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Autore: Clockwise    28/11/2013    1 recensioni
Teneva gli occhi chiusi quando cantava, ma se li avesse aperti, se avesse potuto vedere quel momento, allora l’avrebbe vista con i suoi occhi, oltre a sentirla, l’alchimia che li legava. Era proprio lì, in loro, nei piedi che battevano lo stesso tempo, nelle vibrazioni sugli strumenti, nel riverbero che echeggiava dentro ciascuno di loro alla stessa frequenza, nelle note che ciascuno di loro creava e che si intrecciavano in armonie meravigliose e così, insieme, solo insieme, erano qualcosa.
Genere: Commedia, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Let it Bleed, Jealous Guy

Più leggeva, meno capiva. Porca miseria, metà di quello stramaledetto testo era in latino! Perché mai dovevano usare il latino? Non era abbastanza l’inglese? Stupidi scrittori… Sbuffò, chiudendo seccato il libro. Lo spostò da parte e ne aprì un altro.
Ci vorrebbe Chris per capire ‘sta roba, si ritrovò a pensare.
Con il piccolo problema, cervello, che io con Chris non ci parlo da tutta la settimana, dato che è uno stronzo dalla testa ai piedi.
Strinse i denti e cercò di focalizzarsi sulla pagina che aveva davanti. Quando finalmente riuscì a concentrarsi abbastanza da leggere in pace, vide dei libri atterrare con un tonfo davanti a lui. Alzò lo sguardo pronto a fulminare lo scocciatore, ma incrociò gli occhi determinati di Delilah.
«Ciao, Will.»
Si sedette davanti a lui tranquilla, a proprio agio.
«Ciao» la salutò circospetto, corrugando le sopracciglia. Che intenzioni aveva? Non parlando con Chris, per estensione, non parlava nemmeno con lei. Quindi cosa voleva, perché era venuta a cercarlo? C’erano decine e decine di tavoli in biblioteca, e a quell’ora avrebbe sicuramente trovato posto altrove. Quindi?
La ragazza ignorò la sua occhiata indagatrice e vagamente irritata e aprì il suo libro, per poi iniziare a leggere. Anche Will, allora, tornò sulla pagina che stava leggendo, ma non riusciva a concentrarsi. La presenza della ragazza lo infastidiva. Lasciò andare le mani sul tavolo, esasperato.
«Ok, cosa c’è? Cosa vuoi?»
Lei alzò lentamente gli occhi dal libro, puntandoli in quelli scuri del ragazzo.
«Io? La pace nel mondo, un nuovo paio di calze e l’ultimo disco dei Beatles in vinile. Ah, e che tutti i miei amici tornino ad essere tali. Ma forse questo è chiedere troppo» disse, piegando la testa di lato, il volto calmo e tranquillo. Will sentì una lieve ondata di rabbia infrangersi nel suo stomaco.
«Senti, non sono fatti tuoi, Delilah, è una cosa fra me e la band…» rispose, tentando di rimanere calmo. Ma a Delilah non sfuggì la vibrazione di rabbia nella sua voce.
«Sì, ma Chris fa parte della band, ed è mio amico, quindi sono anche fatti miei. Altrimenti perché avresti evitato di parlare anche con me?»
Non fa una piega, pensò Will, lasciandosi sfuggire un sorriso sarcastico.
«Benissimo, allora. Parla» disse, incrociando le braccia e appoggiandosi indietro allo schienale.
«Io non ho nulla da dire. Tu piuttosto» rispose calma lei, accennando un sorriso cordiale.
«Sei venuta tu qui!»
«Perché tu hai bisogno di parlare. E io di capire il pensiero della controparte. Quindi coraggio, vuota il sacco» disse, in un tono sicuro che non ammetteva repliche, pur rimanendo gentile. Will la guardò stupito e irritato.
«Non ho bisogno di parlare, sono a posto, grazie.»
«Come vuoi» rispose serafica lei, tornando a leggere il suo libro. Will rimase sconcertato, poi abbassò la testa sul suo volume. Dopo diversi minuti passati a fissare le stesse parole, chiuse di scatto il libro e alzò lo sguardo sulla ragazza, che sobbalzò, impreparata.
«Ok, visto che ci tieni, ne parliamo. Cosa vuoi sapere, perché non parlo con Chris? Perché è uno stronzo, ecco perché. E poi, perché diamine dobbiamo parlare sempre solo di Chris? Non c’è soltanto lui, porca puttana, siamo in quattro in quella band, quattro! E non ci chiamiamo “Chris Martin e gli allegri compagnoni” siamo i Coldplay, tutti insieme. Però la gente continua a guardare solo a lui. E va bene, ha una bella voce, scrive belle canzoni, ma ci siamo anche noi, non stiamo mica lì a fare niente. Anzi, direi che Chris, senza di noi, non andrebbe proprio da nessuna parte. Il problema, adesso, è che lui sta cominciando a montarsi la testa, o a credere di essere un direttore d’orchestra, e non ci reputa al suo livello, forse. Ok, da quando abbiamo cominciato a suonare canzoni nostre, Chris ha sempre scritto i testi, sempre, perché è quello che scrive meglio e bla bla bla. E ok, scrive lui, chi contesta? Le melodie anche di solito le compone lui, le arrangia in un paio di accordi alla chitarra, e poi ci fa sentire il tutto e noi sistemiamo, tutti insieme. È lavoro di squadra, e ha sempre funzionato fino ad ora. Magari fa sentire i suoi abbozzi di canzone prima a Jonny, perché gli è più vicino, sono quasi fratelli, ma subito dopo li fa sentire anche a noi. E ora invece che fa? Scrive e non ci fa sentire niente! Si sente così al di sopra di tutti da pensare che non siamo degni delle sue canzoni. È così bravo, lui, che riesce benissimo a scrivere canzoni tutto da solo, magari scrive anche le nostre parti, perché no? E così, visto che si ritiene tanto bravo, e noi siamo tanto indegni delle sue canzoni, se le tiene per sé. Bene, bravo. Ma ecco il problema: lui non riesce a combinare niente da solo, e allora viene a piagnucolare da noi. E io, se permetti, ne ho abbastanza, sono stufo di venire bacchettato da Chris, che non si fida nemmeno di noi. Di’ quello che ti pare, ma è lui quello in torto.»
Respirava pesantemente, finito di parlare. Delilah aveva abbassato lo sguardo, ora fissava i ghirigori che scarabocchiava con la matita sul margine del libro. Will abbassò a sua volta gli occhi, sentendosi vulnerabile. Deglutì, cercando di sedare l’ondata di rabbia che ancora imperversava dentro di lui.
«Non hai mai pensato che Chris potesse aver paura del vostro giudizio? Che forse temeva di non essere all’altezza delle vostre aspettative?»
«Ma non è la prima volta che scrive qualcosa! Ha sempre…»
«Signor Champion!»
Will e Delilah voltarono la testa, trovandosi davanti la bibliotecaria con l’indice puntato contro Will e un’aria alquanto irritata.
«Sono cinque minuti che strepita, siamo in biblioteca! Un’altra parola e la caccio fuori!»
Will annuì, mormorando qualche scusa, mentre Delilah si mordeva le labbra per non ridere.
«Forse è meglio se ne parliamo davanti ad un tè?» suggerì la ragazza, mentre la bibliotecaria si allontanava.
«No, scusa, ma devo andare adesso» rifiutò in fretta Will, alzandosi. Le parole della ragazza l’avevano scosso, gli avevano inculcato una strisciante sensazione di disagio, senso di colpa e consapevolezza di aver sbagliato.
«Va bene» disse la ragazza, sorpresa. «Ma pensa a quello che ti ho detto, prova a metterti nei panni di Chris. È molto più insicuro di quanto credi.»
«Ma è il nostro leader, è quello che dovrebbe guidarci…» protestò debolmente Will, raccogliendo le sue cose.
«Ma forse non se l’è scelto lui, il ruolo…»
Gli occhi di Delilah erano straordinariamente vividi, decisi, quando Will li incontrò. Lei aveva fiducia in Chris, e anche in lui. Will abbassò gli occhi.
 
♪♬
 
 
«Permesso… E fatemi entrare… Scusate, permesso…»
C’era una calca assurda sull’autobus. Joanna non c’era abituata, di solito a quell’ora stava mangiando il suo pranzo da qualche parte, ma quel giorno si era trovata a girare per Londra, per il suo progetto di design. Si aggrappò ad un sostegno mentre l’autobus partiva sgommando, ma venne ugualmente sbalzata in avanti, andando a scontrarsi con una ragazza dai capelli rossi che le volgeva la schiena.
«Scusa.»
«Nulla, non preoccuparti» rispose la ragazza, voltandosi. «Oh, ciao Joanna.»
«Ciao, Delilah» mormorò l’altra, mal celando l’irritazione. Una volta che prendo l’autobus e me la ritrovo fra i piedi…
«Quanta gente, eh?» disse Delilah, aggrappandosi alla sbarra mentre l’autobus svoltava bruscamente.
«Già» rispose l’altra, voltando la testa dall’altra parte. Avrebbe guardato fuori dal finestrino, se fra lei e il finestrino non ci fossero state almeno tre persone. Stupidi autobus. Lo sapeva che avrebbe dovuto prendere la metro…
«Sai di Chris e i ragazzi, immagino.»
Tornò a guardarla. La conversazione iniziava a vertere su pianeti interessanti.
«Certo, Guy me l’ha raccontato.»
«Anche tu pensi sia tutta colpa di Chris?»
Joanna sollevò un sopracciglio, incuriosita.
«Vuoi davvero che inizi a sparare sentenze sul tuo fidanzatino?»
Delilah avvampò e abbassò lo sguardo.
«Non è il mio fidanzato» mormorò.
«Ah, già, dimenticavo, siete in questo assurdo limbo… Sei tu che non vuoi metterti con lui, a quanto ne so io, non è così?»
«Ti sbagli, è più complicato di così…» tentò di scolparsi Delilah, placando un’ondata di irritazione.
«Ah, sì? A me non sembra complicato, non capisco perché la tiri tanto per le lunghe: o ti piace o non ti piace. Se non ti piace, lascialo perdere e gli fai un favore; se ti piace…»
«Non capisci, noi siamo amici da tanto. Io non… non sono sicura di quello che provo davvero, ma ho paura a buttarmi. Se poi non dovesse funzionare, non torneremmo più amici.»
Joanna si trattenne dal roteare gli occhi.
«Delilah, lasciatelo dire, sei patetica. Era già abbastanza patetico Chris quando andava in giro sospirando e chiedendosi se doveva dichiararsi a te o meno, ma tu batti tutti i record.»
Delilah alzò la testa risentita e fece per ribattere, ma l’altra la precedette.
«Che ne sai se tornereste amici o no? Che ne sai se funzionerà o no? Potrebbe funzionare e finireste per sposarvi e fare tanti bambini biondi e rossi, o potreste lasciarvi ma rimanere amici, come fai a saperlo?» disse, guardandola con intensità. «Ti rendi conto che stai sprecando tempo prezioso a sospirare e farti dilemmi, quando potresti essere molto più felice? Guarda che non si torna mica indietro, la vita è una.»
Delilah deglutì e distolse lo sguardo. Una vocina nella sua testa applaudiva a gran voce Joanna, un’altra continuava a dire che provarci con Chris sarebbe stato rischioso, un’altra proclamava orgogliosa che non si sarebbe mai messa con lui tanto per provare, e una quarta dichiarava che Joanna era solo una starnazzante sputa sentenze.
«In ogni caso, non voglio parlare di Chris. Mi chiedevo soltanto se sapessi che cosa pensa Guy, che cosa hanno intenzione di fare. C’è qualche speranza che facciano pace?» tagliò corto, senza guardare Joanna negli occhi.
Lei sospirò, notando l’improvviso cambio di argomento, ma decidendo di non infierire oltre.
«Ho parlato ieri sera con Guy. È davvero giù, questa storia lo sta deprimendo da morire, fuma molto più del solito. E pensare che hanno litigato per una sciocchezza in fondo… Bah, non parlo, non vorrei insultare il tuo Chris davanti a te…» disse con aria quasi indifferente, tenendo d’occhio gli scorci di strada che intravedeva fra una spalla e l’altra. «Devo scendere, è la mia fermata. Ci si vede in giro.»  
Delilah la salutò distrattamente e Joanna si fece largo fino all’uscita. L’aria di Londra era ancora più pungente dopo il caldo soffocante dell’autobus. Intravide per un momento il viso pensieroso di Delilah ad un finestrino e non poté trattenersi dal sorridere amaramente. Avrà avuto anche mille qualità più di lei – bastava pensare che tutti i ragazzi stravedevano per lei,  conquistava chiunque con quei modi gentili, amabili e quel visetto disgustosamente carino – ma Joanna si sentì improvvisamente fiera di chi era, e soprattutto di sentì orgogliosa di saper vivere. A quanto sembrava, nemmeno miss-perfezione Delilah ne era capace. Sorrise, dirigendosi svelta verso l’appartamento di Guy.
 
♪♬
 
Riportò i bicchieri vuoti in cucina e li mise nel lavello, decidendo che li avrebbe lavati più tardi. Tornò in soggiorno e fece per prendere il posacenere da svuotare, quando notò un oggetto violaceo sul divano. Lo prese in mano. Il braccialetto con cui Joanna stava giocherellando, l’aveva dimenticato lì. Rifletté se fosse il caso di correrle dietro e ridarglielo, ma era già uscita da cinque minuti, probabilmente era sulla metro. Se lo mise in tasca, pensando che gliel’avrebbe ridato il giorno dopo. Dimenticò il suo proposito di svuotare il posacenere, afferrò sigarette e accendino e si diresse alla finestra - Joanna detestava che fumasse in casa.
Buttò fuori il fumo, ripensando a quello che la ragazza gli aveva detto. Con la mano che teneva in tasca, si rigirava fra le dita il braccialetto viola. Forse era davvero ora di ricominciare…
Squillò il campanello. Si diresse calmo alla porta, pensando che forse Joanna si era ricordata del bracciale.
«Mark?»
«Ciao anche a te, fratellino» sorrise il ragazzo, oltrepassando il fratello stupito ed entrando senza cerimonie nell’appartamento.
«Che ci fai qui?»
«Vengo a visitare il mio fratellino, perché? Sembra così strano?» disse con aria innocente, togliendosi il cappotto, che lasciò sul divano, su cui poi si sedette comodamente.
«Hai una sigaretta da offrirmi?»
Guy gli allungò il pacchetto e gli lanciò l’accendino, il viso oscurato.
«Che ci fai qui?» ripeté, in piedi di fronte all’altro, sulla difensiva. Il fratello si accese tranquillamente la sigaretta, la portò alle labbra e ne trasse un tiro. Soffiò lentamente il fumo.
«Non ti siedi? Volevo solo parlare.»
Guy socchiuse gli occhi, ma non si mosse. La mano in tasca, accarezzava le perline del braccialetto. Mark sorrise.
«Ho visto Joanna alla metro. Quant’è bella…»
«Hai bevuto?»
«Mmmh? Oh, no. No, non credo. Ma lo penso sul serio. È davvero bella, sei fortunato fratellino. Proprio fortunato.»
Ancora quel sorriso. Sornione, irriverente e sottilmente inquietante.
«Pensavo che è davvero ingiusto che a te capiti tutto il meglio. Sai, ha chiamato mamma prima. Voleva parlare con te veramente, non so perché non ti abbia chiamato. Ha chiamato me, ma parlava di te. Diceva di salutarti tanto, le manchi tanto, ti vuole tanto bene, il piccolo Guy, voleva conoscere Joanna, e non vedeva l’ora di rivederti. Ah, sì, voglio bene anche a te, Mark. Già, se avanza tempo, rimane anche qualcosa per Mark, certo.»
«Di che cosa stai parlando?» domandò Guy, la sigaretta che ormai si stava consumando fra le sue dita, dimenticata. Sentiva solo un lento dolore nel cuore, alle parole di suo fratello, al suo sguardo.
«Di che sto parlando? Sto parlando del fatto che sei un emerito idiota. Tu, e quei coglioni dei tuoi amici. So che avete litigato, me l’ha detto mamma. Era anche molto in pensiero per questo. Siete degli idioti, e sai perché? Perché non riuscite a capire che grande opportunità avete, quanto cazzo siete fortunati, ad avervi, a stare vivendo tutto questo, e che fate? Riuscite solo a litigare come ragazzine per delle stupidaggini. Quant’è che non vi parlate, eh? So più di quanto credi, Guy, mi preoccupo per te più di quanto credi. Ma tanto che ottengo? Una sigaretta, magari.»
Aspirò il fumo, lasciando vagare lo sguardo per la stanza.
«Gli Stones in vinile. Buono, dove l’hai trovato?»
Guy non rispose. Era suo fratello quello lì davanti a lui? Quel ragazzo con quel sorriso da disperato, quegli occhi rasseganti, quel fumo fra le labbra? Quel ragazzo che riusciva a volergli bene nonostante fosse il preferito della mamma – che cosa terribile! –, nonostante avesse ciò che lui desiderava? Quel ragazzo con cui aveva giocato a pallone per tutta la sua infanzia, che l’aveva portato al cinema per la prima volta, che gli aveva regalato il suo primo disco? Quel ragazzo che gli assomigliava così tanto.
«Mi dispiace.»
Mark voltò la testa al suo sussurro. Guy sostenne il suo sguardo, stringendo il pugno intorno al bracciale.
«Mi dispiace, davvero. E grazie. Di tutto.»
«Non c’è di che, fratellino, non c’è di che. In fondo, a che serve un fratello maggiore altrimenti?» sorrise, di un sorriso strano, un po’ sghembo. Chiuse gli occhi e quando li riaprì sorrideva davvero.
«Metti su quel disco, va.»  
 
♪♬
 
Aveva appena fatto in tempo a gettare la borsa dei libri da un lato che squillò il telefono. Si precipitò a rispondere, senza nemmeno controllare se conosceva o meno il numero.
«Will? Sono Guy.»
Dalla voce sembrava tranquillo, Will deglutì e impose anche a sé stesso la calma.
«Ciao, Guy.»
Chiedergli come stava gli sembrava ipocrita, per cui attese che fosse il ragazzo a parlare.
«Ho parlato con Joanna, che ha parlato con Tim, che ha parlato con Jonny, che ha parlato con Julia, che ha parlato con Delilah, che ha parlato con Chris, che… merda, mi sono dimenticato che dovevo dire…»
Will sorrise. Poteva quasi vedere Guy dall’altra parte della cornetta strizzare gli occhi e portarsi una mano al fianco, come ogni volta che era seccato.
«Ah, sì. Sembra che Chris abbia una nuova canzone.»
«Qualcuno l’ha già sentita?» domandò Will, il sorriso scomparso, la mascella serrata.
«Delilah. A quanto ho capito, l’ha composta con lei, gliel’ha cantata o qualcosa del genere.»
«Ha in mente di farcela sentire? O intende tenersela per sé, magari mollarci tutti e incidere il disco da solo?» esplose Will, incapace di trattenersi.
«Non so che cosa abbia in mente di fare, non ci ho parlato, ma sarebbe anche ora di farlo. Tutti quanti, riunirci e parlare come si deve, magari davanti a una bella birra. Anzi no, facciamo abbastanza danni anche senza birre. Insomma, che giorno è oggi, giovedì? Ecco, perché domani sera non andiamo tutti al Bull And Gate e parliamo come si deve?»
«Non ho nessuna intenzione di parlare con quel… tipo come se niente fosse! Penserebbe di essere stato perdonato, e non mi va bene.»
«Will, non sarebbe anche ora di essere maturi e smetterla con queste storie da bambini? Guarda che rischiamo di mandare a puttane il disco e tutto quanto perché tu e Chris – perché in fondo siete voi due che avete alzato tutto questo polverone – avete avuto una discussione.»
«Quindi vuoi dire che sono io che devo andare a chiedere scusa a quel pezzo di…»
«No, Will, non scaldarti» lo fermò Guy. «Perché ho come il sospetto che tu sia geloso?»
«Geloso? Io? E di chi scusa, di Chris? Per favore, Guy, non dire cazzate.»
«Come vuoi» sbuffò divertito il ragazzo dall’altra parte della cornetta. «Pensi di venire domani?»
Will sospirò, abbassando la testa.
«Non lo so. Devo pensarci.»
«Come vuoi, io te l’ho detto. Io e Jonny saremo lì alle sette e mezza. Dovrebbe esserci anche Chris, Jonny ha detto che l’avrebbe avvertito. Tu fai come vuoi. Ci vediamo» disse brevemente Guy, improvvisamente stanco di quella conversazione, per poi riattaccare. Will schiaffò irato la cornetta al suo posto. Il rumore non era stato abbastanza forte per l’irritazione che improvvisamente gli scorreva nelle vene. Avrebbe voluto avere la sua batteria, allora sì che si sarebbe sfogato a dovere. O forse l’avrebbe fatta in pezzi. Marciò fino in cucina, aprì l’anta dell’armadietto.
Geloso, lui? Che cretinata. Sapeva benissimo di non aver nulla da invidiare a Chris.
Prese il bollitore, lo riempì d’acqua e lo mise sul fuoco.
Non era geloso, allora, eh? Assolutamente no. In fondo, Chris non componeva belle canzoni, non era innamorato – e quasi certamente ricambiato – di un bellissima ragazza, non era un bravo musicista, non aveva una bella voce, non sapeva cantare. Ah – ah.
Constatò con stizza che il suo gusto preferito, i frutti rossi, era finito, così dovette accontentarsi di un banale tè bianco. Aprì un altro sportello e prese una tazza blu.
E pensare che lui, Will, sapeva suonare benissimo sia la chitarra, che il basso, che il pianoforte – sì, forse addirittura meglio di Chris stesso! – e che fine aveva fatto? Si era ridotto a dover imparare a suonare la batteria! Non che fosse un brutto strumento, né aveva avuto grandi difficoltà, ma si chiedeva se ne fosse valsa la pena. Aveva imparato quello strumento per poter suonare con la band, con quelli che erano presto diventati i suoi migliori amici. Sì, aveva sacrificato anni di spartiti e insegnamento per poter suonare con quei tre, e adesso si ritrovava a dover sottostare all’umore ballerino e alle insicurezze di quella tredicenne complessata che era Chris… La quale tredicenne, fra parentesi, sembrava infischiarsene allegramente, e credeva di poter fare il bello e il cattivo tempo come voleva.
Andò verso il frigo e prese una bottiglia di latte, che appoggiò accanto alla tazza e alla bustina di tè. Lo zucchero…?
In fondo, la cosa che più l’aveva infastidito e amareggiato, era che Chris sembrava non avere fiducia in loro. Non solo pensava di essere superiore o più importante – perché era così, qualsiasi cosa potesse dire Delilah – ma non si fidava nemmeno di quelli che sarebbero dovuti essere i suoi migliori amici. Ripensò alla conversazione che aveva avuto con Delilah quella mattina. Aveva detto che forse Chris aveva paura del loro giudizio.
Nel tentativo di prendere un piattino, urtò la tazza, che si ruppe sul pavimento. Will digrignò un’imprecazione fra i denti, chinandosi a raccogliere i cocci.
Paura del loro giudizio, perché avrebbe dovuto avere paura di loro? Jonny era il suo migliore amico in assoluto, bastava pensare che condividevano l’appartamento da più di due anni, praticamente da quando si erano conosciuti. E Guy… perché avrebbe dovuto aver paura di Guy? Guy di solito non giudicava mai, si limitava a dire ‘sì’ o ‘no’, e di solito era irremovibile sulle sue decisioni, ma non l’aveva mai sentito dire una cattiva parola su nulla, tranne forse i loro vestiti. Rimaneva soltanto lui.
In uno spasmo involontario, strinse troppo la mano che teneva i cocci della tazza, e si ritrovò con una ferita sul palmo. Mugugnando di dolore e trattenendo un’altra imprecazione, si affrettò a gettare i cocci nella pattumiera e a mettere la mano sotto l’acqua gelida del lavandino.
Era così allora, Chris aveva paura del suo giudizio, era spaventato da lui. Che razza di amico era se induceva i suoi amici a non fidarsi di lui? Merda.
Il bollitore iniziò a fischiare, ma il taglio sulla mano non smetteva di sanguinare.
Cosa doveva fare ora?
Rendersi conto di essere in torto era terribile, non aveva mai pensato che il senso di colpa, che finora era stato nascosto dall’orgoglio e la testardaggine, potesse essere così doloroso. Si sentiva un essere schifoso, avrebbe voluto potersi togliere la pelle di dosso e diventare una persona migliore. Forse era per questo che quel taglio non smetteva di sanguinare, era un angolino da dove cominciare a tirar via la pelle, un inizio. Sorrise. Da dove diavolo le tirava fuori certe idee? Scosse la testa e chiuse l’acqua, poi corse via a cercare un cerotto. Il bollitore fischiava ancora, ma Will aveva rinunciato al tè. Piuttosto, avrebbe fatto uno squillo a Guy; improvvisamente, l’idea di una birra al Bull and Gate la sera dopo gli andava molto più a genio. Se solo avesse trovato un cerotto, era assurdo come quel taglietto continuasse a sanguinare…





***
Ridardo assurdo, chiedo umilmente perdono, ma la colpa è stata principalmente della scuola e dell'ispirazione - quella furba! non viene mai quando la cerchi. Ho avuto difficoltà prima di scrivere il capitolo, fondamentalmente perché non sapevo cosa scrivere. Poi però ho parlato con la mia H e il risultato l'avete appena letto (ti ho ringraziato abbastanza, ti sarai anche stufata - niente Chris e Jonny, lo so, scusami... Non aspetterai troppo per loro, promesso). Altro da dire? Ditemi perché non vi piace.
Rolling Stones e John Lennon. Una più bella dell'altra.
Passo e chiudo.
Love ya all, chiunque voi siate.
E.
  
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