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Autore: Olivia Hudson    27/11/2013    2 recensioni
Cristina, una liceale di 16 anni, perde la vita in un incidente stradale mentre viaggia per raggiungere la scuola, lontana dal suo paesino d'origine. Sarà per lei uno shock scoprire di essere morta, ma ancora di più lo sarà scoprire le reazioni della gente.
Forse ora vi chiederete il motivo del titolo, ma se vi ho incuriositi non potete fare altro che leggere il mio racconto... In caso, buona lettura!
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il dramma di Facebook


Cristina aveva la musica nelle orecchie.
Cristina aveva l'amore per la testa.
Crisitina aveva solo 16 anni, Cristina non capiva, ma Cristina era morta.

Stava viggiando come ogni giorno, in autobus, per raggiungere la scuola: ma quella mattina Cristina era seduta da sola. Si era svegliata tardi -per quanto tardi possano sembrare le 5.30 del mattino- e così aveva dovuto prendere l'autobus successivo. Si trattava di 15 minuti di differenza, ma la prof. Angelici le avrebbe comunque fatto storie, lo sapeva.

Ma in quel momento Cristina non ci pensava, aveva ancora sonno, era bagnata fradicia di pioggia e l'agitazione per la verifica di greco occupava la sua mente: aveva tanto pianto, urlato e litigato con i suoi per frequentare il Liceo Classico, si era battuta per poter realizzare i suoi desideri e per poter realizzare se stessa, e alla fine li aveva vinti, li aveva convinti. Certo il sacrificio si notava, svegliarsi tutti i giorni alle 5.30 e tornare alle 15 del pomeriggio... ma davvero a Cristina non importava, sentiva di avere fatto la scelta giusta e di aver trovato il suo posto in quella fantastica scuola di ragazzi aternativi, intelligenti, colti. E se la cavava pure, e come se se la cavava: non c'era perciò da preoccuparsi per la verifica di greco.

Quella mattina aveva troppi pensieri per la testa -l'imminente test, l'imminente strigliata della Angelici, l'imminente quantità di esercizi per il giorno seguente... troppi imminenti, insomma- e sapeva perfettamente che una sola cosa l'averbbe salvata in quel momento: la musica, i suoi adorati Guns n Roses.
Così, appena salita sul pullman, gettò lo zaino sul sedile accanto e si infilò le cuffie, che in quel momento sparavano a tutto volume November Rain -brano più che adatto alla situazione-: "Benedetto il giorno in cui l'uomo inventò la musica e il giorno in cui Slash la apprese!" pensò la ragazzina, e dopo essersi messa comoda appoggiò la testa al finestrino, facendosi cullare dalle note e dalle emozioni della canzone.
"Chissà se Luca mi saluterà oggi, forse è ancora offeso per la litigata dell'altro giorno... E se ci parlasse Sergio? Vabè, chiederò consiglio a Laura..." e pensando al fidanzatino e a come risolvere la situazione che lei stessa aveva creato accecata dalla gelosia, Cristina si appisolò.
Quando si svegliò, si tirò su a sedere e si gurdò intorno: "Porca puttana, che cosa succede?". Infatti l' autobus bruciava tra alte fiamme, in mezzo alla strada, mentre pompieri e vigili del fuoco si davano da fare per salvare il salvabile. Cristina si spaventò, si alzò e si guardò le mani, le gambe, i piedi: era ancora viva! Non stava bruciando! Ma come era possibile? Non pensava che Dio, dopo tutti gli insulti che gli aveva mandato e le fini che gli aveva augurato, potesse averla salvata... Ma attorno a lei le fiamme divampavano, ed era inutile cercare di abbattere il vetro, era troppo esile... Davvero pensava di essere in un sogno, ma era tutto così reale! Lei poi, che sognava così tanto, sapeva davvero distinguere la realtà dalla fantasia?
Poi le fiamme si spenserò, merito dei soccorsi, e Cristina cercò aiuto battendo sul vetro del finestrino: un vigile sembrava essersi accorto di lei, indicava nella sua direzione e chiamava un collega per farsi aiutare a tirarla fuori, molto probabilmente: le fecero cenno di allotanarsi, e così fece: ruppero il vetro e lei si sporse per facilitare loro l'azione: ma essi non le badarono. La trapassarono e si diressero verso una piccola figura, caduta in mezzo al corridoio, lo zaino lì vicino e il cellulare e le cuffie, ormai carbonizzati, ancora nelle sue mani: si avvicinò, cercando di vedere chi potesse essere la sventurata, ma mai aveva pensato di vedere quello che vide. La Sventurata era lei, Cristina.

Cristina non capiva, e l'istinto animale la sopraffasse: come una bestia, quando si vede davanti il pericolo e l'unica salvezza che ha è quella di correre, veloce, indietro, la ragazzina uscì dal vano del finestrino e iniziò a correre. Veloce. Indietro.

Corse finchè potè, accorgendosi di non provare dolore fisico, ma ad un certo punto fu il dolore interiore che la fermò: non poteva credere a quello che aveva visto, lei non poteva essere così... così... non riusciva nemmeno a dirlo, ma lei non poteva essere così morta. Iniziò ad agitarsi, a chiedere a chiunque se la vedessero, se la sentissero, se anche solo la percepissero. Ma niente, nessuna risposta. E non poteva più nemmeno piangere.

Si diresse così verso casa, a piedi, camminò per ore, pensando a come avrebbe potuto dire ai suoi gen... "Ma che cosa posso dirgli?" pensò "Sono un fantasma, cazzo. Solo un fantasma."
Fortuna che ancora il cielo piangeva al posto suo.

Quando arrivò a casa era ormai sera. Aveva sentito tutti, sconosciuti e non, parlare della sua morte, di quanto fosse stata ingiusta la vita nei suoi confronti, di quanto la sua famiglia dovesse essere distrutta. Eh certo che lo era: sua madre, semplice casalinga dal carattere docile, piangeva disperata; suo padre, semplice operaio dall'animo volenteroso, la consolava, altrettanto disperato.
Comunque sia, nessuna delle persone che aveva sentito dirsi così dipiaciute per lei e per tutta la sua famiglia andarono a farle visita, nè nei giorni che seguirono andarono a dare un appoggio, anche solo morale, ai suoi genitori. "I soliti finti perbenisti", aveva pensato Crisitna: era per questo che aveva scelto di studiare, di essere una persona colta e soprattutto una persona vera... Non voleva fare la fine degli adulti di marmo con cui ogni santo giorno si trovava a condividere le strade, i marciapiedi, gli autobus. Già, gli autobus.
Fin qui ci poteva anche stare: "Io non mi sarei interessata più di tanto a voi, voi state facendo lo stesso con me" pensava Cristina, anche se con una grande tristezza nascosta nel vedere i suoi genitori così soli.

Il problema era Facebook. Tutto d'un tratto, Facebook era diventato un luogo dove piangere Cristina, dove ricordare Cristina, dove amare Cristina: persone che nemmeno la conoscevano, persone che nemmeno l'avevano mai vista, persone a cui di Cristina in realtà non importava niente la commemoravano: anche i giornali, locali e non, riportavano a grandi titoli "Tutta Facebook piange l'adorata Cristina" o "Anche Facebook con Cristina" oppure ancora "Il dramma di Facebook: tutti e 394 gli amici la ricordano con post e commenti commoventi". 
"Ma un normale mazzo di fiori no?" pensava, tra il divertito e l'angosciato, Cristina. 
Infatti, a ricordarla veramente, nel mondo reale e nella realtà di tutti i giorni, chi c'era? Nessuno. Erano tutti intrappolati in quella che ormai sembrava essere diventata una convenzione, un obbligo, una legge dettata da Facebook e seguita da persone altrettanto false e virtuali.

Cristina comunque non c'era più. C'erano solo il suo ricordo e la sua pagina Facebook: l'uno svaniva pian piano, dimenticato da tutti, e l'altra si riempiva di lacrime virtuali, abusate da troppi. 


Cristina aveva la musica nelle orecchie.
Cristina aveva l'amore nella testa.
Cristina aveva solo 16 anni, Cristina capiva solo che era stato meglio morire, perchè a quanto pare non piaceva a nessuno.
Se non su Facebook.

  
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