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Autore: but honestly    27/11/2013    1 recensioni
«È un bambino debole.»: quella scure – gelida e nera come l’inchiostro - ha cominciato a calare sulla sua testa dal suo primo istante di vita. Sembrava come tacere qualcosa, come restare sospesa tra l’affermazione e la diretta conseguenza. Sottintendeva un “per cui” che nessuno si era mai curato di spiegargli, ma alla cui conclusione poteva già giungere da solo.
«È un bambino debole.» è stata sentenza e condanna;
- Jun è un ragazzo di sedici anni e una malattia che lo costringe ad una vita difficoltosa è sul punto di aggravarsi. A cambiare la sua esistenza saranno un patto e un desiderio, in grado di portare quella vita che reputava insignificante finalmente... "fuori dalla finestra".
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Resta con me. Resta con me, per sempre.»
 
 
La pioggia scende leggera sulla città. Con il suo velo soffuso – che sembra quasi confondersi con la nebbia – veste le case, i palazzi, alberi e prati verdi di un delicato color grigio tenue, che si accompagna, nel suo avanzare lento e costante, di un ticchettio ritmico su ogni superficie che incontra, creando talvolta suoni acuti, talvolta ovattati.
In basso, sulla strada, un mare di tondi fiori colorati – verdi, rossi, blu, perfino decorati con particolari motivi – si muove in una danza frenetica che pare infinita, finchè si disperdono tra un edificio e l’altro e, cessato il calpestio dei loro passi rapidi nelle pozzanghere d’acqua, finalmente tutto tace.
Resta solo lo scroscio rilassante delle gocce di pioggia che cadono, gentili, dal cielo plumbeo a fargli compagnia.
 
Jun osserva quello spettacolo con gli occhi azzurri e limpidi spalancati sul vetro un po’ appannato della finestra, laddove – nel suo riflesso appena accennato – potrebbe perfino notare il baluginare della meraviglia. Le labbra socchiuse, nello stupore, come se fremessero nell’aspettare qualcosa. Un gran finale, per quel concerto magnifico che, fino a quel momento, ha avuto modo di provare sulla sua pelle una volta o due.
Si scosta una ciocca dei suoi capelli corvini dal viso, tra cui risalta qualche ciuffo violetto dipinto da lui qualche mese addietro, poi torna a puntare i gomiti sul davanzale e a trattenersi il viso tra le mani, quasi a frenare la sua voglia di lasciare la sua stanza per sempre ed uscire, senza – per una volta – dover pensare alle conseguenze.
 
Le gocce di pioggia cominciano a diradarsi. Jun chiude i gli occhi per qualche istante, il suo respiro si fa regolare, rilassato, sembra seguire l’andamento dell’acqua che scroscia lenta, lì fuori. La natura è in concerto, la chitarra è proprio al suo fianco e lui… lui  vorrebbe tanto prendere parte all’esibizione. Ma non lo fa.
Non ci sarebbe nessuno ad ascoltare le sue note – anche deliranti, magari, ma non gli importa – nel silenzio inquietante che predomina da sempre in quella casa.
Già, per ora si limita semplicemente a passare la mano sulla custodia nera, accarezzandola amorevolmente, quasi assaporando un momento lontano che sente irraggiungibile ogni giorno che avanza. Stringe le labbra, dischiude le palpebre: la pioggia è scomparsa.
Il sole comincia a farsi strada tra le nubi, sferzandole con i propri raggi, ferendole, restituendone brandelli che si disperdono presto.
Che cosa non darebbe per poter avvertire il tepore piacevole di quella luce dorata, mentre si adesso si aggrappa con forza al termosifone sotto il davanzale? Il calore che avverte e che gli brucia le mani… non è certo quello che desidera.
 
Sono passati sedici anni dal giorno della sua nascita.
«È un bambino debole.»: quella scure – gelida e nera come l’inchiostro - ha cominciato a  calare sulla sua testa dal suo primo istante di vita. Sembrava come tacere qualcosa, come restare sospesa tra l’affermazione e la diretta conseguenza. Sottintendeva un “per cui” che nessuno si era mai curato di spiegargli, ma alla cui conclusione poteva già giungere da solo.
«È un bambino debole.» è stata sentenza e condanna; da allora, non gli è stato più concesso adoperarsi in qualcosa senza la supervisione di sua madre o di un medico, senza un controllo, numerose analisi, interminabili giorni in ospedale e prescrizioni di farmaci che, ormai, conosce a memoria per colore, forma, sapore e dimensione.
Li odia tutti, dal primo all’ultimo, eppure sono proprio quelle medicine – per le  quali sua madre lavora giorno e notte - che rafforzano il fragile filo che lo tiene ancora aggrappato alla vita.
Jun è malato. Lo è più o meno da sempre, da quel che ricorda. Non c’è qualcosa che valga la pena di ricordare, in effetti, al di fuori di quella collezione di malattie che, piuttosto, è una maledizione.
Non esce di casa, poiché anche il più leggero alito di vento potrebbe aggravare la sua condizione.
Non frequenta la scuola, al contrario di tutti i ragazzi della sua età, perciò non ha amici, né qualcuno che gli faccia visita al di fuori di un insegnante privato che gli paga sua nonna.
Non ha mai mosso più di qualche passo nel cortile di casa sua, non ha mai fatto a botte con un altro ragazzino, non si è mai preso una cotta per una ragazza della sua classe, non ha mai nemmeno sfiorato l’idea di fare un provino per qualche gruppo musicale, accompagnandosi con quella chitarra che, tra le sue mani dal tocco delicato, diventa uno strumento meraviglioso in grado di regalare emozioni incredibile attraverso ogni singola nota.
Se soltanto qualcuno potesse ascoltare…
 
Già, se soltanto…
 
Poi, un’idea gli balena nella mente come un lampo a ciel sereno. Una trovata sciocca, forse l’unico tipo di bravata che un ragazzo come lui possa permettersi.
«Solo un po’.» sussurra, mentre si avvicina alla finestra, lo sguardo deciso, le mani ben salde sulla maniglia di ferro «La apro soltanto un po’. La mamma non se ne accorgerà neanche…».
E non è questo il punto: Jun lo sa bene.
Sa che il motivo percui non dovrebbe aprire quell’anta cigolante va ben lungi da una strigliata da parte di sua madre e, probabilmente,  sa che anche se quella donna fosse stata in casa per qualche motivo, le avrebbe disobbedito comunque.
In qualche breve e folle istante, quel desiderio di uscire, di sentire il sole sulla pelle, il suo tepore e il sapore particolare dell’aria fresca all’esterno era diventato una necessità, come lo sono il respiro, il battito cardiaco, gli impulsi nervosi che ora lo guidano in quel… clack.
 
È stato più facile di quanto potesse immaginare. Anzi, di quanto ha immaginato, in tanti anni che ha desiderato farlo. Socchiude soltanto la finestra, quanto basta per avvicinarlesi e assaporare brevemente il gusto particolare dell’aria, all’esterno.
E nel momento preciso in cui il suo corpo viaggia lontano dall’odore asettico della sua stanza – che ormai quasi sembra un ambulatorio d’ospedale – Jun sente di voler respirare ancora quell’aria che sa di sogni lontani, quegli stessi sogni che ormai credeva irrealizzabili e che, per qualche istante, sente finalmente vicini e tangibili.
Apre la finestra. Soltanto un altro po’… Si ripete: i cardini cigolano come se fossero rimasti immobili per secoli. La senti, Jun? L’aria dell’esterno, quella che respirano tutti, quella che circonda tutti in un abbraccio… freddo.
Perché è inverno e siamo in pieno Dicembre. Il gelo lo colpisce al petto, esattamente come avrebbe fatto un pugno in quella prima rissa che non ha mai avuto modo di sperimentare. Ma da questo freddo, stavolta, lui non può difendersi.
Allunga la mano verso la chitarra, al suo fianco. Per estrarla, passa il gancio nero della chiusura-lampo lungo il profilo della custodia nera. La imbraccia, le dita infreddolite si posizionano sulle corde. Formicolano appena, quasi fremendo in un avvertimento, ma lui  è così felice di aver riacquistato la sua libertà che non sembra neanche farci caso.
«Adesso, ascolta.» mormora, le labbra appena tremanti faticano appena a pronunciare quelle parole dirette a chissà chi, al di là della finestra «Per favore, ascolta.».
 
Sta per suonare il primo accordo, quando improvvisamente la testa si fa pesante e le gambe più cedevoli del solito.
 
La chitarra gli sfugge dalle mani; crolla a terra, frantumandosi sul lato.
Jun si passa le dita tra i capelli, quasi imbarazzato per la pessima figura appena mostrata all’immaginario pubblico che si era figurato all’esterno del suo piccolo mondo, lo stesso mondo che ora va sgretolandosi, quindi si china per raccogliere lo strumento, quando… non riesce a sollevare alcunché. Per un interminabile istante, il soffitto, le pareti e il pavimento si confondono e lui cade a terra, avvolto in quel pigiama leggero che a malapena lo scherma dall’aria fredda che incede, imperiosa, dalla finestra della stanza. E’ verso quest’ultima che volge il disappunto del suo sguardo affaticato, il respiro si fa irregolare e lui… ha paura.
Non perché abbia timore di morire o di ammalarsi ancora, il che sarebbe assolutamente comprensibile. No, il terrore che lentamente prende possesso del suo corpo è diverso e ben più terribile: Jun ha appena avuto modo di toccare con le proprie mani quei fili sottili e taglienti che lo tengono vincolato ai suoi limiti. La consapevolezza di non poter andare oltre con le sue sole forze: questo lo spaventa.
La mano si allunga verso la chitarra in un movimento che, piuttosto, sembra uno spasmo, senza riuscire neanche a raggiungerla. Sente il battito del cuore pulsargli nelle tempie, nella testa, come un tamburo. Ogni colpo fa male, come se qualcosa dentro di lui scalpitasse per uscire.
 
«Gli esseri umani sono troppo fragili:» una voce cristallina, improvvisamente, mette a tacere quella voce dentro di lui che lo spingeva verso il panico. Femminile, delicata, eppure incredibilmente fredda. Viene da fuori: dall’esterno. «si rompono subito.» conclude, quasi ammonendo il suo comportamento con quell’ineluttabile verità.
Jun solleva appena lo sguardo, quanto basta per distinguere i contorni incerti di un viso, al di là della finestra spalancata: un volto dai tratti dolci, delicati, ma dallo sguardo dorato e crudele, che gli raggela il sangue già troppo freddo nelle vene.
Si rompono subito…
Jun  ha il tempo di riflettere appena un istante su quelle parole. Poi, il buio lo inghiotte come i flutti marini e i pensieri gli sfuggono come sabbia tra le dita.
Jun si è rotto.

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Note dell'autrice ~

Oh cielo --
Va bene, andiamo con ordine. Inizialmente, ci tengo a dire che sono particolarmente legata a questa storia ;_;' perchè è il "remake" della trama utilizzata per la mia primissima fanfiction (non pubblicata qui perchè, diciamocelo, l'ho scritta cinque anni fa ed è un orrore) e i personaggi principali sono stati soggetti di tantissimi dei primi disegni manga in cui mi adoperavo. Oltretutto, io e una mia amica - Serena - avevamo trasposto Jun e la ragazza che.. SPOILER! Lo scoprirete nel prossimo capitolo u__u Beh, comunque li avevamo trasposti in un GDR, quindi ho avuto modo di "vederli crescere" e, in un certo senso, mi hanno anche accompagnata mentre mi dedicavo a quello che amo fare.
Se devo essere sincera, non avevo neanche intenzione di riprendere in mano la penna (ma non ero al pc?) per questa storia, perchè la giudicavo chiusa lì. Oltretutto, OGNI VOLTA MI FA VENIRE TANTI FEELS, quindi alla fine non riuscivo mai a mettermici seriamente xD poi ieri sera mi sono messa a parlare con Sere - non ricordo esattamente PERCHE' - proprio di Jun e delle storie che erano saltate fuori con questi personaggi e... boh, ho pensato di disegnarli di nuovo xD e proprio dal disegno (e dal consiglio di Nicolò che voleva leggere le vicende di questo pampino sfortunatoh) è nata la voglia di riscrivere la storia ;w; quindi... c'est tout. 
Spero tanto che vi piaccia come è piaciuto a me scrivere questo capitolo :3 see ya next time!

River ~

 

   
 
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