? Chi se li era portati via? Era stato lui a rapire le tavolozze di Dio?
Che strano effetto faceva dire “lui”. Per natura, avrebbe dovuto dire “lei”, o forse avrebbe dovuto tacere. Forse diventare un automa non sarebbe stato così male. A cosa pensava? A niente, a tutto, ad un sogno ad occhi aperti. Perchè arrabbiarsi? Perchè non dormire? Perchè alzarsi dal letto alle due del mattino per osservarsi i piedi, il pigiama, le mani? Perchè invidiare la propria ombra? Perchè voler fuggire? E chi lo sapeva. Lui non di certo.
Non era colpa di Riddle, di Gavroche o di Bossuet se stava così. Non era colpa delle nuvole o delle notti insonni. Non era colpa di Courfeyrac e della sua stupidità: la colpa era degli sguardi incastrati tra le costole, delle parole di miele, acerbe, della sfrenatezza di un attimo. Era colpa di quell’uomo, del bel dio greco, di quel Bacco con gli occhi di oceano. Gli altri lo chiamavano Apollo: lui si sarebbe semplicemente dato dello “stupido”.
Lasciarsi andare era doloroso.
Si guardava attorno e si chiedeva il perchè delle cose. S’interrogava su quanto il mondo che lo circondava fosse bizzarro e strano. Persino lui era riuscito a soccombere, non aveva potuto impedire che le cose accadessero, non aveva potuto guardare gli eventi scorrere con regolarità. Aveva subito e aveva pianto, in un sogno, un sogno che aveva la faccia della paura: la bocca era dipinta, ma gli occhi erano quelli di Grantaire.
Gli faceva paura e forse era per questo che non gli parlava. Non era rabbia quella che circolava nel suo corpo, era timore. Avevano ballato insieme e lui gli aveva cinto i fianchi. Talvolta gli capitava di soffermarsi su questo argomento: si chiedeva se avrebbe mai ballato, se anche lui, prima o poi, avrebbe fatto come gli altri ragazzi, si chiedeva se si sarebbe mai divertito.
E il momento si era presentato e aveva ballato, aveva fatto come gli altri ragazzi, ma non si era divertito, perchè quello che sostava davanti a lui era Grantaire, l’unico che era riuscito a disarmarlo con una parola. Aveva paura del suo corpo, dei suoi capelli così irregolari, di quel suo modo di camminare tanto diverso dal suo, più composto. Aveva il terrore della sua risata e del suo sorriso, sornione, di come riusciva a farlo fremere. Non voleva ricordarsi della parole che gli aveva detto, voleva rimuoverle. Eppure non riusciva; in tutti quei pensieri confusi, le parole “mi sono innamorato” non riuscivano a sbiadirsi. Che mondo matto.
Ironia della sorte, perchè non c’è nessuna più ironica di lei, Enjolras, che sedeva su un enorme sasso in riva al Lago Nero, sentì del calore umano affianco a lui e sapeva benissimo che non era né Courfeyrac, né Marius. Riconosceva il profumo che avevano i suoi vestiti: legno. Si voltò e lo vide, avvolto nel suo solito mistero.
<< Che ci fai qui? >> Esplose Enjolras. Si rendeva conto di quando poteva diventare incredibilmente antipatico quando si rivolgeva a Grantaire, ma non riusciva a controllarsi. Era a causa della soggezione se mutava in quel modo, se quella metamorfosi improvvisa lo trasformava in una serpe.
<< Volevo parlarti >> rispose pacatamente Grantaire con un dolce sorriso, quello che faceva sanguinare il cuore del biondo.
<< Se sei venuto a prenderti gioco di me, puoi anche togliere il disturbo >> concluse Enjolras con parole dritte e taglienti, che lasciarono Grantaire lievemente sbigottito.
<< Sei sempre così prevenuto, Enjolras >> lo rimbeccò sedendosi meglio sul sasso. Faceva più freddo del solito. Apollo aggrottò le sopracciglia contrariato.
<< Come puoi darmi del prevenuto se mi conosci da un mese circa? >> Domandò.
<< Fidati, ti conosco da molto più tempo. >>
Enjolras a quelle parole chiuse gli occhi, ricordandosi di quel momento in cui, seduto nella Sala Grande, si era accorto di qualcuno che lo fissava, ed era lui. Gli bastava essere osservato per essere capito? Era davvero così prevedibile? Grantaire gli avrebbe risposto che l’unica cosa che era riuscito a comprendere di lui era il fatto che la sua schiena avrebbe fatto invidia quelle delle statue di marmo.
<< Che cosa vuoi dirmi? >> Chiese infine risvegliandosi da quel torpore mentale. Grantaire prese un bel respiro, gonfiandosi d’aria, per poi avvicinarsi ad Enjolras e parlare un po’ più sottovoce.
<< Che mi dispiace. So che sei arrabbiato per quello che è successo, per la faccenda del filtro. Non capisco che cosa sia accaduto, non so perchè tu abbia detto quelle cose proprio a me. Ti chiedo scusa. Forse avrei dovuto… >>
<< No Grantaire. Non è colpa tua. E’ colpa di Courfeyrac. E io so che cosa ha fatto >> lo interruppe Enjolras serissimo, credendo che non avrebbe mai più potuto perdonare il suo amico: era troppo orgoglioso a volte.
<< E allora perchè sembra che tu ce l’abbia con me costantemente? >>
Questa domanda lo spiazzò, rendendolo fragile e attaccabile come aveva temuto che presto sarebbe diventato. Lo fissò negli occhi, credendo che lì dentro avrebbe trovato una risposta: quello che trovò fu soltanto l’immenso.
<< Io non ce l’ho con te. >>
<< E allora cos’hai? Perchè non ti vedo mai ridere? Sembra che tu abbia meno spirito di un cubetto di ghiaccio. >>
Non sapeva che cosa rispondere, ma sapeva che aveva ragione Grantaire. Per quanto fosse stupido e insopportabile (caratteristica per cui non aveva trovato un fondamento), quella volta era riuscito a descriverlo perfettamente. E aveva paura di dirgli che lui era così, che era gelido, e che soprattutto quando incrociava quei due iceberg sprofondava nel freddo.
<< Devo raggiungere Marius, scusami >> biascicò velocemente alzandosi. Grantaire imitò i suoi movimenti, raggiungendolo.
<< Ti accompagno >> esclamò.
<< No. Devo andarci da solo. Senza di te. >>
Era ormai lontano quando si sentì urlare dietro: << Per quanto vorrai restare ancora da solo Enjolras? >>
Non ebbe il tempo di capire, ma sperò solo che prima o poi lui e Grantaire avrebbero raggiunto insieme il posto dove si capivano le cose, perchè solo lì non avrebbe letto tutto come uno sbaglio.
 
Jehan sarebbe dovuto andare in biblioteca, quel giorno, a cercare informazioni sulla fantomatica porta descritta ai ragazzi da Montparnasse. Joly gli aveva raccontato tutto e lui non aveva fatto nient’altro che tremare, dalla prima all’ultima parola.
Non voleva tornare in biblioteca da solo, soprattutto dopo quello che era successo. Chissà se la macchie di sangue erano definitivamente scomparse da terra. L’unica persona che sapeva che cosa era accaduto e che non si vergognava di accompagnarlo in giro per Hogwarts era Courfeyrac, perciò, prima che iniziassero le lezioni mattutine, lo prese con sé e gli parlò, spiegandogli che cosa avrebbe dovuto fare la sera con lui.
Le ore pomeridiane trascorsero con lentezza e tetraggine. Grantaire e Bahorel furono costretti a vedere Riddle, cosa che non fu per nulla piacevole, Eponine pensò a dove diavolo potesse trovarsi quella porta descritta loro da Cosette dopo il Legilimens, Enjolras si tormentò come un poeta romantico e Joly tentò di non scoppiare a piangere ogni volta che sentiva pronunciare la parola “Tassorosso”. Jehan e Courfeyrac in tutto questo attendevano, attendevano che il sole calasse e che gli studenti andassero a dormire per addentarsi nelle tenebre dei libri.
A mezzanotte si trovavano davanti alla porta della biblioteca, spaventati e confusi; timidi, intrepidi. Courfeyrac osservava le braccia bianche di Jehan: erano guarite in fretta; al collo però portava ancora una sciarpa per nascondere i segni. Quanto avrebbe voluto stringerlo e non lasciarlo più andare, quanto avrebbe voluto renderlo consapevole che nulla gli avrebbe fatto del male fino a quando sarebbero stati uniti, quanto avrebbe voluto. Vedeva le sue vene tremare e ribollire: la biblioteca non rappresentava più per lui un luogo piacevole, si era trasformata in un luogo di strage.
<< Hai paura Jehan? >> Sussurrò Courf al poeta, poggiandogli una mano sulla spalla, accarezzandolo.
<< Si. >>
<< Di che cosa hai paura? >> Chiese con un’intonazione nella voce che avrebbe fatto sciogliere il ghiacciai.
<< Di morire. >> La risposta di Jehan fece rabbrividire Courfeyrac, che appoggiò anche l’altra mano sulla spalla dell’amico. Non vi era luce nei suoi occhi blu, si era spento, era un angelo mortale e morente. Temeva che Riddle avrebbe catturato anche lui, che sarebbe stato il prossimo, che avrebbe condotto anche lui verso la fine. Forse la morte che si era preparato era migliore di quella che lo aspettava.
<< Perchè volevi farlo? >> Chiese a bruciapelo l’amico. Jehan, con gli occhi lucidi, non faceva altro che respirare affannosamente. Voleva piangere, ma non riusciva.
<< La fragilità può portare a degli atti orribili >> confessò con la voce rotta e impastata. Tutto attorno a loro era silenzioso, solo lo scoppiettare del fuoco dei loro cuori faceva un lieve rumore.
<< Io voglio proteggerti. >>
Fu Courfeyrac e sparare una cannonata dritta nel petto del poeta.
<< Perchè vuoi farlo? >>
<< Perchè l’affetto può portare a degli atti inaspettatamente meravigliosi. >>
Avevano esaurito gli sguardi, ma continuavano a scrutarsi, perchè oramai era diventata un’abitudine.
<< Affetto? >> Balbettò timidamente il poeta.
<< Sì, affetto. Io ti voglio bene Jehan. >>
Avrebbe voluto piangere, ridere, rotolarsi a terra, saltare, dormire per poi sognare un’altra volta quelle parole, abbracciarlo e forse anche incantarlo, per far sì che quell’attimo non svanisse nel tempo.
<< Courfeyrac… io… >> A queste parole il poeta incominciò a sussultare e a respirare affannosamente, come se avesse dovuto morire soffocato; forse era la consistenza pesante dei propri pensieri che gli aveva portato via l’aria.
<< Dimmi Jehan, stai tranquillo >> gli disse sorridente Courfeyrac, che percepiva il lieve imbarazzo di quel momento. Quanta tenerezza emanava quando goffamente arrossiva.
<< Ti voglio… bene >> esalò, esitando su quel “voglio” volutamente. Lui lo voleva oltre a volergli bene.
Quando quell’affetto si sarebbe trasformato in amore, si sarebbe finalmente sentito completo. Annegare nei suoi occhi e nelle sue lacrime non era come affogare in mare, era come morire. Non voleva solo più assaporare quel sentimento, lo voleva vivere: Courfeyrac era la persona più giusta per farlo. La sua solita malinconia veniva compensata dal buon umore dell’altro e, come un romanzo, Jehan lo scopriva e lo leggeva giorno dopo giorno, come una penna lo usava e lo consumava, come un sogno lo sognava e ci si perdeva dentro, pregando di non svegliarsi. Nessuno l’aveva mai fatto sentire così male, così tormentato, come solo i grandi poeti erano stati, ma al contempo nessuno l’aveva mai fatto sentire così maledettamente e incredibilmente bene.
Per Courfeyrac era lo stesso: aveva bisogno di dolcezza e d’ingegno, di tempo per comprendere se stesso: Jehan era la persona giusta per ciò. Forse non ci aveva mai pensato, ma tutte le ragazze che aveva amato, o almeno da cui era stato attratto, non erano state nient’altro che fantasmi fasulli, stupide coperte e maschere; Jehan aveva permesso che la parte migliore e più nascosta di lui si rivelasse. Era sempre stato spavaldo, ma non riusciva a confessarlo, a farlo trasparire: sperava che gli eventi avrebbero portato ad una conclusione.
Jehan avrebbe voluto saltargli al collo, baciarlo, esplorarlo, ma sapeva che il moro non l’avrebbe capito. Si limitò a pensare che il fatto che gli volesse bene fosse la cosa più bella del mondo in quel momento e questo valeva più di un qualsiasi bacio. Quando l’aveva salvato dal baratro, curando le sue ferite aveva anche riparato e ricomposto il suo cuore, che era stato pugnalato benché la lama non si fosse avvicinata al suo petto.
Quella di Courfeyrac era stata una mossa giusta, era stata l’intuizione che porta ad una vittoria, era stata lo scacco matto.
Entrarono nella biblioteca senza fiatare, senza nemmeno guardarsi attorno per assicurarsi che nessuno li stesse seguendo. La destinazione era quella del libri di storia della magia, in particolare di quelli più illustrati.
<< Iniziamo da quello! >> Consigliò Jehan.
I due iniziarono a cercare in lungo e in largo, a sfogliare pagine e pagine di libri, ma non riuscivano a trovare nulla: nessuna porta sospetta. Poi, nel magico momento in cui entrambi posarono la loro mano su uno stesso volume, cosa che fece arrossire tremendamente Jehan, entrambi percepirono che quello, forse, sarebbe stato il libro giusto. Lo aprirono e nella pagina centrale il disegno di un’enorme porta costellata di serpenti attrasse la loro attenzione.
Spalancarono gli occhi e il tremore che avevano abbandonato ritornò. Si fissarono basiti e sbigottiti, più paurosi di prima perchè entrambi avevano capito quale rischio stavano correndo.
<< Questa è la porta della… >> bisbigliò Jehan atterrito.
<< Camera dei Segreti… >> concluse Courf.
<< Credevo fosse una leggenda… >> recitarono in coro, artefici dello stesso pensiero.
Un basilisco era quello che li avrebbe potuti uccidere, che avrebbe potuto uccidere tutti i mezzosangue. Ora tutto aveva senso: gli occhi che Bossuet aveva citato nella profezia erano quelli di quell’enorme serpente e il sangue era proprio quello dei mezzosangue, come avevano ipotizzato. Jehan si sentì tremare nel profondo, sperando che il domani avrebbe serbato dei giorni migliori: presto sarebbe scoppiata una guerra contro Riddle e, come nel suo mondo babbano, chissà quante sarebbero state le vittime, chissà quanti ritenuti impuri sarebbero scomparsi.
<< Tu credi che l’entrata si trovi… >>
Ed era proprio lì il nodo ed entrambi avevano avuto la stessa intenzione. Si misero a correre e anche quella notte Hogwarts non restò tranquilla e non poté dormire in pace. Salirono le scale che portavano al secondo piano e non appena entrarono nel bagno delle ragazze, avvolto da quel particolare e sospetto silenzio metafisico, che si rifletteva persino nell’acqua, videro a terra un oggetto, che Courfeyrac subito non riconobbe, ma Jehan lo associò immediatamente al suo proprietario.
<< Courf >> disse abbassandosi << questo è il cerchietto blu di Musichetta… >>
<< Come fai ad esserne certo? >> Lo interrogò l’altro, incapace di realizzare ciò che era appena successo.
<< Joly me ne parlava sempre quando era innamorato di lei. Non ci posso credere… >> Jehan aveva l’impulso di fuggire, aveva paura e si vedeva da come muoveva le gambe e le mani. Lo sguardo fin troppo fuggiasco faceva trasparire l’ansia che provava. Se solo avessero potuto, i suoi occhi gli sarebbero saltati fuori dalle orbite per non vedere più nulla di quello che stava per accadere. Anche Musichetta era scomparsa ed era una donna. Avrebbe fatto la stessa fine di Mirtilla?
<< Ha rapito anche lei? >> Chiese Courfeyrac. Jehan annuì.
<< Temo che sia così. Dobbiamo informare gli altri, immediatamente >> sentenziò incominciando a correre verso l’uscita del bagno. Ma Courfeyrac, non concependo quella fuga repentina lo fermò, affermandolo per una mano, sudata e scarna. Poteva l’amore prevalere sulla paura? Per terrore sarebbe scappato, ma per amore restò.
<< Jehan, dobbiamo capire come li porta via, qual è l’entrata della Camera! >> Courfeyrac avrebbe fatto le parti di Enjolras in quel momento, era assetato di giustizia. Ma il rosso non riuscì a dargli ragione, non era sicuro restare lì in quei momenti insicuri. Dovevano allontanarsi, prima che riddle tornasse.
<< Non voglio restare qui adesso. Non è sicuro, Courf. Ricordati che rischio anche io di… >> ma s’interruppe. Lasciò intendere. Courfeyrac capì e, reprimendo l’istinto di passargli una mano tra i capelli, si azzittì.
<< Scusami Jehan. Andiamo via. Dobbiamo dirlo almeno a Joly, hai ragione. >>
E corsero nel dormitorio dei Corvonero, dove, con grandissima sorpresa, scoprirono che il giovane ipocondriaco non era solo.
<< Joly! >> Esclamò Jehan, ansioso di comunicare la notizia.
<< Ciao ‘Ferre! Che ci fai qui? >> Aggiunse Courfeyrac, confuso dell’incontro. Combeferre non era felice e non era solo interessato, non era solo preoccupato. Era funesto, assetato di informazioni, era travolto dall’ansia. Jehan comprese che non si trattava di Musichetta, ma qualcun altro.
<< Riddle rapito Feuilly. >>
Il silenzio calò. Fu solo interrotto da un: << Cosa? >> di Courfeyrac.
<< Anche Musichetta è sparita. Abbiamo ritrovato il suo cerchietto >> commentò Jehan, spiegando ai ragazzi la faccenda della Camera dei Segreti, lasciandoli a bocca aperta. Joly scoppiò in lacrime, sbattendo i pugni contro l’armadio, pensando a quanto potesse essere in pericolo il suo Bossuet. A Jehan sembrò che sussurrasse che lo amava, ma le lacrime si interposero tra le sue labbra.
<< Avrà cercato di fermarlo… >> aggiunse Courf.
<< O più probabilmente sarà capitata lì per caso e avrà assistito al rapimento. Così Riddle ha fatto che portare via anche lei >> urlò Joly fuori di sé, esterrefatto.
<< Sono quattro. Quanti pensate che ne porterà ancora via con sé? >>
<< Non possiamo saperlo Jehan. Nessun mezzosangue si deve più avvicinare a quel bagno. Avevo cercato di convincere Feuilly, ma voleva ritrovare a tutti i costi il suo amico e credeva di poter ricominciare di lì. >>
Courfeyrac, per la prima in volta in tutta la sua vita, prese le redini della situazione e parlò, perchè la sofferenza che stava ammazzando tutti era troppa ed era cattiva.
<< Sarà da dove cominceremo noi, domani notte. Grantaire e Bahorel dovranno sorvegliare che Riddle dorma. Noi agiremo. Non c’è più tempo. >>

 
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Buona sera figliuole! (?) Sono riemersa, e mi dispiace aver pubblicato con due giorni di ritardo D: …Non sono state settimane particolarmente facili, e lo sono tutt’ora, quindi scusate se il capitolo non sarà perfetto, ma ho avuto veramente poco tempo per scrivere e per ricontrollarlo :c …Non potrò più assicurarvi il giorno di pubblicazione, ma sicuramente non supererà le due settimane a capitolo, un una settimana o poco più riuscirò sempre a scrivere (:
Che dire su questo capitolo? Enj è un tesorino assurdo e così lo sono anche Courf e Jehan, che anche nella tristezza del momento riescono ad essere incredibilmente amorevoli X””
I rapimenti continuano e adesso i mezzosangue rimangono pochi. Come andrà avanti? Il prossimo sarà un capitolo importante: il piano per entrare nella Camera verrà messo appunto e iniziato. Aspettatevi di tutto <3
Alla prossima care, vi voglio bene grazie per tutte le belle recensioni <3 
  
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