The Wind That Smothers
La giornata si prospettava una delle migliori. Il cielo
era limpido e dimostrava il suo azzurro chiaro agli occhi di tutti gli abitanti
di Konoha. Di nuvole se n’è intravedeva qualcuna ma non oscurava minimamente la
luce del sole che, abbagliante, batteva sulle teste delle persone.
Una goccia di sudore gli scese lentamente lungo la tempia,
scivolando agilmente sulla guancia fino ad arrivare al mento. La mano destra
tremava impercettibilmente mentre il pollice si accingeva ad entrare in
contatto con quello sinistro e gli indici facevano lo stesso. Lasciò che le
palpebre si socchiudessero appena, tirando il viso in una smorfia di compunta
concentrazione.
Mosse con lentezza la mano per afferrare la pedina agli
inizi della scacchiera, spostandola e facendo la sua mossa. L’uomo che gli
sedeva davanti scrutò accigliato il ripiano di legno, portandosi le dita fra la
barbetta del mento.
«scaccomatto» sussurrò Shikamaru Nara, lieve sorriso sulle
labbra sottili e gli occhi scuri fissi su Asuma che lo guardava divertito.
Senza indugi, l’uomo sparpagliò con lieve rammarico le pedine sulla scacchiera,
il sospiro pronto sulle labbra.
«bella mossa. Però Shikamaru, dovresti smetterla di
dedicarti solo allo shogi. Dovresti trovare qualcosa che non consista solamente
nel gioco di mente…un po’ di sano esercizio non ti farebbe male. O magari,
trovarti una bella ragazza con cui spassartela…no, eh?» domandò secco Asuma, lo
sguardo che indugiava tranquillamente sulla figura dell’allievo. Di tutta risposta,
Shikamaru spalancò la bocca in uno sbadiglio trattenuto per troppo tempo,
ricordandosi di portare davanti alle labbra la mano quando ormai il sensei
aveva già avuto modo di controllargli la gola.
«perché dovrei? Sto talmente bene così che cercare una pazza
furiosa che rimpiazzi mia madre suona come una bestemmia. Stiamo bene, io e le
nuvole» sbottò il ragazzo stiracchiando le braccia in aria non vedendo lo
scuotere sconsolato del capo di Asuma.
«allora mettiamola così: adesso sei solo un ragazzo, ma andando
avanti col tempo imparerai ad aver bisogno anche delle donne. In particolare di
colei che amerai. Non è facile accorgersi di quale fra le tante sia quella
giusta…non puoi guardare le nuvole in eterno» spiegò con fare pratico Asuma,
gesticolando con le mani come a voler spiegare a gesti il concetto.
Shikamaru inarcò scettico un sopracciglio, stringendo le
labbra quasi a reprimere una risatina.
«e tu, che sembri così esperto, prova a dirmi cosa dovrei
sentire quando avrò vicino la mia anima gemella…» pigolò asciutto, il tono
ironico inciso in ogni parte del tono. Nara vide distintamente un lieve rossore
colorare le guance del sensei, che, preso alla sprovvista da quell’insolita
domanda, affondò nuovamente la mano della barbetta sul mento.
«pensa a quando guarderai le nuvole. Che so. Le nuvole
vengono spinte dal vento…tu devi solo trovare quel vento che sappia spingerti.
E, fra parentesi, non sono così esperto» concluse Asuma con un sorriso sottile,
sghembo…o colpevole.
Shikamaru rimase qualche secondo in silenzio, distogliendo
lo sguardo dall’uomo e posandolo sulla scacchiera dello shoji.
«le donne portano solo guai, caro Asuma… – s’interruppe
per un istante – il vento che mi sappia spingere, dici?» domandò curioso, la
mente persa in chissà quale pensiero.
«nh. Conoscendoti, immagino ci impiegherai un po’ di
tempo…e un’ultima cosa.» il ragazzo batté ciglio, spostando poi l’attenzione su
Asuma che, con occhi scaltri, lo fissava.
«qualche altro discorso filosofico?»
«No. Voglio la rivincita!»
*
Shikamaru non si seppe spiegare il perché di quei suoni
rimbombanti che sibilavano nell’orecchio, costringendolo a portarsi le mani
alla testa e tentare di ragionare a sangue freddo, cosa che gli risultò
palesemente impossibile. Batté furiosamente ciglio, cercando con veemenza gli
occhi di Asuma in quel mescolarsi di immagini, pensieri e parole che in quel
momento, trovavano talmente divertente tormentarlo che rincararono la dose.
«basta!» sibilò, cercando qualcuno che potesse placare
quella tempesta di rumore nel suo cervello; l’immagine di Asuma, stampata nella
testa, che svaniva lentamente come quel sorriso fiducioso sulle labbra secche
coperte dalla barba, gli occhi scuri che non smettevano di fissarlo.
«basta!» ripeté alzando la voce, sentendo gli occhi
bruciare.
Vide il viso del suo maestro colorarsi di rosso e riuscì a
riconoscerne il sangue sulla pelle abbronzata, un rivolo che colava dalla bocca
e il copioso liquido scarlatto che scivolava viscoso dal taglio netto sulla
fronte.
«Asuma…sensei…»
«LAME DI VENTO!»
Il sapore acre del sangue gli invase il palato,
stordendolo col sapore metallico nel fondo della gola. Shikamaru si costrinse
ad ingoiare il grumo di quel liquido vermiglio stringendo le labbra e
crucciando le sopracciglia per lo sforzo. Il cervello mandò il comando di
alzare il braccio destro ma quello che ricevette in risposta fu solo un
sussulto da parte dell’arto, indolenzito dalla scomoda posizione in cui era
stato forzato. Sentì confusamente le unghie graffiare il terriccio sottostante,
infilandosi bruscamente dentro e le dita dolergli per quel movimento.
«brutto bastardo» sibilò una voce femminile vicina a lui,
ma intuì che l’imprecazione non gli era rivolta e decise si aprire gli occhi.
Il lieve tremare di palpebre e la luce accecante del sole
li fece lacrimare appena, obbligandolo a chiudere nuovamente gli occhi e
battere ciglio nervosamente. Il tonfo secco che sentì provenire poco più avanti
dalla sua postazione, lo convinse a vincere il dolore e aprire gli occhi.
«non è difficile, Shikamaru. Per una nuvola, trovare il
vento adatto con cui muoversi, è la cosa più facile che possa esistere. Non c’è
bisogno di dolcezza o di chissà cos’altro, mi segui? – Asuma picchiò debolmente
le nocche sul capo del giovane che non riuscì a trattenere un borbottio seccato
– non c’è bisogno di impegnarsi così tanto. Innanzi tutto…ci vuole fiducia»
«che diavolo…» si lasciò sfuggire
interdetto, sentendo il cervello pulsare fastidiosamente nel cranio e il sangue
colargli lungo la guancia destra. Il sole non gli permise di vedere totalmente
ciò che si trovava davanti a lui, ma l’unica cosa che vide [l’unica cosa che
gli occhi guardarono] furono quattro codini di capelli dorati posti ai lati di
una testa bionda.
«Temari?». La confusione provata qualche
momento prima – Asuma, e il sangue, e le parole, e il dolore – sembrò svanire
lentamente, finalmente lasciando spazio alla mente calcolatrice di agire come
aveva sempre fatto.
«già. Chi pensavi che fossi?!». Quella
voce femminile che pochi istanti prima aveva sentito imprecare, si rivelò
appartenere alla kunoichi di Suna: Sabaku No Temari. Non che fosse sorpreso di
vederla lì – oh, no – ma il fatto di averla
vicino e di essere abituato alla sua
presenza, gli stordiva la ragione.
Non erano una novità, per lui, quelle
pieghe color miele legate in quattro codini né tanto meno quegli occhi verde
scuro – quasi smeraldo, che in quell’istante lo stavano scrutando scocciati.
Ah già. Perché in quel momento, quella
scocciata, era lei.
«insomma Nara, ti salvo il culo e tu non
sai far altro che mormorare il mio nome? Tsè, un grazie andava anche bene»
sibilò contrariata la ragazza avvicinandosi a lui.
Solo in quel momento, Shikamaru percepì
il suo corpo giacere per terra; la schiena malamente poggiata al tronco di un albero,
le gambe stese mollemente sul terriccio e le braccia ricadere inermi lungo i
fianchi. E quella scia di sangue, che partiva dal taglio profondo poco più
sotto della tempia.
«mendokuse» borbottò infine, la voce resa roca da quel breve periodo
di assenza.
Temari si accovacciò di fianco a lui e
non gli fu difficile – né scomodo, osservare il suo corpo piegarsi; mettere in
evidenza il seno maturo fasciato in maniera morbida dal kimono scuro e i
fianchi forse un po’ larghi, ma comunque piacevoli alla vista.
«tutto a posto, Nara? Hai battuto la
testa. Se vuoi, ci fermiamo per un po’. La missione può aspettare» sussurrò la
kunoichi quasi avesse paura di farsi sentire.
Shikamaru non rispose subito alla
domanda.
Preferì far vagare lo sguardo per la
landa desolata che si parava davanti ai suoi occhi, sicuramente deserta a causa
delle tecniche poco delicate della Sabaku. Poco più in là, giaceva il corpo
morto del loro avversario, colui che li aveva sorpresi poco dopo la loro
entrata nel villaggio nemico.
Il ragazzo piegò le labbra in una linea
dritta, spiegandosi il perché Asuma – e il sangue, e le parole, e il dolore –
fosse comparso così, nella sua mente, dopo quasi cinque anni dalla sua morte.
Aveva battuto la testa.
Forte.
Solo per quel motivo, ora, si ritrovava
a fissare quelle pozze smeraldine vicino a lui?
«sto benissimo. Possiamo tranquillamente
continuare»
Temari si strinse nelle spalle,
dipingendo un’espressione neutra sul viso.
«se lo dici tu»
*
«Shikamaru?! Ohi! Ti vuole l’Hokage, hai
sentito?» la voce fastidiosa ed infantilmente squillante di Naruto Uzumaki
risuonò atona nelle orecchie di Shikamaru Nara che, comodamente seduto sulla
panchina del palazzo di Tsunade-hime, osservava senza particolare interesse il
vuoto.
«ho sentito baka, non c’è bisogno di
urlare» sibilò apaticamente il giovane Nara, spostando gli occhi scocciati sul
ragazzo biondo.
«sì, ma se l’Hokage ti chiama devi
andarci subito. A Suna non facciamo aspettare così tanto il Kazekage» rivelò
Temari sbucando dall’angolo del corridoio in compagnia di Sakura Haruno.
L’allieva di Tsunade diede l’ombra di un sorriso di conforto ed era evidente
che, sia lei che Shikamaru, avessero pensato la stessa cosa. “almeno il nostro
Hokage non è un pazzo squinternato con la mania di uccidere chiunque gli capiti
a tiro” ma entrambi tacquero.
Toccò a Shikamaru interrompere quel
silenzio con un tossicchio disinteressato, alzandosi dalla panchina e
affiancando Temari.
«allora, Temari. Qual buon vento ti porta a Konoha?» cominciò il giovane
fissandola interrogativo, espressione curiosamente stizzosa sul volto. Naruto
strinse le labbra, borbottando un qualcosa sull’allenamento e scomparendo oltre
il portone del palazzo in men che non si dica.
«sicuramente non ti avranno detto nulla.
Io e te dobbiamo partire per una missione. Come messaggeri di Suna e di Konoha.
Sorpreso?» controbatté la bionda, girando il capo quando Shikamaru si posizionò
al suo fianco. Toccò a Sakura sibilare una scusa che sapeva di Sasuke-kun e
scappare via, prima che la bufera si scatenasse.
Rimasti soli, i due si squadrarono.
«in missione con te non ci vengo»
mormorò prontamente il Nara, le sopracciglia crucciate.
«non puoi scappare per sempre. Prima o
poi le cose le devi affrontare» ribatté Temari, il volto contratto in una smorfia
seccata. Shikamaru scosse la testa scocciato, il cervello in panne ed il cuore
in subbuglio. Dopo tanto tempo, rivedere quegli occhi – e quei capelli, e
quelle labbra – gli creava confusione,
disarmava tutto ciò che aveva costruito in quegli anni, dopo la morte di Asuma.
«lo credi così tanto un errore…?» il
discorso in cui Temari si stava sicuramente per sperticare, fu interrotto dal
saluto cordiale di Shizune che, servizievole, li invitò ad entrare nello studio
di Tsunade.
*
Shikamaru spostò lo sguardo indietro,
osservando meccanicamente le orme che lasciavano i suoi e i piedi di Temari.
Nella terra fangosa era inevitabile lasciare tracce, purtroppo buon punto a
favore di chiunque li avesse voluti seguire.
La mente calcolò in maniera rapida la distanza
che avevano percorso dal punto in cui avevano fatto una veloce sosta, giusto
per permettere a se stesso di riprendersi dalla botta.
Il taglio sulla tempia era stato curato
alla meno peggio da Temari e non dava quasi più fastidio se non qualche lancinante
quanto sporadica fitta di dolore.
«se te lo stai chiedendo abbiamo
camminato per due ore e qualche minuto, il sole ce lo può assicurare. Mentre
dal punto in cui ci siamo fermati fino a qui sono all’incirca tre chilometri»
cantilenò Temari, composta, al suo fianco.
«questo lo sapevo già da me, grazie»
sibilò il moro contrito, la mascella pronunciata in avanti in chiaro segno di
disapprovazione. La ragazza incassò la testa nelle spalle – come notò
Shikamaru, era sua abitudine fare – e continuò a camminare in silenzio.
In quel momento avrebbe voluto
interropere quell’incessante silenzio fatto di rumore, fatto di parole che
avrebbero dovuto essere dette quanto di scuse da mantenere e promesse
dimenticate.
«se andiamo avanti di questo passo
arriviamo ad Iwa che abbiamo quarant’anni suonati. Altro che venti» esagerò la
giovane ninja di Suna, mano poggiata stancamente sul fianco morbido, l’altra
che giocherellava col nastro rosso che le fasciava la vita.
«sta’ zitta, il capitano di questa
missione sono io quindi si fa quello che decido io» sillabò Shikamaru evidentemente innervosito, infervorando
la vista e l’udito per cogliere qualsiasi segno di un possibile attacco nemico.
Era una normalissima missione di livello
B, cosa da fare a occhi chiusi, eppure non si sentiva calmo. Sentiva che c’era
qualcosa che non andava, che stavano prendendo
tutto troppo alla leggera.
Mentre camminavano, fianco a fianco, le
dita delle mani si sfioravano.
In un tocco unico, calmo, piacevole e
caldo.
Temari non si era accorta di nulla – o
forse, fingeva di non sentire. [il cuore doleva, dentro].
Shikamaru socchiuse gli occhi e cercò di
non vedere – ma lo sentiva distintamente.
E non avrebbe fatto nulla per
distogliere l’attenzione della ragazza da quel paesaggio e farle notare le loro
mani – vicine, ma sempre troppo lontane – che si toccavano.
Egoista com’era, come avrebbe potuto
dirglielo?
«il tuo gretto materialismo maschilista
m’infastidisce, Nara. Sarai pure tu il leader, ma io ti sto aiutando. Lo faccio
perché sono costretta, non per altro» ci tenne a puntualizzare la bionda con
tono sarcastico e pungente, come lo era sempre stato.
Shikamaru allontanò la mano da quella di
lei in un movimento fluido, sperando che lei non si accorgesse di
quell’accentuata [pericolosa] vicinanza.
«se vuoi te ne puoi anche andare. Non me
ne frega nulla»
«tra l’altro, Shikamaru, pensa che sono proprio le donne a
metterci al mondo. Non sono solo delle seccature, avanti. Ci sarà pure una
ragazza che ti piace. Ino?» domandò divertito Asuma mentre assisteva ad un
esagerato soffocamento da cibo dell’allievo.
«ma neanche per sogno! Non voglio una ragazza né tanto
meno quella pazza schiavista!» strillò schifato il ragazzo – più per il fatto
di avere una ragazza che per Ino – facendo ridere sommessamente il sensei.
«…ok. Sakura?» azzardò l’uomo preparandosi alla reazione
del giovane.
«…un’altra schiavista. E poi quella pensa solo a Sasuke,
figurati. Nah, non fa per me. Mettiti l’anima in pace, davvero» assicurò
Shikamaru annoiato, portando stancamente le braccia dietro la nuca. Asuma
attese qualche secondo, il sorriso dipinto sulle labbra.
«non offendere una donna, non farla soffrire, Shikamaru.
Falla sentire importante»
Shikamaru inarcò scettico un sopracciglio, le labbra
tirate in una linea dritta.
«intendi che se offendo una donna…faccio la tua fine?
Quando hai detto alla maestra Kurenai che era ingrassata?» domandò retorico,
sicuro di avere ragione. L’espressione depressa del sensei lo convinse di
essere nel giusto, sebbene Asuma tentò di negare.
«mh. Ci proverò» asserì, infine. «…non che me importi,
poi»
Il ragazzo vide l’espressione divertita
di Temari trasformarsi in una frustrata e rabbiosa.
Avrebbe voluto prevedere quel pugno che
si stava scagliando sul suo viso – ma l’aveva visto, l’aveva
visto – ma si lasciò colpire, indietreggiando di qualche
passo.
«senti Nara. Mettiamo in chiaro due
cose: sono venuta in missione con te solo perché me l’ha chiesto l’Hokage e non
ho nessuna intenzione di farmi mettere i piedi in testa da uno come te! Se non
ci fossi stata io, a quest’ora, saresti morto!» esclamò Temari infuriata, il
tono della voce improvvisamente alto, il pugno ancora alzato a mezz’aria.
Shikamaru la guardò come se la stesse
vedendo per la prima volta. La mano destra si era portata lentamente alla
guancia arrossata, toccando il punto in cui la ragazza lo aveva colpito, alcuni
ciuffi di capelli erano sfuggiti dalla coda alta, ricadendo inermi lungo le
tempie.
«quel che è stato è stato. Non farmene
una colpa se mi ha preso alla sprovvista, se non ti avessi detto qual’era il
metodo migliore per eliminarlo, prima di svenire, sicuramente non l’avresti
battuto» ribatté con voce apparentemente calma, annoiata.
Temari si voltò seccata, guardando
dritto avanti a sé.
L’orgoglio scalpitava nel petto [proprio
come quella volta] e un urlo di frustrazione premeva nella gola, chiedendo solo
di poter uscire, di rivelarsi a Shikamaru.
«mancano ancora pochi chilom-» cominciò
il ragazzo, ma la bionda fu più veloce.
«credi che tutto ti sia dovuto, vero?
Credi che sia semplice, per me, affrontare tutto ciò che è accaduto! Che non me
ne importi niente. Tanto la mia vita è la mia, la tua è la tua! Ma tu – la
Sabaku lo indicò, fremendo – tu hai scelto di intrecciare il nostro futuro, se
tu quel giorno…»
Shikamaru la bloccò con un gesto rapido
della mano, chiedendole in quella mossa muta di tacere. Chissà per quale motivo
– davvero, non lo capì, Shikamaru, il motivo –
Temari tacque.
«sta’ zitta. Non credo che tutto mi sia
dovuto. Non credo in niente»
«…già, nemmeno in te stesso. Come al
solito»
*
«quando partiremo?» domandò Temari
portandosi una mano dietro la testa, sistemandosi alla meno peggio alcuni
ciuffi di capelli dorati che sfuggivano dall’acconciatura.
«fra quattro giorni, all’alba» replicò
apatico Shikamaru, lo sguardo spento e la voce annoiata.
La ragazza lo squadrò dall’alto in
basso, un labbro tenuto stretto dai denti e le iridi verdi che lo fissavano
nervosamente. Era cambiato molto, dall’ultima volta che l’aveva visto.
A dire il vero, non era passato manco
tanto tempo.
Quanto?
Non lo avrebbe saputo dire con certezza.
Forse qualche settimana…addirittura qualche mese.
Ma notò che lui continuava ad avere
quello sguardo morto, spento, privo di allegria.
«come va, Nara?» bisbigliò sommessamente,
quasi stesse bestemmiando.
Shikamaru scrollò le spalle come a
volersi liberare da un qualcosa di fastidioso.
«va’» rispose senza particolare enfasi.
Sapeva, Temari, che Shikamaru non era
questo gran chiacchierone. In quegli sporadici momenti in cui stavano insieme
non parlava quasi mai, gli piaceva ascoltare.
Una volta, le aveva detto che gli piaceva sentire la sua voce.
Quella volta, non l’avrebbe dimenticata mai.
«pensi ancora ad Asuma? È passato…un po’
di tempo, ormai» con questo sapeva di toccare un argomento delicato. Ma perché
non poteva parlarne con lui?
Dopotutto lui…
Dopotutto loro…
Vedendolo accelerare il passo e
superarla senza dire più una sola parola, Temari capì che non era momento. O
che forse, non lo era mai stato, come lui aveva detto subito
dopo.
E lei stupida, che continuava a
provarci.
*
Ricordava come ormai perduta, quella
strana sensazione di calore sulle labbra.
Morbidezza, fervore, voglia…sensazioni
che aveva già provato una volta, ma che aveva rimosso.
Non sapeva né come né perché si era
ritrovato a darsi quello slancio verso di lei, a cerare la sua bocca [come era
già successo] e le sue braccia da tenere, per bloccarla vicino a lui.
Sentì le mani stringerle le spalle, gli
occhi socchiusi e sotto le ciglia intravedeva l’espressione spiazzata di Temari
che però, al contrario di quello che pensava, non si ritrasse.
Invece, la sentì spingersi contro di
lui, abbandonarsi una seconda volta al calore di
quel bacio; desiderato, voluto, negato e poi avuto. Così, all’improvviso.
Shikamaru percepì le dita affusolate di
Temari percorrere la sua schiena, solleticargli le scapole e poi cingersi
dietro al collo.
E poi, sentì indistintamente lo schiocco
delle loro labbra, le lingue che, prima si cercavano voraci, carezzandosi in
modo naturale, allontanarsi velocemente e lei spingerlo via.
La guardò negli occhi, vedendo le iridi
di smeraldo grezzo fissarlo, stupite, perplesse, arrabbiate.
«non c’entra nulla credere o non credere
in se stessi» cominciò Shikamaru, rispondendo ad un’affermazione posta troppo
tempo prima, alla quale Temari non avrebbe nemmeno voluto una risposta.
«c’entra il fatto di avere o non avere
fiducia nei propri compagni»
«non è vero. C’entra il fatto che tu mi
hai baciato, ancora, e voglio scoprire se vuoi fare
l’amore con me, come l’altra volta, e poi
andartene, dicendo che hai sbagliato! È questo, quello che c’entra. E rispondi,
questa volta, non evitare il discorso»
Shikamaru si sentì inevitabilmente con
le spalle al muro.
Si chiedeva il perché.
Perché non riusciva a dirle che non
l’amava?
Perché non riusciva a dirle che di lei
non gli importava?
Perché non riusciva a dirle che l’aveva
usata per sfizio?
Perché, perché, perché…?
Perché non è vero.
A dividerli non c’erano altro che pochi
centimetri. Entrambi percepivano distintamente il respiro l’uno dell’altra
battere sulle labbra umide per il bacio, entrambi sentivano il cuore palpitare
furiosamente nel petto.
E poi, solo una leggera folata d’aria,
che scosse i capelli di lei e i ciuffi di lui.
A lui, che sembrò di soffocare [annegare, in quelle pozze smeraldine] per colpa di quel vento.
«dobbiamo ancora svolgere una missione, seccatura, andiamo»
Il fatto di chiamarla seccatura, forse,
era un passo avanti.
A notare lo sguardo di Temari e poi, la
risatina isterica in cui scoppiò poco dopo, forse, era un passo indietro.
«cosa ne pensi dell’allettante esponente del villaggio
della sabbia? Né? Mica male» continuò Asuma imperterrito, completamente
dimentico delle supplice di Shikamaru di piantarla. Era chiaro che non si
voleva arrendere a quel proposito, non dopo aver sfornato una tale perla di
saggezza quale la frase che aveva detto prima. “non far soffrire una donna,
falla sentire importante”. Chi l’aveva detto che Shikamaru avrebbe fatto soffrire
una donna? L’avrebbe mai avuta?
«Asuma, quella è il rimpiazzo di mia mamma ringiovanita,
per Dio» evidentemente no.
Eppure, Asuma ampliò il suo sorriso e Shikamaru fu sicuro
di intravedervi un luccichio strano.
«beh si sa. La mamma è la migliore donna che un uomo possa
avere»
Tutto ciò che intendeva dire con quella frase, Shikamaru,
non lo scoprì – ne lo volle capire – mai.
Era una normalissima missione di livello
B, ma Shikamaru sentiva che c’era qualcosa che non andava. Che avevano pre…no, che aveva preso tutto troppo alla leggera.
Irrimediabilmente capì che la missione
non era nulla di che, visto che avevano svolto tutto con il massimo della
discrezione e senza attirare l’attenzione, tralasciando quello scontro avvenuto
qualche ora prima. Ciò che non aveva previsto era il sentirsi male.
Quell’eterna sensazione di soffocamento, e di allerta, e di incompletezza.
Un qualcosa che [questa
volta] non si sapeva spiegare.
Camminando pacato affianco a Temari,
pensò divertito a cosa servisse avere un quoziente intellettivo pari a duecento
quando avevi a che fare con lei. Una tale testa dura.
Una tale seccatura.
Così semplice, così matura, così forte,
così bella.
Quasi, avrebbe voluto tornare indietro
nel tempo. Amarla ancora, come quel giorno. E poi, sarebbe riuscito a non
commettere ancora lo stesso errore?
«ehi, piagnucolone. Guarda che siamo vicini alla foglia. S’intravede il
portone, da qui» rivelò tranquillamente Temari, la foga di poco prima quasi
completamente svanita. E chissà perché.
Certo, – si ritrovò a pensare Shikamaru
– la mano destra carezzava con morbosa convinzione il ventaglio incastrato nel
nastro legato in vita e, se l’avesse stuzzicata com’era solito fare [prima, molto prima], sicuramente si sarebbe ritrovato con qualcosa di
rotto.
«lo vedo» borbottò in risposta, le mani
in tasca e i capelli mossi lentamente dal leggero venticello che si aggirava a
quell’ora nei pressi di Konoha. Il ragazzo si ritrovò a muovere la testa,
sentendo le ossa del collo scricchiolare sinistramente, reduci da quell’impatto
avvenuto durante la missione.
Patetico.
E pensare che quella botta, quel
fastidio, Asuma – e il sangue, e le parole, e il dolore – sembravano lontani
anni luce in quel momento che si stava concentrando, stranamente, sulla
giovane.
Un quoziente intellettivo pari a
duecento sarebbe bastato per avere a che fare con la forza di un ventaglio
scagliato con forza? Che domanda stupida.
E la cosa più stupida, fu ripensare a quel giorno…
*
«che cosa stupida!» rimbeccò Ino,
scotendo irritata la lunga coda bionda. Temari batté ciglio curiosa, osservando
dietro le spalle della Yamanaka e oltre al bancone del negozio.
Il profumo dei fiori le inebriò la
mente, offuscandole i sensi per qualche istante. Si guardò intorno, osservando
distrattamente tutti i fiori e le piante contenuti nei vasi, nel pieno della
loro bellezza.
Ino, in quel posto, non stonava affatto.
«cara Temari-san, non puoi accostare una rosa ad
un crisantemo! Lo sai che il crisantemo viene detto “fiore dei morti”? E’
assolutamente illegale mettere insieme un fiore di tale
bellezza come la rosa con un fiore smorto come il crisantemo! È stupido!»
aggiunse Ino accigliata, quasi Temari l’avesse insultata pesantemente.
«ah, fa’ come vuoi. Devo semplicemente
portarli all’Hokage come dono di visita, non sono esperta di fiori né mi
interessa esserlo. Metti qualcosa di decente insieme e dimmi quanto ti devo»
sbottò irritata la Sabaku, alzando gli occhi al cielo e sbuffando
sommessamente. Portò le mani in vita, aggiustandosi alla meno peggio il nastro
che teneva legato il kimono scuro. Sentì su di sé lo sguardo ceruleo della
Yamanaka, ma preferì ignorarlo, guardando altrove.
«curiosità. Dov’è il piagnucolone?»
domandò la ninja di Suna senza dare cenno di puntare gli occhi su Ino. La
bionda batté ciglio una, due volte, sconcertata. Smise di trafficare
freneticamente con l’incartamento dei fiori per guardare Temari, notando che
non la stava fissando.
«e chi sarebbe il piagnucolone?» chiese
acida, gli occhi cristallini che non smettevano di scrutare quella figura
davanti a loro. La kunoichi si decise ad alzare lo sguardo, incontrando quello
inquisitore della Yamanaka. Un lieve rossore imporporò le sue guance, anche se
fu abile a nasconderlo.
«Shikamaru Nara. Dov’è finito?» ripeté
con un misto di impazienza e garbo, poggiando le mani sul bancone della
fiorista e cominciando a picchiettarci sopra le dita in un ritmo veloce.
«ah. Shikamaru. Solitamente a quest’ora
va alla pietra dei caduti. Sebbene sia passato un po’ di tempo…non è ancora
riuscito a superare del tutto la morte di Asuma. Detto francamente, manca molto
anche a me. Io Shikamaru lo capisco» sottolineò
Ino, con un impeto di fierezza e passione nelle sue parole. Temari scrollò le
spalle.
«capisco. Quindi è per questo che si
comporta ancora così» affermò tranquillamente, afferrando velocemente il mazzo
di fiori che la Yamanaka le porgeva.
«già. Comunque sia, per il pagamento
passa più tardi. Ci vediamo» senza aggiungere nulla, Ino si allontanò e a
Temari venne in mente solo una cosa da fare: raggiungere Shikamaru.
«ehi»
«ehi»
Sabaku No Temari si accostò con lentezza
alla figura seduta sul terreno, piegata accanto ad una lastra di pietra nera.
Di certo, come iniziare una conversazione, non era il suo forte, ma non se ne
curò, appoggiando delicatamente il pesante ventaglio a terra.
«per quanto poco ti conosca…penso che
non sia da te stare qui seduto a fissare una pietra. Ti aspettavo steso a terra
a guardare le nuvole. E magari con un stelo d’erba in bocca, non una sigaretta»
rivelò la kunoichi pacatamente, incassando la testa nelle spalle.
Shikamaru non si voltò a guardarla,
piuttosto, si limitò a fissarla con la coda dell’occhio.
«in questo momento, questa pietra ha
molto più valore che delle semplici nuvole» bisbigliò appena, stando attento a
non far cadere la sigaretta a terra e mantenendola fra le labbra.
«lo so. Ma continuare a piangersi
addosso non serve a nulla. Né tanto meno, lo riporterà indietro.» disse
schietta Temari, alludendo con un vago gesto del capo alla pietra funerea.
Nara socchiuse gli occhi, assottigliando
lo sguardo. Afferrò la sigaretta con l’indice ed il medio della mano destra,
sputando nell’aria un piccola nube di fumo.
«non mi interessa. So perfettamente
quello che devo fare. Cosa credi mi serva un quoziente intellettivo, nh?»
punzecchiò, com’era solito fare, con tono quasi ironico.
«Nara, non mi prendere per
rincoglionita!» Temari si dilettò in una serie di epiteti poco carini o forse
chissà quale spiegazione, sicuramente un qualcosa che Shikamaru non sentì. O
meglio, non ascoltò. Date le circostanze, avrebbe potuto addormentarsi, ma la
presenza di Temari [e l’ineluttabile sentore di morte, vicino a lui] lo
convinsero a voltarsi seccato verso la ragazza, ancora intenta a parlare, e a
tapparle quelle labbra con le sue.
Avrebbe potuto trovare un metodo
migliore? Non lo sapeva.
Fece ciò che la mente gli aveva
suggerito di fare, inebriata dal vento,
soffocata da quel sentimento di sopraffare quelle parole che uscivano dalle
labbra come sangue copioso da una ferita, con un assordante silenzio.
«parli troppo, davvero. Sei una
seccatura»
Nessuno seppe mai cosa accadde dopo quel
bacio dato all’improvviso, dopo che quei due ragazzi si furono alzati e diretti
chissà dove, senza pensieri nella testa, senza fiori né Asuma che impediva loro
di prolungarsi in sensazioni che non avevano mai provato, ma che sentivano il
bisogno di condividere. Una sensazione che comunemente, sentivano di dividere
entrambi da tempo, l’una troppo orgogliosa per ammetterlo, l’altro troppo
sfaticato [e oppresso] per impegnarsi.
«Shikamaru…» quella voce; calda,
suadente ed invitante, lo richiamò all’attenzione, dopo che egli si era
smarrito nell’osservare distrattamente il soffitto latteo. Voltò in modo stanco
la testa, fino ad incontrare con i suoi, gli occhi di Temari. Lei, fasciata
fino al seno dal lenzuolo pallido, lo guardò di sottecchi, scrutandolo
nervosamente sebbene all’apparenza sembrasse calma.
«è stato un errore. Dimentica tutto»
Un qualcosa di non prevedibile, si
ritrovò a dire Shikamaru, mentre le sue labbra pronunciavano quelle parole.
Qualcosa che non avrebbe voluto dire ma che sentiva come un peso morto nella
gola.
Invece, per Temari, fu solo un peso
morto nel petto.
*
Il vento mosse con noncuranza i fili
dorati raccolti elegantemente in quattro code ai lati della testa.
Il vento mosse fragilmente quei capelli
d’ebano tirati su da una maldestra coda alta.
Occhi verdi si specchiavano in pozze
sottili quanto scure.
Occhi neri sfumavano in smeraldi grezzi.
Due cuori battevano insieme, dopo aver
terminato una missione, coscienti del fatto di doversi allontanare. Eppure,
coscienti di essere troppo legati per poter abbandonarsi così.
«quindi Tsunade era contenta… - gongolò
Temari soddisfatta, facendo finta di non sentire un’oppressione a livello del
cuore – è quello che conta. Non è stato per nulla difficile, infine. Né?»
spostò lo sguardo di smeraldo sulla figura di uomo affianco a lei, colui che in
quel momento se ne stava con le mani in tasca, la schiena indietro e le gambe
avanti.
«già» si limitò ad assentire Shikamaru,
evitando quando poteva gli occhi della Sabaku, trovando stranamente
interessante il terreno arido di quella zona.
E nessuno dei due accennava alla
discussione avvenuta chissà quanto tempo prima.
«fra…fra tre mesi sono cinque anni che
Asuma è morto. Verrai?»
Il vento si alzò, lieve, circondando
entrambi.
Accarezzò in quell’alito leggero d’aria
i visi dei due, facendo sospirare una e sussultare l’altro.
Per Temari, fu come una sensazione di
liberazione. Quel peso morto nel petto, con il quale condivideva ormai molte
esperienze, si alleviò appena, facendola rasserenare un poco.
Per Shikamaru fu come se quel vento lo
stesse spingendo – verso di lei – e intanto lo stesse soffocando di pentimento
e redenzione. Una salvezza perché sì, ciò che in quella missione aveva capito –
a contatto con Asuma, il sangue e il dolore, il vento e lei, lei Temari – era che
avrebbe potuto amarla. In un modo o nell’altro, ascoltando i consigli che una
volta Asuma si era divertito a dargli, ascoltando semplicemente quel fastidioso
e poderoso battito all’altezza nel petto che aumentava quando aveva la kunoichi
affianco.
Soffocante, un amore soffocante e difficile.
Ma per il quale valeva la pena battersi.
«fra poco ci sarà l’anniversario della
carica di Gaara, Ormai fanno quasi sei anni che è Kazekage. È una festa
importante. Sia per mio fratello che per me. Verrai?»
«Sai cosa Shikamaru? Penso che se davvero troverai quella
ragazza che sia in grado di spingerti, indurti a tirare su il culo e lavorare
per lei…Io sarò morto» dichiarò solennemente Asuma, passando sbadatamente la
mano nel pizzetto al mento. Shikamaru mugugnò.
«ancora con questa storia? Ovvio che sarai morto. Io non
voglio una ragazza e non ce ne sarà mai una che sia in grado di convincermi a
passare le mie giornate di beata vecchiaia a fare ciò che vuole lei. Insomma,
rinunciaci, davvero» assicurò per l’ennesima volta, puntando gli occhi sul
maestro che arricciò le labbra in un sorriso beffardo.
«sì, certo. Però mi giungono voci che stai facendo pure
concorrenza a Sasuke, in fatto di ragazze, vero?» domandò con tono complice.
«… – Nara rimase
momentaneamente senza parole, ripensando prima a Ino…e poi a lei, Sabaku No
Temari – chissà. Comunque sia, non m’impegnerei mai in questo genere di cose»
«non seguiresti la ragazza che ami?» La voce di Asuma si
fece più grave e seria.
«solo se lo riterrò opportuno»
«…fai bene»
Shikamaru e Temari non si guardarono
negli occhi, anzi, evitarono accuratamente di dar modo l’uno all’altro di
incatenarsi in un gioco di sguardi, com’era sempre stato.
In lontananza, le urla di Naruto Uzumaki
risuonavano allegre nei boschi, seguite da qualche balbettio sconnesso di una
vocina troppo acuta e femminile. Lì vicino, Sakura Haruno trascinava per un braccio
un alquanto riluttante Sasuke Uchiha verso una panchina imboscata fra le
piante.
Sia sul viso di Naruto, Hinata, Sakura
che di Sasuke, brillava un sorriso. Chi più accentuato chi solo un lieve
sogghigno, ma parevano felici.
E nessuno osava disturbare loro, che ancora stavano lì, a guardare per terra.
Entrambi desiderarono poter sorridere
come i loro amici, ma quelle domande per una conferma, [è amore
o no?] aleggiavano ancora nell’orecchie dei due giovani
senza una risposta.
Temari, [troppo, troppo orgogliosa] batté ciglio noncurante, provando ad essere
indifferente e, con un gesto veloce quanto fluido, superò tranquillamente
Shikamaru, sorpassandolo, sfiorandogli una spalla. Nello stesso momento,
Shikamaru [troppo, troppo indeciso] si
mosse verso il portone del suo villaggio, nella direzione opposta a quella
della Kunoichi di Suna.
Nessuno dei due vide gli occhi brillare
più del solito dell’altro.
Ma forse, il vento [che prima li aveva
soffocati e poi sollevati] che si aggirava leggero da quelle parti, avrebbe
portato quelle parole taciute a portata d’orecchio di entrambi.
«…verrò»
Fine
Oddio, l’ho scritta.
Beh, questa fanfiction ha partecipato
al concorso Shikamaru/Temari indetto da Bambi88 e Arwen5786 e si è classificata
quarta.
Detto francamente sono felicissima di
questo posto, perché era il mio primo concorso in assoluto e c’erano delle
bravissime autrici con cui è stato un piacere condividere l’ansia per i
risultati XD A dire il vero io sono appena tornata da una vacanza, quindi quando
mi sono vista alcune fic postate che avevano partecipato al concorso mi è preso
un infarto ^^”.
Ho lasciato così com’è la fic, in modo
che il giudizio combaci con la storia e con i miei errori ç_ç
Infine, voglio ringraziare tutte le
partecipanti al concorso e soprattutto le giudici. Vi adoro tutte quante!
Alla prossima, e recensite! *-*
Rory