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Autore: Iryael    28/11/2013    2 recensioni
Aprile 5402-PF, pianeta Veldin.
Lilith Hardeyns, diciottenne di Kyzil Plateau, trascorre la sua vita tra una famiglia inesistente, un coetaneo che la mette in difficoltà ad ogni occasione e un maestro di spada che per la giovane è anche un padre e un amico.
Sono passati sei anni da quando la ragazza ha incontrato Sikşaka, il suo maestro di spada, e Lilith ha acquisito un’esperienza sufficiente per poter maneggiare tutte le armi presenti nella palestra. Tutte tranne una: Rakta, una scimitarra che perde il filo molto raramente.
Lilith sa che quell’arma, il cui nome stesso significa “sangue”, richiede un’esperienza che ancora non ha.
Non sa che quella scimitarra ha origini molto più antiche di quel che sembra, né conosce il potere di cui è intrisa.
Ignora che qualcuno vuole averla ad ogni costo.
E nemmeno immagina che Rakta sta per diventare parte integrante della sua vita.
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[Galassie Unite | Arco I | Schieramento]
[Personaggi: Nuovo Personaggio (Lilith Hardeyns, Queen, Sikşaka Talavara)]
Genere: Azione, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ratchet & Clank - Avventure nelle Galassie Unite'
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[ 08 ]
Rendez-vous con la Regina
Sempre 19 aprile 5402-PF, ore 2:30
Settore nord, casa Hardeyns
 
Fu un colpo a svegliare Lilith.
Giunse alle sue orecchie come un cupo clunk e il sonno lo trasformò nello stridio della tagliola che scatta. Le punte metalliche azzannarono la sua gamba e le strapparono un urlo.
La ragazza si svegliò di soprassalto. Una fitta al polpaccio la fece piegare su se stessa, gemendo a denti stretti. Portò le mani allo stinco e impiegò qualche istante a realizzare che non aveva il piede in una tagliola, ma bisogno di un massaggio che riavviasse la circolazione.
Si lasciò ricadere sul materasso e si allungò verso il comodino, dove teneva una pomata utile.
«Fottuto crampo.» borbottò. «Ci mancavi solo tu a scassare le palle.»
 
Venti minuti dopo, con le mani impiastrate di gel e la gamba in via di ripresa, zampettò fino al bagno. Lo specchio alla parete le rimandò l’immagine di una persona in disordine: capelli scarmigliati, una spallina della camicia da notte caduta, broncio.
«Oh, ma che meraviglia di donna. Una bomba sexy in camicia da notte.» ironizzò. «Il tocco da maestro sono sicuramente i capelli a puttane. Anzi no, le occhiaie. Faccio tanto regina della notte. Anzi no. Ecco a voi la regina degli incubi, Lilith Hardeyns!»
Immerse le mani sotto il getto del lavandino e l’acqua assunse sfumature azzurrognole. Si guardò di nuovo allo specchio. «No, la regina degli incubi è Crysis. Beh, si fottano lei e gli incubi, io volevo dormire
In proposito, le tornò alla mente che aveva un ospite che dormiva nella stanza di fronte. Sgranò gli occhi e si portò una mano alla bocca.
Oh cazzo!
Attraversò il corridoio in punta di piedi, rivolgendo a sé stessa gli insulti più creativi cui riuscisse a pensare. Pregò che Sikşaka non si fosse accorto di nulla, mentre la sua mano abbassava la maniglia della porta. Fai che dorma fai che dorma fai che dorma...
La preghiera si fece più intensa nel momento in cui fece capolino con la testa nella camera.
Fai che dorma fai che...eh?
La stanza era vuota, il letto sfatto.
Ecco, l’ho svegliato.
Era inutile continuare a rimanere nella penombra. Accese tutte le luci, fece dietrofront e scese fino al piano inferiore.
«Sik? Mi dispiace se ti ho...»
Si zittì.
Era tutto quieto. Né cucina, né salotto né ingresso mostravano segni di abitazione. Attraversò tutti gli ambienti per scrupolo, ma del suo maestro non c’era traccia.
Alla fine del percorso, dopo aver raggiunto l’ingresso ed essere tornata nel salotto, si guardò un’ultima volta attorno e portò le mani sui fianchi. «Vuoi vedere che è andato a scom­mettere di nuovo in qualche giro clandestino?» borbottò.
D’un tratto l’idea non le parve così improbabile.
Piccata, si avviò verso la propria camera a grandi passi. «Lilly fai la brava, Lilly non esplodere, Lilly non puoi cedere a certi vizi...Pazzo scriteriato, e poi dice a me
Fece pochi passi – giusto quelli necessari ad arrivare al va­no scale – prima di fermarsi a causa di un dettaglio fuori posto. Ai piedi delle scale, aperto al suolo, c’era il portafogli di Sikşaka.
Lo raccolse e lo fissò con espressione perplessa.
«Ennò, se questo è qui, col cazzo che scommette.»
Rifilò un’occhiata torva all’involucro di pelle e si strinse nelle spalle. «Beh, è abbastanza grande da venire a riprenderselo con le sue gambe.»
Tornò in salotto e lo depose sul tavolo, lì dove doveva esserci il mazzo di chiavi. Che però non c’era.
«Eh?» Lilith osservò stralunata il mobile, come aspettandosi che il mazzo di chiavi ricomparisse all’improvviso.
Sikşaka era uscito con le chiavi, ma senza portafogli. Non aveva senso.
Certo – si disse – poteva essergli caduto senza che se ne accorgesse. E poi, nel mazzo di chiavi c’era una copia di quelle per entrare in casa Hardeyns.
«Sì sì, è uscito a scommettere ma ha perso il portafogli.» concluse. «Cazzo, ma non poteva dirmelo? “Lilly, stanotte esco a scommettere. Se ti svegli e non mi vedi è per quello.” Mica è difficile! E invece no. ‘Fanculo anche a lui.»
 
Osservò il portafogli.
Il giro di Marras era il più vicino. Si scommetteva su tutto ed era relativamente sicuro.
Relativamente. Solo se si ha la grana, suggerì la coscienza.
 
Osservò il portafogli, sempre più torva.
Non è un principiante, se la caverebbe lo stesso, pensò. Magari convincerà quelli del giro a dargli il tempo di portare loro i soldi...
Aahhh, ma chi voglio prendere in giro? Lo sanno tutti che o li paghi subito o torni a casa messo male, se torni a casa.
 
Torse le labbra verso il basso, terribilmente indecisa. E se non fosse tornato affatto per colpa di quella svista?
La prospettiva le infuse un senso di angoscia. Non lo avrebbe sopportato, n’era certa.
Si portò le mani tra i capelli e si morse il labbro. Era infastidita dal comportamento del suo maestro, ma la prospettiva di non avere nemmeno una persona amica in tutta Kyzil Plateau la impauriva.
Nel momento in cui si decise, scattò verso la propria camera e i vestiti che aveva abbandonato sulla scrivania.
«Dopo questa, domani lo picchio assieme a Cole.» ringhiò allo specchio, mentre legava i capelli. «E che cazzo, non può farmi fare la balia.»
* * * * * *
Ore 2:55 circa
Bassifondi ovest, palestra Talavara
 
Sikşaka ebbe a malapena il tempo di alzare Rakta, che la lama avversaria calò.
L’istante dopo, con le spade impegnate, affondò il ginocchio nel bassoventre di Queen. La donna crollò a terra gemendo, la lama d’energia si disfece. Era l’occasione perfetta per trafiggerla, ma il razziatore – quello sopravvissuto al suo primo attacco – materializzò un’arma.
Il lombax lo vide con la coda dell’occhio. Nel tempo in cui l’altro arrivò a posare il dito sul grilletto, scagliò la spada con un movimento sinuoso.
Il razziatore s’irrigidì e stramazzò, lo sguardo dilatato e il sangue che zampillava dal pomo d’adamo, là dove Rakta era penetrata.
Sikşaka lo guardò cadere e udì il suo ultimo sussurro, prima che il fisico lo costringesse a prendere coscienza del suo pesante affaticamento, dei tagli che bruciavano e delle contusioni sparse ovunque.
In fondo alla propria mente, quasi fosse un istinto, balenò l’imperativo di riprendersi la scimitarra. Ne aveva bisogno.
Questa lama è uno scherzo del cielo. – gli aveva detto Gazda, una volta. – Finché la tieni in mano è il più potente degli anestetici e la migliore delle droghe stimolanti.
Poco più in là, con un ringhio animale, Queen si puntellò sui gomiti. Fu il senso d’allarme a mettere le ali ai movimenti di Sikşaka, che raggiunse la sua vittima e svelse Rakta. Lo fece tanto in fretta che il taglio, alla fine, più che uno sgozzo rassomigliò ad una decapitazione.
Strinse più saldamente le dita intorno all’incordatura, sentì che la spada pulsava a ritmo con le sue ferite. Un istante dopo il dolore fisico svanì e tutti i sensi si fecero più sottili: l’ennesima riprova di quanto la definizione del suo maestro fosse azzeccata.
Poco più in là, con gli occhi fiammeggianti per la rabbia, Queen si rialzò. Ringhiò poche parole e la spada lucente tornò a vibrare fra le sue mani.
Sfilarono entrambi una seconda lama dal pavimento, poi si scagliarono uno contro l’altra. La Regina portò un fendente di traverso dal basso, le lame si scontrarono e Sikşaka dovette spingere verso terra con tutte le sue forze per impedire che l’avversaria lo sventrasse.
La seconda lama di Queen, quella di pura energia, compì un arco dall’alto. Sikşaka scartò appena in tempo per evitare la decapitazione; scavalcò il cadavere sgozzato e si portò nuovamente a distanza di sicurezza.
La Regina non gli diede tregua e lanciò contro di lui la lama raccolta. Sikşaka usò uno dei suoi bracciali per proteggersi: la lama cambiò docilmente direzione e conficcò l’intera punta nel muro. Nel tempo in cui si diffuse l’eco della nota metallica, la donna troneggiò nuovamente su di lui, pronta a calare la lama d’energia.
Il fendente arrivò dall’alto. Il lombax incrociò le spade sopra la testa e lo parò a fatica. Sentì i muscoli irrigidirsi, vide le proprie armi avvicinarsi al volto e capì che così non ce l’avrebbe fatta.
Fece forza sulle spalle: i muscoli gemettero, ma riuscì a far ruotare tutte e tre le lame verso terra. Queen si trovò spiazzata e rimase scoperta per un istante di troppo. Sikşaka si sbilanciò in avanti e affondò la scimitarra. La punta affilata strappò il tessuto e penetrò sotto il costato dell’avversaria. L’âsa gô-mjä le ustionò le carni e diffuse i suoi incantesimi velenosi.
Sul volto di Queen dolore e stupore si diffusero con la stessa intensità. Gli occhi si sbarrarono, la bocca si spalancò senza emettere suono. La Regina gemette, il respiro mozzato dall’azione ustionante di Rakta, e si piegò fino ad aggrapparsi al suo avversario.
Appoggiata al petto del maestro di spada, i pensieri annasparono in un’unica direzione: non era possibile. Non in quel momento, non a un soffio dal suo ambizioso traguardo.
Non per mano di un comune mortale.
In quel momento, flebile e accelerato, percepì il battito del cuore del suo nemico; proprio mentre alle narici saliva l’odore acre della carne bruciata.
Odiò la sensazione d’impotenza che l’azzannava con famelica crudeltà. E odiò Sikşaka, che era la causa dello stato in cui versava. Cos’avrebbe detto suo padre, vedendola fiaccata da un mortale privo di qualunque potere?
L’odio si tramutò in una furia senza precedenti. Sebbene col fiato corto, trovò la forza di guardare Sikşaka dritto negli occhi e ringhiare una parola di comando. L’altro, ignaro di ciò che aveva appena detto, anziché mettersi al riparo svelse Rakta con uno strattone che lasciò boccheggiante la donna. Poi, d’un tratto, un dolore che non aveva mai provato lo paralizzò. Prima sentì i polmoni svuotarsi di colpo, poi ebbe la sensazione che qualcuno gli avesse strappato la spina dorsale a mani nude. Si sentì spezzare e l’istante dopo le forze svanirono.
Fu solo per l’inerzia del movimento se si accasciò a sua volta contro il torso di Queen anziché a terra. E fu per la propria debolezza se Queen venne tirata a peso morto in ginocchio; gesto che le fece tossire sangue.
Con l’ultimo briciolo di volontà Sikşaka reclinò il capo per capire cosa lo avesse prostrato tanto brutalmente. Vide una lama seghettata spuntare sotto il costato, i dentini screziati di sangue.
Riconobbe il coltello; era parte di un set che aveva acquistato pochi mesi prima. Immaginò che la Regina li avesse attirati tutti e tre.
Fu l’ultima cosa di cui ebbe coscienza; poi Queen se lo scrollò di dosso e il mondo per lui si ridusse a sensazioni evanescenti.
 
Passarono molti secondi di mugolii e bestemmie prima che la donna riuscisse a trovare la forza per muoversi. Il sapore del sangue le infestava il palato, ma in quel momento era la sua ultima preoccupazione.
Era figlia di Shine, per lei l’âsa gô-mjä era il peggiore dei veleni. E Rakta non solo possedeva l’anima di quel particolare metallo, ma Chaos stessa l’aveva intrisa di una moltitudine di incantesimi al fine di uccidere Shine e tutta la sua progenie.
Âsa sâlla. Mi serve dell’âsa sâlla.
Ne sentiva un bisogno disperato.
Allungò una mano e, al suo ordine, si materializzò un sacchettino pieno di monete. Lo rovesciò in fretta, con la mano tremante per lo sforzo. I dischetti tintinnarono a contatto con il pavimento. Alcuni rotolarono via secondo traiettorie traballanti, mentre la maggior parte si ammonticchiò rilucendo di riflessi bronzei.
La donna avvicinò alcuni dischetti e li infilò nello squarcio purulento lasciato da Rakta. I muscoli, tesi per il dolore, si sciolsero grazie agli effetti benevoli delle monete, che si attivarono a contatto con la carne.
Queen sentì scivolare via la magia imposta da Chaos. Ad ogni respiro le forze tornarono un poco di più.
Chiuse gli occhi e si disse: Va tutto bene. Sto guarendo. Ho trovato Rakta. È mia. A breve la pianterò in gola a Shine.
Quell’ultimo pensiero le fece storcere la bocca. L’obiettivo era vicino, ma c’era un problema da superare.
Tra i molti incantesimi che Chaos aveva posto sulla sua arma c’era un vincolo: nessuno al di fuori della dea, durante una battaglia, avrebbe potuto condizionare la mente del portatore della spada.
Queen si era risposta che se fosse riuscita a impugnarla lei, dal momento che il suo fine coincideva con quello della dea, allora i suoi problemi sarebbero stati risolti. Perché mai Chaos avrebbe dovuto fermarla? Non avrebbe dovuto bypassare nessun incantesimo e avrebbe raggiunto lo scopo. Però, nonostante avesse passato gli ultimi millenni a rafforzare il proprio potere (e gli ultimi dieci anni a praticare esercizi tanto antichi quanto duri), per lei toccare l’âsa gô-mjä rimaneva impossibile. Dunque rimanevano due strade: rinunciare alla spada o cercare un portatore.
Il suo piano non poteva prescindere dalla scimitarra. C’erano due sole armi che potevano uccidere il dio con un solo colpo: Rakta e la spada personale di Chaos. Dato che l’arma della dea era fuori portata, Rakta era l’unica scelta disponibile.
Dunque ci voleva un portatore che lavorasse per lei.
Ma il portatore di Rakta, sguainata la scimitarra, poteva essere condizionato solo da Chaos, che era la sua nemica naturale e di sicuro non si sarebbe fatta problemi a decapitarla alla prima occasione buona.
Era indubbiamente un problema.
* * * * * *
Contemporaneamente (ore 3:00 circa)
Bassifondi ovest, dintorni della palestra
 
Matej era vicino allo sbocco del vicolo quando, nel silenzio della cittadina dormiente, una stretta energica lo tirò contro il muro.
Un sussurro: «Fermo!»
Il poliziotto piantò il gomito nel fianco dell’aggressore, svicolò dalla presa e gli puntò il bracciale a led in faccia, pronto ad aggredirlo al primo cenno di ostilità.
Non ce ne fu bisogno: l’altro si riparò il volto dietro le braccia, le mani aperte e vuote. Matej provò la sensazione di avere a che fare con una figura familiare.
«Pezzo d’imbecille! Ti salvo la coda e tu mi tronchi due costole?!»
La parlata lo illuminò sull’identità del suo misterioso assalitore: era l’allieva di Sikşaka. Matej spense il dispositivo e abbassò le braccia.
«Cosa fai in giro a quest’ora?» sussurrò a sua volta. «Qui nascosta per di più!»
Lilith si strofinò gli occhi con un gesto nervoso. «Ma cazzo, sono stata io a chiamare! Ve l’ho detto che ero qui!»
Il poliziotto rimase disorientato. La ragazza, ancora accecata dai led, non se ne accorse e proseguì con la sua sfuriata: «E tu arrivi dopo un’ora e manco mi dai retta! Mica vi prendevo per il culo quando dicevo che ci sono due tizi coi mitra davanti al portone!»
Matej s’irrigidì. «Come?»
Lilith sbuffò. «Ho chiamato un botto di tempo fa, porca puttana! Cosa vi ci vuole per scendere dal settore est? Una bomba?»
Il poliziotto intuì che alla centrale avessero preso le parole della ragazza per uno scherzo. La prova era che non aveva ricevuto nessuna comunicazione in merito.
«Va’ piano, signorina.» intimò. «Non mi manda la centrale. E adesso spiega.»
Lilith strinse un pugno e lo morse. Matej la osservò con una certa preoccupazione, ma se non avesse fatto così probabilmente avrebbe cominciato a urlare.
«Senti.» ringhiò alla fine. «Sik è venuto a dormire da me, poi nel cuore della notte è uscito. Mi ha svegliato senza accorgersene. Ho pensato che fosse al giro di Marras, e visto che aveva perso il portafogli ho pensato di portarglielo. Ma non c’era, e allora ho pensato di andare al giro di Ktel, ma passando di qui ho sentito...beh, lo senti anche tu il casino.»
Matej tese l’orecchio. Era vero: non c’era completo silenzio. Si poteva sentire un tintinnio irregolare di sottofondo, ma ci voleva un orecchio allenato. Non era propriamente un casino.
Lilith proseguì: «Ho provato ad avvicinarmi, ma davanti al portone ci sono in due, coi mitra. Mi sono nascosta qui. So una sega di chi sono, ma non sono soli. Dentro alla palestra qualcuno sta combattendo con le lame e uno dei contendenti è Sik, su questo ci scommetto.»
L’altro assimilò velocemente le informazioni. Si guardò intorno con circospezione: l’istinto di controllare se le informazioni corrispondevano al vero era forte, e non poteva sapere se ci fosse qualcun altro nascosto nei vicoli intorno.
«Solo due persone di guardia?» domandò. «Sei sicura?»
Lilith indicò la scala d’emergenza che pendeva alle sue spalle. «Ho fatto il giro dai tetti. Non ho visto nessun altro.»
Matej le rivolse un’occhiata scettica. «Hai la certezza di una strumentazione specifica?»
La ragazza lo fulminò con lo sguardo. «Ti sembra che ho gli occhi a infrarossi? Smetti di dire stronzate!»
Poi fu come se il suo cervello ingranasse la marcia, perché accelerò: «Cazzo cazzo cazzo! Cosa facciamo???»
A giudicare dal tono era davvero vicina a una crisi isterica. Per un istante Matej la immaginò mettersi le mani nei capelli e cominciare a urlare, vanificando gli sforzi precedenti.
L’afferrò per le spalle e la costrinse a guardarlo negli occhi. I lampioni erano spenti, ma la luce lunare era sufficiente allo scopo.
«Ascolta: andrà tutto bene. Tutto bene, okay?» modulò la voce perché suonasse rassicurante. Aspettò che la ragazza annuisse e andò avanti: «Adesso vado a controllare. Torno subito. Tu stai nascosta qui. E chiama la polizia.»
La trovata sembrò avere effetto. Lilith riacquisì un po’ di calma. «L’ho già fatto. Pensano che sia uno scherzo.» borbottò delusa.
«Insisti. Digli che sono qui e che è un ordine mio.» La stretta si fece più robusta. «Mi raccomando.»
L’istante dopo si rese invisibile.
La faccia di Lilith si dipinse di sorpresa mentre di Matej rimaneva solo una sagoma appena accennata nella pithil.
* * * * * *
Alcuni colpi di pistola interruppero il suo ragionamento. Provennero dall’esterno e furono ammorbiditi dalle pareti, ma suonarono lo stesso come un allarme.
La Regina estese le percezioni e seppe che i razziatori di guardia erano stati neutralizzati. Due persone all’esterno stavano per entrare.
Passò in rassegna le opzioni a sua disposizione. Fuga, combattimento, finta. Provò a muoversi, ma una fitta lancinante la riportò distesa al suolo.
Rivide le opzioni: l’unica possibile, finché la guarigione non fosse terminata, era fingersi morta. E lei rimase immobile, fronte a terra, mano infilata fra il pavimento e la ferita, muscoli sciolti. Non era salubre per l’orgoglio ma non aveva scelta.
«SIK!»
L’urlo giunse mentre chiudeva gli occhi. Nel profondo, essere considerata dopo il suo avversario la infastidì.
* * * * * *
Matej corse dentro la sala d’allenamento quando l’urlo di Lilith lo raggiunse.
Aveva appena confermato la chiamata della ragazza, quando lo spettacolo della palestra devastata si presentò davanti ai suoi occhi.
L’odore forte del sangue impregnava l’aria. Il parquet era scheggiato, le armi sparse ovunque. Una lama affondava nella parete. I cadaveri disseminati al suolo lo lasciarono basito.
Si attaccò alla ricetrasmittente ed elencò concitatamente una serie di codici. Dalla centrale arrivò la conferma di soccorso e un’altra gracchiata incomprensibile, cui il lombax non diede credito.
“Ladri?” “Credo di sì.”
No, non erano ladri. – pensò – Non si sarebbero persi a combattere ad armi pari con lui.
 
«Dove sono i soccorsi?!»
Il ringhio di Lilith lo riportò alla realtà.
Aveva le pupille dilatate e i peli ritti, come un’animale con le spalle al muro.
«Due minuti.» rispose il poliziotto.
«Col cazzo che li abbiamo!» urlò. «Sta morendo!»
 
“Credimi, il furto è la punta di un iceberg.”
Il poliziotto si morse il labbro mentre si inginocchiava a fianco al suo amico. Era vero: non li avevano due minuti. Ma non poteva farci nulla.

 

   
 
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