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Autore: Reagan_    26/11/2013    2 recensioni
Ci si può innamorare senza riserve e senza motivo? Anche quando si è diversi, opposti?
Georgiana Sullivan è una analista finanziaria, cresciuta in una famiglia benestante della New York dei grattacieli.
Donald Jeter è un medico afromericano specializzando in chirurgia che si divide fra il lavoro, lo studio e il volontariato nel suo vecchio quartiere degradato.
Diversi eppure innamorati.
Opposti eppure simili.
Nella New York delle luci e delle risate offuscate dal buio della Guerra Fredda.
Storia che partecipa al "Slice of Life" Challenge.
Genere: Generale, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Storia che partecipa alla Challenge "Slice of Life" indetto da areon.
Link Challenge:http://freeforumzone.leonardo.it/d/10511289/-Slice-of-Life-challenge/discussione.aspx
Prompt:  tè [the]
Titolo: Agosto 1972-Tazza di tè
Autore: Reagan_
Fandom: Originali-Romantico
Personaggi: NC
Genere: Generale
Rating: Verde
Avvertimenti: Nessuno
Lunghezza: (conteggio parole e numero pagine):1466







L'amore comincia con un sorriso, cresce con un bacio e finisce con un tè.
Anonimo

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Tazza di tè






Il caldo afoso di New York aveva cominciato a fare le prime vittime.
Donald era reduce da settimane di turni notturni e gite fuori città improvvisate per accontentare Georgiana e la sua voglia di estate. Agosto stava scivolando via e il colpo d'aria dei ventilatori accesi notte e giorno lo avevano definitivamente fatto sprofondare fra guanciali profumati e salviette gelate. Georgiana aveva insistito talmente tanto ad averlo intorno a sé anche se febbricitante, che Donald non aveva saputo trovare una scusa adatta e si era lasciato curare come un bambino.
Era stato strano vedere la ragazza all'opera in quell'ambiente casalingo.
Si era prodigata nel preparargli una zuppa tiepida e piena di verdure prese all'alba in un piccolo colorato mercato di Downtown, inzuppava le salviette di acqua fredda lasciando scie di brividi lungo la sua fronte, aveva spostato la televisione in camera da letto per dargli la possibilità di rilassarsi completamente. Il tutto era stato compiuto con un sorriso leggero sulle labbra e qualche bacio leggero, Georgiana aveva saputo sorprenderlo ancora una volta.
Aveva peccato di presunzione e ora si trovava nella imbarazzante situazione di dover ritirare ogni pensiero cattivo ed arrogante nei confronti di quella donna perfetta.
-A che pensi?- gli domandò Georgiana mentre gattonava sul letto per sedersi poco distante dal suo corpo bollente.
-A tutto e niente.- rispose vago, Donald cercando di chiudere gli occhi e sottrarsi dallo sguardo sbarazzino di Georgiana. -E' un bel modo di festeggiare sei mesi insieme.- buttò lì, sperando di portare i pensieri verso qualcosa di più futile ed allegro.
Georgiana lo fissò sonnecchiare e si morse le labbra.
Scese dal letto e si diresse in cucina, le mani le tremavano e la testa le girava vorticosamente.
Si era sempre considerata una brava figlia e una consapevole cittadina, era stata educata da genitori progressisti e democratici, ma mai aveva dato a loro nessun pensiero o problema. Si era sempre ricordata di telefonare a casa alle otto di sera quando era al college, si era sempre presentata alle feste mondane dei genitori per sostenerli nelle loro cause anche se non condivideva i loro scopi, aveva sempre mandato in tempo le cartoline di Natale firmate a tutti i parenti lontani.
Non aveva mai alzato la voce prima dell'altro giorno.
Mai.
Il fischio della teiera la riscosse dai suoi pensieri deprimenti e una volta seduta al tavolo, con una tazza di forte tè inglese in mano, la sua mente tornò a rievocare la terribile conversazione al telefono con sua madre.
Le era venuta in mente la brillante idea di confessare quel piccolo e importante segreto che da troppo tempo portava sulle sue spalle. All'inizio sua madre sembrò contenta. Un uomo nella sua vita era ben accetto ora che aveva finito gli studi ed aveva la propria carriera, ma quando lo tratteggiò, descrisse la sua pelle d'ebano e i suoi occhi scuri, sentì distintamente sua madre imprecare.
-“Sant'Iddio!”- gridò.-”Sei completamente impazzita?”-
A nulla servirono i dettagli che aveva cercato di snocciolare tra un grido e un singhiozzo: la prestigiosa laurea, il tirocinio in chirurgia, le attività di beneficenza. In pochi minuti era passata da morigerata figlia a prole indesiderata ed imbarazzante. Per la prima volta nella sua esistenza, vissuta forse troppo timidamente, sbatté la cornetta al telefono interrompendo così gli strilli e gli imprechi di sua madre.
Bevve qualche sorso di tè, scottandosi la lingua e dandosi della scema.
Il liquido caldo le solleticò la gola e finì per riscaldare le sue membra già accaldate dall'afa newyorchese. Quando tornò nella sua camera e toccò la fronte più fredda di Donald si rincuorò.
Almeno aveva lui, nella sua vita.



Georgiana scese dall'auto e si guardò intorno.
Non aveva mai visto chiaramente quella via trafficata e molto famosa della zona degli afroamericani. Era vicina a tutti i collegamenti coi trasporti pubblici e nel bel mezzo di un vivacissimo quartiere pieno di negozi e colori.
Se nella East Side di New York, tutti o quasi erano partiti per le vacanze estive, il quartiere di Harlem era pieno di vita, nessuno si era chiaramente mosso più di tanto. Rilesse l'indirizzo che aveva scritto con mano incerta e si guardò intorno finché non trovò il palazzo numero 234.
Era proprio come ricordava quella notte che Donald si era fermato per recuperare la valigetta con due vestiti e partire alla volta della campagna; un grosso palazzo con l'intonaco grigio rovinato. La porta centrale era aperta o meglio divelta, entrò dentro e si ritrovò subito faccia a faccia con un altissimo ragazzo dalla pelle mulatta.
-Si è persa per caso?- le domandò con gli occhi sbarrati per la sorpresa.
Georgiana deglutì per l'imbarazzo e deglutì stringendo con forza il foglietto, si fece forza. -Devo entrare nell'appartamento di Donald Jeter per prendere alcune sue cose.-
L'uomo inarcò il sopracciglio incuriosito. -E lei chi sarebbe?-
-Io?La sua ragazza.- rispose con un filo di voce e cercando di mantenere il contatto visivo con quegli occhi scuri ed arcigni che la fissavano. -Georgiana Sullivan.-
La smorfia burbera dell'uomo si dissolse e uno strano sorriso sornione comparì sul suo viso. -Ah, è stata Minnie a portarti qui! E' uno dei suoi scherzi infami? Donald e Minnie sono due deficienti, ecco cosa sono.- chiese ridacchiando e facendole strada, dandole le spalle. In un primo momento Georgiana non sembrò capire.
Chi era Minnie? Cos'erano questi scherzi?
Avrebbe voluto trovare la fermezza di bloccarlo e farsi raccontare. Era certa che ci fosse una spiegazione ragionevole dietro a quella strana sensazione che si stava facendo viva nel suo petto. L'uomo aprì con una leggera spallata la porta difettosa che tanti guai provocava a Donald quando rientrava a casa più brillo del solito.
Era una casa modesta e pulita, con pochi ed utili mobili. “Una casa di passaggio”, l'aveva definita una volta convincendole che non c'era bisogno che vedesse. Ma intanto che il suo accompagnatore le indicava il soggiorno, un piccolo dettaglio la colpì.
Era arrivata con l'intenzione di prendere poche cose, un paio di pantaloni e camicie, la sua ventiquattrore, la biancheria e il necessario per farsi la barba, giusto per dargli la possibilità di starsene a casa sua ancora qualche giorno, data la vicinanza con l'ospedale. Mentre cercava con gli occhi un armadio e di distrarsi dalle occhiate divertite di quell'uomo che pensava fosse tutto uno scherzo, notò un particolare.
Sull'attaccapanni, oltre al soprabito estivo di Donald, era posato un grazioso trench violetto coordinata con una sciarpa di seta bianca con i bordi rosa impregnata di un dolce profumo.
L'uomo con lei la osservò leggermente stranito dallo sguardo spiritato e dalla pelle sulle guance diventate pallide della donna bianca.
-Signorina … Ma che le succede?Si sente bene?-
-No … Io ho bisogno … di sedermi.- scandì lentamente mentre la vista le si annebbiava e gli occhi si riempivano di lacrime. L'uomo la prese per un braccio e la trascinò nella piccola cucina e decise che un tè forte poteva far riprendere quella piccola donna bianca.
-Chi è lei?- chiese Georgiana cercando di reprimere le domande che le vorticavano in testa.
-Io sono Miles Ubeda. Sono un amico d'infanzia di Donald. Abbiamo fatto l'università insieme, ma io faccio l'avvocato delle cause perse.- disse lui con una nota divertita. -Lei piuttosto, chi è?-
La domanda la confuse e ci mise qualche secondo in più a rispondere. -Mi chiamo Georgiana Sullivan, lavoro come analista finanziaria e fino a qualche minuto fa, credevo di essere la fidanzata di Donald Jeter.-




Quando si alzò dal letto era già notte fonda.
La bocca era impastata e secca ma per il resto sembrava non avere altri problemi. La nausea e la febbre lo avevano lasciato dimagrito e spossato, si alzò e gracchiò il nome di Georgiana.
Quando non sentì nessuna risposta si rabbui e camminò incerto fino all'altra camera da letto. Girò per tutte le stanze e rimase sconcertato nel non vederla. Si sedette su una sedia cigolante della cucina e solo allora notò un piccolo biglietto, scritto con una calligrafia simile a quella Georgiana eppure troppo ondeggiante rispetto alle altre note che gli lasciava in giro per la casa.
“So di Minnie. Per favore non appena ti sarai ripreso, serviti pure una tazza di tè, prendi le tue cose e vattene.”
Per la prima volta nella sua breve e discretamente fortunata vita, Donald Jeter non l'aveva passata liscia. Il suo piccolo giochino, il suo vizio, era stato scoperto e per la prima volta era stato smascherato senza tanti preamboli ed invitato ad andarsene.
Prese a girare per la casa, rovistando in ogni angolo alla ricerca di ogni traccia di sé, raccogliendoli ed indossandoli. Ma prima di chiudersi la porta dietro le spalle, si concesse un paio di sorsi di tè intenso e freddo che gli lasciò la bocca amara e secca.
Una piccola punizione per ciò che aveva fatto.
   
 
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