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Autore: O n i c e    26/11/2013    4 recensioni
Regnava l’oscurità, ma non per lui. Regnava il silenzio, ma non per lei. Gli occhi e le orecchie della Setta erano lì, insieme.
«Non finirà oggi. Non per gli Assassini.» disse Altair con voce profonda.
«Ma per noi sì, vero?» si stupì nel sentire nuovamente la sua stessa voce.
«Conosci già la risposta». Le sollevò il cappuccio sorridendo mestamente.
La Mela. Essa li avrebbe distrutti, se già non l’aveva fatto.
Genere: Avventura, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altaïr Ibn-La Ahad , Malik Al-Sayf , Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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XIII
L’aquila a due teste





 
 
La notte è così densa che il buio è palpabile. Le stelle non brillano nel cielo, la luna non illumina la valle dell’Oronte, inorridita dall’inferno che sta per scatenarsi.
Regna l’oscurità, ma non per lui. La sua vista acuta ha scorto l’esercito Templare all’orizzonte.
Regna il silenzio, ma non per lei. Il suo udito fine ha percepito il ritmo cadenzato dei nemici in avvicinamento.
Gli occhi e le orecchie della Setta sono lì, insieme, appostati sul torrione più alto della fortezza.
Il cuore le batte forte nel petto.
È questa, dunque, la fine?
Prova a parlare, ma un groppo alla gola le blocca le parole.
Percepisce una mano che stringe la sua. Si volta.
Lui è lì, fermo, che guarda dritto di fronte a sé. Il cappuccio gli cela metà del volto. Un sorriso accennato gli si stira sulle labbra mentre osserva l’esercito templare che si avvicina, incurante di quello che sta succedendo.
Il perfetto ritratto della morte. Pensa, indugiando con lo sguardo su di lui.
L’uomo, stringendole con più forza la mano, si mette di fronte a lei, fissando con i suoi profondi occhi neri quelli della giovane, che paiono d’acquamarina.
“Non finirà oggi, non per gli Assassini.” dice l’assassino con voce profonda, che le tocca il cuore.
“Ma per noi sì, vero?” si stupisce nel sentire nuovamente la sua stessa voce.
“Conosci già la risposta.” le dice sollevandole il cappuccio, sorridendo mestamente.
La Mela. Essa li distruggerà, se già non l’ha fatto.
Improvvisamente la sfera che ha nella sacchetta legata in vita sembra farsi più pensante. Così come il peso della responsabilità che grava su di loro.
“No, io non posso… non ce la faccio.” indietreggia tremante.
“Sì che puoi. Devi… dobbiamo farlo”. Annulla la distanza tra loro. Le stringe i polsi e avvicina le sue labbra a quelle della ragazza, dapprima sfiorandole e poi premendole sulle sue con più decisione. La giovane le dischiude e lui la imita, sentendo il dolce profumo della sua bocca infrangersi sul palato. Lei gli avvolge le braccia intorno al collo, abbandonandosi completamente a quel bacio lento, passionale e malinconico che sa di troppe parole non dette, di sentimenti  troppo a lungo repressi.
Sanno entrambi che sta per compiersi il fato, ma non lo vogliono accettare.
Guardano verso l’orizzonte. Ormai l’esercito è quasi giunto alle porte di Masyaf.
“È giunta l’ora” proclama lui.
“No, non sono pronta!” implora lei.
Lui la guarda triste. “È il nostro destino.” ha paura, l’hanno entrambi, di cosa possa succedere dopo.
Con uno scatto l’Assassino le strappa dalla cinta la sacca che contiene il Potere di Dio.
“No!” grida lei, ma lui le afferra una mano ed estrare la sfera dorata.
Entrambe le loro mani sono a contatto con il Frutto.
“Devi essere forte.”
La luce della Mela pare pulsare come un cuore, sempre più freneticamente.
Un calore immenso si diffonde nelle loro membra.
Si guardano negli occhi.
Gli occhi di un’aquila e quelli di una lince si riflettono gli uni negli altri.
Una luce accecante li avvolge e squarcia il buio della notte.
Un boato assordante riempie il silenzio che regnava sulla valle.
Il cielo sembra sbriciolarsi.
La terra trema.
Le loro anime si incarnano in un rapace e un felino.
Tutto viene spazzato via come sabbia, tutto crolla e diventa polvere.
E nel silenzio che segue, echeggiano solamente il grido dell’Aquila e il ruggito della Lince.
 
La stanza era ancora immersa nell’oscurità quando Nadirah si svegliò di soprassalto, sudata e ansimante, a causa dello stesso identico incubo che ultimamente la tormentava.
Si passò le mani sul viso e si lasciò cadere sul letto, cercando di calmare il cuore che batteva frenetico. Rimase immobile in quella posizione per diverso tempo, cercando di scacciare quelle immagini dalla mente. Eppure quella sensazione di calore che aveva percepito, il dolore che aveva provato sembravano… reali. Stava forse impazzendo?
Fuori il vento di novembre ululava freddo e furioso, impendendole di riprendere sonno, così decise di alzarsi e, dopo essersi avvolta un pesante mantello sulle spalle, avanzò nella penombra e si avvicinò alla finestra, scostando i tendaggi e permettendo alla luna, per metà oscurata da nubi color della pece, di illuminare con la sua fredda luce la stanza.
Poggiò le mani sul davanzale in marmo e guardò fuori. I suoi occhi vagarono sul buio orizzonte, senza fissare nulla di preciso, alla ricerca di una distrazione, fino a che il silenzio venne interrotto da qualcuno che bussò con insistenza alla sua porta.
Nel cuore della notte?
Aprì la porta e di fronte a sé trovò Kamila che le si gettò tra le braccia.
«Nadirah.» sussurrò contro la sua spalla mentre la ragazza ricambiava spaesata la stretta. «Sono qui… i nemici sono arrivati a Masyaf!»
«Cosa?!» esclamò allibita scostandola piano da sé. «Non è possibile, le sentinelle avevano detto che erano ad almeno due giorni da qui…»
«Lo so, eppure sono quasi alle porte del villaggio!» singhiozzò in panico. «Siamo perduti!»
Nadirah cercò di calmarla. «Ehi, ascolta…» iniziò afferrandola per un braccio e facendola sedere sul letto. «Ascoltami! Sta’ tranquilla, va bene? La fortezza è sicura, non corriamo alcun pericolo tra queste mura, d’accordo? E poi non puoi mica stare così, se ci sarà bisogno di aiuto devi essere nelle condizioni di farlo. Quindi adesso sta’ qui un attimo e cerchi di calmarti, poi sveglia le altre ragazze e ripeti loro questo mio discorso, capito? Ci potrebbe essere bisogno di chiunque.»
«Va bene.» acconsentì tirando su col naso.
«Bene. Io vado dal Maestro.» le comunicò raccogliendo le sue armi.
«Aspetta!» la bloccò Kamila. «Sono venuta da te perché è stato Malik a dirmi di svegliarti per darti queste.» le disse porgendole degli abiti familiari. «Li ha fatti fare Amani, apposta per te.»
«Grazie». Nadirah dispiegò le vesti nel momento i cui il suono cupo di un corno da guerra echeggiò tra le mura della fortezza.
I templari erano giunti.
In fretta indossò, sopra la tunica, la veste estremamente simile a quella di Altair, solo più corta e stretta che si adattava alle sue lievi forme. Si legò in vita la fusciacca rossa e si allacciò la cinta mentre Kamila si preoccupò di legarle i capelli in una croccia, su richiesta di Nadirah, in modo che potesse avere qualcosa da fare ed evitare un altro attacco di panico.
«Sta’ attenta!» la pregò Kamila, prima di abbracciarla nuovamente.
Nadirah annuì mentre si armava con attenzione. «Non preoccuparti.» la rassicurò prima di lasciare la stanza e avviarsi di corsa verso il cortile principale.
 
 
In pochi minuti raggiunse il piazzale già gremito di Assassini di ogni rango e si guardò attorno alla ricerca di Altair. Notò il Rafiq accanto al Maestro, concentrato nel suo discorso, mentre Altair era dietro di loro di un paio di metri.
Nadirah si avvicinò al suo maestro che le riservò un’occhiata ammonitrice. «Ce ne hai messo di tempo.» commentò con un ghigno.
«Lo so, scusa.» replicò in un sussurro.
«A dir la verità non pensavo di vederti qui, anche se potevo immaginarlo.» continuò Altair.
«Perché?»
«Mi era sembrato di essere stato abbastanza chiaro: non voglio che ti cacci nei guai.»
«Come posso dimostrare quanto valgo se non me lo permetti?» sbuffò. «Posso farcela.»
«Avevi detto di avermi ascoltato.»
«L’ho detto, ma non che ti avrei obbedito.» ribatté con un sorriso malandrino
Altair scosse la testa. «Non impari mai, vero?»
«Cosa?»
«A dar retta a chi ne sa più di te.»
Nadirah rise. «A quanto pare no.»
«Non voglio che tu ti unisca a noi oggi.»
«Io chiusa qui dentro non ci sto, Altair.»
«Non avevo dubbi.» commentò.
«Non ce la farei a stare qui mentre tu e gli altri siete là fuori a rischiare di farvi ammazzare!» confessò arrossendo, e ad Altair non sfuggì quel tu appena sussurrato. Le fu grato di aver dimostrato preoccupazione nei suoi riguardi.
«Non preoccuparti per noi, piuttosto sei tu che mi daresti una preoccupazione in più. Resta qui con Malik, almeno, e non fare azioni avventate.»
«No!» il solo nome del Rafiq la allarmò: da quella sera in cui tra loro c’era –e non c’era- stato qualcosa, Malik aveva preso a evitarla, e Nadirah non aveva neppure tentato di parlargli: sarebbe stato troppo imbarazzante. Era fuori discussione. «Te l’ho già detto, non voglio chiudermi tra le mura della fortezza.»
«E invece sì, anche fossi costretto a legarti per tenerti ferma!»
Nadirah strinse i pugni. «Scordatelo!» ringhiò prima che un boato sovrastò i loro sussurri.
Le porte del villaggio avevano ceduto.
«Assassini proteggete la nostra Casa e suoi abitanti! Ricacciate gli invasori!» urlò il Maestro con enfasi. «Andate!»
Altair tentò di bloccare Nadirah, ma questa gli sfuggì e si gettò in mezzo alla mischia di assassini che si precipitava fuori dalle mura.
Troppo tardi.
L’assassino le corse dietro e riuscì a intercettarla solo quando raggiunsero il piazzale del villaggio.
«Nadirah!» le gridò dietro, sperando che lo sentisse. L’afferrò per un braccio e la costrinse a voltarsi verso di lui.
La ragazza si divincolò allarmata, fino a che non riconobbe Altair di fronte a lei. «Al…»
«Stammi vicino.» ordinò l’assassino trascinando Nadirah con sé, mentre le prime luci dell’alba rischiaravano la fortezza.
Nel villaggio i soldati templari avevano fatto irruzione nelle prime case e già si sentivano le urla degli abitanti che, disperati, cercavano di fuggire verso il castello.
I due Assassini si mossero agili e veloci, fino a che raggiusero un’abitazione su cui Altair prese ad arrampicarsi. «Riesci a starmi dietro?» domandò voltandosi verso la ragazza.
«Tu mi sottovaluti!» rispose raggiungendolo sul tetto.
L’assassino si voltò verso di lei e le tirò sul volto il cappuccio. «Sta’ qui e fa’ quello che sai fare meglio.»
«D’accordo.» annuì estraendo dalla faretra una freccia e piegandosi sulle ginocchia in modo da poter essere il meno visibile possibile. «Abbi fiducia.»
«Ce l’ho». Altair socchiuse gli occhi e si sporse dalla loro postazione. «Ma fa’ attenzione!» le raccomandò prima di far scattare la lama celata e gettarsi nel vuoto, piombando con estrema precisione su un Templare di cui Nadirah riuscì a sentire un grido soffocato.
Un fremito di tensione le corse lungo la schiena. Doveva stare concentrata: era la sua occasione per dimostrare di essere all’altezza di ciò che aveva scelto di essere.
Incoccò la freccia e individuò un primo soldato.
Seguì con attenzione ogni movimento dell’uomo, tenendolo sotto tiro e facendo attenzione a non intercettare nella traiettoria l’assassino contro cui stava combattendo. Prese la mira e scoccò.
Il soldato cadde a terra con una freccia conficcata nella gola.
Stessa sorte toccò a un secondo e a un terzo, e via seguendo. L’ennesimo Templare finì all’inferno trafitto a un occhio.
Dall’alto della sua posizione, Nadirah si guardò intorno osservando lo scontro tra i vicoli del villaggio. Assassini e Templari si davano battaglia, senza che l’uno o altro desse rimostranza di cedere. Numerosi corpi dell’una e dell’altra fazione giacevano a terra feriti o senza vita.
Dannazione! Aveva perso di vista Altair.
Aveva intenzione di cercarlo, ma il suo sguardo venne attirato da quattro soldati che, brandendo le spade, avevano accerchiato una  ragazza e una bambina. Alla mente le ritornarono vivide le immagini di oltre quattro anni prima, quando, nella stessa situazione, due Assassini era giunti a salvarla.
Portò istintivamente la mano alla faretra, ma si accorse che era vuota.
Merda. Aveva finito tutte le frecce, ma non poteva lasciare quella ragazza al suo destino.
Un tuonò ruggì minaccioso in lontananza, mentre la pioggia iniziava a cadere, sempre più fitta. Nadirah, senza neanche pensarci, mollò la presa sull’arco e agile come un felino saltò tra i tetti fino a lasciarsi cadere nel vicolo alle spalle dei quattro templari.
Il tonfò che provocò fece voltare i soldati, Nadirah approfittò di quell’attimo di smarrimento per recidere con un colpo preciso la giugulare di uno e trapassare, dopo un facile contrasto, il secondo da parte a parte. Estrasse la spada dal corpo dell’uomo con qualche difficoltà, tant’è che dovette arretrare di diversi passi per evitare il fendente dell’altro soldato che colpì il suolo. Prendendolo alla sprovvista gli riservò una gomitata colpendolo sotto il mento, stordendolo, e ne approfittò per scagliarsi contro l’ultimo soldato. Il templare però strattonò la donna che in lacrime mollò la presa sulla mano della bambina, e la frappose tra lui e l’assassina, come scudo.
Nadirah fu costretta a ruotare il braccio in modo innaturale per evitare di colpire la ragazza, ma lo slancio le fece perdere l’equilibrio e la presa sulla spada, che tintinnò lontano, mentre il cappuccio le scivolava dal capo e rivelava la sua identità femminile.
Il templare ghignò da sotto l’elmo, spingendo via la ragazza che finì contro il muro. Ordinò a lei e alla bambina di andarsene, ma non lo compresero.
Nadirah invece sì, lei comprendeva quella lingua…
«Svelte, andate via!» urlò loro, mentre la punta della spada dell’uomo premeva fredda nell’incavo della sua gola.
L’attenzione del crociato ritornò a lei. «Tu! Tu conosci la nostra lingua, maledetta!». Il ceffone di rovescio che la colpì sul viso le spaccò il labbro e la lasciò un attimo intontita.
«Iktafi maniak1» sputò tra i denti mentre percepì un rivolo di sangue colarle dal labbro.
Un secondo colpo arrivò potente allo stomaco, togliendole il fiato. «Questo è per prima, puttana!» ruggì il secondo templare, piegandosi sulle ginocchia di fronte alla ragazza afferrandola per i capelli e sguainando la spada.
Nadirah strinse le palpebre e trattenne il fiato.
«No, fermo.» lo bloccò l’altro soldato. «Capisce la nostra lingua e per me la parla anche. Io dico di portarla dal generale. Poterebbe tornarle utile…»
L’energumeno grugnì, in segno di assenso, voltandosi verso il compagno e Nadirah ne approfittò. Fulminea estrasse lo stiletto infilato nello stivale e sfregiò il templare che le stava di fronte. L’uomo con un urlo si portò le mani al volto sanguinante, mentre lei cercava di rialzarsi e correre via. Un colpo alla nuca però la fece crollare a terra ancor prima di rimettersi in piedi.
Cadde a terra, poi il buio.
 
 
«I templari si ritirano!» urlò qualcuno degli Assassini, mentre i crociati battevano in ritirata sul suono del corno da guerra.
Altair trafisse al cuore il soldato che aveva di fronte prima che potesse scappare. Guardò gli occhi dell’uomo diventare vacui, la bocca ancora spalancata in un muto grido di dolore. Estrasse la spada e lasciò che il corpo cadesse a terra, mentre l’elmo rotolava via, scoprendo il volto di un ragazzo. L’Assassino rimase un attimo a fissarlo, aveva ucciso un ragazzo che probabilmente non aveva neppure vent’anni. Inspiegabilmente gli venne in mente Kadar, anche lui era un ragazzo quando fu ucciso. Lo sarebbe ancora se fosse stato ancora vivo.
Si calò il cappuccio impregnato di pioggia e volse il viso al cielo lasciando che l’acqua gli scorresse tra i corti capelli e lungo il profilo della mascella lavando via il sangue, suo e non, che aveva addosso.
«Maestro Altair!» la voce di un novizio, fastidiosa, lo chiamò.
«Che vuoi Jalil?!» domandò assottigliando gli occhi.
Il ragazzo avanzò con cautela. «Ecco… si tratta di Nadirah.» disse con voce tremante.
L’Assassino scattò in avanti e lo afferrò per il bavero del cappuccio. «Cosa le è successo?!» eruppe, mentre sentiva l’ansia attanagliargli lo stomaco.
«Non si trova.» mormorò.
Altair credette di aver ricevuto una stilettata in pieno petto. O forse no, una stilettata avrebbe fatto meno male.
«Che cazzo vuol dire che non si trova?!» ruggì strattonando il povero novizio.
«Altair!» la mano di un assassino si poggiò sul suo braccio, invitandolo a mollare la presa sul ragazzo. «Altair, lascialo! Non prendertela con lui!»
«Lasciami tu Rayhan! Levami le mani di dosso.»
«Cercate la ragazza, vero? L’hanno presa i soldati». Una voce femminile intervenne, facendo calare il silenzio.
Altair si voltò verso una giovane che teneva per mano una bambina che, tremante e bagnata fradicia, si stringeva alla sua gamba.
«Ha salvato me e mia sorella, e i soldati l’hanno portato via.» continuò, ignara di ciò che le sue parole stavano scatenando del maestro assassino.
«Vado a prenderla.» dichiarò a nessuno in particolare, dirigendosi verso le porte del villaggio.
«Aspetta Altair!» lo bloccò nuovamente Rayhan parandosi davanti a lui. «Ragiona… non ce la faresti mai da solo in questo momento. Se vuoi ti aiuterò anche, ma aspetta almeno il buio! Non fare cazzate e andiamo dal Maestro prima. D’accordo?»
Altair strinse i pugni e, in un gesto di rabbia, infilzò la spada del terreno fangoso con forza, pregando che il momento in cui avrebbe versato altro sangue templare giungesse in fretta.
Per salvare lei.
«Sei patetico, Altair» lo schernì Alec, qualche metro dietro di loro, mentre trafiggeva un templare che ancora respirava. «Patetico.» ripeté pulendo la lama sulla veste e avviandosi verso la fortezza.
 
 
Nadirah si risvegliò in un luogo sconosciuto. Aveva la vista annebbiata e sentiva un dolore pulsante alla nuca. Ci volle qualche secondo perché alla sua mente tornassero i ricordi dello scontro.
La ragazza nel vicolo.
I templari.
Lei che si precipita a salvarla
Il colpo, forte, alla testa.
Tentò di muoversi, ma si accorse di avere i polsi legati dietro la schiena.
Era prigioniera.
Dei templari.
Cazzo, cazzo, cazzo!
Si trovava in posizione fetale, inerme e spogliata di tutte le armi che possedeva, in una squallida tenda militare. Che avevano intenzione di fare con lei?
Non c’era nessun altro lì, se non una guardia che non appena la notò sveglia si precipitò fuori e disse qualcosa a qualche compagno, ma la ragazza non riuscì a cogliere il breve scambio di battute.
Qualche minuti dopo sentì dei passi e due mani forti afferrarla per le braccia e tirarla in piedi. «Adesso vieni con noi, dolcezza.» sussurrò lascivo uno dei due soldati spingendola fuori dalla tenda. La luce stava lasciando il posto alle tenebre e Nadirah si trovò a chiedersi per quanto fosse stata priva di sensi.
I soldati la condussero a una tenda più grande e lussuosa, al centro dell’accampamento, la cui entrata era presidiata da uomini molto meglio armati, sicuramente le guardie del corpo del generale. «Cosa volete?» domandò uno dei due.
«Dobbiamo condurre questa infedele dal Generale.» annunciò il soldato che alle spalle di Nadirah le teneva puntata una lancia alla schiena.
La guardia annuì. «Il Generale vi aspetta.»
Varcarono l’ingresso e Nadirah si sentì immediatamente avvolgere dal calore emanato dai bracieri appesi ai pali che sorreggevano la struttura, in contrasto con il freddo pungente dell’esterno. Si guardò intorno e la sola cosa che le risaltò alla vista fu l’uomo che, accomodato su uno scranno riccamente decorato, la osservava curioso.
Il soldato alle sue spalle le diede una spinta e Nadirah cadde in avanti, soffocando un’imprecazione.
«È lei mio signore, capisce la nostra lingua.»
L’uomo si avvicinò, imponente e maestoso come un re, e si piegò su un ginocchio per trovarsi con il volto all’altezza di quello della ragazza. «Bene, bene. Una donna, che sorpresa!» esclamò afferrandole il mento e costringendola a guardarlo.
Nadirah si ritrovò a fissare quel volto conosciuto. Quel volto che le ricordava la sua infanzia. Quel volto identico a quello di suo padre.
Il generale osservò minuziosamente il viso di quella ragazzina che sembrava tanto fragile e delicata. «Sai, c’è qualcosa in te che non mi è nuovo.» le disse a una spanna dal viso.
Nadirah non fiatò. Era nei guai, molto più di quando si sarebbe immaginata.
«Potrei sbagliarmi, ma in ogni caso potrebbe essere un bene per te. Di solito tendo a non essere troppo crudele con chi conosco, e quanto a te, sai cosa succede agli infedeli come voi, vero?» sibilò maligno, guardandola con finta sufficienza. «Potresti anche salvarti la pelle se collabori.» le propose in un sussurro. «C’è un motivo se sono qui: credo che tu sappia cosa stia cercando, giusto bellezza?» le chiese alzandosi.
La Mela.
Nadirah deglutì, non avrebbe mai tradito gli Assassini, né avrebbe svelato la sua identità. Corrado del Monferrato non avrebbe saputo nulla da lei.
Il generale attese una risposta che però non arrivò. «Avanti ragazzina, so che capisci quello che dico, non costringermi a usare la forza per farmi dire qualcosa da te.» la minacciò estraendo la spada e facendone scaldare la punta sul fuoco di uno dei bracieri. «Sarebbe un peccato rovinare quel bel visino, non trovi?» domandò, retorico, facendo sghignazzare i due soldati. «Voi! Andatevene!» ordinò alle guardie, infastidito dalle loro risa sguaiate.
«Sì mio signore.» obbedirono scattando sull’attenti e sparendo in fretta oltre la tenda.
Corrado ghignò avanzando verso Nadirah, che si irrigidì fissando come ipnotizzata la spada rovente, e chiamò all’interno della tenda uno della sua guardia personale. «Tienila ferma, non si sa mai.» ordinò avvicinando l’arma al volto della ragazza.
Nadirah serrò le palpebre e trattenne il respiro mentre sentiva il proprio cuore battere impazzito. Poteva percepire il calore della lama vicino alla sua guancia arrossata, su cui scivolò solitaria una lacrima. Contava i secondi che la separavano da quello che sarebbe stato un dolore atroce, ma Corrado parve cambiare idea e la colpì con il pomo della spada, con forza, sbilanciandola di lato.
«Sei ostinata vedo!» le urlò contro afferrandola per il cappuccio, così facendo però la sua mano agganciò anche il sottile laccetto che portava al collo e quando la sollevò di peso i due ciondoli scivolarono fuori, attirando l’attenzione di Corrado.
Nadirah impallidì. Uno era il simbolo degli Assassini, ma era l’altro che aveva catturato lo sguardo del reggente di Acri. Era un anello che riportava l’effige della sua casata.
L’aquila a due teste con il petto colorato di bianco e rosso: il simbolo dei Monferrato.
«Come fai ad averlo!?» eruppe colpendola con uno schiaffo che la fece cadere a terra, di schiena. «Parla! Dove l’hai preso?» urlò fuori di sé, colpendola allo stomaco con un calcio che la piegò in due e le mozzò il respiro.
«Figlio di puttana…» gracchiò Nadirah tossendo.
Solo allora, quando Corrado udì quella voce, ricordò. Quegli occhi impari, come aveva fatto a non pensarci. Era davvero lei, la figlia di suo fratello Guglielmo.
Si chinò su Nadirah accarezzandole la fronte sudata, mentre lei cercava di ritrarsi. «No, non avere paura di me Virginia.» le sussurrò.
Nadirah si tese al suono del suo nome. «Non sapevo che fossi tu. Cerca di capirmi» continuava Corrado, con tono compassionevole. Che diavolo gli era preso?
«Non mi toccare!» protestò inorridita quando la mano di suo zio le sfiorò la guancia livida.
L’uomo sorrise, comprensivo. «So che ora sei spaventata, ma non preoccuparti, col tempo saprò farmi apprezzare mia cara.»
«Cosa stai dicendo? Credi che mi unirò a te? Mai!»
Corrado parve stupito. «Perché? Non è quello che vuoi?»
«Tu sei pazzo. La morte piuttosto che unirmi a voi templari!» replicò con orgoglio.
A quella rivelazione suo zio riprese lucidità, dopo quell’attimo di pazzia. «Se è davvero quello che vuoi.» sibilò con letale freddezza prima di richiamare la sua guardia privata. «Ludovico.»
«Sì, mio signore?»
«Manda un messo alla fortezza, digli di informare gli Assassini che voglio la Mela e che uno solo di loro dovrà portarmela se rivogliono riavere viva la mia nipotina.» disse accarezzando le ultime due parole. Nadirah tremò, e non per il freddo.
 
 
 
 
 
 


Note autrice:
1dovrebbe significare fottiti bastardo in arabo, l’ho trovato su internet e spero sia attendibile, se così non fosse mi scuso per qualsiasi altra cosa ci sia scritta.
Forgive me.

Ehilà! Buonasera a tutti quanti. 
Inizio dicendo che questo capitolo è molto importante per me, il sogno all'inizio è ciò che mi ha fatto venire l'idea di scrivere questa storia. Ebbene sì, quel sogno che non doveva essere tale è nato come oneshot senza senso mentre mi ascoltavo "skyfall" di Adele, e poi ne è uscito tutto questo. wooo maggico! ah beata la mia ispirazione! Ahahah 
E' un capitolo fondamentale, finora il più importante. Non ve l'aspettavate questo colpo di scena finale, vero? Eppure è sempre stato così fin dall'inizio, un'altra idea per cui è nata questa storia.
Spero di non avervi deluso e che continuiate a seguirmi!
Grazie come sempre a tutti e a presto con il prossimo capitolo!

Salute e pace
O n i c e
  
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