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Autore: Gaia Bessie    29/11/2013    2 recensioni
Qualcuno dice che, per Annabeth Castellan, la guerra non è mai finita. Lo s'intuisce dal sorriso carico di malinconia che dedica ai sottomessi della gerarchia di Crono, o dalle parole troppo dure che rivolge al marito. Siamo come estranei, Luke, estranei con dei ricordi. Eppure si dice che la vita non ci lasci mai cicatrici che non siamo in grado di sopportare. Oppure ci lascia sulla terra per essere trafitti con aghi d'acqua.
[Luke/Annabeth/Percy; OC | Post fine quinto libro alternativo| Mini long| Angst]
Genere: Angst, Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Luke Castellan, Nico di Angelo, Percy Jackson, Rachel Elizabeth Dare
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Vi starete chiedendo (o forse no) perché sto aggiornando adesso, con una settimana di ritardo: bene, ammetto di essere stata un tantino presa dai problemi della mia scuola. E sono distrutta, basta pensare che mi sono appena svegliata. Comunque, passiamo al capitolo, dopo la solita pausa/sclero assolutamente made in Bessie: il quinto e penultimo capitolo. Solo Zeus saprà quanto mi mancherà questa fanfiction, dopo aver postato l'epilogo. Probabilmente passerò settimane e a plottare sequel, presa dalla nostalgia. E il quinto capitolo è uno di quelli che preferisco: pensieri e parole. Un po' l'ho scritto in un momento un po' particolare (Come la mia Sil e la mia Sis ricorderanno) che mi ha spinta a inserire il tradimento in questa storia, un po' questo capitolo esprime la linea sensata che questa storia doveva prendere: quando ho cominciato ho subito capito che non poteva esserci un "E vissero felici e contenti" seguendo quest'ambientazione così cupa e opprimente. E questo capitolo preannuncia la fine, quell'epilogo che avrete venerdì prossimo e probabilmente mi distruggerà emotivamente. In "Pensieri e parole" vi è il grande tradimento di Annabeth. E un nuovo personaggio che spero non sia particolarmente odiato, non subito quantomeno. Senza contare che, quel che vorrei far capire, è che questo tradimento è posato su basi fragili: è l'incertezza, che domina il capitolo. Io che so cosa succederà nel sequel, posso solo suggerire di non dare nulla per scontato. E basta spoiler, per ora.
Per quanto riguarda Astrea, personaggio/comparsa di questo capitolo, vorrei spendere due parole: vorrei che teneste a mente che lei potrebbe esistere o potrebbe anche essere frutto di un delirio. Giusto per farvi venire il dubbio.
Per il resto, buona lettura e a venerdì prossimo.





 

Non è questione di pensieri o parole.
(Potrei anche dirlo).
Ma solo se ti accontenti di quel che resta.



Luke Castellan continua a cercarla. Non è morto, nemmeno quando è dovuto fuggire dalla divinità più vendicativa di tutte, solo perché per una volta aveva deciso di avere un cuore. Però è ferito, solo e tormentato da un fantasma che non lo abbandona mai: prima di fuggire ha perso ore a vagare per le stanze vuote, cercando Annabeth e vivendo nella consapevolezza assoluta che non l'avrebbe trovata. E adesso l'ha trovata, quando si è nascosto in una caverna nella spiaggia, nascosta dalla marea.
Ed è stato quando la prima marea gli ha quasi tolto il respiro, lasciandolo ad annaspare in quello spazio ristretto, che l'ha trovata o vista da lontano: una donna dai capelli biondi, un sorriso scolorito sul volto e un pugnale nel petto. Perché lui non lo ricordava ma hanno ripescato una prostituta annegata nel mare del Nord, che somiglia vagamente ad Annabeth Castellan. E qualcuno continua a sostenere che sono la stessa persona.
E Luke Castellan continua a fuggire: parte il lunedì – col petto zuppo di rimpianto e gli occhi puntati verso il cielo – e si ferma il martedì – dolore che gli accarezza la schiena e ricordi che gli annebbiano la testa. E deve mordere un fazzoletto per non urlare – e riparte il giorno dopo. Si ferma solo il tempo necessario che gli porta una ferita che si riapre sempre di meno ma, quando lo fa, porta un dolore cieco che gli ricorda quando erano mani diverse dalle sue a riaccostare i lembi di pelle.
E continua a fuggire, nascondersi e a cercarla, sapendo che anche se la trovasse non potrebbe più averla. L'ha persa quando l'ha lasciata andare.
Eppure, si dice, l'ha lasciata scappare con qualcosa di suo ancorato al ventre. E sorride sempre, di quel sorriso affascinante che gli divide in due il volto.

 

 

***

 

Lo capisce, finalmente, quando si trova a camminare su una spiaggia deserta, zoppicando appena sotto il peso di un dolore che non se n'è ancora andato del tutto: si ferma a fissare le impronte divorate dal mare, il sangue lavato via dal sale e quel dolore che non muore mai. Si ferma e si passa la mano sul volto, cercando a tentoni i segni tangibili di quel che è rimasto delle lacrime del cielo. Aspetta i segnali di una guerra che comincerà anche se lui non fa parte di nessuno schieramento, ma entrambi i combattenti si aspettano di doverlo affrontare sull'altro fronte. Eppure, lui non ha nemmeno una briciola della forza necessaria per schierarsi o chiedere perdono a qualcuno: ha tradito tutti in ogni modo possibile, con pensieri e parole ma anche fatti che gli pesano addosso. E così continua a vagare senza meta verso le terre non ancora esplorate, in una nuova geografia non delineata, e continua a sperare di trovarla in qualcun'altra. Ma sa già che c'è una cosa che non ritroverà mai, nemmeno impegnandosi davvero nella ricerca. Annabeth Chase é incinta di suo figlio.

 

 

***

 

Annabeth passa ore a specchiarsi sulla superficie inquieta dell'acqua: riempe la vasca fino all'orlo e si siede sul pavimento, la guancia appoggiata sul bordo di marmo, le mani che turbano l'equilibrio dell'elemento. Si rifiuta di uscire di lì, quando Nico la va a chiamare per farle incontrare i ribelli, che fremono per poter conoscere la donna che ha vissuto per anni nella corte di Crono. Ma lei non vuole vedere nessuno: non parla e si sporge verso l'acqua con quell' aria desiderosa che spinge i visitatori a darsela a gambe. E nessuno sa più cosa fare con lei: le hanno lasciato credere che Luke è morto – ed è scomparso, perduto e non si sa nulla di lui. Forse non c'è nemmeno un cadavere da cercare – e l'hanno lasciata a crogiolarsi in un dolore che manda avanti per pura inerzia. Aspettano tutti un cenno per dare un inizio a una ribellione che covano dai tempi di Percy Jackson. Ma non arriva mai niente: Annabeth Chase si è persa in un altro mondo, scandito dai calci lievissimi dell'esserino che porta in grembo. Passa le ore a contarli, dato che i giorni sono diventati tutti uguali, monotoni, e lei non ha più nulla se non quella piccola scintilla di speranza a cui si aggrappa disperatamente.
E continua a pensare che, quando nascerà, questo bambino – un bambino: lei è la madre per un maschio, un bambino simile a Luke ma con quella malinconia che viene fuori nei momenti meno opportuni – sarà un figlio della guerra. E lei dovrà spiegargli, col pensiero e le parole, che suo padre è perduto, dimenticato e niente.
L'acqua s'increspa sotto il suo tocco. E Annabeth non riesce a vedere più nemmeno il suo riflesso, quando le lacrime cadono fra le bolle di sapone.

 

 

***

 

Un giorno si alza e sa cosa fare: è più calma, rilassata, il volto ancora un concentrato di malinconia che scioglie il cuore. Ma, negli occhi, brilla una scintilla di quell'antica determinazione che la guerra non è riuscita a sottrarle. Quando Nico la vede, capisce che forse ha cominciato ad aggrapparsi a un qualche senso di realtà.
«Voglio fare qualcosa». Salvare qualcuno. Ma questo non lo dice.

 

 

***

 

Rachel Dare ha visto che sta crollando tutto: se n'è accorta, che la gerarchia di Crono comincia a vacillare. Ma non può fuggire. Perché per qualche stupido e sciocco motivo, è inciampata in quell'amore odioso che si palesa per la persona sbagliata. Che la vede come uan forma di riconoscimento per qualcosa che non le doveva.
Apollo passa i suoi giorni a oscillare fra rimpianto e sensi di colpa, sostenendo di non poter continuare a tradire una fazione che non esiste già più. E lei non sa come fare per salvarli entrambi – è la guerra delle donne, ha sussurrato con aria stanca Trevor Stoll: è una guerra sotterranea che combattono le donne. Annabeth Chase è il motivo che spinge i ribelli a trovare una ribellione. E lei cos'è? Se lo chiede mentre vede la sua vita affondare, inevitabilmente, ancora.
Rachel Dare si chiede cosa fare ogni minuto che passa. E quando trova una risposta è così tardi che deve scendere a compromessi assolutamente svantaggiosi.
«Voglio aiutarvi». Salvare qualcuno. Ma questo non può dirlo.

 

 

***

 

«Non puoi combattere» osserva Nico, cercando di stemperare la gioia violenta che l'ha assalito come un'onda. «Non sarebbe il caso. Puoi darci un motivo per farlo, però».
Lei sorride e, di nuovo, affiora la malinconia che prima le esplodeva attorno come una bomba. Adesso ha l'intensità oscura di una candela spenta. «L'avete già».
Nico la guarda, perplesso. Sta per contraddirla, ma lei si accarezza il ventre con aria assorta e sembra nuovamente distratta da qualcosa. Qualcuno.
«Speranza1».

 

 

***

 

Le presentano i capi della divina progenie, decimata da una ribellione senza ribelli, una nidiata troppo cresciuta che reca i segni di una disperazione che è anche la sua: lo vede nelle treccine rosse dell'unica figlia di Apollo, una bambina di otto anni che non parla e a stento la guarda negli occhi quando Annabeth le pone qualche domanda su quel mondo in cui non ha vissuto per troppo tempo. La ragazzina – Astrea: le hanno dato il nome delle stelle. Eppure, brilla di una luce così spenta che ricorda una stella esplosa – passa tutto il tempo, tempo perso in cui dovrebbe spiegarle una situazione che nemmeno lei comprende, a farle domande silenziose su una favola non scritta.
E adesso, sembrava dire Astrea con lo sguardo, raccontami qualcosa: e pensieri e parole affioravano sulle labbra di Annabeth, per lasciare la barriera che si era costruita per non pronunciarle – e ne aveva la bocca piena, di pensieri e parole. E anche fatti taciuti così a lungo che non li ricordava più – e infrangere un silenzio così prolungato da apparire irreale. E le aveva raccontato tutto quanto: il principio e quando l'aveva raccolta dal campo di battaglia, chiedendole di smetterla di essere ciò che non era, mentre lei si ostinava almeno a provare a indossare quella maschera. Le aveva narrato del lunedì cominciato male, quando si era resa conto che il cielo era troppo lontano per essere toccato, del martedì – rimpianto. Gliel'aveva spiegato con pensieri e parole e fatti, ma anche con una frase sola: dimmi che mi ami. Peccato che nemmeno quella bambina possedesse una risposta – procrastinato fino alle calende greche del lunedì successivo, e i mercoledì passati a fissare i fiori blu. Ma c'erano anche i giovedì trascorsi nel silenzio e poi i venerdì a contemplare le ceneri – sparse sulla fronte, sulle mani e sul cuore. E fiori blu che, nei suoi occhi, appassivano in un istante – e i sabati passati a contemplare lo specchio alla ricerca di un vuoto vagamente diverso da quello che aveva dentro. Infine, la domenica, quando scopriva che forse era sempre stata la stessa, anche quando si era sforzata di sembrare un'altra persona: succedeva quando si trovava a vagare per infinite stanze vuote, alla ricerca di una scusa per non fermarsi mai. Le sembrava di sentirsi quasi viva, quando teneva la mente occupata in dettagli futili: centonovanta passi la separavano dalla sua stanza al dondolo. Centonovanta passi erano settantadue mattonelle sistemate malamente, così che gli angoli cozzavano fra di loro in un disegno più che bizzarro, le linee che si fondevano in una matassa difficile da sbrogliare. Un passo, uno ancora: non pensare, non parlare, ascoltare il fruscio delle gonne e i sorrisi silenziosi di Astrea. Silenzio. I pensieri e le parole vengono surclassati dai fatti perché, a volte, sono così superflui da far male. E forse, in fondo, di tutta quella storia non ne comprende il senso.
«Perché non parli mai?» chiede un giorno, guardando la bambina dai capelli rossi, che sporcano la camicia come sangue. «Forse perché non importerebbe a nessuno?».
Il sorriso che si apre sul volto di Astrea è simile al taglio di un rasoio, che incide nella pelle, i denti una serie di perle incastonate fra i lembi di pelle come per sbaglio. La bocca piena di pensieri e parole che non esprime mai, tenendo per sé anche quelle domande che le bruciano sulla punta della lingua – l'affascina quella ragazza, donna, così malinconica nell'atteggiamento e i pensieri. Si chiede chi sia quel principe azzurro che le ha rubato il sorriso, per restituirglielo a rate quando lei non poteva comprenderlo.
La storia, l'hanno raccontata anche a lei, di come Luke Castellan l'aveva rapita – salvata – e le aveva imposto – chiesto, supplicato – di sposarlo. Le hanno detto che non sempre il ragazzo biondo è il principe azzurro – in questo caso, però, ha guardato Annabeth e ha capito che sì, lo era – ma spesso si rivela il mostro peggiore di tutti. Ma non capisce, come mai certe parole Annabeth le pronuncia e non se le tiene in bocca, quando ogni martedì brucia in fiore in offerta a una divinità che lei non conosce. Il fiore non è mai blu e lei lo stringe fra le dita solo per una frazione di secondo, prima di consegnarlo alle fiamme. Dopo si passa le mani sul ventre, meditabonda, e continua a mormorare una parola che lei capisce a malapena. Speranza. Non capisce da dove provenga, dato che Annabeth ha perso ogni cosa. E dipende da quel bambino come se non ci fosse altro, quando sobbalza per un calcio che sente solo lei o mormora che sarà un maschio – una femmina sarebbe come lei. E non vuole.
«Perché sei qui?» le domande che le rivolge Annabeth sono troppe, infinite, e lei non risponde mai. «Sei ancora troppo piccola. È perché non è rimasto nessuno?».
Ma Astrea non risponde mai, in uno sguardo silenziosissimo che non lascia speranze. E allora Annabeth scrolla la testa, disorientata: ha fatto tanta pratica a parlare, senza nascondere pensieri e parole e richieste che adesso arrivano sempre. E ha la bocca vuota, quando sorride e racconta una storia triste già in partenza.
Sembra dire sempre la stessa cosa: ti ricordi? Tu non c'eri, ma io sì, quando quei baci che mi rubava dalla bocca avevano finalmente un senso. O forse non l'avevano mai avuto e servivano solo per soffocare tutte quelle frasi che avrei voluto urlargli. Non me lo ricordo nemmeno più, quando piangevo perché mi rimanevano in bocca.
E Astrea non dice mai niente, convinta che quel silenzio sia ben più eloquente di un discorso già detto da altri. Ogni tanto, afferra un foglio di carta e una penna.
Annabeth la guarda sempre, alzando un sopracciglio in una domanda a cui nessuno risponde mai. E allora distoglie sempre lo sguardo, dato che l'inchiostro non cade mai sulle ali della farfalla né traccia parole – e lei ricorda troppo i fogli bruciati, la frase che sospettava da tempo: hai smesso di amarmi.
«Cosa fai?» sussurra Annabeth, il giorno in cui infine la penna vomita pensieri – e parole – sul foglio. Si china in avanti, per sbirciare quelle poche lettere.

A cos'è che pensi quando piangi e non sai dire il perché?

E le parole continuano e lei non le legge più, perché qualcosa le appanna la vista.
«Non lo so» dice lei, sottovoce, chiudendo le dita attorno a un lembo di stoffa, strattonandolo. «Io...». Le parole le muoiono in gola, soffocandola. Il bambino scalcia.

A cos'è che pensi quando piangi e non sai dire il perché? Di chi è il nome che pronunci quando sogni?

Non risponde, Annabeth. Non saprebbe cosa dire, o pensare: da tempo i suoi sogni sono vuoti e silenziosi. Ma lei si sveglia sempre nel cuore della notte con un nome fra le labbra che non riesce mai a pronunciare.

«Luke...» aghi d'acqua, dimmi che mi ami, fogli bruciati, martedì, rimpianto. Tutto rinviato a data da destinarsi. «Non posso spiegarlo». Rimpianto.
E se fosse ancora martedì e lei se ne fosse nuovamente dimenticata? D'altronde, non è mai salita così in alto da avere qualcuno pronto a ricordarle una cosa: rimpianto.
Astrea sorride. Ha gli occhi così chiari che sembra facile scorgere l'anima che vi si affaccia, sotto uno strato di celeste chiarissimo. Ma Annabeth non vede nulla.

A cos'è che pensi quando piangi e non sai dire il perché? Di chi è il nome che pronunci quando sogni? Chi è che continui ad aspettare?

«Che giorno è oggi?» è l'unica cosa che Annabeth ha la forza di mormorare. Di nuovo l'assale il terrore che sia nuovamente martedì – quanti giorni sono passati: sei, forse?
 

A cos'è che pensi quando piangi e non sai dire il perché? Di chi è il nome che pronunci quando sogni? Chi è che continui ad aspettare? Perché stai piangendo?
 

Con una mano, Annabeth si asciuga il viso: e scopre che stava piangendo senza saperne il perché. Sospira, mentre le domande assumono una connotazione più chiara e lei trova una risposta. Luke. La risposta è sempre quella, adattabile a ogni domanda. Non ha contemplato un mondo nella sua assenza e, adesso, è lei che lo cerca. Ma non riesce a trovarlo in nulla, se non in una parvenza di ricordo che le portano i sogni, quando chiude gli occhi e non capisce più nulla. E si chiede se lui la sta cercando.
Perché stai piangendo? Annabeth alza lo sguardo, affranta. Perché stai piangendo? «Non sto piangendo» sussurra, la voce rotta dai singhiozzi. Non sto piangendo.
Astrea si alza, con lentezza esasperante, i fogli stretti in mano: una farfalla che sta per prendere il volo. Ma, l'attimo dopo è già morta in un turbine d'inchiostro e carne e sangue, perché le cose belle non vivono per durare. Sorride, la bambina, i capelli le coprono gli occhi in una colata di sangue che ti scuote dal profondo. Non parla o muove le labbrà e ha la bocca così vuota che fa paura. Ma sorride in silenzio, urlando parole che Annabeth non coglie mai. Muoiono come le farfalle, appena toccano terra.
Quando scosta i capelli dal visino, Annabeth si copre la bocca con la mano, disorientata. Anche lei sta piangendo, oscurando un sorriso messo sul suo volto come per caso. I fogli le cadono dalle mani – hai smesso di amarmi – e il volto è scavato da lacrime – aghi d'acqua – e si legge qualcosa, sul fondo dei suoi occhi. Rimpianto.
«Astrea?» sussurra Annabeth, perplessa. «Cosa...». Le muoiono le parole – e i pensieri – in gola. Perché stai piangendo? A chi stai pensando?
Ma lei continua a sorridere, in silenzio, ed è tutto ciò che Annabeth ha cercato di scordare da quando si è lasciata Luke alle spalle: ma come può dimenticare, quando una bambina la trafigge con aghi d'acqua e le chiede qualcosa? Ed è rimpianto quello che le mastica le ossa, senza lasciarle tregua. Magari è martedì.
«Stai tranquilla. Oggi è lunedì».

 

 

***

 

Hanno ripescato un pescatore annegato nel mare sconfinato del nuovo Nord, con la schiena martoriata e una cicatrice sul volto. Somiglia vagamente a Luke Castellan. Ma ad Annabeth Chase non l'hanno ancora detto.

 

 

***

 

E poi lo trovano. Il ribelle per la ribellione – o forse è il ribelle che trova una ribellione che esisteva già prima – che vagava alla ricerca dell'espediente per vendicare l'umanità. Non sa il suo nome, Annabeth, ma lo vede girare per il covo con un sorrisino compiaciuto e la bocca pienissima di sottintesi. L'ha visto mandar via la maggior parte dei ribelli – a fare cosa? La domanda sorge semplice come la risposta. Morire. Succede che è domenica e molti non arriveranno al martedì successivo – e anche i bambini – Astrid, rimpianto. E se fosse stato martedì? – e prendere un potere che non gli spettava. Nico vaga nella sua ombra, come un'anima in pena: qualcuno mormora che abbia perso qualcosa, qualcuno e che sia stato tradito con dei fatti. Non solo pensieri e parole, ma anche tutto quel che rimane sospeso nell'aria. E qualcuno sostiene che si tratta di Percy Jackson – e qualcuno dice che è Annabeth Chase o qualcun'altra ancora – ma in verità nessuno può saperlo. Nico Di Angelo sembra contrariato da tutto, mentre pianifica la rivalsa e arma i Mezzosangue e si lascia comandare a bacchetta dal nuovo arrivato. Un figlio di Ermes. Qualcuno sostiene che Nico gli ha lasciato prendere il comando perché spera che lui riesca a guarire il cuore spezzato di Annabeth Chase – che ancora pensa a qualcun altro mentre continua a balbettare una parola sola, speranza. Ma non è a Percy che si riferisce, quando la notte prega gli Dei di poter rivederlo.
Però non dice o pensa nulla: anche lui spera che possa solo migliorare. Ma c'è qualcosa che lo frena dal fantasticare, quando Annabeth Chase gli passa accanto ed è quasi oscurata dalla curva rotonda del ventre. E lui è costretto a ricordarsi che il suo cognome non è più Chase, ma Castellan.

 

 

***

 

Ad Annabeth non è mai piaciuto fuggire, ma lui ama la caccia. Si capisce che la sta cercando quando si ferma nel covo dei ribelli e si guarda attorno con aria concentrata, la fronte che si accartoccia come pergamena. E ogni volta che incontra il suo sguardo, sorride perché ha la certezza che lei sta pensando che anche lui ha i capelli biondi come la sabbia rigurgitata dal mare. Se si guarda bene, si vede anche del sangue che spunta fuori da una ferita invisibile sul volto.

 

 

***

 

E un giorno riesce a irretirla: succede che la trova sul dondolo – ancora. Si diffonde a ondate quella sensazione di già vissuto – a diventare un tuttuno con quelle nuvole avare di pioggia. La trova che guarda il cielo con aria distratta e nemmeno si accorge di lui, quando le si accomoda accanto. D'altronde, non conosce il suo nome – ma continua a fissargli i capelli, ricordandosi che è figlio di Ermes. E di nuovo le sembra di recitare in una scena già scritta – e ha sentito occasionalmente il suono della sua voce. Lui ha già sentito parlare della ben famosa signora – vedova – Castellan, di quell'alone di psicosi che l'accompagna. E adesso che l'ha davanti, le parole gli esplodono in una bocca troppo piena, spronandolo a sorridere – anche se lei ispira solo una tristezza debilitante. Eppure, spalanca le labbra e non esce alcun suono.
È martedì, se ne ricorderà sempre.

 

 

***

 

Si ferma sempre alle sue spalle, per tenderle un agguato. Allunga le mani, ma agguanta solo un'ombra. E qualcuno dice che Annabeth Castellan è morta già da un po'.

 

 

***

 

Le parla. La intontisce con chiacchiere inutili e infondate, come se fossero i protagonisti di una ballata un po' antica e forse dimenticata. Ma lei non cede, lo guarda con uno sguardo incolore e gli regala risposte glaciali – e continua a pensare che è un tradimento, quando lui prova a strapparle pensieri e parole.
«Deve essere stato orribile» le dice, compassionevole, in riferimento alla corte di Crono. «Se l'avessi saputo, ti avrei salvata». Sorride, tentando di abbagliarla.
«Non l'avresti fatto» risponde lei, laconica. Piove appena e lei sente la pelle che si strappa sotto le stilettate di aghi d'acqua. «Non te l'avrei mai chiesto».
Lui la guarda, disorientato. Si chiede se avrà mai il coraggio di dirle qualcosa di più del suo nome – Jonathan2. Jonathan e basta, perché il cognome non l'ha mai pronunciato – e di rassicurarla come una bambina. Con parole, ne ha così tante che non riesce a trattenerle in bocca.
«L'avrei fatto» la rassicura lui, scrollando le spalle. I capelli gli coprono gli occhi, facendolo sembrare un'altra persona. «Non ti avrei permesso di appassire da sola».
«Non l'avresti fatto» ribadisce lei, tagliente come una lama. Controluce, i suoi occhi sembrano granito indistruttibile. «Non me ne sarei mai andata».

 

 

***

 

A volte Jonathan si perde a scrutare la curva rotonda del ventre di Annabeth Chase. Ed è così sbagliato che desideri che si svuoti, sgravandola di un peso che le hanno imposto?

(No. Non lo è).

 

 

***

 

Lui ha continuato a cercarla, ogni giorno, cercando di blandirla con sorrisi e pensieri e parole. E anche fatti. Le ha lanciato in grembo un pacchetto – un anello – ed è corso via, come un bambino. Lei, l'anello, l'ha gettato nel lavandino in una parodia del pozzo dei desideri, sussurrando una richiesta inesaudibile. Il giorno dopo gli si è presentata davanti, una veste bianca che le donava l'alone scintillante di una candela. Sulle labbra, una promessa silenziosa. E la bocca pienissima di parole che però non pronuncia mai.

 

***

 

Annabeth continua a portare la fede di Luke, legata al dito da una promessa inudibile. Non la toglie nemmeno quando Jonathan le porta un altro anello, concedendole il sacrificio del primo come un obolo a una divinità muta e cieca – ma non sorda. La poteva sentire, forse, mentre pregava?
E lei l'ha accettato, in silenzio, posizionandolo appena sopra la prima fede. Promesse, rimpianto, martedì. Annabeth che gli sorride illuminata dalla luna.
«Solo se ti accontenti di quello che resta».

 

***

 

«Non capisco perché hai scelto me» gli dice un giorno che la bocca è troppo piena per contenere pensieri e parole. «Perché non ti guardi attorno per trovare una donna intera, una che non vada avanti con pensieri e parole?» che si distrugge sotto una pioggia d'aghi d'acqua, rimpianto. Dice così, ma la risposta la conosce già. Sa che non è di lei, che ha bisogno, ma di quel che rappresenta: qualcuno le ha detto – sussurrato – che questa è la guerra delle donne. E Annabeth Chase ha conosciuto entrambi gli schieramenti, ed è ancora viva e sa cosa fare. Ha visto Percy Jackson morire – e adesso non le hanno detto che hanno ripescato Luke Castellan nel mare del Nord.
«Perché è giusto così» risponde lui, sorridendole con aria complice. Perché dobbiamo vincere questa guerra, pensa. Perchè voglio assestare questo colpo a Luke.
«Forse non dobbiamo sempre fare ciò che è giusto» osserva Annabeth, apatica. «Ma suppongo che non potrei mai tirarmi indietro. O sbaglio?».
«Non ti lascerei mai andare» risponde Jonathan, affilando lo sguardo – controluce, Annabeth scorge una cicatrice a dividergli in due il volto. «Non potrei».
«Era proprio quello che temevo» mormora Annabeth. Già vissuto. Ed è di nuovo l'odore di polvere e cocco sintetico che le colpisce le narici. Ma, quel brivido che aveva provato solo una volta, non le increspa più la pelle: è passato in un momento che non si ripeterà e ora lei lo aspetta. Ma forse, adesso, sarebbe mutata una risposta.
«Non sei obbligata» lo dice con una voce dolcissima che contrasta con la durezza ostentata del suo sguardo. «Nessuno si aspetta che tu lo faccia. Solo se lo vuoi».
Lei non sorride né parla, ma i suoi occhi sono persi in quel mondo dove lui non riesce mai ad arrivare. Ma nota che, continuamente, continua a sfiorare con le dita le labbra screpolate e arrossate dal freddo che vi si aggrappa. E sorride ancora, ripensando a cosa le ha rubato nell'ennesimo martedì che lei ha dimenticato.
Le ha sottratto un bacio dolcissimo con le labbra socchiuse, mentre contava i giorni per cercare di trovare quel rimpianto che credeva di aver dimenticato. Le ha detto – sussurrato – di averle dato un'opportunità per cancellare il passato e anche il presente, di vivere nel futuro: e c'è qualcosa che l'attrae nella prospettiva di avere una vita senza trascorsi o sentieri già trascritti da altri. È quello che gli ha chiesto, in silenzio, quando lui le ha proposto una scelta: perché non cerchi una donna che non abbia un passato – un figlio – che la leghi a una tomba ancora vuota, senza scritte, senza corpo?
La risposta le arriva sempre – anche se, forse, non è mai quella che vorrebbe sentire – e non se lo aspetta mai. È sempre un “sì” dichiarato a gran voce, rompendo le barriere che la separano dal futuro, rendendola una di quelle donne senza passato. Quando, un giorno si è alzata e scoperta diversa e innamorata della persona sbagliata – ancora non le hanno detto che è stato trovato il corpo di un pescatore annegato. E che somiglia a Luke – e legittimata a crogiolarsi nell'ennesimo amore dal mancato finale.
«Devo farlo» è l'unica risposta che riesce a dare. «A volte non si tratta di scelte, ma di doveri. E forse non posso pià andare dove vorrei essere». Nell'alto dei cieli.
«Temevo che l'avresti detto». Eppure, Luke l'aspettava ancora, mentre lei si ostinava a farsi trafiggere da aghi d'acqua.

 

***

 

Annabeth ha una cicatrice sulla curva del polso: è nascosta nell'uniformità della pelle, fra segni antichi di bruciature e graffi. Ma si vede ancora. È un piccolo segno che non passa inosservato, quando Jonathan le prende la mano e lei sobbalza. Qualche volta si chiede se non sia sbagliato desiderare l'assenza di quella cicatrice.

(Ma non lo è mai).

 

***

 

Qualcuno gli ha detto che Annabeth Chase desidera trovarsi in un posto. Nell'alto dei cieli. Lo comprende quando la vede correre fuori per farsi trafiggere da aghi d'acqua.

 

***

 

Nico Di Angelo sa benissimo che questa guerra è stata procrastinata per troppo tempo: l'ha aspettata per così tanto tempo, almeno quando ha scoperto che poteva donare un presente e un futuro a molte altre persone. È la guerra delle donne, dei ribelli senza ribellione, dei pensieri e delle parole. L'ha attesa per così tanti giorni che alla fine il tempo si è condensato in una matassa che non riesce più a sciogliere. E non sa cosa dire o fare per riconoscersi il diritto di distruggere una vita per salvarne molte altre.
Ad Annabeth Chase non l'ha ancora detto. Ha sepolto il corpo in fretta, gettandolo alla meno peggio in una buca scavata in una notte e coprendolo di terra e fiori blu.
E lui non ha ancora trovato il coraggio di raccontarle che gli esploratori hanno recuperato il corpo di un cadavere annegato nello sconfinato mare del Nord. E ha la schiena martoriata – martedì. C'è una scritta indecifrabile che la sfregia da parte a parte. Controluce, sembra una frase già detta da altri. Dimmi che (mi ama) – e una cicatrice sul volto. Probabilmente è Luke Castellan. Ma, quando Nico si scopre nel fissare Annabeth – e sembra quasi come i vecchi tempi, quando la scopre a passeggiare attorno al dondolo. E ha sempre una mano sul ventre, pregando che quella creatura l'abbandoni per renderla una donna senza passato e con un futuro – capisce che forse non avrà mai il coraggio di imporle quel distacco, raccontandole tutto. Non avrebbe il coraggio di ucciderla, lei che è quasi morta già da un po'. Pugnalata con pensieri e parole.

 

***

 

Annabeth ha scoperto una buca, poco lontana dal suo dondolo: è stata scavata e riempita in fretta, come per nascondere qualcuno o qualcosa. È coperta di fiori appassiti e sormontata da una pietra spoglia e vuota, simile a una lapide. E lei è come attratta da quel santuario, come se qualcuno l'attirasse lì, tenendola per mai. E, quando arriva, sente quel senso di vuoto assoluto che l'assale. E comincia a sentirsi solo un'ombra.

 

***

 

A volte, Nico pensa di essere impazzito: succede quando si trova a gravitare attorno al dondolo di Annabeth e gli sembra di vederla inginocchiata davanti alla tomba di Luke, solo per ricoprirla di fiori blu. Ma poi si volta e la vede passeggiare con un uomo e ha il vago scintillio di un anello legato al dito. Spalanca la bocca per urlare qualcosa, ma la prima Annabeth gli sorride e lui non capisce più niente3.

 

***

 

Capisce che è tutto un gioco della sua testa, in quel grandissimo labirinto di specchi che è la sua mente, quando un giorno si accorge che continua a figurarsi una realtà diversa: succede che si guarda attorno e vede risate dove non ce ne sono – capelli rossi. Una vampa di capelli rossi e un sorriso che gli ha strappato un prezzo addirittura migliore di quello che si era prefissato – e amore dove c'è un deserto arido e tradimenti. E pensieri e parole, anche, quando capisce che è stato nuovamente burlato da un gioco più grande di lui. Solitamente succede quando guarda Annabeth Chase – Castellan – che sembra sdoppiarsi davanti ai suoi occhi. Ed è doppia in felicità e in tristezza, quando sembra due persone diverse e lui non sa cosa fare. Così comincia a comprendere l'indecisone di Annabeth e quella frase che gli hanno riferito, quando è stata colta dall'aria per diventare un tradimento in pensieri e parole. Solo se ti accontenti di quel che resta. Nico non ha ancora imparato ad accontentarsi e, a distanza di anni, continua a cercare il riflesso della donna che ama. La vita, a volte, t'infligge cicatrici indelebili. E lui ha la certezza che, socchiudendo gli occhi, scorgerà sempre il colore del tramonto.

 

***

 

«Dimmi che resterai» le impone un giorno Jonathan, afferrandona per la mano ancora legata alla fede di Luke. «Dimmi che...». Mi ami?
Annabeth non risponde. Eppure ha la bocca così piena che sembra sul punto di urlare quello che le preme contro la parete umida delle labbra.

(Parole).

«Non posso» risponde lei, sottovoce. «Avevi detto che ti saresti accontentato di quel che resta».

(Pensieri).

In fondo, Annabeth l'ha già tradito.

 

***

 

Jonathan si sente come se lei l'avesse già tradito. Prova a farglielo presente, con pensieri e parole, ma riceve sempre la stessa dura risposta. Accontentati di quel che resta.







1Ovviamente, è un chiaro riferimento a quel capolavoro di "Catching fire", il film. 
2Omaggio a una delle mie saghe preferite, Shadowhunters.
3Lo approfondirò nel sequel. Ma, come dire, potevo non usare la bilocazione?
   
 
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