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Autore: Tears990    26/11/2013    2 recensioni
Urabrask è una dea che vive fra gli uomini per assaporare le piccole sfumature che una vita da umano può offrirle. Vive la sua vita quotidiana in pace finchè un altro essere minaccia i suoi domini con la sua brama di sangue. Scoppia così una sanguinosa battaglia fra dei immortali che vedrà vincitore solo il più forte.
Genere: Azione, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le Cronache di Gilgamesh'
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Capitolo I

Fame insaziabile

 
Non era mai stata una dea vendicativa, non aveva mai portato rancore a chi non la venerava o non le portava rispetto come le era dovuto, ma aveva sempre amato i suoi figli, coloro che ha creato con la luce della sua anima.
Urabrask aveva molte forme, sia umane che mostruose, ma quella che preferiva in assoluto era quella di Aria.
Da millenni si era infiltrata fra gli uomini scrutandoli sotto le sue mentite spoglie, le stesse con cui viveva ogni giorno, amava e provava sensazioni come ogni altra creatura. Le piaceva quella vita, a volte regale, di una principessa o regina, a volte umile e faticosa come quella di una schiava.
Ora viveva come la figlia di un taglialegna della citta di Urabrask, che prendeva il nome dalla sua forma divina.
Era una ragazza solare, molto bella e dalla carnagione chiara, labbra carnose ma non in maniera eccessiva e occhi d’oro che bruciavano come il sole. I suoi capelli erano una cascata di sangue che la cingeva scendendo fino ai suoi fianchi, abbracciando la sua forma magra ma prosperosa nei punti giusti.
Si era alzata di buon ora quella mattina e aveva preparato la sua borsa per il mercato, aveva messo il vestito che aveva cucito pochi giorni prima ed aveva infilato il pugnale nella sua fodera lungo la coscia.
Salutò con un breve cenno suo padre, immerso nel suo lavoro e si avviò verso il centro della città.
La sua casa si trovava fuori dalle mura, nel distretto più povero, quello degli scultori, dei muratori e dei manovali in genere. Uscendo di casa si fermò ad ammirare in lontananza le torri del castello reale, che fendevano il cielo con le loro altezze vertiginose, come dita di una mano che si allunga verso la dea.
- Se solo sapessero che sono qui, fra loro... – disse lei soffocando una piccola risata.
Si incamminò inerpicandosi fra le salite del distretto mentre le mura e le porte della città si facevano sempre più vicine, alte e maestose, monumento alla grandezza e la potenza dei sovrani che governavano su quei vecchi sassi.
Le porte erano adorne di sfarzosi ghirigori e scene delle antiche guerre che devastarono il mondo degli uomini mettendo a ferro e fuoco la terra che la dea aveva donato loro.
“Se fossi stata meno indulgente forse quella guerra si sarebbe potuta evitare…” pensò fra se e se Urabrask
“…ma forse gli esseri umani non avrebbero compreso i loro errori, le molte occasioni concesse loro e gettate nel baratro dell’ignoranza e della superbia, lo stesso in cui re e politici si ritrovano a fare i conti con le stragi commesse in nome del loro odio.”
Proseguì oltrepassando le porte e si diresse verso la piazza principale, che ospitava il mercato e le botteghe dei mercanti più abbienti.
Il posto era pieno di merci esotiche e di bestiame in vendita, dalle galline alle vacche, ogni sorta di merce poteva essere trovata li, persino quelle più rare o quelle proibite.
La gente si accalcava sui banconi delle aste per accaparrarsi il pezzo migliore al miglior prezzo. Ovviamente nulla che una dea come lei non avrebbe potuto creare per sua volontà, ma le piaceva vivere le piccole peripezie quotidiane che caratterizzano la vita di ogni uomo.
Per millenni li aveva osservati farsi del male per prevalere l’uno sull’altro ed ora facevano lo stesso per accaparrarsi un prodotto piuttosto che un altro. Sebbene si sentisse sollevata del fatto che ora non si scannassero più per distruggere ciò che aveva donato loro era sempre terribile vedere l’indole violenta che caratterizza gli uomini, sono senz’altro una razza forte e fiera, ma nella loro brutalità spesso surclassano gli dei più dispotici e crudeli.
Si avvicinò al banco della frutta di Kassim, un amico di vecchia data di suo padre che si guadagnava da vivere vendendo frutta e verdura in una modesta bancarella al mercato. Più che modesta era senz’altro povera, infatti Aria pensò spesso che si tenesse in piedi per miracolo, ma il vecchio Kassim era sempre lì, a sfidare le intemperie, gli uomini ed il tempo.
“Forse…” pensò lei guardandolo mentre gli si avvicinava “… credo sia proprio questo ciò che mi dà fiducia negli uomini, la loro voglia andare avanti, il loro istinto che li spinge a sopravvivere e combattere le avversità. Un dio elimina gli ostacoli o li aggira per pigrizia, ma sono gli uomini che li affrontano ogni giorno anche in nostra vece, dopotutto.”
Con questo pensiero un sorriso grande e luminoso le solcò il viso mentre salutava il suo vecchio amico.
- Buongiorno Kassim, come state oggi? -
- Un po’ più vecchio di ieri, mentre tu diventi ogni giorno più bella. – disse lui ricambiando il suo sorriso – Quel burbero di tuo padre deve essere fiero di te e sinceramente preferisco di gran lunga vedere te che il suo brutto muso –
- Suvvia, non è poi così burbero, è solo pieno di lavoro – replicò lei sorridendo – ad ogni modo, mi manda a prendere il solito e a dire che siete invitato a casa nostra questa sera, si festeggerà la mia ammissione al tempio delle sacerdotesse della Dea Urabrask e vogliamo che lei sia lì con noi. –
- Ah! Ti hanno ammessa allora! Beh da una brava ragazza come te non ci si poteva aspettare di meno, congratulazioni mia cara. –
Sebbene l’ammissione al tempio non fosse uno dei suoi interessi primari, arrossì leggermente sentendo quelle parole di stima, dopotutto era per quelle piccole emozioni che viveva sotto mentite spoglie.
Ad un tratto però sentì un brivido freddo e viscido, come una lama che le sfiorava la schiena ed una voce potente le sussurrò “Trovami…”.
In quell’istante il tempo si fermò di colpo, tutto era congelato come in un dipinto, ma Aria riusciva a muoversi liberamente.
Mentre si muoveva il suo corpo lasciava una sorta di scia, un’impronta in aria, come fosse un’immagine residua di se nello spazio, una percezione ampliata dell’universo.
Si guardò attorno e non vide nessuno fuggire a parte un ragazzino che aveva rubato una mela da un bancale, ma quello non era affar suo. Stava cercando qualcuno di potente, un mago o forse peggio.
“Forse l’avrò solo immaginato” pensò fra se Aria, poi con quella sensazione di viscido nelle ossa tornò al suo posto, ripercorrendo la scia da lei seguita e riprese la stessa identica posizione di prima.
Una volta fatto il tempo ripartì bruscamente come se non si fosse mai fermato e Kassim le disse - Se lo desideri Aria stasera verrò a casa vostra e se posso permettermi vorrei presentarti mio nipote, è da tanto che vorrebbe conoscerti –
-Certo Kassim, porti chiunque desidera, lo accoglieremo volentieri alla nostra tavola. -
Replicò lei sorridendo - ora devo andare, passerò più tardi a ritirare ciò che ho comperato, prima ho altri giri da fare -
Detto ciò fece dietro front e salutò il vecchio con un cenno della mano, il quale ricambiò, poi si diresse a passo svelto fuori dalla città, e si nascose dietro una roccia poco distante dalle prime baracche oltre le mura.
Controllò di essersi lasciata la folla alle spalle e che lì non ci fosse anima viva, poi i suoi abiti iniziarono a bruciare sulla sua pelle che invece rimase intonsa a contatto con quelle fiamme che si tramutarono in un abito divino, un corpetto rosso come il sangue ed un lungo velo di fuoco spaccato sulle cosce.
La sua materia si disgregò all’istante e schizzò in un fascio di luce verso il cielo con tanta potenza da far sparire le nuvole mentre saliva e superava l’atmosfera del pianeta.
Grazie a quella visione celeste del mondo scrutò il pianeta alla ricerca di ciò che l’aveva sfidata poco prima al mercato. Sebbene pensasse di averlo solo immaginato non le costava nulla controllare. Con gli occhi percorse attentamente ogni strada, ogni insenatura, scogliera o foresta, ma era tutto a posto, non c’era assolutamente nessuno che potesse essere un pericolo. Trasse un sospiro di sollievo e sorrise rincuorata dicendo a se stessa – si, devo averlo sognato, i miei amati figli sono al sicuro –
Poi una strana fitta allo stomaco, un dolore pungente, sentiva qualcosa di troppo che le attraversava il ventre ed un dolore che via via diventava sempre più consistente e reale, poi abbassò lo sguardo e vide una lama di pugnale che le spuntava dall’ombelico fra fiotti di sangue.
Dalla sua bocca tossì una nuvola rossa che macchiò le sue labbra e una mano le scostò i capelli da un orecchio.
- Voi squallidi dei pensate sempre in piccolo, vi affezionate ad un pianeta e lo popolate di schiavi che vi venerino e se venite minacciati vi rivolgete sempre ad esso per cercare il vostro assalitore, ma io penso in grande, dannazione! -
La sua voce era leggermente roca, ma suadente e forte, il suono delle sue parole sputava tanta potenza che era quasi assordante ascoltarlo anche per lei, sebbene stesse solo sussurrando pochi semplici vocaboli.
Urabrask sentì i suoi pettorali schiacciarsi sulla sua schiena mentre le cingeva il collo con la mano libera, percorrendolo lentamente da cima a fondo.
Ma lei non era certo da sottovalutare, era pur sempre una dea e lo dimostrò immediatamente. Schiantò una terrificante gomitata nello stomaco del suo assalitore e ruotando i fianchi spezzò la lama che la trafiggeva, lasciando in mano a quell’essere solo l’elsa del pugnale.
Si girò di scatto e lo colpì nuovamente all’altezza del plesso solare con tanta forza da produrre un boato assordante, allontanando il nemico di qualche metro.
Una volta tornata in piedi rimise a posto i suoi lunghi capelli rossi come il sangue mentre il metallo che aveva conficcato nel ventre fondeva e si univa alla sua carne rimarginando la ferita appena subita.
- Tu, bifolco, chi sei? Non ti conosco e non so perché vieni a minacciarmi, ma ora lo scoprirò che tu voglia parlarmene o meno -
Una risata colma di malignità risuonò grave nello spazio attorno a loro mentre dinanzi a lei si materializzava la forma del suo aggressore.
Era un uomo robusto, molto muscoloso e dalla carnagione ambrata ma i suoi capelli erano come una colata di argento fuso che cadevano lunghi fino ai suoi glutei. Era a torso nudo probabilmente per mostrare i pettorali ben sviluppati ed indossava dalla vita in giù una sorta di cencio malridotto dalle mille battaglie combattute.
- Io un bifolco? Non farmi ridere. – Disse lui guardandola con arroganza. – Io sono Gilgamesh, un uomo asceso all’olimpo degli dei per loro volontà, uccisore dei suoi stessi creatori. Da dove provengo mi chiamano deicida e deofago ma tu puoi chiamarmi come ti pare. -
- Non ho mai sentito di un deicida, qui non sei il benvenuto e ti consiglio di tornare da dove sei venuto se non vuoi provare cosa sia scontrarsi con un vero dio. – disse lei con voce fredda e glaciale.
-Non sono uno stupido e so bene che ogni altro essere esista non può uccidermi, quindi nemmeno tu dolcezza. –
Improvvisamente svanì e riapparì alle spalle della dea intento a leccarle il collo, poi passandole un dito sul ventre appena rigenerato aggiunse - vedi io sono letteralmente immortale perché esisto e non esisto in qualunque ed in nessun luogo in ogni istante del creato e non. In sostanza non puoi uccidere ciò che non esiste, ma io posso sventrare te non credi? –
Dinanzi ad un simile affronto Urabrask perse la sua calma glaciale e sul suo volto si disegnò un’espressione di profondo disappunto, come poteva esistere un essere simile? Da dove veniva una simile bestia? Baggianate, una cosa del genere non poteva esistere, davvero.
Ma non voleva più sprecare parole con lui e decise di passare ai fatti. Strinse con la mano il suo polso bruciandone la carne fino a carbonizzare le ossa che lo componevano. Una volta libera dalla sua morsa gli afferrò i capelli alla radice ribaltandolo dinanzi a lei ed il suo braccio destro mutò diventando enorme, muscoloso e resistente. Brillava di un rosso vivido, come se fosse un contenitore di lava incandescente, ma più duro dei diamanti. A quel punto lo colpì con tanta forza all’addome da trapassarlo da parte a parte, facendo poi esplodere il corpo del suo nemico in migliaia di piccolissimi pezzi, spargendo le sue frattaglie nello spazio profondo.
- Oh sì, efficace, un po’ grottesco e macabro forse, ma di grande effetto, te ne devo dare atto. –
Il braccio della dea tornò normale ma non poteva credere ai suoi occhi. Poteva ancora vedere i suoi resti fluttuare nello spazio eppure lui era lì, di fianco a lei a commentare la sua stessa morte.
- C-come è possibile? – chiese lei interdetta – Tu dovresti essere in pezzi… -
- Lo so, ma nessuno mi ascolta quando parlo. Io sono l’unico vero essere immortale che esista. Io sono eterno, infinito e mai iniziato. - disse lui con un sorrisetto sarcastico stampato sul volto mentre poggiava la testa sulla spalla della dea.
- Sei impossibile. - rispose lei secca scrollandoselo di dosso.
- Si sono decisamente impossibile e a volte persino irritante non credi? Eppure sono qui e mi vedi. –
Iniziò a camminare in maniera strana e si piazzò di fronte a lei con le mani dietro la testa, squadrandola da capo a piedi – però devo dire che hai buon gusto in quanto a corpi umani, le tue spoglie sono decisamente eccitanti. – Mentre pronunciava quelle parole la donna sentì una mano stringere il suo gluteo e si girò di scatto vedendo una altro Gilgamesh che la palpava assorto e che poi svanì in una nuvola di fumo.
Mai nessuno l’aveva trattata a quel modo e se mai qualcuno ci aveva provato era già morto, ma lui no.
- Dimmi ti va di giocare? - 
A quelle parole Gilgamesh si infilò le dita dentro al petto e con una brutalità inaudita si strappò via la cassa sua toracica, spargendo sangue e carne ovunque attorno a se: infilò una mano a fondo dentro al suo stesso cuore aprendolo in due mentre ancora batteva freneticamente ed estrasse dalle sue interiora una spada.
La sua lama brillava di una strana luce purpurea, il manico e la guardia erano finemente decorati e nel suo complesso sembrava un’arma decisamente fuori dal comune.
Mentre il suo torace si ricomponeva si mise in guardia e attese la sua antagonista.
Urabrask era furente, pensava di non essere mai stata tanto colma d’ira come in quel momento il suo bellissimo volto trasfigurò in una smorfia di rabbia e la sua saliva si tramutò in magma ribollente mentre si avventava sul suo avversario.
Gilgamesh l’attese in guardia finché lei non sferrò il primo colpo che parò prontamente con il piatto della spada. Le braccia della dea si trasformarono completamente e si munirono di tre enormi artigli affilatissimi che bramavano la carne di Gilgamesh come se non avessero mai desiderato afferrare altro nella loro esistenza.
- Dunque se pari i colpi vuol dire che sei mortale anche tu! – esclamò Urabrask in un impeto di furia mentre caricava un poderoso colpo diretto al petto di Gilgamesh.
Sentendo quelle parole lui si fermò e si fece colpire apposta, vedendosi cavare il cuore dal petto.
- Non paro i colpi perché sono mortale, anzi, ciò che cerco è proprio il brivido della battaglia, mettere la mia vita in gioco, spingere fuori il mio istinto per lottare assieme, perché solo assieme ad esso un uomo può sentirsi vivo. –
La dea estrasse lentamente la mano dal torace del suo avversario ed aspettò che finisse il suo discorso.
- Io non sono qui per nuocere ai tuoi amati figli, io sono qui per combattere con te, perché è questa oramai l’unica cosa che mi fa sentire vivo. Gli dei mi hanno concesso l’eternità per punirmi della mia arroganza ed io ho punito loro uccidendoli, perché donandomi la vita eterna mi hanno tolto ogni speranza di Vivere. Le persone a me care che muoiono, il mondo, la mia casa che cambia aspetto l’universo che invecchia ma io no, io sono sempre lo stesso e questo mi rende triste. –
Gilgamesh si inchinò profondamente davanti a lei e disse - Giuro che non farò nulla di male a chi ami, ma concedimi questa battaglia se puoi farlo, concedimi la mia vita, te ne prego. –
A quella triste richiesta la furia di Urabrask fu mitigata da un senso di compassione, lui era un essere umano proprio come quelli che lei ama tanto, ma degli dei suoi pari lo avevano strappato alla vita e lo avevano concesso al nulla. Non impiegò molto a capire che la sua iniziale arroganza fosse solo una pesante maschera per la sua immensa tristezza, per la sua incommensurabile solitudine. Si inchinò anche lei e rispose – Gilgamesh io mi impegno in questo momento ad offrirti uno scontro epico, una battaglia tanto grande da valere quanto la tua vita. –
Detto questo gli sorrise dolcemente e notò con piacere che anche lui ricambiava tale cortesia, poi si mise in guardia e mutò completamente il suo aspetto, assumendo la sua vera forma come Urabrask. Il suo corpo era rosso come il sangue, illuminato da un bagliore incandescente e più duro e liscio di qualsiasi altro materiale esistente, ma manteneva ancora sembianze umanoidi sebbene nel suo petto ci fosse un enorme squarcio che mostrava il suo interno. Quella voragine conteneva tutte le galassie esistenti ed emanava una luce ed un calore pari solo alla somma di tutte le stelle che racchiudeva, miliardi di astri, pianeti e soli che bruciavano e vivevano al suo interno nutrendosi di lei e prosperando.
Lei era l’incarnazione della vita dopotutto, quindi non poteva essere niente di meno, mentre Gilgamesh non aveva trasformazioni particolari da mostrare, era semplicemente un uomo tramutato in dio, nulla di più.
Si mise nuovamente in guardia ed il suo petto tornò di nuovo integro ma stavolta fu lui ad attaccare. Si lanciò contro la donna correndo verso di lei ad una velocità milioni di volte superiore a quella della luce e svanì ad un palmo dal suo naso, per riapparire al suo fianco dove la colpì duramente con un poderoso fendente laterale che la scaraventò dritta su un pianeta vicino. L’impatto fu talmente forte che il pianeta stesso implose sulla dea, ma lei sfruttò la forza dell’implosione per assorbirne la detonazione e scagliarsi contro il suo avversario sferrando una serie di affondi con i suoi artigli. Gilgamesh parò il primo con prontezza di spirito e deviò alcuni degli altri ma un paio di essi lo colpirono ai fianchi squarciandoli.
L’uomo approfittò della sicurezza dell’avversaria per i colpi appena inferti e le schiantò un colpo dritto sul collo che la squarciò fino al cuore. Lei emise un urlo agghiacciante colmo di dolore e con la sua lunghissima coda lo avvolse tra le sue spire, stritolandolo fino a frantumare tutte le ossa del dio.
Gilgamesh soffriva evidentemente ma non urlò di dolore e rigenerò le sue ossa liberandosi delle sue spire.
Strappò la coda della donna a mani nude a la usò come cappio per strozzarla dalle sue spalle mentre lei cercava di liberarsi sferrando delle gomitate impressionanti al suo addome.
Soffrendo delle gomitate Gil lasciò la presa su Urabrask e le trafisse il cervello dalla nuca alla fronte con la sua lama.
Lei si dimenava come una pazza per il dolore ed irrigidì i suoi muscoli colpendolo con un calcio al petto che strappò via la carne dal suo torace. Gilgamesh si sentì intontito e fluttuò lontano per il colpo, lasciando alla dea tempo sufficiente per lanciarlo in una supernova in esplosione.
Il suo corpo bruciò completamente nel calore della stella senza lasciare traccia delle sue spoglie, ma riapparve immediatamente alle spalle della dea che aveva già previsto una simile mossa e lo fermò sul colpo, stringendogli il collo fra le mani.
- Gilgamesh il tuo desiderio è stato esaudito e come uomo sei stato sconfitto, ma non come dio, so che non hai usato il tuo potere. –
Gil sorrise ascoltando quelle parole mentre si sentiva soffocare lentamente, sentiva l’aria nei suoi polmoni abbandonarlo come una fiammella che si spegne in assenza di ossigeno.
Ma non era finita lì, un secondo Gilgamesh comparve dietro la ragazza ed iniziò a scarnificare la sua schiena a mani nude, fino a raggiungere la sua colonna vertebrale, strappandola via e lasciando la dea a ripiegarsi su se stessa come un fuscello.
- Io non verrò mai sconfitto, Urabrask, ne oggi ne mai, perché il mio unico desiderio è il sangue… e lo avrò. - rispose sicuro di se mentre raccoglieva la colonna vertebrale della donna e la ingoiava intera.
- Sei tu la perdente ed ora perirai nella maniera che più sia addice ad un dio, ti divorerò pezzo per pezzo. –
Una smorfia di terrore si dipinse sul volto di Urabrask che riacquisiva la forma di Aria, tentando di intaccare l’animo del guerriero e smuoverne la pietà.
- Ti prego risparmiami! A-avrai da me tutto ciò che desideri, sarò t-tua schiava per sempr… -
Gilgamesh le chiuse le labbra con un dito, soffocando nella sua bocca quelle penose parole e replicò – Tu da viva non puoi darmi nulla che io non possiedo già, ma da morta potrai alimentare il mio potere assieme ad ogni altro dio che ho divorato. –
Detto ciò le addentò furiosamente il collo ed iniziò a sbranarla come fa un leone con la sua preda, iniziando così a mangiare lentamente tutto il suo corpo, un pezzetto alla volta, ogni organo, osso e lembo di pelle. Un grido soffocato, sottile come un sospiro, usciva dai polmoni dilaniati di Urabrask che soffriva il dolore più grande che avesse mai provato, un dolore che avrebbe continuato a provare nello stomaco di Gilgamesh per il resto dell’eternità insieme agli altri dei immortali che aveva mangiato.
Quando rimase solo la testa della dea Gilgamesh la prese fra le mani colme di sangue e con immensa dolcezza e le sussurrò – grazie mia cara, sei stata la portata migliore del mio pranzo fino ad ora. -
Avvicinò le labbra a quelle della donna e la baciò con grande passione, ma presto quel dolce gesto di affetto si tramutò nell’ennesimo morso e poi un altro ancora e ancora, finché della dea Urabrask e di Aria non rimase nulla.
 
Fine Capitolo I
   
 
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