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Autore: holls    26/11/2013    10 recensioni
Un investigatore privato, solo e tormentato; il suo ex fidanzato, in coppia professionale con un tipo un po' sboccato per un lavoro lontano dalla luce del sole; il barista del Naughty Blu, custode dei drammi sentimentali dei suoi clienti; una ragazza, pianista quasi per forza, fotografa per passione; e un poliziotto un po' troppo galante, ma con una bella parlantina.
Personaggi che si incontrano, si dividono, si scontrano, si rincorrono, sullo sfondo di una caotica New York.
Ma proprio quando l'equilibrio sembra raggiunto, dopo incomprensioni, rimorsi, gelosie, silenzi colpevoli e segreti inconfessati, una serie di omicidi sopraggiungerà a sconvolgere la città: nulla di anormale, se non fosse che i delitti sembrano essere legati in qualche modo alle storie dei protagonisti.
Chi sta tentando di mettere a soqquadro le loro vite? Ma soprattutto, perché?
[Attenzione: le recensioni contengono spoiler!]
Genere: Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Nathalan'
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17. Memories/2
 
 
???
Pum.
Un altro sparo.
Aveva di nuovo centrato il cuore della sagoma antropomorfa posta a venticinque metri da lui. Suo padre gli batté una pacca sulla schiena.
« Bravo, figliolo. Stai migliorando notevolmente. Di questo passo, nessuno potrà sfuggire ai tuoi colpi! »
Il ragazzino annuì senza entusiasmo, spostandosi e lasciando libera la finestra di tiro per il padre. Lo vide ricaricare la sua Beretta M9 con quindici proiettili 9mm Parabellum; poi sparò alla sagoma.
A suo padre piaceva molto portarlo al poligono di tiro. Voleva che imparasse a sparare e difendersi, nel caso in cui avesse avuto a che fare con gente poco raccomandabile. Quando gli aveva fatto quel discorso, aveva pensato che, forse, suo padre poteva volergli un pizzico di bene; ma ogni volta che tornavano a casa doveva ricredersi.
 
Ormai era un ragazzino di quattordici anni, e i tempi di Jordan Sputafuoco erano ormai passati da tempo. Adesso non era più timido e impacciato. Era diventato decisamente rispettabile alla scuola media, e aveva intenzione di diventare qualcuno anche alla scuola superiore. Il caso aveva voluto che Bill fosse capitato nella sua stessa classe, ma aveva smesso di fare lo sbruffone: l’adipe che aveva messo su da bambino lo aveva accompagnato fino all’adolescenza, rendendolo l’obiettivo di scherzi e insulti.
 
Passarono un’altra ora al poligono, finché suo padre non si stancò e non lo mandò a casa da solo.
« Vado a sbronzarmi con degli amici. Ci penserà tua madre a preparare la cena. Ah, e dille anche che mi deve stirare tutte le camicie, mi servono per domani. »
Lo mollò lì, da solo. Non che fosse un problema, ormai era abituato a essere abbandonato da un momento all’altro.
Però era sempre così dannatamente solo.
 
***
 
Come tornò a casa, trovò sua madre seduta in quella stanza striminzita che era la cucina. Rammendava calzini di fronte alla tv accesa, che ogni tanto perdeva il segnale. Se ne stava tutta ingobbita sulla parte da ricucire, a causa della vista che le stava calando.
« Sono tornato. Papà vuole le camicie stirate per domani. »
Dopo quelle parole, sua madre abbandonò subito l’uovo di legno ricoperto dal calzino bucato, per correre a prendere l’asse da stiro e la pila di camicie in bagno.
Sua madre era diventata così: ogni cosa che il marito diceva era ordine o legge, punibile se non fosse stato rispettato. E così quella donna viveva sempre nella paura costante, attenta a non sgarrare o disubbidire agli ordini.
 
Ovviamente non avevano tempo per occuparsi anche di lui, e così aveva imparato a badare a se stesso, più o meno: preparava da solo la colazione da portare a scuola – avendo guadagnato, così, i mitici panini al prosciutto che da piccolo gli erano sempre stati negati - , lavava e stirava i suoi panni all’occorrenza e puliva da solo la sua camera, se così si poteva chiamare.
Lui preferiva definirlo il suo ‘rifugio’: un po’ perché lo era davvero, un po’ perché gli ricordava un accampamento di fortuna di qualche militare in guerra. Vestiti sulla sedia, letto disfatto, milioni di oggetti per terra.  
 
***
 
Si era addormentato da poco, quando il tonfo della porta lo svegliò di soprassalto.
Suo padre era tornato, ed era chiaramente ubriaco.
Cominciò a urlare qualcosa, che gli fu chiaro solo dopo essersi svegliato dal suo intorpidimento.
« Hai stirato le camicie? Non sono abbastanza! »
Ciaff.
Aveva imparato a riconoscere il suono di una mano possente che sfrecciava contro un viso fragile e delicato.
Poi seguì un pianto.
« Lasciami stare, ti prego! Ho stirato tutto! »
« Non è vero! »
L’acuto grido di dolore proveniente da sua madre lo congelò.
« Dov’eri mentre non c’ero, eh? Puttana! Te lo dico io dov’eri! »
Ancora altre urla di dolore. Forse un calcio, o un pugno. Chissà.
« Eri a fartela con il vicino! Lo so, sai! »
Ancora altre grida, ancora altri pianti.
 
Nascose la testa sotto il cuscino, premendolo contro le sue orecchie più forte che poteva. La voce di suo padre era ormai ovattata, mentre le grida acute di sua madre gli arrivavano ancora troppo bene.
Poi, il silenzio.
Strinse il cuscino ancora più forte.
La porta della sua camera si aprì, sbattendo sul muro.
Le parole di suo padre si facevano sempre più vicine, e lui stringeva ancora di più il cuscino e gli occhi.
Si sentì afferrare da quelle mani prorompenti, che lo rivoltarono a pancia in su, privandolo del suo scudo.
Suo padre lo afferrò per la collottola del pigiama.
« Anche tu, rammollito! »
Lo schiaffo fu talmente forte che, all’inizio, non sentì nemmeno il dolore. Fu scaraventato a terra, dove sbatté il mento con violenza. La stanza gli sembrava impregnata di quel pungente odore d’alcool.
« Sei una femminuccia! Una delusione! »
Un calcio sugli stinchi, che stavolta sentì benissimo. Un altro nello stomaco. E poi un altro, un altro ancora.
Voleva piangere, ma ogni volta il dolore era così forte che non ci riusciva. Alzò gli occhi, e vide sua madre sulla porta, in ginocchio, con i capelli arruffati e il volto rigato dalle lacrime.
 
Quando lo ebbe picchiato a sufficienza, suo padre uscì dalla sua camera, richiudendo la porta con la stessa forza con cui l’aveva aperta.
Era ancora disteso a terra, inerme, con lacrime silenziose che gli solcavano il viso; non si era mosso di un millimetro.
Sentì nuove urla disperate provenire dalla camera da letto dei suoi genitori e, anche se non aveva mai sbirciato, aveva capito cosa stava succedendo là dentro, soprattutto crescendo. Intervenire gli era comunque impossibile, poiché suo padre chiudeva la porta a chiave. E sua madre era prigioniera là dentro.
 
Ormai erano un paio d’anni che quelle scene si ripetevano quasi ogni sera, ma ogni volta le urla di sua madre gli schiacciavano il cuore in una pressa violenta.
Quando il sonno si impossessava di suo padre, tornava il silenzio, e finalmente si addormentava.
Ma ogni volta erano sempre incubi. 
 
***
 
C’era solo una cosa bella, nella sua vita: Cécile.
Dalla prima volta che l’aveva vista, dentro di lui si era acceso qualcosa. Cécile era una ragazza del terzo anno, di media statura, boccolosa e dalla pelle chiara.
Aveva avuto occasione di parlarci solo una volta, ma la sua voce così delicata l’aveva subito rapito. Quando aveva saputo che avrebbero dovuto fare una recita insieme alla sua classe, la testa gli era andata completamente tra le nuvole. Già immaginava la sua dea come protagonista dello spettacolo, e lui nei panni del giovane principe che avrebbe dovuto risvegliarla con un bacio.
Ma quel sogno fu presto infranto: Cécile aveva infatti avuto la parte da protagonista, ma il ruolo del principe era stato assegnato a un suo compagno di classe, John. A lui, invece, era toccato il ruolo del maggiordomo che aiutava la protagonista nella risoluzione di misteri legati al ritrovamento di un piccolo oggetto. Non gli era andata così male – poteva rimanerle accanto con una buona scusa - , ma l’idea che non fosse lui a poterle dare il bacio finale lo faceva andare fuori di testa.
 
Lui e Cécile cominciarono a trascorrere diverso tempo insieme. Con la scusa di ripassare le battute, i due si incontravano spesso al parco, ridendo e scherzando. La cotta che si era preso per la ragazzina si tramutò presto in un innocente e timido amore: avrebbe voluto stare con lei per sempre, potersi beare del suono della sua voce e della morbidezza della sua pelle. Nonostante quello, non aveva il coraggio di confessarle i suoi sentimenti; sapeva che era una ragazza molto corteggiata, e non lo stupì il fatto che anche il protagonista della recita le facesse il filo.
La cosa positiva è che lei sembrava avere occhi solo per lui; era al settimo cielo.
 
Un pomeriggio, mentre erano al parco, raccolse tutto il suo coraggio e si confessò. Le raccontò di come l’avesse incantato fin dal primo giorno, di come la pensasse mattina e sera, o di quanto era dispiaciuto del fatto di non poter essere lui a darle il tanto agognato bacio a fine recita. E allora accadde qualcosa di inaspettato. Scaldati dai raggi del sole, accarezzati da una leggera brezza primaverile, Cécile gli prese la mano, portandolo sotto un bellissimo acero. Lontano da occhi indiscreti, sotto l’ombra del grande albero, lo baciò.
Era il suo primo bacio. Morbido e asciutto. Sentì una fugace pressione delle labbra di lei sulle sue, e lei arrossì subito dopo, colorando di un tenue rosa quel volto così candido.
Per come aveva visto nei film, si sarebbero dovuti abbracciare con foga e baciare con altrettanta voglia; e invece rimase lì imbambolato, osservando gli occhi imbarazzati di Cécile. Il cuore gli batteva forte e le gambe sembravano due budini.
 
Si misero insieme, facendo nascere una storia piena di sorrisi, parole dolci e mille attenzioni; sembrava una favola. Così, gli parve giunto il momento di presentare la sua dea a casa. Non che ci tenesse particolarmente a farla conoscere ai suoi genitori, dei quali non aveva alcuna stima; voleva solo dimostrare loro che non era né un rammollito né una femminuccia, essendo riuscito a trovare una simile creatura che gli volesse bene.
La invitò a casa un pomeriggio di giugno. Il tempo era piuttosto incerto, così decisero di studiare a casa e di non andare al parco. C’era soltanto suo padre, stranamente silenzioso. Come gli fu presentata Cécile, cominciò a scrutare la ragazzina dall’alto al basso.
 
Passarono un pomeriggio decisamente piacevole, fatto di baci innocenti e pensieri puri.
Si alzò per andare in bagno, lasciando la ragazza a giocare con il suo computer.
Si assentò per diverso tempo, anche se purtroppo non era colpa sua. Tornò dopo circa un quarto d’ora dalla sua Cécile.
Ma la ragazza era strana.
Il sorriso era sparito dal suo volto, e sembrava spaventata. Lui non capiva. Provava ad avvicinarla e abbracciarla, ma lei si ritraeva. Le sembrò sul punto di piangere, ma non riuscì a scoprirlo mai: Cécile scappò via da quella casa, dimenticando pure la borsetta sul letto.
Non tornò più.
 
Da quel giorno, la ragazza non gli rivolse più la parola. A ogni richiesta di spiegazione era vaga e sfuggevole, e più che lui insisteva e più che lei lo minacciava: avrebbe detto a sua madre che c’era un ragazzino fastidioso che la importunava continuamente.
Abbandonò l’intento, ma il dolore che provò per la perdita di Cécile fu incommensurabile. Piangeva tutto il giorno, spesso in bagno per non farsi sentire; evitava di passare dal parco che aveva ritratto i loro momenti d’amore; aveva strappato tutte le foto di quella fanciulla che, ormai persa, ai suoi occhi era ancora più bella.
Si chiese a lungo quale fosse il motivo del cambiamento repentino di Cécile. Per qualche tempo pensò di aver sbagliato qualcosa, di averla ferita in qualche modo. Poi, il giorno della recita accadde qualcosa. Gli fu estremamente difficile osservare il bacio tra i due protagonisti, ma in qualche modo lo superò. Nel tentativo disperato di riconquistare la sua amata, la andò a cercare  nel dietro le quinte del piccolo teatro. Lì vi trovò i due ragazzi, entrambi molto imbarazzati, mentre si sussurravano qualcosa.
« John, tu… tu mi piaci! »
Rimase impietrito. Cécile si era innamorata di John, il protagonista. Scappò via in cortile, nascondendosi da tutto e da tutti.
Ora che aveva trovato una persona da amare, e dalla quale essere amato a sua volta, qualcuno gliel’aveva portata via.
Pianse amare lacrime.
Perché nessuno vuole amarmi?

 

Ta-dan! Eccoci qui con un altro capitolo del personaggio misterioso! Lo so, vi interessa di più la trama principale, ma anche questi capitoli sono importanti! XD Dai dai che col prossimo ci saranno grandi avvenimenti *__* Il titolo è "Raggio di sole" e non vedo l'ora di farvelo leggere! Insomma, nei prossimi capitoli ci saranno grandi novità, anche perché ormai siamo oltre la metà della storia.
Un enorme grazie a tutti coloro che leggono e recensiscono, mi fa così piacere!
A martedì prossimo, non vedo l'ora, davvero!
   
 
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