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Autore: xX__Eli_Sev__Xx    29/11/2013    2 recensioni
Quando tutto sembra andare per il meglio, si sa, le difficoltà arrivano, prima o poi.
Io, Lena Taylor, lo so bene. Ho perso i miei genitori e mio fratello e ho scoperto che colui che credevo mio zio era in realtà mio padre. Adesso vivo a New York, ho un ragazzo che mi ama e vado al college. Ma qui nella Grande Mela i problemi sono sempre dietro l'angolo, pronti a venir fuori per sconvolgere le nostre vite e far crollare le nostre certezze...
Seguito di "Little pieces of my life".
Genere: Azione, Drammatico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Don Flack, Mac Taylor, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Like a Phoenix'
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Always and forever

CAPITOLO 3
 
Dopo dieci minuti di viaggio in auto, arriviamo al laboratorio. Parcheggio a qualche isolato di distanza e lo raggiungiamo a piedi. Mentre camminiamo, vediamo i taxi sfrecciano per le vie della città e molte persone che camminano sui marciapiedi. È quasi ora di pranzo perciò molti stanno uscendo dal lavoro. Ovviamente mio padre non è uno di questi, per questo sono certa che sia in ufficio.
Entriamo al laboratorio e raggiungiamo la reception. La ragazza, di cui continuo a scordarmi il nome, mi regala un sorriso e mi saluta con un cenno della mano. Faccio lo stesso e faccio cenno al mio accompagnatore di seguirmi. Lui annuisce e si avvicina al bancone.
«Ciao, Lena.» mi saluta la ragazza.
Leggo il nome sul cartellino, Sarah. Dovrò ricordarmelo, lei il mio non se lo dimentica mai.
«Ciao, Sarah.» dico con un sorriso.
«Signore, lei è?» chiede rivolta al dottor Lightman. Alla seconda volta in cui l’ho chiamato “signore” mi ha corretto dicendomi che è un dottore, perciò sarà meglio che non sbagli più, o mi ucciderà.
«Cal Lightman, consulente all’FBI.» risponde. La ragazza, proprio come me, rimane a bocca aperta. Prepara un tesserino e glielo porge.
«Ecco il suo…» si blocca e lui finisce la frase per lei.
«Tesserino. Grazie, signorina.» la salutiamo e ci avviamo verso l’ascensore per raggiungere il trentacinquesimo piano.
Nel tragitto tutti si voltano a guardarci. Che c’è di strano? Non posso accompagnare una persona all’ufficio di Mac? Ci rivolgono sguardi perplessi e interrogativi. Io sorrido e continuo a camminare.
Quando arriviamo davanti all’ufficio di mio padre, busso. Nessuno risponde, perciò entriamo; mio padre e i suoi colleghi stanno discutendo su un caso. Alcune foto sono proiettate contro un telo bianco e tutti le stanno osservando. Mac muove la mano davanti al telo, scorrendo tutti i volti e parlando dei loro precedenti reati e degli alibi presentati.
Non si sono nemmeno accorti di noi, dato che ci danno le spalle, ma noi rimaniamo immobili, in attesa.
Quando Mac ci vede si blocca, tutti si voltano e io alzo la mano in segno di saluto.
«Lena.» dice lui sorridendo.
«Ciao, papà.» rispondo «Ciao a tutti.» ma prima che possa parlare ancora per spiegare perché sono lì, lo fa lui.
«Cal. Finalmente!» si avvicina e gli stringe la mano, lui ricambia la stretta. Si conoscono, quindi. Fantastico.
«Mac, come stai?»
«Bene, grazie.» mio padre si volta verso i suoi colleghi. «Ragazzi, questo è Cal Lightman, un consulente dell’FBI. Ci aiuterà con questo caso.» spiega.
Tutti lo salutano calorosamente e poi escono per lasciare che parlino da soli.
«Lena, cosa fai qui?» mi chiede Mac, dopo essersi seduto alla scrivania.
Io mi desto e comincio a parlare. «Ero andata al cimitero e ho incontrato il dottor Lightman, così gli ho dato un passaggio fino a qui.» spiego. Lui annuisce.
«Poteva farti del male.» azzarda, senza far caso al fatto che l’uomo di cui sta parlando sia lì.
«Mi ha mostrato il biglietto da visita.» dico.
«Poteva essere falso.»
«Papà, non posso essere spaventata da ogni cosa.» mi giustifico. E lui annuisce. Sa che ho ragione. Poi si volta verso Lightman.
«Al cimitero?» domanda. L’altro annuisce. «Ti ho detto che Claire non è lì.» sbotta mio padre dopo averci pensato su. Io non capisco. Conosce Claire?
«Volevo esserne certo.» ribatte Lightman. Io sorrido, non si fida di Mac. Forse gli sta anche un po’ antipatico. Notando la mia faccia perplessa, Mac mi spiega.
«Lena, il dottor Lightman è il fratello di tua madre, Claire.» rimango spiazzata.
Il fratello di mia madre? Mio zio? Ho appena conosciuto mio zio e sospettavo che volesse uccidermi?
Lightman sorride. Io mi volto verso di lui.
«Perché non me lo ha detto?» chiedo.
«Non volevo rovinare la sorpresa. E non ero del tutto sicuro che fossi tu, sapevo che Claire ti aveva mandata da suo cognato a Sacramento.» mi dice. Io abbasso lo sguardo. «Quando hai scoperto che è tuo padre?» chiede facendo un cenno con la testa per indicare il cognato.
«Cal.» tenta di bloccarlo mio padre.
«Tre anni fa.» rispondo.
«Te ne sei andata da Sacramento per venire a stare da uno scorbutico come lui?» mi domanda ridendo e vedo Mac scuotere la testa.
«Diciamo che in realtà, sono stata costretta. I miei genitori sono… morti e mio padre, Steve, voleva che io venissi a vivere con lui.» spiego, indicando mio padre. «Solo dopo ho scoperto chi era davvero.»
Adesso è Lightman ad essere spiazzato.
«Mi dispiace.» si scusa. «E tuo fratello?» domanda poi, anche se conosce già la risposta.
«È morto tre anni fa.» annuisco e spiego. Riesco a stento a trattenere le lacrime.
«Come?» domanda.
«È stato ucciso.»
«Oh. Devi aver sofferto tanto.» dice. Annuisco e lui si volta verso mio padre.
Lui dopo avermi studiato attentamente si alza dalla sedia, si avvicina e mi avvolge le spalle con un braccio. «Puoi venire a stare da noi, Cal. Abbiamo una stanza in più. Sei il benvenuto.» gli spiega, facendo pressione sulla mia spalla con la mano.
Lui annuisce e poi parla. «Allora vado a recuperare i bagagli. Sono in albergo.» dice. «A dopo.» e si avvia verso la porta.
Mio padre mi sorride, mi sfiora la guancia con una mano e io capisco.
Esco dall’ufficio di corsa e lo raggiungo prima che entri in ascensore.
«Aspetti!» dico «Posso darle un passaggio, poi la accompagno a casa nostra.» propongo. Lui sorride. «Grazie. Accetto volentieri.» dice sorridendo.
Usciamo dal laboratorio in silenzio e raggiungiamo il parcheggio facendoci strada tra i capannelli di persone ferme a parlare sui marciapiedi.
È lui a parlare, una volta in auto. Io intanto, metto in moto e faccio manovra.
«Ascolta, potresti darmi del tu, adesso.» mi dice.
Non mi ero nemmeno resa conto di aver continuato a rivolgermi a lui dandogli del lei.
«Oh, giusto. Va bene.» annuisco e mi fermo al semaforo.
«Magari chiamarmi ‘zio’ sarà il passo successivo.» afferma e io sorrido.
 
Dopo aver raggiunto l’albergo e aver recuperato la valigia e le borse, andiamo a casa. Parcheggio nel garage e portiamo dentro sia i bagagli che la spesa, che mi ero totalmente dimenticata. Spero che nulla sia andato a male.
«Posso appoggiare qui?» mi chiede quando siamo in cucina. Io annuisco e lui poggia la borsa sul tavolo.
«Vieni, ti mostro la tua stanza.» gli dico, prendo un bagaglio e lui mi segue.
Decido di dargli quella vicino alla mia, è l’unica che abbia pulito, l’altra è ancora tutta da sistemare e funge più da ripostiglio che da stanza da letto.
Cal mi ringrazia e io gli propongo di aiutarlo a fare il letto, prima di scendere. Lui accetta e in poco tempo ho finito; scendo per lasciargli un po’ di privacy.
Metto a posto la spesa, nella mente mi risuonano ancora le sue parole sui miei genitori e  James. Devo ammettere che mi hanno turbato, è stato un pochino... sgarbato. Spero solo che non abbia notato che ci sono rimasta male. Non ce l’ho con lui per questo.
Quando ho finito di risistemare tutto, dato che è ora di pranzo, preparo la pasta e aspetto che l’acqua cominci a bollire. Il rumore di passi mi costringe a voltarmi e lo vedo fermo sulla porta della cucina, appoggiato allo stipite. Gli sorrido. Lui entra e si siede al tavolo.
«Mi dispiace per prima.» sbotta. Io mi volto. «Sono stato… indelicato. Ti ho turbata e mi dispiace.» io scuoto la testa. Quindi se n’è accorto oppure mi ha letto nel pensiero. «Sai, sei molto espressiva.» mi fa notare. Io mi lascio sfuggire una risata. Me lo dicono tutti.
«Ti piace la pasta?» chiedo, cambiando argomento.
«La adoro.»
«Bene, perché è quasi pronta.»
Preparo il tavolo e lui mi dà una mano. Non è così male, dopotutto. Dovrebbe solo essere più delicato e meno sfacciato, ma credo che se non facesse così non avrebbe successo nel suo lavoro.
Ci sediamo uno di fronte all’altra e dato che Mac e Jo non tornano mai per pranzo, mangiamo.  Quando assaggia la pasta con il ragù si complimenta.
«È davvero buonissima!»
«Grazie.» cucinare mi è sempre piaciuto.
«Avresti un futuro da cuoca.» io rido. «Quanti anni hai?» chiede ad un tratto.
«Venti.»
«Sembri più giovane.» dice, io sorrido come ringraziamento «Quindi vai al college.» Annuisco mentre bevo un sorso d’acqua.
«Cosa studi?» domanda.
«Lingue.»
«Ti piacciono le lingue?»
«Sì. Soprattutto quelle neolatine.»
«Allora dovresti trasferirti in Italia. Lì potresti approfondire i tuoi studi.» mi consiglia.
«Vero. Ma New York mi piace.» affermo. Lui sorride.
«Vuoi diventare un’insegnante?» domanda.
«Forse.»
«Liceo?»
«Forse.» rispondo ancora.
«Mac mi ha detto che scrivi. Mi ha detto che non fai leggere a nessuno i tuoi racconti.»
Sa troppe cose di me. Io invece di lui non so nulla, comunque rispondo. «Li facevo leggere a mio fratello James, ma…» mi blocco.
Lui annuisce, così non continuo. «Me li farai leggere?» chiede.
«Perché?» non perché non voglia, ma non credo che potrebbero interessargli.
«Sono curioso. Si può capire molto di una persona da ciò che scrive.» mi spiega. Abbasso lo sguardo. Forse è davvero così. D’altronde io scrivo per sfogarmi, tutto ciò che provo lo metto su carta.
 
Finito il pranzo, Cal mi aiuta a lavare i piatti e poi io lo aiuto a disfare i bagagli rimasti. Non ha molta roba, ma ha davvero sistemato male la valigia, perciò dobbiamo ripiegare tutto e sistemarlo nei cassetti.
 
Quando abbiamo finito sono le 17, perciò, decidiamo di riposarci in salotto.
«Quando comincerai a lavorare al caso?» chiedo, facendogli strada.
«Appena tuo padre mi fornirà i fascicoli per approfondire la mia conoscenza della vittima e dei sospettati.» annuisco e mi siedo sul divano accanto a lui.
Dopo qualche minuto di silenzio in cui guardiamo la TV, decido di parlare. Voglio saperne di più su mia madre. Parlarne con Mac non mi sembra una buona idea e dato che Cal è suo fratello, potrà parlarmene lui.
«Cal?» lo chiamo.
«Mmm?»
«Posso farti una domanda?» chiedo. Lui volge lo sguardo verso di me. Ho la sua attenzione.
«Certo.»
«Ecco…» comincio, spero di non ferirlo «Com’era Claire?»
Lui sembra spiazzato. Prende un bel respiro e poi parla.
«Bè, lei…» comincia «Era una donna simpatica, gentile e altruista. Ne ho conosciute poche come lei.»
«Lavoravate insieme?»
«Lei era un vero e proprio agente dell’FBI. Si occupava di indagini, arresti… Cose così.» minimizza.
«Come si sono conosciuti lei e Mac?» domando.
«Durante un’indagine. Era venuto a Washington per collaborare e si sono incontrati. Poi si sono sposati e lei è venuta a vivere a New York, ma continuando a collaborare con l’FBI.»
Fino al giorno della sua morte, penso. Avrei davvero voluto conoscerla. Dopotutto era mia madre. Sapere che è morta l’11 settembre mi ha davvero turbata. E immagino cosa deve aver provato Mac.
«Tu sei sposato?»
«Divorziato.»
«Mi dispiace.» mi affretto a dire.
«Non andavamo d’accordo. Sai, per il fatto di capire quando mentiva.» sorrido al suo commento. Dev’essere stata dura per lei. Non poteva nascondergli nulla. Non so se resisterei più di una settimana con uno come Cal, lo ammetto.
«Hai dei figli?» chiedo ancora.
«Una figlia. Emily. Vive soprattutto con la madre. Ha la tua età.»
«Mi piacerebbe conoscerla.»  non avevo cugini a Sacramento, tantomeno della mia età. Mia madre era figlia unica e il mio unico zio era Mac.
«Te la presenterò. Andreste d’accordo.» aggiunge, pensandoci su.
 
Quando Mac e Jo tornano sono già le 23 passate. Io sono già a letto da un po’, anche se sono ancora sveglia. Li sento entrare e salutare mio zio e poi salire in camera loro.
Dopo circa un’ora gli occhi si chiudono e cado in un sonno popolato da incubi.
 
POV Cal
 
Sto facendo zapping. Ultimamente in TV non c’è più niente di interessante. Tutti quei programmi inutili e quei terribili notiziari. Non li sopporto, raccontano un sacco di balle.
Prima che arrivino Mac e Jo, decido di chiamare Gillian. Voglio sapere come sta. Chiamerò anche Emily. Ha deciso di rimanere con Zoe mentre sono a New York. Era la nostra settimana e dato che Lena mi sembra entusiasta di avere una cugina, decido che le chiederò di raggiungermi.
Il telefono squilla tre volte e sento la sua voce soave aldilà della cornetta.
«Pronto?» è assonnata.
«Ciao, Gillian. Sono Cal.» dico, felice di sentirla. «Ti ho svegliata?» domando.
«No, Cal, tranquillo. Com’è andato il viaggio?»
«Bene, ti ringrazio. Lì come procede?»
«Tutto a posto. Hai incontrato tuo cognato?» mi chiede con la sua voce dolce.
«Si. Ho anche incontrato sua figlia.» dico. Non se lo aspetta. Voglio vedere come reagisce.
«La figlia di Claire? Ma non era andata a stare a Sacramento?» mi chiede. Colgo subito lo stupore nella sua voce.
«Si, ma i suoi genitori e suo fratello sono morti, perciò è tornata a stare da Mac e ha anche scoperto che è suo padre.»
«Che storia. Sa che sei il fratello di sua madre?» chiede. Sa che mi piace tenere nascoste le cose. Ma non sono così crudele.
«Certo. Gliel’ho detto.»
«Come ha reagito?» mi domanda. Si preoccupa anche per la gente che non conosce.
«Tutto sommato, bene.»
«Ne sono felice.»
«Anche io.» dico. Mi dispiace, ma adesso devo chiamare Emily, perciò mi decido a salutarla. «Ora devo andare, Gill. Ti chiamo domani, ok?»
«Ok, magari nell’ora di pranzo.» mi consiglia. Sapevo di averla svegliata, ma al telefono non potevo sapere se fosse davvero così.
«Buona notte, tesoro.»
«Buona notte, Cal.»
Riattacco e vedo che si è fatto davvero tardi. Chiamerò Emily domani. Non voglio svegliarla. Torno a sedermi sul divano e aspetto l’arrivo di mio cognato.
 
Appena mi addormento vengo ridestato dalla suoneria del mio cellulare. Lo cerco in tutte le tasche e vedo che è caduto dietro un cuscino del divano. Lo prendo e guardo lo schermo.
È Emily.
Non dovrebbe dormire a quest’ora?
Rispondo.
«Ciao, Em.» dico.
«Papà!» dice con tono di rimprovero «Avevi promesso di chiamarmi!»
«Lo so. Ma era davvero tardi. Ti avrei chiamata domani.»
«Com’è andato l’arrivo nella Grande Mela?»  la sua voce squillante cancella la stanchezza nella mia voce.
«Bene. Ho incontrato tuo zio e tua cugina.» anche lei si stupisce come Gillian. Gli racconto la storia di Lena e anche lei sembra contenta di avere una cugina.
«Ascolta, stavo pensando… Perché domani non prendi il treno e non mi raggiungi?» propongo e poi attendo una risposta.
Trattiene a stento un grido.
«Davvero posso, papà?»
«Si, passeremo la nostra settimana qui. E avrai un po’ di tempo per conoscere tua cugina.»
«Grazie, papà!» esclama entusiasta. «Allora domani prendo il treno delle otto. Per le dieci e trenta dovrei arrivare alla stazione.» mi dice. Probabilmente sta leggendo gli orari su internet.
«D’accordo. Mando tua cugina a prenderti, io sarò al lavoro.»
«Ma come mi riconoscerà? Non ci siamo mai viste.»
«Non preoccuparti, le farò vedere una tua foto. Ti riconoscerà. Oppure attaccati un foglio alla maglia con su scritto “Emily Lightman”.» propongo.
«Ah ah. Divertente.»
«Lo so. Sono molto simpatico. Mi raccomando, le dico alle 10.30, allora.»
«D’accordo, a domani allora.»
«A domani, tesoro.»
«’Notte.»
«’Notte.» e riattacco.
Quando arrivano Mac e Jo mi porgono i fascicoli del caso. Comincio a sfogliarli, ma ci rinuncio dopo qualche minuto. Sono stanchissimo: ci penserò domani mattina.
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ciao a tutti, come promesso, ecco a voi il terzo capitolo.
Spero tanto che vi piaccia! Ci ho messo molto impegno a scriverlo e anche questo è un capitolo di passaggio.
Volevo anche informarvi che pubblicherò i capitoli ogni due giorni (quindi uno sì e uno no, per intenderci! ;D).
A presto, Izzy, xX__Eli_Sev__Xx
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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