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Autore: Lechatvert    30/11/2013    2 recensioni
Dicono che delle persone si serbino, in genere, tre ricordi.
Di lei, da qualche parte nella mia mente, ne conservo soltanto due, entrambi popolati da quella paura che fa tremare le gambe, quel terrore del buio che fa piangere i bambini quando si soffia sulla candela per spegnerla.

Cominciarono a chiamarla طّ, Qitt, Gatto.
Ma si sa, quando i gatti muoiono, muoiono soli e lontani dal mondo.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altaïr Ibn-La Ahad, Altro personaggio, Malik Al-Sayf, Nuovo personaggio, Sef Ibn-La'Ahad
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Dove cresce l'erba gatta

Quarto – gole tagliate
(http://www.youtube.com/watch?v=XxEbCFUY0zo)





Nelle due settimane che seguirono, non riuscii quasi a chiudere occhio.
Gli incubi si susseguivano in una macabra ricorrenza e non c’era notte in cui non mi tornasse alla mente il viso di Kadar, il suo grido acuto dinanzi alla morte, le sue iridi spalancate quando la spada gli aveva tagliato la gola.
Mi svegliavo madido di sudore e in preda all’ansia, sperduto nel buio delle mie stanze e senza la reale certezza di essere al sicuro.
Spesso, mi sentivo osservato. Non sapevo di preciso dove, ma sapevo che un paio di occhi erano puntati su di me, da qualche parte nell’oscurità.
Ed era allora, di tanto in tanto, che partiva una lenta melodia. Poche note messe in fila per ricreare lo stesso disegno ancora e ancora, suonate da uno strumento a fiato dal suono simile al flauto. Provenivano dalla finestra aperta sulle strade di Gerusalemme, eppure mi giungevano all’orecchio così chiare da sembrare concrete, palpabili nei disegni che la notte creava nell’aria.
Un paio di volte, fui abbastanza sicuro di scorgere la figura di Qitt arrampicarsi sui merli del palazzo di fronte prima di appollaiarsi e iniziare a soffiare tra le mani, accompagnando la nenia in ogni suo colore.
Con quella musica a cullare i miei pensieri capitava che ritrovassi la pace, che riuscissi di nuovo a prendere sonno senza che gli incubi mi assalissero.
Lasciavo la finestra aperta e ascoltavo i passi felpati di Qitt entrare nella mia stanza, aggirare silenziosi il mio giaciglio fino a fermarsi – mentre quella fastidiosa sensazione di venire osservato mi punzecchiava i polpastrelli – e riprendere a camminare verso la tenda per sparire tra i morbidi cuscini dell’anticamera.
Passarono due settimane prima che lei potesse riprendere a gironzolare per la Dimora con la regolarità di chi sta bene. Da quando era stata ufficialmente dimessa dall’ospedale, aveva smesso la veste scura con la quale aveva lasciato Masyaf e si era appropriata della cappa grigia che il suo basso rango le imponeva.
A guardarla ora, senza marciume o cuciture addosso, aveva un aspetto un po’ più dignitoso. Piccola di statura ma di costituzione non troppo esile, aveva le spalle strette e un viso tondo, con il naso schiacciato e il mento pronunciato. Occhi verdi color dell’erba e capelli scurissimi, tagliati corti dai medici che le avevano curato la gola e tenuti in ordine sotto al cappuccio che portava costantemente.
Si allenava spesso, fronteggiando senza timore uomini molto più imponenti di lei, e quasi tutti i pomeriggi veniva spedita a farsi medicare le braccia piene di tagli.
Possedeva una tecnica molto soppesata, ma la sparizione del suo maestro l’aveva lasciata al centro di una lacuna di movimenti che non conosceva, sola a dover collegare i pezzi di ogni singolo scatto, di ogni singolo passo.
Era persa come lo ero io, vagabondo senza meta tra i documenti e i libri accatastati sugli scaffali del mio studio.
Imaad, nonostante il suo rango e la sua giovinezza, si prendeva cura di entrambi con riguardo e cortesia. Mi indirizzava con il sorriso verso i giusti archivi e seguiva la sua compagna in quanti più allenamenti poteva, cercando di insegnarle le basi della difesa che in lei mancavano. Con tranquillità, le faceva vedere come una freccia nella spalla si poteva facilmente evitare con un movimento che risultava assai meno doloroso dell’operazione di rimozione.
Mostrava un’infinita pazienza, sostituendo al sonno la buona volontà di vegliare sui suoi confratelli. Fu per questo motivo, credo, che Al Mualim lo richiamò a Masyaf molto prima di quanto tutti gli Assassini della Dimora si aspettassero.
Il giorno della sua partenza, chino su un registro, decise di confidarsi con me.
« Rafiq, posso chiedere la vostra opinione circa una questione? », chiese, titubante, ma con tono speranzoso.
Io annuii.
« Parla liberamente ».
« Sono preoccupato per Haif. O meglio, non sono sicuro di essere in grado di sostituire il suo maestro ».
Gesticolava in modo nervoso, mentre parlava, quasi non riuscisse a tenere le mani nelle tasche della cappa.
« Lui ignorava la difesa, passando soltanto per l’attacco. Era grande e grosso; veloce, anche, e sapeva uccidere ancor prima che il nemico arrivasse a realizzare di essere stato attaccato. È questo, che ha insegnato ad Haif. Lei fa del suo meglio, ma se devo essere sincero … » Fece una pausa, accarezzando con il dorso della mano lo spadone a due mani che portava legato al fianco. « Se devo essere sincero non credo sia tagliata, per un combattimento corpo a corpo. Non così, almeno ».
Lo guardai, alzando un sopracciglio.
« Stai proponendo di designarla a soli compiti di spionaggio? »
Imaad scosse il capo.
« Sto proponendo di insegnarle ciò che il suo maestro non ha fatto in tempo a mostrarle. Per proteggerla. A Masyaf è scampata, ma a quante gole tagliate potrà sopravvivere, ancora? »
Fece una breve pausa, grattandosi il capo.
« Non sono in grado neanche di spiegarlo, Rafiq. Non sono abbastanza esperto per pensarle un allenamento e di certo non sono così saggio per prendermi una simile responsabilità. Inoltre, come ben sapete, sono in partenza per Masyaf ».
Sospirai.
Mi sarei dovuto aspettare un epilogo simile sin da quando era esordito con quel “posso chiedere la vostra opinione”.
Respirando a fondo, chinai il capo sul mio registro, buttando le idee alla rinfusa nel tentativo di affollare la mente quanto più mi fosse possibile.
« Sono troppo occupato per perdere tempo dietro queste sciocchezze. Ha quattordici anni, alla sua età noi novizi di Masyaf eravamo già in grado di difenderci da soli », decretai infine, sbuffando.
Imaad si sporse verso di me, battendo le mani sul tavolo di legno.
Lo spadone legato alla sua cintura ondeggiò, sbattendo contro il bancone.
« Per favore! », esclamò Imaad, forse a voce un po’ troppo alta. « Io stesso sarei morto, a Masyaf! Quanti novizi, a quattordici anni, sono più bravi a saltare sui tetti che a camminare? Non potete designarla a fare da ladra per le strade di Gerusalemme a vita! »
Mi accigliai appena, chiudendo il registro dinanzi a me.
Iniziai a tamburellare le dita sul legno senza accorgermene, mentre con la bocca semi aperta prendevo un lieve respiro.
« Se volessi, ne avrei la piena autorizzazione », sibilai, denti stretti e voce seccata.
Non avevo intenzione di perdere la mia autorevolezza di fronte a Imaad, neanche se favorire Qitt con la mia supervisione non era poi così ingiusto.
Vidi l’Assassino gonfiarsi, mordersi le labbra talmente forte quasi da lacerarle.
« Al Mualim vi ha mandato qui perché non vi reputa più adatto a fare l’Assassino, ma si sbaglia », soffiò poi, alterato.  « La verità è che si dice siate più abile di tutti noi messi assieme. Proprio voi, che siete intrappolato qui, dovreste capire Haif. Non fatele quello che Al Mualim ha fatto a voi: non tagliatele le ali così ».
Avrei potuto controbattere a tono, invece non lo feci.
Rimasi in silenzio a fissarlo in viso, spaesato, perso, completamente senza parole dinanzi a quella dichiarazione per niente comandata dall’ego o dall’arroganza.
Non avevo mai sentito tanta determinazione in un tono di voce e la cosa mi lasciò smarrito in una discussione che, con il mio silenzio, si chiuse definitivamente con la vincita di Imaad.
« Ci penserò », mormorai, quindi, voltandomi per rimettere il registro sullo scaffale.  Evitai molto accuratamente di guardarlo negli occhi, in quegli istanti. « Tu pensa ad andare a Masyaf ».
In fondo, non potevo che essere d’accordo con lui.
Mi prendevo giusto il permesso di dissentire su una cosa: le ali, non era stato Al Mualim, a tagliarmele. Ero stato io stesso, nel momento in cui avevo acconsentito ad essere sbattuto dietro una scrivania polverosa che sapeva di incenso e menta.





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Note d'autore
Dunque, oggi è un giorno un po' così.
Fa freddo, ho finito Hannibal e 58 minuti fa Yotobi ha pubblicato un video nel quale annuncia il suo ritiro dal magico mondo delle recensioni dei film trash. E io amo i film trash.
Comunque sia, ho qui il mio fidanzato accoccolato sul divano e questo mi infonde coraggio

Tutta questa pappardella per dire che ho perso anche il più piccolo schema mentale circa questa storia e che sto disperatamente cercando di tornare su un binario quanto meno credibile (no, per ora niente invasioni aliene, I'm sorry).
Però, tra un turno a teatro e un'abbuffata di patatine fritte, sto pensando a una maniera indolore di uscirne. E la troverò. Spero.
Intanto, per chiudere queste note all'insegna del senso logico (eeeeh!) ringrazio i lettori - eloquenti o silenziosi che siano - e anche quelli che passano di qui. Se il contatore non è ubriaco siete davvero tanti e non riesco a capacitarmi del perché °v°
Sostanzialmente, comunque, vi voglio bbbbene



Un saltabbraccio (?),

Lechatvert


   
 
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