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Autore: xX__Eli_Sev__Xx    27/11/2013    2 recensioni
Quando tutto sembra andare per il meglio, si sa, le difficoltà arrivano, prima o poi.
Io, Lena Taylor, lo so bene. Ho perso i miei genitori e mio fratello e ho scoperto che colui che credevo mio zio era in realtà mio padre. Adesso vivo a New York, ho un ragazzo che mi ama e vado al college. Ma qui nella Grande Mela i problemi sono sempre dietro l'angolo, pronti a venir fuori per sconvolgere le nostre vite e far crollare le nostre certezze...
Seguito di "Little pieces of my life".
Genere: Azione, Drammatico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Don Flack, Mac Taylor, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Like a Phoenix'
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Always and forever
 
CAPITOLO 2
 
Come promesso, domenica mattina alle nove siamo già nella nuova casa.
Il termine “grande” è decisamente riduttivo. Questa casa è davvero enorme, ancora più grande di quella in cui vivevo a Sacramento. Ovviamente è su due piani e ha due giardini, uno sul retro e uno davanti.
L’atrio al piano inferiore è davvero grande e da lì si possono raggiungere la cucina, il salotto, il bagno e la lavanderia. Al piano di sopra ci sono le camere da letto e un altro bagno. Esploro la casa, mentre Jo e mio padre entrano con alcuni scatoloni.
Dato che il trasloco è già stato effettuato, devo solo sistemare le mie cose e tutto sarà perfetto. Salgo seguendo Mac che mi mostra la mia stanza e poi comincio a sistemare le fotografie, i libri, i vestiti e preparo il letto per questa sera. Quando finalmente tutti i soprammobili sono sistemati e la camera è pronta, mi avvicino alla finestra.
Osservo il piccolo quartiere in cui vivremo da adesso in poi. Alcuni bambini giocano per strada dato che le auto passano di rado. Ridono e si lanciano il pallone entrando nei giardini dei vicini senza fare caso alle aiuole e alle auto.
La nuova villetta è a qualche chilometro dal centro, in una zona residenziale, perciò per andare in città, dovremmo prendere la macchina. E considerando che per il mio diciannovesimo compleanno il regalo di mio padre e dei miei amici del laboratorio è stata una macchina, non mi dispiace che sia lontana dal centro. Perlomeno potrò guidarla, qualche volta.
 
Alle 20.00, tutti in nostri amici arrivano. Avevamo promesso loro una cena, così, li abbiamo invitati questa sera. Il grande tavolo della cucina è stato preparato di me e Jo da più di un’ora. Tutti e tre abbiamo contribuito a preparare la cena, non è niente di che, ma per una cena tra amici è perfetto. Arrivano quasi tutti insieme, Lindsay, Danny e Lucy, Adam insieme a Sheldon e Sid, Flack e subito dopo arrivano anche Jeremy e Ian (anche loro sono tornati a casa dall’università, la stessa che frequento io.). Li saluto con un bacio e tutti ricambiano con abbracci e baci.
Quando raggiungiamo la cucina e ci sediamo a tavola sono già le 21.00 passate.
La serata passa velocemente. Ovviamente, la conversazione favorita è il college, seguita subito sulle scommesse sul sesso del bambino di Danny e Lindsay. Sono contenta per loro, almeno Lucy avrà qualcuno con cui giocare. Sembra felice che a casa stia per arrivare un’altra persona.
Jeremy e Ian scherzano sui nostri nuovi amici e sugli insegnanti del college e, strano a dirsi, riescono anche a far ridere mio padre. Sorrido e lo osservo. È davvero felice.
L’ultimo periodo è stato davvero complicato. La morte di Jeremy è stata devastante per tutti. Lo amavamo tanto ed è stato difficile superare la sua perdita. Ovviamente il college e il lavoro hanno aiutato molto.
 
A mezzanotte, quando tutti se ne sono andati e abbiamo finito di mettere in ordine la cucina, salgo al piano superiore, mentre Jo resta in salotto a guardare un po’ di TV: lei e Mac lo fanno sempre prima di andare a letto.
Prima di raggiungere la mia stanza per mettermi a letto, vedo che la porta della camera di Mac è spalancata. Lo vedo osservare la scrivania, così busso.
«Papà?» lo chiamo. Lui solleva lo sguardo, destato dalla mia voce e sorride. Io ricambio il sorriso e mi avvicino.
Sta guardando una foto. Quando la guardo meglio mi accorgo che non ritrae lui e Jo. La donna è un’altra, non la conosco. Mi volto per domandargli chi sia, ma lui mi risponde senza che io abbia bisogno di parlare.
«È Claire.»
«Claire?» chiedo, dato che non mi aveva mai parlato di lei.
Un pensiero mi attraversa la mente.
E se fosse mia madre? Mi rendo conto di non aver mai chiesto nulla su mia madre, se sia morta o ancora viva, dove sia… Nulla.
«Sì. È stata la mia prima moglie.»
«Non me ne avevi mai parlato.» dico, prendendo la foto e osservandola meglio. Non le somiglio. Forse non è lei.
«È morta l’11 settembre.» mi spiega. E questo basta. In quell’attentato sono morte tante persone; ero piccola, ma ricordo che mi padre aveva chiamato dal lavoro per sapere se avevamo visto quello che era successo. Ero rimasta così impressionata che aveva pianto per più di due ore.
Non sapevo che la moglie di Mac fosse stata coinvolta, anche perché nemmeno sapevo di avere uno zio a New York.
«Mi dispiace.» dico cingendogli le spalle con un braccio. Lui sorride.
Continuo a pensare che potrebbe essere mia madre, quindi decido di chiederglielo.
«Ascolta, papà. Non ti ho mai chiesto chi fosse mia madre e vorrei…» comincio, ma lui mi blocca.
«Lo so, io avrei dovuto dirtelo.» mi interrompe.
«Quindi è lei?» chiedo ancora. Lui annuisce e io torno a guardare la fotografia. Non le somiglio. È alta quasi quanto me, ma ha i capelli color carota e gli occhi verdi. Gli occhi li ho presi da mio padre e probabilmente i capelli sono una via di mezzo tra i corvini di lui e quelli rossi di lei.
«Vorrei averla conosciuta.» continuo. È vero. Vorrei che ci fossimo viste almeno una volta a parte dopo la mia nascita.
«È anche a causa del suo lavoro che non ti abbiamo tenuta. Lei lavorava all’FBI e insieme erano davvero entrambi molto pericolosi per una bambina così piccola. Ma credimi, avremmo voluto tenerti con noi.»
Gli credo. So che è così. Gli sorrido e lui mestamente, fa lo stesso.
Dopo qualche minuto di silenzio gli scocco un bacio sulla guancia e vado in camera mia. Mi lavo i denti e mi infilo il pigiama, il tempo di strisciare sotto le coperte che cado in un sonno profondo.
 
La mattina dopo, mi sveglio alle 9. Scendo per colazione e vedo che sia mio padre che Jo, sono a casa.
«Voi non dovevate lavorare?» chiedo ridendo.
Loro sorridono complici e confessano di aver preso una settimana di ferie per stare con me. Li abbraccio entrambi e poi mi siedo per mangiare le frittelle appena cucinate.
 
Un’ora dopo siamo pronti e, come promesso, andiamo al cimitero.
La tomba di mio fratello è in una zona isolata. È vicino a un grande salice piangente, perciò non faccio fatica a trovarla. Quando vedo la sua fotografia la malinconia mi assale. Un lacrima mi riga il volto e per nasconderla mi chino a posare il mazzo di fiori che abbiamo comprato. Mio padre capisce, si avvicina e intreccia le sue dita alle mie. Sorrido, anche se è l’ultima cosa che vorrei fare. Ripensare alla morte di James mi uccide. Ogni volta.
Rimaniamo in silenzio per alcuni minuti, poi un pensiero mi balena in mente.
«Papà?» dico, rompendo il silenzio.
Lui si volta per farmi capire che mi sta ascoltando.
«Dov’è sepolta Claire?» domando, non so se avrei dovuto parlarne davanti a Jo, ma me ne rendo conto solo ora.
«Noi… non abbiamo mai trovato il corpo …» si blocca e si volta per guadare le altre lapidi. Vedo la rabbia noi suoi occhi. La rabbia di qualcuno che ha perso una persona cara. Proprio com’è successo a me.
«Mi dispiace, papà.» gli dico, poggiandogli una mano sulla spalla. Jo sembra non essere turbata nel sentir parlare di Claire, infatti abbraccia mio padre. Vedo un luccichio nei suoi occhi. Gli manca davvero tanto.
Torno a guardare la lapide di mio fratello.
Ciao, Jamie. penso e insieme a mio padre e Jo esco dal cimitero.
 
La settimana passa in fretta e, come promesso, Jo e Mac la passano tutta insieme a me. Andiamo al mare a Long Island, a visitare il Metropolitan Museum of Art, a mangiare la pizza nei ristoranti che Jo adora e in vari centri commerciali a fare compere, per non parlare delle biblioteche e delle librerie.
È da così tanto tempo che non faccio gite in famiglia che mi sembrano totalmente nuove e estranee. Ovviamente, mi diverto molto, sono davvero felice. Manca solo Don. È dovuto rimanere al lavoro, ma comunque mi ha promesso che riserverà una giornata delle sue ferie solo per me.
Alla fine della settimana sono distrutta.
La domenica sera rimaniamo a casa e dopo la cena ci sediamo tutti e tre sul divano a guardare la TV. Mio padre al centro e io e Jo al suo fianco. Anche questo mi è mancato. Stare accoccolati sul divano a guardare la televisione.
Con mia madre e mio padre lo facevo sempre.
 
Verso le 22.30 gli sbadigli diventano così ricorrenti che non riesco neanche più a guardare la televisione. Mi alzo, scocco un bacio sulla guancia ad entrambi e vado a letto. In pochi minuti cado in un sonno profondo e disturbato.
 
Vedo mia madre e mio padre, Caroline e Steve. Mi sorridono e io faccio lo stesso. Non sono cambiati dall’ultima volta. Cerco di raggiungerli per abbracciarli. Dietro di loro, però, una figura si fa avanti. La vedo estrarre una pistola e sparare. Cinque colpi. Vedo mia madre cadere a terra, mio padre gridare e poi stramazzare al suolo. Vorrei gridare, ma l’urlo mi muore in gola. C’è qualcun altro che arriva.
È mio padre, Mac. Corre verso di me, strilla qualcosa ma non lo sento, ho perso l’udito da entrambe le orecchie. La figura, che intanto si era nascosta, sbuca fuori all’improvviso. Io corro, tento di raggiungerlo, prima che accada il peggio, ma vedo mio padre cadere a terra senza vita. Grido, anche se non sono davvero sicura di averlo fatto. D’altronde non ci sento.
Mi volto per scappare, è da codardi, lo so, ma che altro potrei fare?
Qualcosa mi blocca. Davanti a me, stesi uno vicino all’altra ci sono i corpi dei miei amici. Di tutti i miei amici. Don, Jo, Sheldon, Sid, Danny, Lindsay, Adam, Jeremy, Ian, Margaret, persino Laura, la nostra dolce ma permalosa compagna di stanza al college. Cado a terra in ginocchio, impotente di fronte a questa scena. Prima che la figura mi raggiunga, grido. E questa volta ho la certezza di aver strillato. La gola mi fa talmente male che ne sono sicura.
 
«Lena! Lena!» sento gridare il mio nome. Ho recuperato l’udito. Ci sento di nuovo. Apro gli occhi e vedo che mi padre mi sta scrollando le spalle. Che succede? Mi accorgo di avere il viso madido di sudore. Forse non è sudore, sono… lacrime. Ho pianto. Ancora.
Afferro le mani di mio padre e le stringo forte, poi lo abbraccio. È qui. È vivo. Era solo un incubo. Ogni volta che mi addormento ricominciano a tormentarmi.
«Lena, tesoro, calmati.» mi dice, cullandomi. Jo entra nella mia stanza con dell’acqua e dei tranquillanti. Tremando, butto giù le pillole e bevo l’acqua a piccoli sorsi. Lei mi accarezza i capelli e mi sussurra di stare tranquilla, che lì ci sono loro.
Sono stanca. Gli incubi mi tormentano quasi ogni notte. Sono stanca di dover piangere e rivivere ogni volta il dolore di aver perso le persone a cui tengo di più. Sono stanca di rivedere i loro volti coperti di sangue e di vedere tutti coloro a cui voglio bene morti davanti a me.
Un conato di vomito mi sale lungo la gola.
Mi alzo dal letto su cui sono seduta e corro in bagno. Butto fuori tutto ciò che ho trattenuto per tanto, troppo tempo. Mio padre mi segue e mi tira indietro i capelli, che sono sciolti e mi ricadono lungo il viso. Continuo a tossire, fino a che Jo non mi porge un altro bicchiere d’acqua. Lo prendo continuando a singhiozzare.
Basta, basta. Non mi era mai successo tutto questo. Perché ora?
«Sta’ tranquilla.» mi sussurra mio padre. Io mi siedo appoggiando la schiena al muro di fianco al water. Potrei dover vomitare ancora. Mi gira la testa, così chiudo gli occhi e cerco di rendere regolare il mio respiro. Poggio una mano sulla fronte bagnata dal sudore freddo e continuo a singhiozzare.
«Te la senti di tornare a letto?» mi chiede mio padre. Io scuoto la testa e poi cerco di parlare una lingua comprensibile.
«Rimango qui. Voi tornate a dormire.» dico. Mac si volta e dice a Jo di andare a letto e che lui rimarrà con me. Lei, dopo un attimo di esitazione, esce e torna a dormire.
Mio padre si inginocchia accanto a me e mi sfiora la guancia con la mano.
«Sono qui, Lena.» io sollevo lo sguardo.
«Cos’ho fatto questa volta?» domando. Lui dolcemente mi dice che ho gridato più volte il nome dei miei e il suo. Poi erano soprattutto grida di paura.
Mi scuso per il trambusto e lui mi dice, come sempre, che non importa.
«Cos’hai sognato?» mi domanda.
I miei occhi si incatenano ai suoi.
«Cadaveri.» dico sbrigativa, non sono sicura voglia sapere i dettagli.
«I nostri?» domanda ancora.
Io annuisco e lui fa lo stesso. Poi mi aiuta ad alzarmi e mi accompagna in camera mia. Mi sdraio sotto le coperte e lui, senza che io glielo chieda, si sdraia accanto a me e mi stringe a se, proprio come facevano mio padre e James. Sono felice che sia qui, sono felice di poterlo sentire accanto a me, ma allo stesso tempo la malinconia ritorna.
Mi addormento dopo quasi un’ora e quando mi sveglio lui non c’è più.
 
Sono le 08.00, mio padre dev’essere già al lavoro da un po’. Anche Jo non c’è. La casa è deserta. L’unico rumore udibile è quello degli orologi che ticchettano risuonando in ogni parte della casa. Scendo in cucina e mi preparo la colazione. Non sono ancora molto in forma, comunque decido, dopo aver visto la situazione nel nostro frigorifero, che uscirò per fare la spesa, più tardi.
Alle 10 in punto sono in macchina e sto guidando lungo la strada che mi porterà al supermercato fuori città.
In meno di venti minuti, il carrello è stracolmo. Non c’era davvero più niente a casa. Altri dieci minuti ed ho finito. Quando ho pagato (per la cronaca, una somma considerevole) e sono uscita, carico tutto in macchina e mi preparo a partire. Poi mi blocco. Rifletto per qualche secondo e poi parto, diretta verso il cimitero. Ci sono stata una settimana fa, lo so, ma voglio tornarci da sola.
Parcheggio davanti alla grande struttura e scendo. Faccio un bel respiro e mi dirigo verso la tomba di mio fratello. Quando arrivo mi accorgo che non ho pensato a portare dei fiori, ma per fortuna quelli di lunedì scorso sono ancora in buono stato. Mi inginocchio e do una sistemata al vasetto colorato e poi, assicurandomi che non ci sia nessuno, comincio a parlare.
«Ciao, Jamie.» dico «Sto andando al college, ma ci credi? Avrei tanto voluto andarci con te e anche Ian e Jeremy lo vorrebbero. Vorrei che fossi qui con me, nella nostra nuova casa, con Mac e Jo e tutti i nostri amici. Vorrei che fossi qui a vedere quanto sono felice con Don. È davvero un bravo ragazzo, l’avresti detto la prima volta che l’abbiamo incontrato che ci saremo messi insieme? Siamo così diversi, ma così felici.» a questo punto non riesco davvero più a trattenere le lacrime. «Forse se mi fossi accorta prima che stavi male, che avevi incontrato Romanoff, tu saresti ancora qui con me. Mi dispiace, Jamie, perdonami.» poi mi zittisco. Non so che altro dire. Che altro dovrei dire? Il senso di colpa mi corrode. Non ne ho mai parlato con nessuno, ma è così. Forse avrei potuto salvarlo davvero. Ma ora è troppo tardi.
Mi asciugo le lacrime e torno ad osservare la fotografia che ritrae mio fratello. Mi manca così tanto.
«Ciao.» qualcuno è in piedi alle mie spalle. Non mi ero accorta del rumore dei passi sulla ghiaia, forse il mio udito sta peggiorando. Mi volto e mi alzo in piedi. È un uomo, deve aver più o meno l’età di mio padre. È alto come me è ha i capelli castani. Lo guardo e poi mi ricordo che mi ha salutato.
«Buongiorno.» dico sbrigativa. Non dovrei parlare con gli sconosciuti, ma siamo in un cimitero, quante sono le probabilità che voglia uccidermi?
«È tuo fratello?» mi chiede, indicando la lapide dietro di me.
«Si.» rispondo e raccolgo la mia borsa.
«Taylor, eh?» io alla domanda annuisco. Ce l’ha con mio padre anche lui? «Sei una parente di Mac Taylor, quindi?» chiede ancora. Ok, adesso ho realmente paura che voglia uccidermi anche lui. Medito la risposta mentre lui mi guarda inclinando la testa, i suoi grandi occhi verdi sono incatenati ai miei.
«Si, la figlia.» subito mi rendo conto che adesso che ho confessato di essere la figlia, mi ucciderà davvero.
Lui sorride. «Maddalena, vero?» cos’è un interrogatorio?
«Si, ma tutti mi chiamano Lena.» dico. Come conosce il mio nome?
«Ciao, io sono Cal Lightman.» e mi tende la mano. Io la stringo, titubante. È straordinariamente calda. «Non preoccuparti, non sono uno stupratore.» mi rassicura. Non riesco a trattenere un sorriso.
«Per fortuna.» dico e lui mi sorride.
«Lavoro per l’FBI a Washington.» continua. E mi mostra un biglietto da visita su cui c’è scritto “FBI: Lightman Group” «Sei sorpresa, lo so.» bè, se l’FBI mi conosce devo aver fatto qualcosa di male. Di solito è così.
«Ed è venuto per arrestarmi?» chiedo.
«Perché? Hai fatto qualcosa di male?»
«Ehm… Credo di no.» rispondo.
«Ok, allora non ti devi preoccupare. Anche perché sono solo un consulente dell’FBI. Sono la persona che si occupa di capire se i sospettati mentono.»
Io scuoto la testa. Non capisco. Non è quello che fa ogni poliziotto?
«Sono un esperto di cinesica. Sai di cosa si tratta?» mi domanda.
Sì, ne ho già sentito parlare, così annuisco.
«È la lettura del linguaggio non verbale in relazione a quello verbale.» rispondo.
Lui annuisce stupito. «Davvero brava.» si congratula e io sorrido compiaciuta.
«Che cosa fa qui a New York, signor Lightman?» chiedo. Perché è venuto fin qui da Washington? Per un criminale?
«Sono venuto ad aiutare la polizia per un caso.» lo guardo con aria interrogativa, perciò continua. «E credo che tua padre sia la persona che mi serve.» continuo a non capire. «Sai dov’è adesso?» mi domanda. Io annuisco.
«Al laboratorio della scientifica.»
«Quanto ci vuole a piedi da qui?»
Io rido. «Tanto tempo.» dico, ci vorrebbe più di un’ora.
«Accidenti.»
«Se lei mi assicura di essere dell’FBI le posso dare un passaggio, ho la macchina qui fuori.» propongo. È vero, il biglietto e la sua storia possono essere falsi. Ma quante sono le probabilità? Sarei davvero sfortuna se ogni persona ce l’avesse con me e con la mia famiglia.
«Davvero?» domanda in tono mellifluo. Io annuisco. «Ti ringrazio.» mi dice con la sua voce profonda. Sorrido ancora e insieme ci avviamo verso l’uscita. Quando metto in moto, penso che se avesse voluto uccidermi l’avrebbe già fatto, perciò l’ansia si placa.
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ciao, ecco a voi il secondo capitolo.
Procede molto velocemente, lo so, ma è un capitolo di passaggio.
La vera vicenda partirà con i prossimi.
Come potete vedere, qui “salta fuori” il Crossover: le strade di “CSI:NY” si incroceranno con quelle di “Lie to me”, o meglio, con quelle di alcuni personaggi di questa serie. Comunque la vicenda principale, continuerà a coinvolgere i protagonisti di CSI:NY.
Spero che vi sia piaciuto. ;D
A presto, fatemi sapere cosa ne pensate.
Izzy, xX__Eli_Sev__Xx
   
 
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