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Autore: AnonimaKim    29/11/2013    1 recensioni
Questa storia starebbe cercando di partecipare al piccolo contest di Desperate Housewriter.
La parola scelta da me è "Ondivago". Buona lettura a chiunque abbia la pazienza di leggerla :)
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Si sentiva come se lo avessero gettato nell'oceano, abbandonato alle onde, ancor prima che imparasse a
nuotare.
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Si sentiva come se fosse spinto dalla marea verso mete remote non conosciute dal suo cuore, dal suo spirito, dalla sua anima.
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Si sentiva come se la sua anima vagasse silenziosa nel suono delle onde, senza che mai riuscisse a trovare risoluzione.
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Sentiva il suo cuore battere forte nel suo petto, come un candido battito d'ali di una farfalla.
Ali di una farfalla finalmente libera da ogni cosa.
Finalmente libera di seguire la sua luce.
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Nur, ti prego, fammi dono della tua luce e della tua purezza.
Donami una stella da seguire, donami la speranza di continuare a vivere.
Nur, mandata da chissà dove per salvarmi, ti ringrazio.
Grazie di avermi atteso per così tanto tempo.
L'oceano mi ha condotto a te
E se servisse per averti accanto
Accetterei di seguire le sue onde anche in eterno.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Piccola premessa, consiglio di leggere le note per capirci qualcosa :3

 

 

The Ocean Of Destiny

 

Non poteva far altro che restarsene lì, seduto sulla morbida sabbia color bianco perla, respirando tranquillamente la dolce e piacevole aria salmastra che al col tempo gli accarezzava, quasi come fosse una carezza leggera, i capelli di seta nera. Osservava rapito le onde cristalline infrangersi sulla spiaggia; il moto leggero e costante con cui la luna piena modellava le calme acque dell'oceano.

Scrutava l'orizzonte, ammaliato dal grande ponte argentato formatosi dal candido riflesso luminoso della luna sulla superficie, chiedendosi segretamente che cosa potesse esserci oltre quella linea sottile che sembrava delineare il confine fra cielo e mare.

Che cosa c'è oltre?

Si chiedeva incessante la sua curiosa giovane mente, continuando ad ascoltare il suono costante delle onde. Rispondere a quella domanda, sembrava essere come un sogno per quel bambino.

Un sogno lontano, un sogno apparentemente irraggiungibile: eppure per un istante gli parve di riuscire ad afferrarlo con le sue stesse mani, di riuscire a percepire il moto costante delle onde sotto il suo corpo.

E quelle onde lo avrebbero portato lontano.

Lontano, lontano da tutto.

Lontano dalla sua famiglia, lontano dal suo palazzo e dalla sua vita così soffocante e proibitiva; lontano dalla sua nazione e da tutti quei doveri e quelle responsabilità che ormai erano già incise nel suo destino.

Sapeva cosa era destinato a diventare, o meglio, che cosa era destinato a essere. Ma una parte di lui continuava a ripetersi che era troppo presto per pensare a questo, che ora c'era solo spazio e tempo per poter sognare. Perché, infondo, è questo che i bambini sanno fare meglio

Aveva poi sorriso, sapeva che un giorno quelle onde lo avrebbero portato via da tutto ciò che avrebbe potuto rendere banale quella sua esistenza, e che l'avrebbero condotto sulla giusta via da seguire.

Un giorno si sarebbe tuffato tra quelle onde, in quell'oceano d'argento, e avrebbe compreso chi era veramente.

Come poteva, davanti quel sogno così meraviglioso, anche solo lontanamente immaginare che quelle stesse onde, un giorno, l'avrebbero privato di ogni sua radice e di ogni sua certezza?

Era forse per questo che ora, mentre guardava l'immensità dell'oceano davanti a lui, non scorgeva più la felicità che da bambino gli era quasi scontata?

Osservava il riflesso della luna sulla superficie dell'oceano, sotto di lui la calma superficie del mare ondeggiava tranquillamente cullata dall'astro lucente nel cielo.

Appoggiato al parapetto dalla sua nave, scrutava con occhi spenti e opachi quello che sembrava essere lo stesso scenario di quello che guardava quando era più giovane, ancora impreparato per quello che sarebbe accaduto nel suo futuro.

Sospirò appena, frustrato, torcendosi le mani senza un vero pensiero che gli attraversasse la mente.

 

Si sentiva come se lo avessero gettato nell'oceano, abbandonato alle onde, ancor prima che imparasse a nuotare.

 

Era stato esiliato, spogliato del suo onore, della sua successione al trono, della sua famiglia e delle sue più immense Verità. Perciò, se una volta credeva che abbandonato a quelle onde avesse trovato la certezza del suo essere, ora era fermamente convinto che gli arrecassero solo grande confusione.

Perché era stato gettato nelle loro spire troppo presto: troppo giovane, troppo immaturo per affrontare la realtà. In qualche modo, non riusciva ad accettarlo. Aveva fatto di tutto per dimenticare, aveva fatto di tutto per ricominciare una nuova vita, con una nuova identità, ma il ricordo del suo passato ardeva dentro la sua anima e non sembrava avere la minima intenzione di trovare risoluzione.

Ben poco poteva fare, per se stesso, se non ascoltare il suono della prua della sua nave che squarciava la superficie dell'oceano, lasciando che le onde impetuose si infrangessero contro la grande imbarcazione.

Adorava quel suono, gli incuteva un senso di pace indescrivibile che non avrebbe potuto spiegare neppure volendo. Era il suono che lo accompagnava ogni notte, ogni giorno, ogni momento.

Perché era fra quelle onde che lui aveva deciso di rinascere, o meglio, di provare a rinascere.

Aveva rischiato di affogare più volte, ma era sempre riuscito ad aggrapparsi a qualcosa e a risalire sulla superficie, era sempre riuscito a trovare la forza e il coraggio di reggersi a galla e di non sprofondare nelle oscure e profonde acque dell'oceano.

Ma a quale prezzo?

Aveva ormai perso se stesso: si specchiava, e tutto quello che vedeva era il suo riflesso. Non un'identità, né una qualche verità, era nascosta nei suoi occhi fatti di ghiaccio. Allora solo reagiva come si sentiva, come l'istinto lo comandava, solo combatteva per la propria esistenza alla ricerca di quello che le*[1] mancava. Mai un momento nella sua vita in cui la rabbia e la frustrazione non lo seguissero come ombre passate proiettate dalla sua malinconica anima.

 

Si sentiva come se fosse spinto dalla marea verso mete remote non conosciute dal suo cuore, dal suo spirito, dalla sua anima.

 

Ma tutto poteva sembrare agli ammirevoli e timorosi occhi della gente, men che meno un fragile e giovane ragazzo in eterno conflitto con se stesso: con la testa alta se ne andava in giro per le strade e per i ponti delle navi, fulminando con il suo sguardo gelido ogni qualunque persona che osasse guardarlo negli occhi; sul viso vi era una maschera di sicurezza e spavalderia che spesso era accompagnata da un lieve ghigno di sfida; tra le mani stringeva fiero l'elsa delle sue scimitarre*[2], che

brandiva forte e orgoglioso ogni volta che se ne presentasse la necessità.

E non si poteva dire, affatto, che non fosse un ragazzo pieno di carisma.

Facile era restare ammaliati dalle sue poche parole e dalle sue ingenti azioni, facile era seguire i suoi propositi nelle imprese più ardue, facile era fidarsi del suo istinto che spesso portava alla fortuna.

Il suo nome era conosciuto in ogni angolo del Mondo di Raava*[3], ogni singolo cittadino di quelle terre conosceva e temeva ogni più minima sfaccettatura della sua spietata reputazione.

Tuttavia, nonostante la sua grande fama, il mistero avvolgeva la sua aurea di un grigio cupo e austero, quasi come fosse impossibile guardare e vedere oltre i suoi occhi di ghiaccio.

Forse erano quei suoi comportamenti innaturali, strani, amalgamati nel mistero più tetro, che faceva di lui il più distinto e temuto fra i Pirati. Perché di certo non era la sua giovane età a incutere timore, né certamente la sua esperienza nel campo, tanto quanto sicuramente la sua forza e la sua determinazione d'animo, il suo carisma e le sue abilità innate che lo facevano sicuramente appartenere ai più celebri “Guerrieri dell'oceano” esistenti a quel tempo.

“Husam”*[4] era il nome con cui era conosciuto nelle Cinque terre, e per il quale ogni giorno si impegnava a difenderne l'onore e il rispetto.

Perché il suo vero nome si era ormai disperso nel suono delle onde oceaniche, proprio come il suo passato. O almeno, questo era quello di cui era convinto, questo era quello che credeva.

 

Si sentiva come se la sua anima vagasse silenziosa nel suono delle onde, senza che mai riuscisse a trovare risoluzione.

 

Il ragazzo abbassò la testa, sporgendosi appena oltre il parapetto, quasi come un bambino che brama dal desiderio di meglio vedere le grosse onde infrangersi sulla superficie della sua imbarcazione. Quella stessa imbarcazione che fino a quel momento lo aveva guidato, salvato dalle intemperanze e dal gelo dell'oceano, aiutato a trovare una strada che potesse strappargli un piccolo attimo di gioia e felicità. Ma fino a quel momento, tutto ciò che aveva passato, si era dissolto come fumo fra le sue mani. Nonostante l'immorale attività che aveva deciso di condurre almeno per quel momento della sua vita, a lui non erano mai davvero importati i privilegi che essa poteva offrigli, quando quella sensazione di libertà che ciò gli procurava. Si sentiva libero, libero e forte, sentiva che poteva qualsiasi cosa e che nulla sarebbe stato in grado di fermarlo. Non si sentiva osservato da occhi giudiziosi, né ascoltato da orecchie pronte a criticarlo, aveva l'impressione di avere la vita e la propria esistenza fra le sue mani.

Non c'era nulla di più bello che Aversi.

Liberi di scegliere per la propria vita e per se stessi.

Eppure, nonostante nella sua nuova vita sembrava essere riuscito a risollevarsi di nuovo, e nonostante avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di dimenticare chi fosse in passato, i suoi ricordi seppur remoti ancora tormentavano la sua anima. Domande gli affollavano spesso la mente, in quelle notti di luna piena, e si chiedeva se quello fosse davvero il suo destino.

Avrebbe davvero dovuto ripudiare il suo passato, come esso aveva ripudiato lui?

Avrebbe dovuto cominciare una nuova vita, o battersi per la sua negata successione al trono?

Avrebbe dovuto lasciarsi ogni cosa alle spalle, e andare avanti con la vita per la quale aveva combattuto?

Husam sospirò di nuovo, frustrato dai suoi stessi pensieri, si portò una mano sulla fronte stringendosi i capelli di seta nera. In silenzio, ascoltando il suono delle onde, sul viso del ragazzo si levò un sottile sorriso malinconico.

Possibile che, dopo tutto questo tempo, ancora non avesse compreso?

Era inutile porsi domande, perché a nulla sarebbe servito interrogarsi così tanto su quello che potrebbe avvenire. Sapeva perfettamente che cosa avrebbe dovuto fare: continuare a farsi guidare dall'oceano, continuare a navigare su quelle stesse onde che sapeva lo avrebbero condotto verso il suo destino. Sì, era quasi certo, lì nel profondo della sua anima, di riuscire a sentire nel suono dolce delle onde il racconto della sua esistenza. Ma nulla ancora era scritto, lui poteva ancora scrivere quello che sarebbe divenuto un giorno, il giorno in cui avrebbe afferrato il destino fra le sue mani e avrebbe segnato la sua vita in eterno. Fino a quel momento, non poteva far altro che attendere, non poteva far altro che esistere. D'altronde, nulla oramai poteva sorprenderlo. Forse non aveva il controllo di se, ma al contrario quello di tutti attorno a lui. Niente sfuggiva al suo controllo, e anche lui un giorno sarebbe stato sicuro di ciò che era.

Niente e nessuno poteva coglierlo di sorpresa...

-”Ciao”-

Husam sobbalzò, accigliandosi improvvisamente e scattando indietro mentre con veloce abilità sfoderava le sue scimitarre verso la figura appostata proprio di fronte a lui. Il cuore batteva forte, l'angoscia impaziente del combattimento si accese come una miccia alla vista delle lame brillare sotto la luce della luna. Ma svelto riuscì a riconoscere quel viso, e senza distogliere neppure per un'istante i suoi occhi da quelli dell'ombra, si tirò su in piedi e sospirò impercettibilmente. Era davvero scattato per così poco? Ringraziò segretamente il fatto che non vi fosse altra luce fra di loro oltre quella dell'astro celeste, o sarebbe stato possibile intravedere una pennellata di rosso sulle sue guance. Lievemente imbarazzato, non accennò minimamente nel rimettere a posto le sue due spade.

Ok... forse qualcuno poteva coglierlo di sorpresa... di tanto in tanto.

L'ombra, nonostante tutto, era rimasta perfettamente immobile, ferma al suo posto con un leggero sorriso tranquillo e sereno sulle labbra. Il viso era illuminato appena da un flebile raggio di luna, sufficiente solo per illuminarle gli occhi color indaco e l'espressione vagamente divertita. Husam strinse appena l'elsa delle spade, socchiudendo gli occhi minaccioso verso di lei.

-”Tu che cosa ci fai qui?! Ti avevo ordinato di restare...”-

-”Mi annoiavo”- rispose semplicemente la piccola figura, dondolandosi appena come una bambina sui suoi stessi piedi. Il sorriso si allargò appena, il ragazzo strabuzzò gli occhi.

-”Non interrompermi mentre parlo!”- la intimò lui con un deciso passo verso la ragazzina, la quale, senza assolutamente provar la benché minima paura, ridacchiò sommessamente prendendosi le mani all'altezza del bacino. Husam ringhiò a bocca chiusa, orribilmente seccato da quella sua presunzione e dal quel suo fare da principessina. Si maledì per la milionesima volta in quelle ore, di aver permesso a una simile persona di salire a bordo della sua nave: e quel che era peggio, era il semplice fatto che si trattasse di un'insopportabile ragazzina di quindici anni.

Quel giorno si era imbattuto in una nave da guerra delle Terre di Samhain*[5], dove vi regnava la sua Nazione natia, e aveva ben pensato che attaccandola avrebbe potuto procurarsi un bel po' di armi. La guerra in quel mondo, per lui e per tutto il suo equipaggio, era fruttuosa: la gente, disperata, era molto più accondiscendente e fare buone nonché favorevoli amicizie era sempre più facile; le armi si trovavano con una facilità estrema e, oltretutto, erano molto più efficaci di quelle prodotte precedentemente; la merce di scambio non costava molto, ed era facile vendere ai migliori offerenti.

Così, senza pensare aveva attaccato una nave del suo Impero, senza la benché minima idea di quello che all'interno di una delle celle avrebbe potuto trovare: se ne stava seduta tranquillamente per terra, a gambe incrociate, spazzolandosi i lunghi capelli neri con le pallide dita delle mani; aveva alzato la testa verso l'ombra minacciosa davanti a lei e, senza alcun preavviso, gli aveva sorriso.

A lui?!

Possibile che quella ragazzina non avesse preso minimamente in considerazione il fatto che avrebbe potuto ucciderla?

Ma quella non era una possibilità contemplata, farla fuori non sarebbe stato affatto conveniente, nonostante ci avesse fatto qualche pensierino quando le aveva puntato una delle sue scimitarre alla gola. Non sarebbe stato affatto conveniente, perché quella ragazzina avrebbe potuto fruttargli molto, decisamente di più.

Per cominciare, Nur*[7] era la principessa delle Terre di Amal *[6]: una civiltà sviluppatosi secoli e secoli prima al Polo Nord, tuttavia, molti dei suoi cittadini, avevano scelto di emigrare e raggiungere il Polo Sud, dove non troppi secoli fa era nata una sorta di nuovo piccolo regno. Nonostante la sua secondarietà, “Amal del Sud”, così chiamata comunemente, era stata recentemente presa di mira e successivamente sottomessa dal grande Impero di Samhain, il quale aveva rapito la sua principessa e che ora aveva intenzione di portarla nella capitale. Perciò, pensò Husam, vendendola al suo impero natio avrebbe potuto farci davvero una fortuna.

E allora, perché aveva deciso di assecondarla e di portarla in salvo ad “Amal del Nord?”. Non aveva una risposta a quella domanda, come a tutte le altre del resto, aveva fatto solo quel che la testa gli diceva e aveva accettato di portarla al Nord in cambio di qualche sacco di denaro. Nulla in confronto a quello che avrebbe potuto guadagnarci ma non aveva alcuna intenzione di consegnarla a suo padre. Forse per dispetto, forse perché cercava di sradicarsi da quella terra. Era solo certo che lei in prima persona non aveva miniante influenzato la sua decisione di aiutarla: Per quanto riguardava Husam, lei avrebbe anche potuto buttarsi dalla nave e non avrebbe fatto alcuna differenza, l'importante era che non cadesse nelle mani dell'Impero e che, soprattutto, non gli procurasse seccature. Tuttavia, quella ragazzina viziata non era riuscita ad assolvere l'unico ordine che lui le avesse imposto: starsene nella sua cabina e non disturbarlo fino a quando sarebbero approdati alla “Amal del Nord”.

Nur volse poi lo sguardo verso l'orizzonte e, sotto gli occhi ancora iracondi di Husam, poggiò le mani sulla superficie legnosa del parapetto della nave, socchiudendo gli occhi.

-”Sai, credo che qualcuno che prova sollievo nel guardare questa meraviglia della natura...”- mormorò lei sorridendo appena, dolcemente.

-”... Non può essere infondo una cattiva persona”-

-”Io non provo proprio nulla!”- Sbottò il ragazzo contro di lei, tentando forse di incuterle timore senza evidente successo.

-”E adesso, ti dispiacerebbe principessina tornartene lì dove ti avevo ordinato di rimanere?!”-

Nur ridacchiò tranquillamente, pettinandosi con distrazione una ciocca di capelli color cioccolato, unendo con lo sguardo e senza alcun tipo di esitazione i loro occhi. Il calore irradiato dalla sua espressione serena raggiunse un lembo dell'anima di Husam, per un solo istante, l'aveva trascinato oltre quel mondo terreno.

-”Senti un po'...”- Il ragazzo scattò in avanti, avvicinandosi a quella piccola e delicata figura che, in qualche modo e per qualche strana e assurda ragione, era riuscito a farlo sentire inferiore a lei.

Debole, spoglio delle sue convinzioni.

Instabile, senza qualcosa a cui aggrapparsi.

E si rifiutava di credere che quella ragazzina fosse riuscita a ridurlo in quel modo in pochissimi istanti.

-”Se non te ne fossi accorta, io ti sto aiutando! Avrei perfettamente potuto venderti alla Nazione di Samhain, non hai idea dei benefici che mi avrebbe portato...”-

-”Ma non lo hai fatto”- mormorò lei con un sorriso dolce e innocente sul volto. Poi socchiuse gli occhi e chinò appena la testa.

-”Ti ringrazio. Perdonami se non credo affatto che tu sia una cattiva persona, se lo fossi stata non mi avresti aiutata, oppure no?”-

-”Ho solo un conto in sospeso con l'Impero”- spiegò lui riponendo le sue scimitarre, giustificando il suo gesto. Infondo, lo aveva fatto quasi esclusivamente per quel motivo.

-”Solo... non volevo che ti avessero...”- Husam abbassò poi la testa, passandosi distratto una mano nei capelli di seta nera. Nur piegò appena la testa da un lato, il suo sorriso si dissolse appena lasciando posto ad un'espressione curiosa e indagatrice.

-”Ma.. tu... sei con la Resistenza?”-

Il ragazzo sfoggiò un veloce sorriso scettico, successivamente abbassò la testa, tornando serio e pungente.

-”No. Non voglio minimamente entrare in questa storia della guerra, sinceramente.”-

La ragazzina sospirò tornando con un sorriso triste e un'espressione malinconica a guardare pensierosa l'orizzonte. Calò il silenzio, un silenzio che persino Husam aveva timore di spezzare. Nur abbassò la testa, incurvò appena le spalle, storse appena la bocca come se da un momento all'altro potesse piangere.

-”L'Impero di Samhain sta devastando ogni cosa: hanno distrutto la mia città, preso la mia gente e non passerà molto tempo prima che anche le Terre di Raja [3-6] e la Amal del Nord cadano sotto il suo dominio.”- la ragazzina si portò una mano sul petto, stringendo quella collana che le decorava la scollatura appena accennata del vestito.

-”A quel punto sarà finita, Samhain avrà vinto. E' per questo che sto andando al Nord, vi è ancora la minima speranza di difendere il nostro mondo e la nostra libertà...”- Nur alzò lo sguardo, con gli occhi bagnati di lacrime, verso Husam.

-”Come può non importartene nulla?”-

Il ragazzo sgranò appena gli occhi, con un velo di risentimento verso se stesso e verso i suoi pensieri, chiedendosi segretamente come avesse fatto quella ragazza a farlo sentire in colpa per una simile concezione. Ma infondo, pensava, Nur non aveva tutti i torti: vero, forse a lui non sarebbe cambiato nulla, ma cosa ne sarebbe stato del mondo se l'impero di Samhain avesse vinto?

Husam guardò negli occhi della ragazzina, perdendosi in quelle iridi che parevano quasi assomigliare al colore delle onde, illuminati dal candido e puro riflesso della luna. Rivide in quello sguardo, un sentimento famigliare, un sentimento che fin troppo aveva accompagnato la sua giovane vita: la malinconia. Vedeva in quei suoi occhi color oceano, la disperazione e il dolore di chi ha perso ogni cosa.

Come lui.

Anche Nur, ora, aveva perso il proprio regno, era in balia delle onde, senza casa e senza una via da seguire.

Eppure, che fosse proprio lì la chiave della loro diversità. Il ragazzo socchiuse gli occhi, voltando lo sguardo spento di nuovo verso il caldo orizzonte.

Perché forse era verso che lei aveva perso ogni cosa, o forse no. Non brillava forse nei suoi occhi ancora la speranza? Non aveva forse, lei, qualcosa per cui ancora combattere? Qualcosa per cui valesse la pena vivere?

Husam sgranò appena gli occhi, socchiuse le labbra e deglutì silenziosamente, il cuore batteva così veloce che a stento riusciva a contarne le pulsazioni. E quel rumore, il rumore delle onde misto a quello impetuoso che aveva proprio nel petto, sembravano essere le uniche due realtà che accompagnavano i suoi pensieri all'istantanea realizzazione.

E forse quella la chiave per rinsavire?

Trovare una ragione per cui esistere, trovare la propria stella polare nella volta celeste e seguire la sua luce fino a quando non si fosse riusciti a trovare la felicità?

Per quanto le nuvole tempestose possano oscurare il cielo, quella stella non avrebbe mai potuto davvero smettere di brillare.

Era la speranza, forse, davvero quella la chiave di tutto?

Poteva, poteva davvero essere così semplice?

Fu come un lampo di luce in una notte oscura, la certezza della sua più grande rivelazione squarciò anima e spirito del giovane Husam:

Una ragione per cui esistere, una speranza per cui combattere.

Questo era sempre mancato al cuore di quel ragazzo, quel ragazzo che aveva dovuto seguire il suono delle onde per anni prima di poter comprendere con tanta semplicità la chiave per la serenità.

 

Si sentiva come se alla fine il grande oceano lo avesse finalmente condotto verso il suo destino, sentiva che la risposta a tutto era celata dietro quella stella che brillava incessante in cielo.

Sentiva il suo cuore battere forte nel suo petto, come un candido battito d'ali di una farfalla.

Ali di una farfalla finalmente libera da ogni cosa.

Finalmente libera di seguire la sua luce.

 

Amir. *[8]

Il ragazzo si voltò di nuovo verso di lei e sorrise sereno, per la prima volta dopo quel che sembrava l'eternità, chinandosi appena più vicino al suo viso sotto lo sguardo confuso della ragazza. Nur socchiuse appena la bocca ora piegata in un sorriso gentile, ma prima che potesse dire qualsiasi cosa il volto si Amir si piegò appena vicino al suo orecchio, respirando tranquillo sulla sua candida pelle.

Il ragazzo socchiuse le labbra:

 

Nur, ti prego, fammi dono della tua luce e della tua purezza.

Donami una stella da seguire, donami la speranza di continuare a vivere.

Nur, mandata da chissà dove per salvarmi, ti ringrazio.

Grazie di avermi atteso per così tanto tempo.

L'oceano mi ha condotto a te

.

E se servisse per averti accanto

...

Accetterei di seguire le sue onde anche in eterno.

 


*[1] = Ho usato il femminile poiché “Le” non si riferisce al personaggio maschile ma alla parola “esistenza” (che è per l'appunto femminile)


*[2] = Le scimitarre sono armi da combattimento di origine cinese che risalgono all'epoca medioevale. Combattere con le scimitarre era un arte molto ammirata sia in Cina che in Giappone, ed era adottata anche dai Samurai.


*[3] = Stanca forse di leggere le solite storie dei Pirati durante l'epoca della regina Elisabetta, mi sono inventata su due piedi un mondo parallelo Semi-Fantasy. Fondamentalmente, la mia storia non sia ambienta nella nostra dimensione. Durante il testo è possibile vedere altre cose simili, come: “Le Cinque terre”, “Le terre di Samhain”, “Le terre di Raja”, e via discorrendo... si riferiscono tutte ad, appunto, una strana sottospecie di mondo brevemente inventato da me :)


*[4] = “Husam” è un nome arabo che significa “Spada”.


*[5] = “Samhain” non è affatto un nome inventato. Nonostante non sia decisamente il nome di un impero, o di una nazione: è infatti il nome di una festa pagana di origine celtica, l'antenata del nostro odierno Halloween. “Samhain” era il nome dello spirito della morte, il re dei fantasmi e delle anime erranti, il principe dell'oltretomba e della purificazione.


*[6]= “Amal” e “Raja” sono nomi arabi ed entrambi significano “Speranza”.


*[7] = “Nur” è un nome arabo che significa “Luce”.


*[8] = Il vero nome di Husam. “Amir” in arabo significa “Principe” .

 

 

 

Anonymity's Corner

Ciau...
Allora... sono perfettamente consapevole di avere qualche rotella fuori posto per scrivere questa roba.
Perché, diciamocela seriamente, non ha proprio così tanto senso.
Non ho idea di come mi sia venuta in mente una cosa del genere, tanto più da dove sia potuto scaturire questo mondo Fantastico nel quale ho ambientato questa diversamente corta One-Shot.
Insomma, qualcuno si sarà pur chiesto perché ho usato tutti questi nomi arabi O.O
No, non sono araba, e... non so perché ho scelto come tema questa lingua...
Comunque.
Ringraziamenti!
Desperate Housewriter: per l'occasione concessa di confrontarmi con altre scrittrici :3
Kimberly D Crystal: Per avermi informata, anche grazie a te ho avuto questa grande occasione :3

…hmm...

Ah, cosa più importante!
Tutti coloro che hanno avuto la Pia pazienza di leggere fino a qui... perché so che infondo è stato un arduo compito!
Ahaha, l'ho inserito nell'introspettivo perché... ho avuto l'impressione che... fosse introspettivo...
Ooook...

Grazie mille ancora, ^.^

A presto,

AnonimaKim

  
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