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Autore: Iris14    01/12/2013    1 recensioni
"Scorsi fuori dalla finestra una bambina, era piccola, dall'aria innocente e dal volto terribilmente impaurito. Avrei voluto fare qualcosa per trasformare quell'espressione di sconforto in un sorriso, ma l’autobus non mi permise di soffermare lo sguardo per più di due secondi. Da quando sono nata non ho mai ricordato una volta che non avessi voluto la felicità di qualcuno che amavo, anche se essa avrebbe comportato una triste amarezza per me. Ciò che mi domando ora, su quest’autobus squallido e male odorante, è se qualcuno abbia mai voluto farmi felice senza preoccuparsi prima di se stesso."
-tratto dal primo capitolo-
Questa storia racconta la vita di Sarah, una giovane ragazza che deve affrontare la sua vita in completa solitudine. La solitudine... che a volte può essere il nostro peggior nemico.
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non vivo più da 5 anni… io sopravvivo

 

Scorsi fuori dalla finestra una bambina, era piccola, dall’aria innocente e dal volto terribilmente impaurito. Avrei voluto fare qualcosa per trasformare quell’espressione di sconforto in un sorriso, ma l’autobus non mi permise di soffermare lo sguardo per più di due secondi. Da quando sto al mondo non ho mai ricordato una volta che non avessi voluto la felicità di qualcuno che amavo, anche se essa avrebbe comportato una triste amarezza per me. Ciò che mi domando ora, su quest’autobus squallido e male odorante, è se qualcuno abbia mai voluto farmi felice senza preoccuparsi prima di se stesso.

Non ho mai avuto la vita facile, quando litigavo con una bambina tutte le altre bambine cercavano di consolare lei ed io ero costretta a farmi perdonare per non venire lacerata da quell’ambiguo senso di colpa e da quella che ora chiamo con certezza solitudine. Ho sempre cercato di sistemare le cose, perché non aveva senso soffrire, ma era meglio dimenticare gli errori degli altri, era meglio dimenticare che le mie amiche non ricordavano di farmi un regalo al compleanno oppure di invitarmi al cinema, perché loro pensavano che fosse normale così.  Io mi ci ero abituata ormai.

-Driin-

Il campanello che prenotava la prossima fermata mi svegliò dal torpore che mi avvolgeva. Non una parola, non un gesto mi confermava che quello che stavo vivendo fosse la realtà, eppure non me ne preoccupavo. Mi guardavo intorno e più lo facevo più i miei pensieri si confondevano uno con l’altro, come se dovessi ascoltare tre televisori nello stesso momento e non potessi concentrarmi per seguirne uno solo. All’improvviso una donna si voltò di scatto verso di me, rimasi pietrificata e per un istante il mio cuore si gelò provocando un respiro strozzato. Mi fissava con quei suoi occhi azzurri, gelidi e manipolatrici come il ghiaccio. Aveva dei capelli color rosso fuoco che le ricadevano disordinatamente sulle spalle ed era come se sprigionasse energia negativa ad ogni respiro.

Il cuore cominciò battere ad intervalli sempre più brevi, mi venne il fiatone mentre spostavo lo sguardo da una parte all’altra senza sapere che fare, presa da una paura che non avevo mai provato.

-Driiin… driiin-

Spalancai gli occhi di scatto e vidi il soffitto candido della mia stanza. Era mattina ed io ero sdraiata sul mio letto con le coperte ancora ripiegate sopra di me. Feci un enorme sospiro di sollievo anche se sapevo che non se ne sarebbe andata, sognavo quella donna quasi tutte le notti ormai ed ogni notte era sempre più spaventosa. Sbattei ancora un paio di volte gli occhi cercando di svegliarmi il più velocemente possibile, scostai le coperte ancora tiepide e mi alzai dal letto con una certa decisione.

Era mattina ed anche oggi era un nuovo giorno in cui avrei lottato per arrivare a sera.

Tutte le mattine i miei gesti erano sempre gli stessi, ormai non dovevo più preoccuparmi di nulla, perché era come se il mio cervello fosse già programmato. Mi svegliavo, rifacevo il letto immediatamente, mi lavavo la faccia con l’acqua gelida ed andavo in cucina a guardare loro mangiare brioches e bere cappuccini.

Non amavo guardarmi allo specchio, perché ogni volta che lo facevo e mi soffermavo sulla figura di quella ragazza così insignificante, mi veniva voglia di tirarle un pugno e di certo non potevo permettermi i costi di un nuovo specchio ogni mattina.

I miei coinquilini dicevano che ero strana e forse era anche vero. Mi ero trasferita in Italia da cinque anni, ma dopo essermene andata dall’Albania avevo perso i contatti con il mondo. Non avevo più una vita, che fosse soddisfacente per essere chiamata così. Andavo a scuola tutte le mattine e se non ero a scuola ero a casa a studiare oppure al lavoro, lo facevo per cercare di riempire un enorme buco vuoto che sentivo opprimere la mia vita, per cercare di dare un senso alla mia vita. Lavoravo in un piccolo locale in una zona periferica della città tutte le sere e così contribuivo alle spese della casa. I mie coinquilini non mi consideravano molto, anzi avevo la netta sensazione che volessero isolarmi e per questo cercavo di evitarli ogni giorno di più, per rendergli la vita più semplice. Non mangiavo, io non mangiavo quasi mai anche se non volevo ammetterlo a me stessa, mangiare non mi faceva sentire bene e non ero mai dell’umore adatto per farlo.

Anche quel giorno mi feci una doccia tiepida, mi vestii e me ne usci da casa senza salutarli. Il cielo era grigio e la strada periferica in cui abitavo era praticamente sempre deserta. Il fatto che non ci fosse apparentemente nessuno, mi confortava, perché odiavo essere osservata dalle persone, era come se nei loro sguardi riuscissi a scorgere sempre quella nota di disapprovazione, nient’altro.

Decisi di non prendere l’autobus, avevo voglia di fare una passeggiata quel giorno, così mi avviai con passo veloce e nel giro di dieci minuti raggiunsi la scuola.

Era presto e la campanella d’inizio sarebbe suonata tra venti minuti, così tirai fuori un libro a caso e cominciai a ripassare gli argomenti per la lezione. Ben presto arrivarono alcuni dei miei compagni di classe, ma, a parte un saluto, ero talmente timida che non gli avevo mai rivolto la parola, neanche per chiedergli in prestito una penna. Quel giorno sentii che sarebbe successo qualcosa, forse avrei dato una svolta alla mia vita, forse il tempo per essere felice stava arrivando anche per me. Così, carica di entusiasmo, andai da loro approfittando di quei trenta secondi di coraggio.

-Scusate, per caso sapete se domani ci hanno assegnato compiti di biologia?-

Era una domanda inutile, perché ne conoscevo già la risposta e la feci solo per pura stupidità. Loro si voltarono verso di me, erano tre ragazzi non troppo interessanti ed avevano tutti e tre gli occhi puntati su di me, impietriti. Io attendevo, mentre quel silenzio diveniva sempre più imbarazzante, poi uno dei tre mi rispose.

-No, stranamente!-

 Io accennai un sorriso e lo ringraziai.

Si chiamava Daniel e quella era la prima volta che ci parlavo, mi sentii soddisfatta, forse stavo facendo progressi. Mentre loro ritornarono in un batter d’occhio a parlare tra di loro e a ridere fragorosamente io me ne tornai al mio banco e mi sedetti in modo composto. L’unica cosa che amavo di me stessa era che la mia espressione non lasciava trasparire alcuna emozione e mentre io pensavo a quanto lo sguardo di Daniel mi avesse resa felice, all’apparenza sembravo quasi immobile, come una statua di pietra.

Mi chiamo Sarah, ho 18 anni e vengo dall’Albania. Queste sono le uniche informazioni che le persone captano e immagazzinano nel loro cervello che mi riguardano. Il resto non è sufficientemente interessante.

Ciao a tutti/e! Dopo una anno di assenza da Efp sono tornata con questa storia. Una sera mi è venuta l'ispirazione e mi sono messa immediatamente a scrivere, mi farebbe tanto piacere poter capire se la trovate interessante, altrimenti non ne pubblico altri capitoli! Spero che vi piaccia! :) 

Alla prossima, Iris

 

 

 

  
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