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Autore: King Of My World    29/11/2013    6 recensioni
Dicevano che era brava, dicevano che aiutava, ma non era vero per niente: con gli altri poteva essere anche dolce gentile e tanto altro, ma con me non era affatto così. Eh si, dopo il terzo anno, la mia professoressa di francese cominciò ad odiarmi come se le avessi fatto qualcosa di grave. Mi umiliava ogni santo giorno, fino a quando...
Genere: Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il francese è peggio del diavolo!


Dicevano che era brava, dicevano che aiutava, ma non era vero per niente: con gli altri poteva essere anche dolce gentile e tanto altro, ma con me non era affatto così.
Mi disprezzava nel vero senso della parola, solo perché io odiavo la sua materia: il francese. Era molto complicato vivere, era difficilissimo stare calmi e vivere tranquilli dopo la sua ora. Io studiavo la sua materia, anche se io la odiavo perché in ogni momento non faceva altro che trasmettermi ansia, paura e sconforto. Mi sentivo inutile e sembrava che la sua lezione durasse mille anni, non riuscivo più a stare bene per colpa sua: perché non faceva altro che umiliarmi e rendermi la vita impossibile; avevo bisogno di supporto, di essere capito, mia madre non mi capiva e mi diceva che dovevo sopportarla.
Stavo al quarto anno di ragioneria, ma erano tre lunghi anni che sembravano non finire mai; grazie a questa professoressa, persi il coraggio di me stesse, cominciavo ad essere insicuro e persi la cosa più importante della mia vita: la voglia di vivere.
Ogni giorno, dovevo sopportare le sue umiliazioni davanti alla mia classe; ma non solo, perché i miei amici di classe mi prendevano anche in giro per via di questo fatto ed io non potevo più tollerare tutto questo: ne avevo abbastanza di tutte le sue cattiverie, non volevo più essere umiliato da lei!
Non sopportavo più nulla. Il quarto anno, non è stato granché per me perché ci sono state molte cattiverie nei miei confronti, non si poteva più vivere in quell’incubo.
Caddi in una profonda depressione, la quale era impossibile uscirne: non si poteva andare avanti, ero triste e malinconico. Ogni notte, sognavo le sue cattiverie, le sue parole, le sue sgridate. Non ce la facevo più, perché era diventata un’ossessione allo stato puro, ma cosa le avevo fatto di tanto grave? Sembrava davvero un incubo senza fine. A volte, per stare meglio non facevo altro che suonare il piano, ascoltare musica, volevo continuare così per l’eternità ma non era possibile perché quella professoressa non faceva altro che farmi del male.
Tutte le mattine, mi alzavo beato per andare a scuola sempre felice e beato, ma tutto questo finiva grazie a lei: Petrillo Giovanna. Una professoressa di francese, la quale per tutti era buona, brava, ma perché con me non lo era? Sapevo che il marito le era morto e aveva due bambine piccole, ma non è detto che suoi problemi dovevano entrare nell’ambiente scolastico. Con tutti era felice, spensierata, almeno con quelli della mia classe, però con me ce la tenava particolarmente perché un giorno mi disse:
 
“Vinaccia, ti va di fare il PON di francese?”  Mi domandò curiosa.
“No, ho già scelto quello di inglese.” Le risposi semplicemente.
“Ah, come mai?” Mi chiese, come se volesse farmi cambiare idea.
“Perché sono portato più per l’inglese, mentre il francese non mi attira molto.” Dissi.
 
Subito dopo, mi resi conto che avevo sbagliato a dire quelle parole. E’ stato l’errore più grande della mia vita, non dovevo dire che l’inglese mi piaceva più del francese: perché facendo così, me l’ero fatta nemico e così fu.
Anche se io studiavo lo stesso, mi impegnavo al massimo in ogni materia per ottenere voti alti; ma lei nonostante ciò, mi si rivoltava contro come se mi girasse le spalle di continuo e infatti, ogni mattina mi umiliava davanti a tutti come se volesse avere ragione lei in tutto. Ho sbagliato e me ne ero reso conto troppo tardi perché lei già mi aveva puntato come suo peggior nemico. E da lì, mi fece perdere il coraggio di affrontare le interrogazioni, mi creò una confusione mentale e cominciai ad andare fuori di testa. Non faceva altro che mettermi in difficoltà e ogni volta che facevamo gli esercizi, dovevo correggerli io perché lei credeva che io fossi perfetto in tutto e mi ripeteva sempre le stesse cose, come ad esempio:
 
“Vinaccia vedi, la perfezione non esiste perché in questo esercizio ci sono molti errori!” Mi urlò quel giorno alla lavagna.
 
Non dissi nulla, ma andai a posto senza reclamare nulla. E’ così continuò per tutto il primo, secondo e terzo anno di scuola, ma il quarto fu il peggiore; perché cominciai ad assaporare il terrore, ma non uno qualsiasi: lo chiamai l’anno delle minacce.
Quando facemmo il primo compito del primo quadrimestre, fui molto preoccupato ed infatti, il compito non era andato a buon fine: presi sei. E lei non era affatto contenta e mi disse:
 
“Eh no, per tre anni consecutivi ti ho messo otto e seconde me quest’anno non sarà la stessa cosa. Forse ti metterò sei, ma anche di meno.” Mi disse con un sorriso sulle labbra, come se fosse contenta di quello che aveva appena detto.
 
Abbassai lo sguardo, mi sentii offeso dalle sue parole. Tornavo a casa con un rabbia inaudita e violenta, ero furioso con me stesso; mi sedevo vicino al pianoforte e cominciavo a suonare per calmarmi, non facevo altro che suonare le canzoni di “Twilight: Bella’s lullaby”, era la mia preferita della saga perché era dolce e armoniosa: era una musica che aiutava a calmarmi e di riacquistare il sorriso.
Era anche un periodo buio della mia vita, mia madre non riusciva a capire del perché ero sempre triste e angosciato, non volevo parlare. Volevo solo essere lasciato in pace. Non si poteva andare avanti così, perché quella donna mi faceva impazzire giorno per giorno e non riuscivo più a controllarmi. Nel sogno, non faceva altro che ripetermi:
 
“Vinaccia, fai bene a preoccuparti perché il compito è andato male e penso che tu ne sia consapevole. Quest’anno, non ti stai proprio impegnando e non credo che questa volta ti salverai con me.” Mi disse una volta.
 
Era tutto un incubo, anche se non ero affatto contento perché sentivo che un giorno quel sogno diventerà realtà, e stava per accadere al quarto anno. Perché dopo il primo compito, quelle stesse parole le disse senza rancore, mentendomi in difficoltà su qualsiasi cosa facevo. Se parlavo con un mio amico, la professoressa credeva che io parlassi male di lei; ma non era vero, cioè a me non fregava nulla di lei. Anche se non faceva altro che prendermi in giro, ma non mi permettevo mai di parlarle alle spalle, perché non ero il tipo che faceva questa cose e ogni volta che inteveniva, aveva da dire questo:
 
“Ultimamente stai in serie difficoltà nella mia materia, mentre la professoressa d’inglese dice sempre che nella sua materia tu sei sempre preparato e che sei anche il più bravo di tutti. Invece con me, non è affatto così: anzi, per me stai rientrando nella lista dei peggiori!” Mi strillò con un sorriso davanti a tutti i miei coetanei.
“Io studio e cerco di dare il massimo, ma se questo non è apprezzato non è di certo colpa mia.” Risposi calmo.
“Cosa vorrai dire? Nella mia materia, non vedo tutto questo impegno!” Continuò sicura di quello che diceva.
“Non sto dicendo nulla, io faccio del mio meglio e se dovrò prendere il debito in francese: questa è una scelta vostra e non mia, perché lo volete voi! Io sono qui per fare il mio dovere e anche se la materia non mi piace, la studio lo stesso e se dovrà andare così, allora ben venga!” Dissi senza un minimo di vergogna, ma ero infuriato.
“Stai dicendo che vuoi il debito in francese?” Mi domandò fiera di quello che aveva appena detto.
“No, ma studierò perché il debito non lo voglio.” Conclusi.
 
Poco dopo, la campanella suonò e andammo tutti a casa, e la prof rimase molto scioccato perché non mi ero mai ribellato nei suoi confronti; ma non ero più quello di una volta, perché avevo sopportato troppo e non era neanche un bel periodo della mia vita: i miei genitori mi avevano abbandonato e mi avevano lasciato nella mani di un tutore, si chiamava Edward ed era molto simpatico. Avevo diciassette anni, mia madre non mi sopportava più e nemmeno mio padre, e mi lasciarono nella mani di un’altra famiglia.
Non fu affatto molto semplice affrontare tutti questi problemi! Quando uscii da scuol, Edward mi venne a prendere e andammo a casa. Ormai dovevo ritenerla casa mia, dato che i miei si erano sbarazzati di me come se fossi un cane; mi sentivo abbandonato da tutti, ma Edward si comportava come se fosse un fratello per me. In macchina, non facevo altro che lamentarmi:
 
“Lei mi odia, mi odia!” Urlai.
“Ancora francese? Vuoi che le parli io?” Mi chiese.
“Sarà inutile!” Conclusi secco.
“Vedremo.” Continuò come se avesse trovato la soluzione a tutto.

 
   
 
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