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Autore: _ayachan_    04/05/2008    10 recensioni
“La sesta Esposizione d’Arte ‘Tokyo three times’, finanziata dalla fondazione ‘Red Moon’ e diretta dal Trust ‘Suna – wind of change’, apre al pubblico domenica 8 settembre 20XX.
Ciò che sta dietro a un grande evento è sempre più importante dell'evento stesso, e alla fine sono i dettagli a contare davvero.
Shikamaru Nara, diciotto anni - ancora da compiere, ma l'importante è l'impressione - è uno dei tanti uomini invisibili che contribuiscono ai dettagli.
Ma ancora non sa che la sua parte sarà molto più importante di quel che crede...
SECONDA CLASSIFICATA al contest Shika/Tema indetto da arwen5786 e bambi88.
Genere: Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Temari, Shikamaru Nara
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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PrimoTempo-1

Primo tempo






1. Galeotta fu quella lattina...



La sesta Esposizione d’Arte Tokyo three times’, finanziata dalla fondazione ‘Red Moon’ e diretta dal Trust ‘Suna – wind of change’, apre al pubblico domenica 8 settembre 20XX.
Per la prima volta la gestione della mostra è in mano a un collettivo, che ha entusiasticamente accettato l’incarico e apportato sostanziali modifiche alla storica disposizione dei padiglioni.
Le novità più interessanti sono indubbiamente la sezione dedicata alle ‘arti manuali’, con un ruolo di primo piano e artisti del calibro di Gaara del deserto e Deidara, e la sezione riservata alla Computer Graphic, che secondo indiscrezioni non confermate mostrerà non soltanto opere artistiche in senso stretto, ma anche tecnologie futuribili sviluppate dal reparto bellico dei paesi...”

Il foglio di giornale fu catturato da un refolo di vento e portato in alto, verso la cima del magazzino.
L’articolo in prima pagina si piegò sotto le spinte alterne della corrente, facendosi indistinto per la distanza, e poi scomparve oltre il tetto insieme a una manciata di foglie.
Il ragazzo alzò lo sguardo, sotto la mano protesa a difendersi dal sole alto e inclemente.
«E addio lettura della pausa pranzo» commentò con un sospiro, sistemando meglio la cassa di lattine sulla spalla. «Se non altro era free press»
Qualcuno lo chiamò più avanti, e di malavoglia fu costretto a tornare con i piedi per terra.
«Arrivo!» borbottò ad alta voce, e riprese a camminare con il suo carico.

Era soltanto settembre appena accennato, ma il sole batteva come in pieno agosto.
Le cicale non stavano zitte un secondo, assiepate sugli alberelli in vaso radunati lungo tutto il terreno dell’esposizione, e al di sopra dei padiglioni bianchi l’aria tremolava per gli scarichi dei condizionatori.
L’intera zona dedicata alla mostra era recintata e controllata da guardie armate; i cancelli si sarebbero aperti di lì a pochi giorni per l’inaugurazione ufficiale, e gran parte delle opere erano già al loro posto, bisognose di protezione. Il trust che si occupava della gestione dell’evento non aveva lasciato nulla al caso, ma si era assicurato che ogni cosa, dal palo centrale dello stand all’ultima lattina del bar, fosse al suo posto. Evidentemente non badavano a spese, nella speranza di un ritorno economico e pubblicitario altrettanto sostanzioso.
Per organizzare una mostra di risonanza internazionale senza tralasciare nulla, sono necessari sia esperti che persone comuni. C’è bisogno del tecnico specializzato che calcoli l’esatta temperatura perché le apparecchiature non si surriscaldino, ma anche del manovale che monti il padiglione. E poi, delle ultime ruote del carro, quegli uomini invisibili che silenziosamente completano i dettagli e mettono la maiuscola a un lavoro Perfetto.
Shikamaru Nara apparteneva all’ultima categoria, quella degli uomini invisibili. Diciotto anni ancora da compiere, appena uscito da un liceo mediocre, aveva deciso di prendersi una pausa, il famoso ‘anno sabbatico’ prima dell’università. Le sue nobili intenzioni erano di prolungare il riposo il più possibile stando stravaccato al sole in giardino, ma la sua autoritaria e previdente madre lo aveva informato che stavano giusto cercando dei tuttofare per l’esposizione d’arte di settembre. E lo aveva incastrato.
Contratto a tempo determinato, paga schifosa, lavoro pesante. Sul curriculum si sarebbe visto a malapena, e probabilmente gli avrebbe fruttato solo un gran mal di schiena, ma da che mondo è mondo nella sua casa nessuno aveva mai osato contraddire la mater familias.
Così, sbuffando e sudando sotto il sole, Shikamaru si era trovato a sfoggiare il suo immortale codino all’interno del recinto della mostra.
In fondo gli era andata bene, cercava di convincersi. Avrebbe potuto iniziare a lavorare già dall’estate. E avrebbe potuto essere in un cantiere edile, e portare carriole da duecento chili anziché cartoni da dieci.
Seduto su una scatola di birre posata all’ombra del magazzino principale, addentò il sandwich che si era portato da casa. Disgustosamente caldo e molliccio. Fece una smorfia, sospirando a fondo, e si passò una mano sulla fronte sudata.
«Già abbiamo solo mezzora di pausa, in più dobbiamo farcela in queste condizioni. Si chiama schiavismo, diamine» bofonchiò tra un morso e l’altro. «Che poi siamo noi che gli pariamo il culo e mettiamo i puntini sulle i, perché senza il bar la mostra sarebbe tanto bella quanto disertata. E siamo quelli che vengono pagati meno, ovviamente. Dovremmo... beh, dovrebbero ribellarsi tutti. O almeno farsi dare pause più lunghe»
Altro morso, altro borbottio indistinto. Non sapeva nemmeno perché si trovasse a parlare da solo, visto che di solito faceva a meno di sprecare fiato inutilmente, ma forse rispondere per tutta la mattina ‘sì arrivo’ lo aveva frustrato più del previsto.
A salvaguardia delle sue energie, intervenne una voce seccata.
«Devi proprio dare aria ai denti?» domandò improvvisamente, facendogli inarcare un sopracciglio.
«Hn?» fece lui alzando la testa.
Davanti a sé il nulla. Cinquanta metri più in là, sotto una tettoia, gli altri ragazzi facevano la pausa pranzo in compagnia, ma il ronzio dei loro discorsi era profondamente diverso dal commento limpido che lo aveva disturbato.
«Un po’ di silenzio, grazie» sbuffò la voce di prima, e solo allora Shikamaru capì che proveniva dall’alto.
Mosse il capo più per inerzia che altro, e seguì il contorno del magazzino fino al sistema di condizionamento costruito di lato, un cubo di cemento alto due o tre metri. Lì, al di sopra dei tubi di metallo lucente, vide una testa bionda e quattro codini che non riuscì a definire altrimenti che strani. E due occhi verdi, sotto sopracciglia chiare corrugate, e una bocca storta in una smorfia seccata.
«Scusa, eh» disse, marcatamente sarcastico. «Forse ti rovino l’abbronzatura»
«Oh, vuole fare il simpatico» ribatté la ragazza che aveva parlato dall’alto. «A me basta che tu stia zitto»
«Bah» fece lui scrollando le spalle.
Non l’aveva mai vista tra gli operai, rifletté. Una lingua tanto pungente se la sarebbe ricordata. Ma allora chi era? Se faceva la sua pausa in quella zona doveva per forza essere una del gruppo.
Che m’importa?” si chiese scuotendo la testa, e desistendo di fronte al panino molliccio. Lo ributtò nel sacchetto, e tese la mano alla ricerca della sua bottiglia. Vuota.
«Cavolo» disse tra i denti.
Poi abbassò lo sguardo sulla scatola che gli faceva da sedia. Birra, diceva l’etichetta.
Si guardò attorno con circospezione, e si spostò lentamente. Accucciato, cercò di trovare il punto in cui lo scotch iniziava, e percorse con le dita la linea del cartone. Arrivato a metà, la solita voce lo fece sussultare.
«Sai che si chiama furto?» chiese in tono spiccio.
Senza volerlo, Shikamaru arrossì. Alzò la testa di malavoglia, quasi incassandola prima tra le spalle, e di nuovo si trovò a fronteggiare gli occhi verdi di prima.
«Hai intenzione di denunciarmi?» chiese seccato.
«Tecnicamente non hai ancora combinato niente» rispose lei. «Ma se perseveri, potrei anche farlo»
«Gentile da parte tua»
La ragazza sorrise, e il suo sorriso era lontano anni luce dalla dolcezza, ma pregno di arroganza e, in qualche modo, sensualità.
«Offro io» se ne uscì, sollevando nella mano una lattina di birra, e un raggio di sole si rifletté sull’alluminio rischiando di abbagliare Shikamaru.
«Sai che ora potrei essere io a denunciarti?» le fece notare lui riconoscendo la marca stampata attorno alla latta, ma si lasciò scappare un mezzo sorriso.
«Non lo farai» ribatté lei. «Mi sto comprando il tuo silenzio. E sali a prendertela da solo, la mia mira fa schifo»
Il sorriso di Shikamaru fu sostituito da una smorfia. Salire fin là? Sarebbe stata una faticaccia.
Raggiunse la parete di cemento con passo strascicato e strinse le mani attorno al corrimano delle scale, tiepido nonostante l’ombra. Arrampicarsi gradino dopo gradino fu meno dura del previsto, alla prospettiva del sollievo della birra; e anche, in una certa misura, di quegli occhi verdi in qualche modo sensuali che gli avrebbero rivolto uno sguardo ironico, lo sapeva. Raggiunse la cima delle scale e sentì il sole bruciargli la pelle.
«Non fa troppo caldo?» chiese raggiungendo la ragazza.
Lei, stesa pancia all’aria sul cemento bollente, si reggeva sui gomiti nudi, e piegò la testa all’indietro per guardarlo.
«Questo sole è a malapena tiepido» commentò con sufficienza. E gli rivolse lo sguardo ironico che Shikamaru aveva previsto.
Per l’appunto” pensò al volo lui, e involontariamente i suoi occhi scivolarono alla scollatura della canotta rosa pastello, in piacevole contrasto con la pelle abbronzata.
«La birra è lì» disse lei distogliendolo dalla contemplazione, e accennò con il mento alle tre lattine rimaste dal cartone originario. «Prendila prima che si scaldi troppo»
«Anche tu sei un genio, eh. Lasciarle al sole così...» borbottò Shikamaru avvicinandosi.
«Se ti fanno schifo non toccarle» sbuffò lei.
Ma lui ne prese una, senza commentare, e si lasciò cadere seduto al suo fianco, le gambe divaricate e i gomiti appoggiati alle ginocchia. Aprì la lattina con un gesto secco, facendo schioccare l’alluminio nel ronzio delle cicale, e poi tese il collo e buttò giù il primo sorso. Era ancora fresca, miracolosamente. Doveva essere lì da poco.
«Allora?» chiese la ragazza , quasi leggendogli nel pensiero. «E’ calda?»
«No» dovette ammettere lui.
«Vedi? Sei un piagnucolone»
Shikamaru le scoccò un’occhiata scettica. Solo sua madre lo chiamava ancora così. «E tu una seccatura» replicò annoiato.
A sorpresa, lei scoppiò in una risata corposa, piegando di nuovo la testa all’indietro.
«Seccatura. E’ un termine molto più gentile di quanto mi aspettassi» commentò con un ghigno. «Allora sotto sotto sei un cavaliere»
Suo malgrado Shikamaru si sentì arrossire di nuovo – per colpa di quegli stupidi occhi verdi – e buttò giù un altro sorso di birra, ora più fresca contro le sue labbra calde.
«Sono un tuttofare, non un cavaliere» replicò, quasi risentito.
«Oh, scusi se l’ho offesa, signor tuttofare» sorrise la ragazza sarcastica.
«Shikamaru» la corresse lui in automatico.
«E io Temari» ribatté lei senza tendere la mano.
«Piacere» commentò lui piatto, sollevando la lattina.
Temari prese la sua e la sollevò in risposta. «Grazie» sorrise, con un velo di arroganza.
Lui scrollò le spalle, lasciando cadere la cosa. Aveva il fondato sospetto che correggere la sua risposta sarebbe stato soltanto uno spreco di tempo.
Temari buttò giù un sorso di birra e lasciò vagare lo sguardo sull’area dell’esposizione che si stendeva sotto i suoi occhi. Con indolenza, si soffermò sugli altri operai che cicalavano sotto la tettoia.
«Perché non sei con loro?» chiese a Shikamaru, accennando al gruppo con il mento.
«Perché tendono a fare troppe domande» rispose lui scrollando le spalle. «Chi sei, da dove vieni, sei giovane, ma non studi... Sono uomini frustrati che sfogano la noia torturando il prossimo»
«Giudizio lusinghiero»
«Bah»
«Non sarà piuttosto che ti senti un po’ troppo ragazzino in mezzo a quegli omoni?»
Shikamaru s’indispettì, ma si limitò a corrugare appena la fronte.
«Insomma, quanti anni hai? Venti? Ventidue?» insisté lei, vaga.
«Diciotto» la corresse. «Tra un po’ di giorni» aggiunse dopo un attimo.
Temari, di nuovo, rise. «Ma dai, sei così piccolo?» chiese scuotendo la testa. «Persino più di me»
«L’importante è l’impressione» ribatté lui stizzito. «E se sembro un ventiduenne, va più che bene»
«Oh, certo, se lo dici tu» ghignò lei divertita. «E a me quanti anni dai?»
«Trentacinque» la seccò.
«Bugiardo»
«Trenta te li do tutti»
«Ehi, non farmi arrabbiare»
«Ma io lo deduco dai tuoi commenti acidi» sorrise Shikamaru.
«Li tiro fuori solo davanti ai bambini» replicò Temari sullo stesso tono.
Si fissarono per un attimo, determinati a non cedere, poi lei gli lanciò un’occhiata superiore e tornò a guardare il panorama.
Uno a zero per me” pensarono contemporaneamente.
«Allora? Che te ne pare dell’esposizione?» chiese la ragazza dopo l’ennesimo sorso di birra, ormai vicina al fondo della lattina.
Shikamaru seguì la traiettoria dei suoi occhi e si strinse nelle spalle. «Per ora ho visto bene solo il bar. Il retro del bar, anzi» se ne uscì. «Il resto... mah. Ci ho fatto un giro il primo giorno, ma non mi ha detto granché»
«Refrattario all’arte?» commentò Temari pungente.
«No, è proprio l’insieme che ha qualcosa che non va» ribatté lui annoiato.
Lei corrugò la fronte. «In che senso?» si interessò, sollevandosi un po’ di più sui gomiti.
«E’ troppo concentrato» spiegò Shikamaru vago. «Già il cartellone all’ingresso è un pugno nello stomaco. Uno non fa in tempo ad avvicinarsi, che se lo trova sbattuto in faccia. E poi lo stand della CG di fianco a quello delle arti manuali rischia di essere troppo pesante, anche se sono entrambi sul fondo. Sono il fulcro dell’esposizione, se fossero ai lati opposti della fiera spingerebbero i visitatori ad attraversarla tutta»
«Ma mettendoli uno accanto all’altro la differenza è più netta, no?» lo interruppe Temari. «La moderna CG e l’antica arte manuale in un confronto diretto»
«Ragionando con la mente dell’artista, certo. Ma con la mente dell’uomo d’affari è meglio separarli. Per incentivare il pubblico, te l’ho detto»
«Oh. Già, forse hai ragione»
Meditabonda, Temari fissò gli occhi sugli stand più grandi, in fondo all’area dell’esposizione.
«E poi?» chiese all’improvviso, tornando a guardare Shikamaru.
«E poi cosa?» chiese lui senza capire, svuotando la sua lattina.
«Quali altri problemi ti vengono in mente?»
«Ma che ti interessa, scusa?»
«Beh... è per sapere» borbottò vaga.
«Mah, boh» fece lui stringendosi nelle spalle. «Su due piedi non ti saprei dire, ma di sicuro c’è qualcos’altro che non va. E ora non ho tempo di pensarci, la mia pausa pranzo è finita»
Temari gettò un’occhiata alla tettoia sotto cui si erano radunati gli altri operai, e vide che in effetti stavano raccogliendo le loro cose. Pensosa, si morse l’interno della guancia e poi si tirò a sedere, incrociando le gambe fasciate nei jeans chiari.
«Lavori anche domani, vero?» chiese a Shikamaru, che si era alzato in piedi.
«Lavoro ogni maledetto giorno fino all’inaugurazione» rispose lui spolverando il retro dei pantaloni. «E poi dopo, quando c’è da sbaraccare»
«Ottimo» sorrise lei, con aria in un certo senso pericolosa.
«Perché?» indagò lui accigliandosi appena.
Temari appoggiò una mano sul mento, il gomito contro il ginocchio, e continuò a sorridere. «Da domani non disturbarti a portare da bere. Offro io»
Lui sbatté le palpebre, leggermente spiazzato. Poi si passò una mano sulla nuca accaldata, e sfoderò un mezzo sorriso.
«Birra gratis. Chi mai rifiuterebbe?»












Mentre pensavo: "oddio, ora devo pubblicare la fic?", avevo la testa piena di commenti intelligenti (?) da fare al riguardo.
Ora che mi trovo a scrivere, invece, non so davvero da che parte iniziare! ò.ò
Quindi, ehm, grazie ai giudici del contest (arwen5786 e bambi88) per aver sopportato le 27 pagine di questa storia, e tanto di cappello a tutti gli altri che hanno partecipato, sul podio o meno! ^_^

Dedico questa fanfiction alle mosche nere del sito, che per me sono abbastanza così come sono. U_U

Aya
  
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