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Autore: Elder_Tea    30/11/2013    1 recensioni
“Se non ti fidi nemmeno di te stesso, come farai ad essere abbastanza forte per metterti contro a tutto questo?” spiegò Lacroix “Se la tua visione della vita è così pessimistica non riuscirai mai a tirare a lungo, nemmeno sotto le armi. Ti continuerai a ripetere che tanto morirai il primo giorno sotto una raffica di pallottole. Vuoi continuare a questa maniera, o vuoi avere una visione ottimistica, nonostante tutto, del tuo futuro, così da riuscire ad uscire da questa guerra vivo e vegeto? E magari ricostruirti un futuro senza piangerti addosso pensando che i tuoi compagni siano morti a causa tua. Tutti moriamo, tutti attraversiamo dei momenti bui. Non per questo dobbiamo escludere un'eventuale futuro dopo un momento oscuro. Non ho forse ragione, signor Picard?”
Genere: Drammatico, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Échapper à Paris


1. Ombre


La vita non è altro che un'ombra vagante.
William Shakespeare (Macbeth)


 
La pioggia batteva incessante sul grande vetro del Café de Flore, bagnando i piccoli tavolini all'esterno, lasciati al loro destino sotto il diluvio, arrivato, come al solito, improvvisamente. Proprio come faceva all'inizio di ogni primavera. 
Era passato qualche mese da quando Parigi era stata occupata dai tedeschi. La città era diventata sede secondaria di quei porci, che vedevano, in quella che una volta era una potente nazione, la madrepatria delle ragazze facili, quelle che solo al Moulin Rouge potevi trovare. Johanna non lo sopportava. Non solo perchè trovava questi pregiudizi nei confronti delle parigine totalmente orribili, ma anche perchè spesso ci finiva anche lei dentro a questo circolo di falsi complimenti e fischi da spettacolo di Burlesque. E lei era esattamente il contrario: ragazza cresciuta nei sobborghi di Londra, da una famiglia puritana tutta casa e chiesa, che per un fortuito caso si era trovata nel luogo sbagliato al momento sbagliato. 
Da quel momento era cambiato tutto, improvvisamente, come un vortice che si abbatte sulla tua casa, come un'amnesia che non ti lascia nient'altro che il tuo corpo. Nessun nome, nessun luogo di nascita, nessun amico. Aveva dovuto ricominciare da capo, ma non ricordando. Il suo nome?  Cambiato. Un'indirizzo dove trovarla? Non esisteva. Gli Amici? Dimenticati. Non era più Johanna, la figlia del pastore di Harley Street. Era sempre stata derisa a causa del "lavoro" del padre, che era messo in cattiva luce dai suoi coetanei a causa del suo distacco dalla scienza e da ciò che secondo gli altri genitori, quasi tutti specialisti in psicologia, terapie comportamentali e medicina, era tutta finzione.
Non esisteva più nulla. Lei era Dominique Laurent, era Geraldine Duval, era Paulette Dumas.  Lei era qualcuno solo in base alla durata del soggiorno in un albergo. Entrava, apriva un conto per una camera (solitamente la più lussuosa) e, appena si creava una cerchia di amicizie indesiderata, spesso collegata a flirt con soldati tedeschi, svaniva, cambiando identità, albergo e cerchia di amicizie. Era un'esistenza da ombra, ma le permetteva di non essere presa da quei porci che avevano alzato fumo e fiamme su Londra qualche mese prima, con il Blitz che aveva ditrutto la sua vecchia casa, e ucciso sua sorella. 
Non voleva fare più nulla, però: aveva tentato di portare con sè la sua famiglia, pensava di proteggerli. La Francia sarà sicura, la Francia non si arrenderà, diceva. Ma ora si rendeva conto di aver mentito a sè stessa per molti mesi. Non era al sicuro nemmeno lei, adesso. Si ripeteva che gli Stati Uniti sarebbero stati una scelta migliore. O la Svezia, l'Olanda, o il Polo Nord. Tutto sarebbe stato meglio della sua esistenza da amnesia. Si sentiva sola, lontana da casa. Questo creava in lei una sensazione di rabbia, che la portava a fare gesti assurdi per una ragazza nella sua posizione, come accettare, su consiglio di alcuni amici, di conoscere un certo Ulrich, un certo Erik o un certo Klaus. Questa rabbia si trasformava in masochismo. Si faceva del male da sola, entrando in contatto con colui che, nonostante vivesse con lei (in senso metaforico) la dominava politicamente e psicologicamente. Forse Johanna pensava che, facendo così, sarebbero passati tutti avanti, come facevano con i francesi veri. Se eri francese, eri sottomesso, ma comunque ti lasciavano in pace se non eri di intralcio alla loro dominazione. Con lei invece no. Dubitavano qualcosa sulla sua vera identità o erano interessati solamente al suo bell'aspetto? Non lo sapeva, ma lei pensava che quel che faceva fosse giusto. Ma si sabagliava. Presto Parigi sarebbe diventata troppo piccola per le sue molteplici identità. Alla fine si sarebbero collegate, creando ponti tra le vecchie e le nuove cerchie di amici. Kaput. Andata. Non poteva fuggire, con i tempi che passavano. Era chiusa in una bolla di vetro. Si sentiva sola, in pericolo, senza nessuno che potesse salvarla in tempo. La fine della guerra era lontana e lei non sapeva quanto avrebbe resistito con la sua esistenza tormentata. Cominciava a pensare sempre meno spesso a sè stessa, non riusciva più ad essere estroversa come quando nessuno la conosceva. Nessuno la conosceva veramente. Ora si sentiva oppressa, nervosa, come se da un momento all'altro, tra i milioni di residenti a Parigi, qualcuno l'avrebbe riconosciuta e l'avrebbe consegnata alle autorità. Per i conti non pagati o per la sua vera identità non faceva differenza. Sarebbe morta lo stesso, per quel che credeva. Era questo quello che voleva veramente? Morire? Ormai non c'era praticamente più un futuro per lei. Non sarebbe durata più di tanto in una città dove una soffiata può farti saltare la testa.
  
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