Non
vivo più da 5 anni… io sopravvivo
Scorsi
fuori dalla finestra una
bambina, era piccola, dall’aria innocente e dal volto
terribilmente impaurito.
Avrei voluto fare qualcosa per trasformare quell’espressione
di sconforto in un
sorriso, ma l’autobus non mi permise di soffermare lo sguardo
per più di due
secondi. Da quando sto al mondo non ho mai ricordato una volta che non
avessi
voluto la felicità di qualcuno che amavo, anche se essa
avrebbe comportato una
triste amarezza per me. Ciò che mi domando ora, su
quest’autobus squallido e
male odorante, è se qualcuno abbia mai voluto farmi felice
senza preoccuparsi
prima di se stesso.
Non
ho mai avuto la vita facile,
quando litigavo con una bambina tutte le altre bambine cercavano di
consolare
lei ed io ero costretta a farmi perdonare per non venire lacerata da
quell’ambiguo senso di colpa e da quella che ora chiamo con
certezza
solitudine. Ho sempre cercato di sistemare le cose, perché
non aveva senso
soffrire, ma era meglio dimenticare gli errori degli altri, era meglio
dimenticare che le mie amiche non ricordavano di farmi un regalo al
compleanno
oppure di invitarmi al cinema, perché loro pensavano che
fosse normale
così. Io
mi ci ero abituata ormai.
-Driin-
Il
campanello che prenotava la
prossima fermata mi svegliò dal torpore che mi avvolgeva.
Non una parola, non
un gesto mi confermava che quello che stavo vivendo fosse la
realtà, eppure non
me ne preoccupavo. Mi guardavo intorno e più lo facevo
più i miei pensieri si
confondevano uno con l’altro, come se dovessi ascoltare tre
televisori nello
stesso momento e non potessi concentrarmi per seguirne uno solo.
All’improvviso
una donna si voltò di scatto verso di me, rimasi
pietrificata e per un istante
il mio cuore si gelò provocando un respiro strozzato. Mi
fissava con quei suoi
occhi azzurri, gelidi e manipolatrici come il ghiaccio. Aveva dei
capelli color
rosso fuoco che le ricadevano disordinatamente sulle spalle ed era come
se
sprigionasse energia negativa ad ogni respiro.
Il
cuore cominciò battere ad
intervalli sempre più brevi, mi venne il fiatone mentre
spostavo lo sguardo da
una parte all’altra senza sapere che fare, presa da una paura
che non avevo mai
provato.
-Driiin…
driiin-
Spalancai
gli occhi di scatto e
vidi il soffitto candido della mia stanza. Era mattina ed io ero
sdraiata sul
mio letto con le coperte ancora ripiegate sopra di me. Feci un enorme
sospiro
di sollievo anche se sapevo che non se ne sarebbe andata, sognavo
quella donna
quasi tutte le notti ormai ed ogni notte era sempre più
spaventosa. Sbattei
ancora un paio di volte gli occhi cercando di svegliarmi il
più velocemente
possibile, scostai le coperte ancora tiepide e mi alzai dal letto con
una certa
decisione.
Era
mattina ed anche oggi era un
nuovo giorno in cui avrei lottato per arrivare a sera.
Tutte
le mattine i miei gesti
erano sempre gli stessi, ormai non dovevo più preoccuparmi
di nulla, perché era
come se il mio cervello fosse già programmato. Mi svegliavo,
rifacevo il letto
immediatamente, mi lavavo la faccia con l’acqua gelida ed
andavo in cucina a
guardare loro mangiare brioches e bere cappuccini.
Non
amavo guardarmi allo
specchio, perché ogni volta che lo facevo e mi soffermavo
sulla figura di
quella ragazza così insignificante, mi veniva voglia di
tirarle un pugno e di
certo non potevo permettermi i costi di un nuovo specchio ogni mattina.
I
miei coinquilini dicevano che
ero strana e forse era anche vero. Mi ero trasferita in Italia da
cinque anni,
ma dopo essermene andata dall’Albania avevo perso i contatti
con il mondo. Non
avevo più una vita, che fosse soddisfacente per essere
chiamata così. Andavo a
scuola tutte le mattine e se non ero a scuola ero a casa a studiare
oppure al
lavoro, lo facevo per cercare di riempire un enorme buco vuoto che
sentivo
opprimere la mia vita, per cercare di dare un senso alla mia vita.
Lavoravo in
un piccolo locale in una zona periferica della città tutte
le sere e così
contribuivo alle spese della casa. I mie coinquilini non mi
consideravano
molto, anzi avevo la netta sensazione che volessero isolarmi e per
questo cercavo
di evitarli ogni giorno di più, per rendergli la vita
più semplice. Non
mangiavo, io non mangiavo quasi mai anche se non volevo ammetterlo a me
stessa,
mangiare non mi faceva sentire bene e non ero mai dell’umore
adatto per farlo.
Anche
quel giorno mi feci una
doccia tiepida, mi vestii e me ne usci da casa senza salutarli. Il
cielo era
grigio e la strada periferica in cui abitavo era praticamente sempre
deserta.
Il fatto che non ci fosse apparentemente nessuno, mi confortava,
perché odiavo
essere osservata dalle persone, era come se nei loro sguardi riuscissi
a
scorgere sempre quella nota di disapprovazione, nient’altro.
Decisi
di non prendere l’autobus,
avevo voglia di fare una passeggiata quel giorno, così mi
avviai con passo
veloce e nel giro di dieci minuti raggiunsi la scuola.
Era
presto e la campanella d’inizio
sarebbe suonata tra venti minuti, così tirai fuori un libro
a caso e cominciai
a ripassare gli argomenti per la lezione. Ben presto arrivarono alcuni
dei miei
compagni di classe, ma, a parte un saluto, ero talmente timida che non
gli
avevo mai rivolto la parola, neanche per chiedergli in prestito una
penna. Quel
giorno sentii che sarebbe successo qualcosa, forse avrei dato una
svolta alla
mia vita, forse il tempo per essere felice stava arrivando anche per
me. Così,
carica di entusiasmo, andai da loro approfittando di quei trenta
secondi di
coraggio.
-Scusate,
per caso sapete se
domani ci hanno assegnato compiti di biologia?-
Era
una domanda inutile, perché
ne conoscevo già la risposta e la feci solo per pura
stupidità. Loro si
voltarono verso di me, erano tre ragazzi non troppo interessanti ed
avevano
tutti e tre gli occhi puntati su di me, impietriti. Io attendevo,
mentre quel
silenzio diveniva sempre più imbarazzante, poi uno dei tre
mi rispose.
-No,
stranamente!-
Io accennai un sorriso e lo
ringraziai.
Si
chiamava Daniel e quella era
la prima volta che ci parlavo, mi sentii soddisfatta, forse stavo
facendo
progressi. Mentre loro ritornarono in un batter d’occhio a
parlare tra di loro
e a ridere fragorosamente io me ne tornai al mio banco e mi sedetti in
modo
composto. L’unica cosa che amavo di me stessa era che la mia
espressione non
lasciava trasparire alcuna emozione e mentre io pensavo a quanto lo
sguardo di
Daniel mi avesse resa felice, all’apparenza sembravo quasi
immobile, come una
statua di pietra.
Mi chiamo Sarah, ho 18 anni e vengo dall’Albania. Queste sono le uniche informazioni che le persone captano e immagazzinano nel loro cervello che mi riguardano. Il resto non è sufficientemente interessante.
Ciao a tutti/e! Dopo una anno di assenza da Efp sono tornata con questa storia. Una sera mi è venuta l'ispirazione e mi sono messa immediatamente a scrivere, mi farebbe tanto piacere poter capire se la trovate interessante, altrimenti non ne pubblico altri capitoli! Spero che vi piaccia! :)
Alla
prossima, Iris