Crush
- Scontro
Pov Avril
Sbuffai
scocciata, rivolgendomi verso
Gabriel.
“Sai,
per me la gente come Nicole e
Evan è geneticamente programmata per stare insieme. Come si
può essere tanto
egocentrici in un rapporto a due?”
“Beh,
non voglio immaginare quello
che dicono di te.”
Abbassai
gli occhi, guardando i miei
jeans. “Figuriamoci, non sanno neanche che
esisto…”
Rialzai
lo sguardo, osservando il
gruppetto di fronte a me.
Loro
erano i cosiddetti “popolari”,
conosciuti da tutta la scuola per la loro bellezza e ricchezza, un
po’ meno per
l’intelligenza.
“Brrr.
Ragazzi, a ore tre ci sono due
stranieri.” sentii mormorare Britney, una delle due ragazze
che facevano da
cagnolini a Nicole.
Appunto.
Nicole
mise le mani a coppa accanto
alla bocca e ci urlò:”Questi parcheggi sono
riservati ai bellissimi. Quindi,
niente mostri.”
Avete
presente quelle scene degli
anime giapponesi in cui al protagonista esce il fumo dalle orecchie e
vorrebbe
tanto picchiare qualcuno per la rabbia?
Ecco,
questo m’immaginavo di fare… se
non ci fosse stato Gabriel a trattenermi.
A
rincarare la dose, ci si mise anche
lui, il verme strisciante.
“Ehi,
cameriera, posso avere
un’omelette al formaggio? Grazie…” si
rivolse a me, con tono derisorio e
altamente irritante.
“Per
fortuna non sanno nemmeno che
esisti, eh?”, disse Gabriel, alzando il sopracciglio nella
mia direzione.
“Già…”
gli risposi, roteando gli
occhi.
Inchiodai
il verme con un’occhiata
assassina.
Se gli
sguardi avessero potuto
uccidere, lui a quest’ora sarebbe stato già morto
stecchito.
“Fanculo,
Taubenfeld.” mormorai, e
parcheggiai nell’unico posto disponibile, accanto ai
cassonetti dei rifiuti.
Non
male come inizio di giornata, eh!
Lo
stupido gruppetto si sparpagliò,
mentre noi sentimmo la campanella suonare e scendemmo in tutta fretta
dall’auto.
Arrivati
all’entrata, io
e Gabriel ci salutammo, dandoci appuntamento nel corridoio per andare
in mensa,
e ognuno andò a seguire la propria lezione.
Io
entravo in sociologia, mentre lui
in arte della recitazione.
Nonostante
tutto, gli feci un imbocca
al lupo mentale per il provino.
Intanto
che camminavo, presi la cartina degli stabili del campus e la esaminai.
Oggi
avrei ultimato il trasloco, finalmente, e avrei potuto passare la prima
sera
lontana da Judy. Sebbene la mattinata non fosse iniziata nel migliore
dei modi,
l’eccitazione e l’adrenalina scorreva dentro di me.
Non vedevo l’ora di
starmene un po’ per i fatti miei. Mentre osservavo
attentamente la cartina,
inciampai in una mattonella sporgente.
Cercai
di recuperare l’equilibrio per non cadere e mi scontrai con
qualcuno che stava
davanti a me. Per lo scontro, finii
a terra come al mio
solito, maledicendo il mio scarso senso dell’equilibrio e il
dolore per la
caduta.
“Che cazzo,
stai più
attenta!” mi disse una voce seccata che non mi era nuova.
Sollevai lo sguardo,
per conoscere
a chi appartenesse quella voce, e lo vidi. Che
cavolo, con milioni
di persone in questa università, proprio con lui dovevo
scontrarmi?!
Per
la
sorpresa, non riuscii a muovere nemmeno un muscolo e rimasi
lì a terra come una
stupida a fissarlo. I
suoi occhi mi scrutavano, mentre lui
mi guardava con superiorità e non faceva
niente per aiutarmi ad alzarmi. Ma guarda tu che
cafone!
Mi sollevai da sola e
cominciai a raccogliere da terra tutte le mie cose, che, nel cadere si
erano
sparse.
Continuava a
fissarmi,
senza dire niente, e sentivo che quello sguardo così
insistente mi stava incominciando
a dare sui nervi. “Si può sapere che cosa hai da
guardare, Taubenfeld?” gli
chiesi stizzita.
“Gli occhi
sono fatti per
guardare, non lo sai?” mi rispose ironico, senza smettere di
fissarmi.
Bene, era la seconda
volta in una mattina che non riuscivo sopportarlo. “Allora
cerca di guardare da
un'altra parte, mi infastidisci.” gli dissi, fulminandolo, e
dirigendomi verso
l’aula affollatissima.
Per fortuna, il
professor
Eccleston non era ancora arrivato, e mi ero risparmiata una grande
figura di
merda, dato che non ero entrata dopo di lui.
Presi posto in terza
fila,
in modo da seguire bene, e,
non
sapendo cosa fare, cominciai a fare degli scarabocchi sul mio quaderno
degli
appunti.
All’improvviso,
sentii un
rumore vicinissimo a me e mi girai.
Non era possibile,
stavo
avendo troppa sfiga per una giornata sola.
Lui si
sedette proprio accanto a me e, non so perché, la presi come
un’offesa. “Mi
stai seguendo, per caso?” gli domandai.
“Cosa?!
Assolutamente no,
anch’io devo seguire sociologia. E poi, secondo te, dovrei
perdere il mio tempo
a seguire persone come te?” Alzò il mento,
squadrandomi dall’alto in basso.
Dio, se solo avessi
avuto
una bella spranga dura e resistente…“Certo, e
immagino che invece le persone
che frequenti tu siano stronze esattamente quanto te,
giusto?”.
“Lo sai che
hai un bel
caratterino?” mi chiese invece, con un sorrisino strafottente.
“Felice di
saperlo. E adesso,
se non ti dispiace, vattene a fanculo e lasciami in pace.”
Si mise sulla
difensiva. “Ehi,
calmati, bellezza.”
Gli lanciai un altro
sguardo fulminante. “Cosa c’è della
parola fanculo che non hai cap-“
Sentii qualcuno
schiarirsi la voce davanti a me. Alzai lo sguardo e vidi un uomo sulla
quarantina e un po’ stempiato che ci guardava. Il professor
Eccleston.
Bene,
e menomale che dovevo risparmiarmi una
figura di merda…
“Ah,
Taubenfeld, ancora
lei. Si allontani dalla signorina Lavigne e vada a sedersi nella fila
di sopra,
forza.” Sospirò il professore.
Lo vidi alzarsi, con
un
sorriso divertito, e prendere posto nella fila sopra la mia. Io, con
gli occhi
bassi, guardai in giro, alla ricerca di occhiate divertite dal nostro
piccolo
siparietto. Purtroppo per me, l’aula era già piena
e molti mi guardavano sorridendo.
Farsi i fatti loro no, eh?
Sbuffai, mentre il
professore
si sistemava alla cattedra e iniziava la sua lezione.
Ogni tanto, oltre
agli
sguardi che continuavano a riversarsi su di me, osservavo di sottecchi
anche il
verme, che mi studiava con un sorrisino che non mi piaceva affatto. Se
le prime
lezioni erano così, non volli nemmeno pensare alle prossime.
Finita
l’ora lo vidi alzarsi
e dirigersi verso il corridoio.
Sistemai velocemente
i
libri nello zaino e seguii la massa di studenti che stava uscendo
dall’aula.
Ero ansiosa di
rivedere
Gabriel, volevo stare con qualcuno che mi facesse sentire bene.
Lo incontrai vicino
agli
armadietti, che mi aspettava.
Aveva
un’aria triste,
quasi… dispiaciuta.
“Ehi
Gabriel.” Lo salutai.
“Ehi.”
Le mie
supposizioni vennero confermate in pieno. Mi salutava sempre con
qualche
stupido nomignolo dei suoi, non era da lui dirmi un semplice ehi.
Doveva essere per
forza
triste e forse avevo intuito anche il perché.
“Beh…
com’è andato il
provino?” gli chiesi, sperando di non far danni.
Abbassò lo
sguardo dal
pavimento, guardandosi la punta delle scarpe. Ci avevo preso in pieno.
“E’
andato male, anzi, malissimo. Non hanno voluto neanche farmi finire il
pezzo. Che
giornata di merda!” esclamò irritato, rialzando lo
sguardo verso di me. Non sapeva neanche
quanto avesse ragione.
“E a te? Com’è andata la
giornata?”
“Lo stesso.
Mi sono scontrata
con Taubenfeld, quello stronzo, defic-“
Il mio discorso venne
interrotto da dei gridolini acutissimi. Tutta la grande folla, che si
dirigeva
verso la mensa, si divise improvvisamente in due parti, una a destra e
una
sinistra, lasciando misteriosamente il centro vuoto.
Mi alzai sulle punte,
per
vedere cosa cavolo stesse succedendo, e vidi Nicole e le sue cagnoline
camminare
nel mezzo del corridoio a passo sicuro verso la mensa, neanche fosse
una
sfilata di moda.
“Spostarsi,
spostarsi,
spostarsi.” gridavano agli ignari studenti, peggio dei robot.
Sentii due voci
maledettamente familiari parlare all’unisono
all’indirizzo di Nicole. “Nicoooole,
ciao amore! Come va?”
Oh no, che imbarazzo,
speriamo che nessuno scopra che sono le mie
sorellastre,
pensavo nel panico.
Janette e Aurore
correvano
starnazzanti e con dei mega sorrisi verso le tre ragazze, che le
salutarono
falsamente, per poi, per mia fortuna, sorpassarle.
Mentre loro
smettevano di
sorridere, deluse per non essere state ancora una volta invitate nel
gruppo
delle “bellissime”- per forza, di bellissimo loro
non avevano proprio niente -,
osservai i loro vestiti, così diversi dai miei. Se io
indossavo una semplice
felpa con dei jeans neanche tanto attillati, loro andavano in giro
sempre con
roba firmata, comprata dalla loro dolce e amorevole mammina,
ovviamente. Se
questo significava essere figlie di Judy, allora preferivo vestirmi
come una
barbona.
“Perché
tolleriamo quelle
due befane?” sentii Nicole chiedere a Britney.
“Per la
borsa firmata che
ti hanno regalato al compleanno.” le rispose.
“Che poi si
è rivelata
una volgare imitazione!” aggiunse prontamente Shelly,
l’altra ragazza che
faceva parte del gruppo a tre.
“Ah,
dimenticavo.” concluse
altezzosa Miss Barbie, prima di spalancare le porte e di entrare in
mensa.
Voltai lentamente lo
sguardo verso Gabriel, che era scioccato quanto me per la scena.
”Dai, andiamo.”
sussurrò.
***
Eccomi
qua, people.
Muahah,
che ne dite di questi due baldi (?) giovani?
Vi
piacciono insieme? :3
Questo
capitolo è dedicato a Glaphyra, so che le piacerà
e non poco. (PandoraHearts è
superfigherrimo (?) *-*)
Bueno,
ci vediamo al prossimo!
*evaporizzazione
in corso*
Cruel
Heart.
P.S.
Altra mia ff. Remember
Me