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Autore: 31luglio    29/11/2013    5 recensioni
Cosa succede quando una ragazza viene scoperta dentro la lussuosa villa del suo cantante preferito proprio da lui stesso?
Tratto da un capitolo:
Mi sdraiai sul divanetto e guardai il cielo. «Secondo te, le stelle quante sono?» chiesi, cercando di contarle tenendo il segno con le dita. Una, due, tre, quattro, cinque... Mi persi a cercare di individuare le costellazioni, quindi ricominciai. Dopo aver fallito una mezza dozzina di volte rinunciai, e tornai a guardare con aria sognante.
Mi rivolse uno sguardo divertito. «Sei proprio fuori.»
«Rispondi.»
«Non so che cosa dirti, Audrey.»
«Spara un numero.»
«L'infinito...»
«Come io e te in questo momento?»
Mi guardò nuovamente, sorpreso. «Sì» sorrise, «come noi due in questo momento.»

another Justin & Miley fanfiction
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Justin Bieber
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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(cap 5) nothing better

 

Una volta finito l'effetto dello spinello, ne avevamo fumato un altro. Non voleva che bevessi dell'alcool nonostante fossi tornata quasi completamente sobria, quindi ero ricorsa ad una cosa alternativa: l'erba. Non poteva fare che bene; essa mi rilassava, mi rendeva tranquilla, al massimo faceva venire fame.

Dopo aver mangiato, eravamo tornati sui divanetti bianchi attorno alla piscina e ci eravamo rimasti. Stavamo lì da un tempo che non ero riuscita a definire, lui seduto ed io sdraiata, con la testa appoggiata sulle sue gambe. Avevo rinunciato a contare le stelle; ora mi limitavo semplicemente a spostare lo sguardo dal cielo, a lui. I suoi occhi color caramello, illuminati semplicemente dalle deboli luci sistemate qua e là, mi toglievano costantemente il respiro. Sarei potuta perdermi dentro quelle iridi, se solo avesse intrecciato il suo sguardo al mio, ed invece non lo faceva.

E lo faceva apposta. Lo vedevo sforzarsi a concentrarsi su qualcos'altro, che fosse una ragazza, due persone che parlavano, la casa. Si accorgeva che lo stavo osservando, quindi si mordeva nervosamente il labbro inferiore ed, infine, spostava lo sguardo su qualcosa a caso. E deglutiva. E io lo avrei volentieri mandato a fare in culo, ma non avevo intenzione di rovinare la serata con un litigio.

«Non ti uccido se mi guardi, promesso» lo rassicurai ad un certo punto, decisa a sapere cosa lo spingesse a spostare l'attenzione su qualsiasi cosa tranne me.

Obbligò se stesso a mostrarsi sorpreso; il suo gesto non fece che aumentare la mia irritazione. «Come mai questa affermazione?» domandò, osservando insistentemente una coppia che si stava scambiando effusioni dentro la piscina.

Mi alzai di scatto. «Vaffanculo» dissi semplicemente, dirigendomi verso l'interno della villa. Lo sentii scattare in piedi dietro di me e seguirmi; mi prese per un braccio, costringendomi a voltarmi. I nostri sguardi si incrociarono per un solo istante, poi fui io ad obbligare me stessa a spostare l'attenzione su Usher, a qualche decina di metri da noi. Si voltò e mi guardò, salutandomi con la mano. Gli rivolsi un sorriso, cercando di mostrarmi sincera, poi decisi che la mossa di guardare proprio lui era stata pessima. Era decisamente meglio guardare il muro, perciò non esitai a farlo.

«Non ti uccido se mi guardi, promesso» affermò Justin, ripetendo quel che avevo detto io poco prima con un tono di voce acido ed un sorriso bastardo dipinto sul viso.

Gli rivolsi uno sguardo gelido. «Mi chiedo solo il motivo per cui sono entrata in casa tua, quella sera.» Le parole mi uscirono affilate come una lama. «Sarebbe stato molto meglio continuare a seguirti da uno schermo.»

La mia frase lo lasciò a bocca aperta. Vidi le sue iridi diventare tristi, poi mi fulminò. Mi lasciò il braccio con rabbia, quindi mi accorsi di averlo ferito. Fece un lungo respiro, chiudendo gli occhi per tutta la durata di esso e, dopodiché, mi guardò freddo. Feci un passo verso di lui, ma indietreggiò e mi fermò dal farne un altro con la mano.

«Justin, io...»

«No» mi interruppe, «stai zitta. Non c'è bisogno che tu dica altro, ho già capito tutto.» Mi lasciò lì, dirigendosi verso Usher; si fermò parlare un paio di minuti con lui, poi li vidi scambiarsi qualcosa. Infine, tornò da me. «Seguimi» sibilò, dirigendosi verso l'interno della casa. Feci come mi aveva ordinato; entrammo, salimmo le scale che conducevano al primo piano, percorremmo un breve corridoio e ci fermammo davanti alla terza porta sulla sinistra. Era diversa dalle altre: mentre esse erano di semplice legno e si aprivano verso l'interno della stanza, questa era scorrevole e dipinta di viola. Il biondo estrasse una chiave dalla tasca e la infilò nella serratura, quindi girò. La porta si aprì e lui entrò, facendomi segno di fare lo stesso. Mi trovai davanti una stanza enorme, con delle frasi di canzoni – Love Me Like You Do, Fall e un'altra che non conoscevo – e qualche graffito sulle pareti bianche. Un letto matrimoniale con le lenzuola viola sotto la frase che non conoscevo – and if I had the world in my hands I'd give it all to you – stava nella parte di destra. Di fronte ad esso, appoggiata all'altra parete, vi era una scrivania nera con sopra un Macbook, un mixer ed un paio di cuffie; una chitarra per mancini stava appoggiata di fianco alla scrivania. Di fronte alla porta si trovava una batteria; di fianco, invece, un pianoforte nero a corde.

Guardai Justin mentre chiudeva la stanza a chiave da dentro, confusa. Dal momento che non mi rivolse alcuna spiegazione, mi diressi verso il letto e mi sedetti sul bordo di esso, togliendomi le scarpe.

«Questa è la mia camera» disse, poi. «Cioè, in questa villa, è la mia. Quando vengo qui e non ho voglia di prendere la macchina e tornare a casa, dormo qua dentro. Ho tutto quello che mi serve. Ed è insonorizzata» continuò. «E, dato che ho dedotto ti andasse di litigare, ti ho portata qui. Così possiamo farlo senza dare nell'occhio.»

«Non voglio litigare» ribattei.

Rise nervosamente. «Ah, no? Sono sicuro che tu non abbia fatto quell'affermazione perché non sapevi cosa dire.»

«Non volevo ferir...»

«Non importa» mi interruppe. «Ormai non puoi più tornare indietro.»

«Grazie per farmi sentire in colpa. Mi ci voleva» dissi ironica.

«Ma cosa vuoi che ti dica, eh?» sbottò. «Magari che non me ne frega niente? Beh, sorpresa! Mi importa, invece!»

«Lo so che ti importa, altrimenti non l'avrei detto!»

«Sei proprio una stronza.»

«Ah, io?!» gridai. «Tu no, vero? È tutta la cazzo di sera che cerco il tuo sguardo e tu lo sposti su chiunque, tranne me. Ma la stronza sono io, vero? Ma vaf...»

Sospirò rumorosamente prima di interrompermi. «Vuoi sapere perché non ti guardavo?» urlò, senza tuttavia aspettare una risposta. «Perché non mi sarei limitato semplicemente a guardarti!»

«Ma che cazzo vuol dire?»

«Porca troia, Audrey.» Diede un pugno contro al muro. «È tutta la fottuta sera che mi provochi» disse, passandosi una mano tra i capelli color grano. «Prima ti presenti con quel vestito...»

«È un semplice vestito, Justin!» questa volta fui io ad interromperlo.

Strinse i denti. «Fammi finire» scandì. Poi riprese: «Prima ti presenti con quel vestito, poi bevi in quel modo, poi balli in quel modo, poi mi sussurri che vuoi dell'altro alcool con un tono di voce che sembra voglia dire tutt'altro, poi quella cosa delle stelle e dell'infinito!» sputò. «Non avrei resistito a guardare i tuoi cazzo di occhi senza baciarti» gridò infine.

Abbassai lo sguardo, riflettendo sulle sue parole. Merda, merda, merda, che casino. «E tu, allora?» dissi. «Non sono io quella che ha fatto aderire i nostri corpi! E quel tuo respirare...»

Ridacchiò, a metà tra il divertito e l'incredulo. «Non dovrei più respirare?»

Scattai in piedi, per poi dirigermi verso di lui; allontanò presto la breve distanza che avevo lasciato, facendo aderire i nostri corpi. Mi alzai sulle punte e premetti le mie labbra sulle sue; ricambiò il bacio con la mia stessa foga, premendo le sue mani sul mio sedere.

Seguivo Justin Bieber da cinque anni e l'avevo visto crescere. Lo avevo conosciuto a quattordici anni, mi ero innamorata di lui all'istante; lo avevo supportato dall'inizio della sua carriera, quando aveva il ciuffo biondo davanti agli occhi, passando per quando se lo era tagliato, arrivando fino a quel momento. In tutti quegli anni, non avevo mai pensato che avrei potuto baciare le sue labbra perfette. Avevo sognato di farlo, ma sapevo che le mie erano semplici fantasie che non si sarebbero mai avverate.

Ed invece, lo avevano fatto.

Passai a baciargli il collo, senza riuscire nemmeno a pensare di interrompere quel momento, come se lui fosse una droga per me. Mugugnò un «oddio» mentre mi staccavo per sfilargli la giacca e, subito dopo, la maglietta, lasciandolo a petto nudo. Mi morsi il labbro sfiorando i suoi tatuaggi con la punta delle dita, poi ripresi a baciargli i pettorali, poi il ventre. Sbottonai i suoi jeans e gli abbassai i boxer, massaggiando poi il suo membro; lui mi strinse a sé e premette nuovamente le sue labbra sulle mie, togliendomi il respiro.

Lo guardai divertita mentre infilava le mani sotto il vestito ed armeggiava per sfilarmi gli slip. Quando ci riuscì, mi sentii percorrere da tanti brividi lungo la schiena. Attaccò le sue labbra all'incavo tra la mia spalla e il collo, mentre le sue dita abbassavano la zip del mio vestito.

«Guardami» ordinai. «Justin...» Alzò lo sguardo ed intrecciò le sue iridi color miele alle mie azzurre, aspettando che continuassi. «Sai che questo non è giusto, vero?»

«Sì» affermò serio. «E tu lo sai?»

Annuii.

«Vuoi fermarti, Audrey?»

Lo baciai nuovamente; lasciai che le nostre lingue si intrecciassero e giocassero nelle nostre bocche, affondando le mie dita tra il grano dei suoi capelli. «Mai» risposi infine.

Lo sentii sorridere sulle mie labbra, per poi baciarmi ancora, e ancora, e ancora. Poi mi fece indietreggiare, finché non caddi sul letto. Si sistemò su di me, togliendomi definitivamente il vestito e sfilandosi i jeans. Percorse il mio addome con la punta dell'indice, poi con quella della lingua, facendomi gemere.

Con un movimento quasi naturale mi sganciò il reggiseno e lo buttò al lato del letto; mi massaggiò entrambi i seni e dovetti trattenermi per non urlare. Si tolse poi boxer e, alla vista della sua erezione, mi mordicchiai il labbro nervosamente. Mi rivolse un sorriso rassicurante, poi mi accarezzò dolcemente una guancia. Mi baciò nuovamente; l'unico bacio tenero fino ad allora. Non riuscii a capire il motivo.

«Sei sicura?» mi domandò, sussurrando.

Chiusi gli occhi, sospirando. «Dio, sì» risposi.

Intrecciò le sue dita alle mie nello stesso momento in cui lo sentii entrare dentro di me, facendomi gemere di piacere. Iniziò spingendo piano, poi intensificò il ritmo. Lo guardai per un momento: aveva gli occhi chiusi, la fronte imperlata di sudore e cercava di respirare normalmente, senza riuscirci.

La sensazione che almeno in una minima parte fosse mio mi procurava felicità. Il mio amore platonico era dentro di me. Eravamo una cosa sola, in quel momento, eravamo davvero l'infinito.

Premette le sue labbra contro le mie, lasciandomi stupita. Poco dopo raggiungemmo l'apice del piacere entrambi e lui uscì da me; mi accoccolai sul suo petto, tremando. Mi strinse a sé, baciandomi i capelli e, subito dopo, le labbra.

Ero, anche se in una piccola parte, sua.

E non c'era niente di meglio.














"imma put you down"
Ciao bellissime!
Vi lascio con questo capitolo e scappo ai colloqui con i professori, sperando che tutto vada bene.
Vi ringrazio come sempre per le recensioni, i preferiti, i seguiti e i ricordati. 
Siete fantastiche, grazie davvero!
Vorrei raggiungere almeno 5 recensioni, se no vi farò aspettare ancora per il prossimo capitolo eheheheh
Fatemi sapere cosa pensate di questo capitolo, veramente, vi prego.
Vi amo tutti e addio (speriamo a presto)

Andrea :)

   
 
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