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Autore: Water_wolf    01/12/2013    10 recensioni
Tutti conoscono Percy Jackson e Annabeth Chase. Tutti sanno chi sono. Ma ancora nessuno sa chi sono Alex Dahl e Astrid Jensen, semidei nordici che passano l'estate a sventrare giganti al Campo Nord.
Che cos'hanno in comune questi ragazzi? Be', nulla, finché il martello di Thor viene rubato e l'ultimo luogo di avvistamento sono gli States.
Chi è stato? No, sbagliato, non Miley Cyrus. Ma sarà quando gli yankees incontreranno il sangue del nord che la nostra storia ha inizio.
Scritta a quattro mani e un koala, cosa riusciranno a combinare due autori non proprio normali?
Non so bene quando mi svegliai, quella mattina: so solo che quel giorno iniziò normale e finì nel casino. || Promemoria: non fare arrabbiare Percy Jackson.
// Percy si diede una sistemata ai capelli e domandò: «E da dove spunta un arcobaleno su cui si può camminare?» Scrollai le spalle. «L’avrà vomitato un unicorno.» «Dolcezza, questo è il Bifrost» mi apostrofò Einar. «Un unicorno non può vomitare Bifrost.»
Genere: Avventura, Comico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Annabeth Chase, Gli Dèi, Nuovo personaggio, Percy Jackson, Quasi tutti
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache del Nord'
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Achtung: Water_wolf è una ragazza, sesso femminile, periodo rosso ogni mese. AxXx  ( http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=218778 ) invece è un ragazzo, sesso maschile. Grazie per l'attensione :)

Parlo con i miei e demolisco un aeroporto

 
•Alex•

Figlio di Odino, sei un vero idiota, continuavo a ripetermi, certo che, prima o poi, mi sarebbe scoppiata la testa per i troppi pensieri.
Perché cavolo l’avevo scelta!? Non eravamo fidanzati, non amici stretti e, se fossimo tornati da quel viaggio, Hermdor ci avrebbe scuoiati vivi… se fosse stato di buon umore.
Ok, ammetto che ero un po’ protettivo verso di lei, ma era nulla più che amicizia. La vedevo semplicemente come una persona che aveva bisogno di aiuto, quando tutti  gli altri, invece, ti odiano. Ma alla fine, sapevo che non era solo quello: io e lei eravamo amici da quando avevamo compiuto dodici anni; avevamo passato le estati ad allenarci insieme, ogni agosto davamo insieme la caccia ai giganti nelle pianure di Asgard.
Quando la vidi per la prima volta, nemmeno sapevo chi fosse la madre o il padre, mi ispirò subito simpatia. Io rimanevano la maggior parte dell’anno al Campo e avevamo passato un paio di estati insieme, ma Astrid non aveva stretto particolari legami. Stava per avere degli amici quando le apparve il marchio di Hell. E allora le cose andarono sempre peggio.
In poco tempo venne isolata e bollata come la Figlia di Hell, che ormai sembrava quasi un insulto. Adesso, avevo messo l’onore, mio, suo e quello di tutta l’Orda del Drago sul piatto della sorte. Non potevo prevedere cosa sarebbe accaduto. Se non ce l’avessimo fatta la colpa sarebbe stata in ogni caso di Astrid, anche se non mi sarei fidato di nessun altro per coprirmi le spalle. Il suo nome sarebbe stato maledetto e io con lei, dato che avevo scelto io di portarla con me.
Ecco perché stavo mietendo decine di manichini.
La mia spada roteava in aria come una vespa impazzita ed emetteva un sibilo ogni volta che facevo saltare un bracco o una gamba di legno –ero diventato il Flagello dei Manichini. Non ebbi pietà, dovevo scaricare la tensione, ma non ci riuscivo. Continuai a massacrarne ancora con una ferocia incredibile, incurante che, probabilmente, mi avrebbero dato del pazzo se mi avessero visto.
Dopo un ora circa, però, nulla era cambiato dalla situazione iniziale –a parte i manichini a cui avevo cambiato i connotati-, così decisi di smettere prima di dover risarcire l’intera riserva di bersagli del campo. Cos’altro avrei potuto fare?
Controllai l’orologio. Le dieci e un quarto di notte. A quell’ora solo i Capi dell’Orda e le sentinelle elfiche potevano stare alzate, quindi non avrei avuto risse da sedare. Possibile che quando ne avevo bisogno non ce n’erano?
D’altro canto non potevo stare lì a girarmi i pollici, circondato dagli inquietanti resti di quei poveri manichini. Inoltre, ero troppo nervoso per poter chiudere occhio, così decisi di fare l’unica cosa che di solito non facevo: andare al tempio di mio padre.
Il Tempio di Odino era frontale rispetto al Forte Principale e il più grande di tutti. Una costruzione all’apparenza semplice, ma che emanava il suo potere al di sopra degli altri. Costruito in legno e pietra, simile ad un enorme baita, ma con il tetto più alto formato da scudi rotondi; l’ingresso era sormontato da due alte colonne incise di rune, ognuna simbolo di difesa, protezione, fuoco e guerra.
L’interno era molto più bello e particolareggiato: i muri erano affrescati e raffiguravano le grandi imprese di Odino con i suoi fidi compagni, tra i quali Hugin e Mugin, i due corvi che lo informavano di tutto ciò che accadeva nel mondo. Statue di mio padre erano poste ai piedi delle colonne, in pose sempre diverse, spesso aggressive, ma altre in posizione di riflessione, come se stesse cercando la soluzione ad un rompicapo. Infine, alla fine della navata, dietro il fuoco sacrificale, la statua principale.
Odino era raffigurato con le sembianze di un vecchio e potentissimo guerriero vichingo che indossava la tradizionale armatura e un elmo alato, tutto scolpito nell’oro. L’unico occhio scrutava con attenzione davanti a se, quasi a voler trapassare coloro che si inginocchiavano davanti a lui. Nella mano destra teneva ben salda la sua lancia Gungnir, simbolo del suo immenso potere guerriero.
Rimasi un attimo a contemplare quella statua con un certo interesse. Difficile pensare che fosse mio padre. D’altro canto, mia madre lo conobbe sotto vesti ben diverse. Lei era una biologa marina, esperta di animali delle acque fredde. Non se la passava male, ma non era una specialista rinomata, per questo io continuavo a chiedermi come mai Odino si fosse preso la briga di apparire un ragazzo di venticinque anni per far colpo su di lei.
Mia madre, però, si prese una bella cotta e papà si inventò la storia che aveva perso un occhio in un incidente d’auto –dèi, papà, devo regalarti un libro di “scuse semplici e veloci per cambiare discorso”, perché questa era banale. Tutto andò bene finché non nacqui io.
Odino sparì per cinque anni, nemmeno fossi Fenrir in persona, e ogni mostro nel raggio di due mondi e mezzo non vide l’ora di prendermi per farmi fare la fine della cena. Mia madre perse il lavoro e iniziò a essere aggredita quasi ogni giorno. Alla fine, però, papà dovette aver avuto un po’ di coscienza, quando apparve davanti a noi spiegando la situazione.
Dotò la mamma di una difesa magica che avrebbe impedito al grosso dei mostri di attaccarla, mentre io… diciamo che non ero facile da nascondere, ma ci provò. Tuttavia capii presto che ero la causa di tutto, così, un giorno dopo il mio nono compleanno, presi zaino e mi misi in marcia accompagnato da un elfo, verso il Campo Nord. Odino aveva tentato di portarmi lì anni prima, ma la mamma non voleva separarsi da me, così dovetti aspettare di avere la mappa tra le mani per partire.
Senza di me, le cose le andarono meglio: trovò un nuovo lavoro e riuscì a pagare l’affitto completo. Ogni tanto tornavo a trovarla, ma mai troppo a lungo. Per lo più passavo qui tutto l’anno ad allenarmi. Finalmente, però, avevo la possibilità di cimentarmi in un viaggio vero, fuori da questo Campo che ormai iniziavo a sentire sempre più piccolo. Volevo uscire, vedere nuovi posti –che sicuramente avrei distrutto-, conoscere gente nuova e molto altro.
«Ciao, papi» salutai allegramente, scuotendo la mano davanti alla statua.
Probabilmente, se fosse stato vivo, un gesto del genere l’avrebbe pietrificato –il che non faceva molta differenza, visto che salutavo una statua.
«Come va ad Asgard? Immagino che il mio fratellone si stia lamentando parecchio» continuai, facendo finta che davanti a me non ci fosse solo una montagna d’oro scolpita.
«Digli che riprenderemo il suo martello e glielo riporteremo senza un graffio. Dato che andiamo a Long Island, potrei fermarmi un attimo a New York per prendere qualche souvenir… cosa preferisci? Io, personalmente, adorerei una miniatura della Statua della Libertà.»
«Portami una maglietta I LOVE NY, ancora mi manca.»
Preso alla sprovvista, reagii senza pensare: estrassi il coltellino svizzero, che assunse le sembianze di una spada lunga e mi voltai imprecando un «Dritt!*» per colpire il misterioso intruso. Avrei potuto tagliargli la testa se la sua lancia non mi avesse fermato.
«Oh… ciao, papi» salutai, mentre rinfoderavo la spada.
Benissimo, avevo appena rischiato di decapitare il mio padre divino. Non che ciò l’avrebbe realmente ucciso, ma dubito fortemente che ad un dio faccia piacere doversi andare a cercare la testa per tutto il tempio.
«Be’, figliolo, sei proprio teso» disse il dio con calma quasi noncurante, mentre si sedeva su uno dei tanti sgabelli che punteggiavano la navata centrale.
Al contrario da come era raffigurato nella statua, a me apparve come un uomo sui quarant’anni, con una barba abbastanza lunga, l’occhio era bendato con cura e l’altro scrutava ogni angolo come se dovesse individuarne ogni più piccolo particolare.
Indossava un’uniforme militare da generale, con al petto un gran numero di medaglie al valore e riconoscimenti, ma era stata personalizzata con una scritta a caratteri rosso sangue un po’ inquietante sulla schiena: «Una buona strategia è una grande vittoria» Il suo motto, in pratica.
«Allor, andrai proprio negli States, eh? Be’, stai attento, quella non è zona nostra. Abbiamo avuto dei problemi, in passato, là» annunciò subito il Re degli Dèi, stringendo i denti, come se qualcosa lo stesse rendendo nervoso.
«A quanto pare sì, lì è stato segnalato il martello l’ultima volta, direi che non c’è altro luogo dove andare» risposi, scrollando le spalle. Non capivo il motivo di tanta preoccupazione. A parte, certo, i mostri, il furto di un oggetto così potente e le poche possibilità di ritorno.
«Lo so, ma stai attento e non ti sorprendere troppo se avrai delle sorprese. Non saltare subito alle conclusioni e guardati dal ladro» mi raccomandò, osservandomi intensamente con l’unico occhio che aveva.
«Lo so. Di certo non sarà un problema. Riporteremo indietro Mijolnir.»
«Sta’ attento, stai guardando l’obbiettivo senza visualizzare gli ostacoli. Cosa sai delle nostre armi divine?»
Io scrollai le spalle, sorpreso da quella domanda. Non capivo cosa dovevo sapere: erano armi. Certo, potentissime, impregnate dal potere degli Dèi, ma erano pur sempre normalissime armi. Mjiolnir era la più famosa perché era nominata nel fumetto di Thor, ma a parte quello, non avevo idea di cosa le rendesse diverse dalle altre.
«Non ci arrivi, eh?» chiese mio padre, come a leggermi nel pensiero.
Con una mossa veloce lanciò Gungnir a un paio di metri di distanza, come se fosse un normale bastone e mi guardò.
«Raccoglila.»
Non capii il motivo di quella richiesta, ma ubbidii, provando a prenderla. Ma subito capii che non ci sarei riuscito. La lancia si era fatta pesantissima, come se un magnete la stesse tenendo incollata a terra. Tirai di nuovo, fino a farmi dolere la schiena, ma Gungnir rimase attaccata a terra.
«Hai visto?» domandò Odino seriamente, richiamando a sé la lancia come se pesasse quanto una piuma. «Il ladro dev’essere qualcuno di molto potente. Le nostre armi fanno parte di noi, non sono solo ferraglia. Sono parte della nostra anima e del nostro potere.»
Le implicazioni mi preoccuparono non poco, ma ancora non capivo cosa mi volesse dire. Se mio padre si era fatto vedere la situazione era grave e anche il furto di Mijolnir non era roba da poco, c’era ben altro dietro.
«Quindi… a cosa porterebbe un furto del genere?» chiesi, cercando di avere risposte meno vaghe.
«D’accordo, te lo dirò chiaramente. Una scomparsa del genere potrebbe portare all’annullamento dei poteri di Thor. È come se gli avessero tolto parte dell’anima e presto il potere del nostro più potente difensore svaniranno. E se ciò accadesse, non dovremmo aspettare il Ragnarock per vedere Asgard distrutta.»
Ecco, avete presente quei momenti in cui i genitori ti mettono davanti ad un problema talmente grosso che ti sembra impossibile da superare? Moltiplicate per mille la sensazione che provate ed ecco come mi sentii io in quel momento. Certo che mio padre sapeva come motivare una persona.
Soprattutto quando si trattava di salvare Asgard.
«Perciò, dobbiamo fare in fretta. Qualche suggerimento?»
«Sì» disse lanciandomi un cellulare: uno smartphone di ultima generazione. «Chiama tua madre.»
Prima che io potessi controbattere era già sparito.
Odio dal profondo del cuore quando i genitori spariscono in momenti cruciali. Speravo in un consiglio, non in un problema. Non avevo proprio voglia di spiegare a mia madre che sarei partito per una missione pericolosissima e, probabilmente, senza ritorno. Non che avessimo un brutto rapporto, anzi, si era presa cura di me anche quando tutti i mostri nel raggio di un chilometro ci saltavano addosso. Direi che potrebbe essere classificata come “mamma modello”. Ci vedevamo per pochi giorni all’anno, forse solo un paio di settimane, quando andava bene, ma non mi trattenevo troppo per paura che arrivassero altri mostri. Nonostante tutto, però, non me la sentii di lasciarla all’oscuro di tutto.
Digitai il numero e sullo schermo apparve la foto di una donna sui trentacinque anni, forse di più. Il viso dolce, con qualche imperfezione dovuta all’età. I capelli erano lunghi, castani e tenuti in una coda che le ricadeva sulla spalla. Gli occhi azzurri luminosi tradivano un sorriso che celava dietro un’espressione seriosa.
«Pronto?»
Attesi un attimo.
«Mamma? Sono io, Alex…»
«Alex! Tesoro, come stai?»
Dal tono della voce intuii che era felice di sentirmi, ma anche preoccupata, dato che raramente la chiamavo.
«Io sto bene, il Campo è normale, ma… diciamo che mi allontanerò per un po’.»
Era la verità, ma mi sentii in colpa per non aver avuto il coraggio di riverarle nulla. Dopotutto mi ero ripromesso di parlarle, ma non volevo farla preoccupare. Solamente che si inquietò lo stesso.
«Ti… allontanerai? Hai combinato qualcosa? Ti hanno buttato fuori.»
«No, no! Solo che… diciamo che io e alcuni amici andiamo di America, a New York, per la precisione. Abbiamo programmato tutto, quindi non preoccuparti» mi affrettai a rassicurarla. La conoscevo e quando si trattava della mia sicurezza era un po’ pressante.
«Meno male. Portami qualche souvenir e vienimi a trovare appena torni» mi raccomandò, evidentemente più tranquilla.
«Certo, mamma, buonanotte.»
«Buonanotte, tesoro.»
Appena riattaccai, il telefono mi sparì tra le mani creando un piccolo arcobaleno luccicante. Probabilmente Odino l’aveva riportato a casa usando un Bifrost in miniatura. In ogni caso, ero stato un idiota: avrei dovuto informarla di tutto, ma voi avreste il coraggio di dire ai vostri genitori che state andando a morire? No, direi di no.
Ma forse fu proprio per il rimorso che il giorno dopo sembrai uno zombie, prima di partire. Mi vestii stancamente e raccolsi i miei pochi averi per la partenza. Nello zaino avevo messo un sacco a pelo, due merendine, una bottiglietta d’acqua, tre pozioni lenitive, un assortimento di rune magiche sempre utili e, ovviamente, la mia spada in Mithirl che era regredita a coltellino svizzero. Avevo anche una bussola, una cartina e un pad speciale che mi permetteva di individuare il segnale del martello, in caso questi si fosse attivato.
Davanti al Forte Principale, Astrid mi aspettava insieme a Hermdor. Lei aveva legato i capelli e si era preparata al meglio, vestendo abiti semplici e resistenti, non troppo pesanti e riempiendo lo zaino con altrettante cose utili. Sorrideva ed aveva l’aria di una che stava per decollare dall’entusiasmo, trattenuta però dall’impassibile severità del nostro direttore che, a quanto pareva, stava già pensando a qualche terribile punizione da darle nel caso fosse tornata.
Solo Sarah mancava; il che era strano, dato l’entusiasmo con cui aveva accolto la notizia ieri sera. Le imprese erano un evento raro e la maggior parte di noi attendevamo pazientemente per poterne vedere una. Grande era la cerimonia del ritorno, se si ritornava e lei si era subito messa all’opera per fare i bagagli.
«Si sarà dimenticata qualcosa?» domandò, perplessa, Astrid, notando quanto ancora fosse tranquillo il Campo. In effetti erano le sei e mezzo del mattino e si sarebbe dovuta notare subito, dato che la maggior parte dei semidei era ancora nel regno dei sogni.
«Vai a chiamarla» ordinò Hermdor, perentorio. In effetti anche io volli farlo, dato che il suo ritardo era abbastanza sospetto.
Tornai all’alloggio dell’Orda del Drago e raggiunsi le stanze degli ufficiali. Al contrario di quelle degli altri soldati erano singole e spaziose.
Bussai alla porta.
Sentii uno strano rumore, come se qualcuno stesse chiudendo velocemente una porta, dopodiché Sarah aprì. Era vestita con jeans e felpa, cosa che, già di per sé, trovai strana, dato che di solito le figlie di Eir si vestivano in pelle come centaure incallite, ma non ci badai.
«Scusa il ritardo, mi sono dimenticata una cosa» disse un po’ trafelata, mentre si metteva in spalla lo zaino.
Non ero molto convinto, ma non notai nient’altro di strano. Nulla era stato distrutto, spostato o toccato, quindi non ebbi di che ridire.
«Sbrigati, non vorrai rimanere qui!» la spronai, ancora un po’ indeciso. Una parte di me mi stava avvertendo che qualcosa non andava, ma la ignorai.
Quando fummo tutti riuniti un gruppo Hermdor, prese dalla tasca una specie di palmare e, premendo lo schermo touch-screen, disattivò a distanzia le difese automatiche.
«Un elfo vi porterà in macchina fino all’aeroporto, ma da lì in poi sarete soli. Cercate di non morire troppo presto e siate l’orgoglio di Asgard!» ci incitò, dandoci, per buona misura, delle vigorose pacche sulla spalla.
Mentre scendevamo dalla collina, continuò a ricordarci quanto fosse pericolosa un impresa del genere, quanti pericoli mortali ci avrebbero aspettati e un sacco di altre cose rassicuranti riguardanti gli squartamenti e il taglio di netto degli arti. Certi tizi sanno come far leva sul morale.
Una volta attraversato il campo minato, il filo spinato e la barriera arrivammo sulla strada dove ci aspettava un grosso fuoristrada in mimetica che sembrava pronto a trasportare un battaglione. Alla guida un alto elfo, longilineo, dai capelli neri lunghi e gli occhi profondi.
«Andiamo, svelti!» ci incalzò lui, mentre ci sistemavamo nei sedili posteriori chiudendo la portiera blindata.
Ora, fuori dalle difese del Campo, eravamo vulnerabili. Ogni mostro nel raggio di miglia ci avrebbe fiutato.
Oslo distava pochi chilometri dal Campo Nord, quindi raggiungere l’aeroporto non fu complicato; questione di minuti. Continuavamo a guardare attentamente dai finestrini per assicurarci che non ci fossero nemici già pronti a prenderci, ma arrivammo all’aeroporto ancora interi. Forse ero stato troppo pessimista.
«Che Odino vi protegga» ci augurò l’elfo, mentre ripartiva.
Noi, con i nostri zaini in spalla, ci inoltrammo all’interno dell’aeroporto guardinghi. Orchi, goblin e ogre potevano benissimo passare per umani, coperti dalla Nebbia, quindi dovevamo tenere gli occhi aperti per non essere presi in trappola.
Sarah si mise in coda allo sportello per convalidare i biglietti, mentre io e Astrid ci sedemmo accanto, tenendola d’occhio e cercando di non farci distrarre dalla Nebbia, ma nessuno sembrava interessato a noi, se non un paio di passanti che ci chiesero informazioni riguardo al volo 34 che partiva per Roma -turisti, senza dubbio.
Mi sembrava troppo facile. Come mai non ci avevano ancora attaccati?, mi chiesi, insospettito. Di solito ero un bersaglio dei mostri, solo io, dopo due metri fuori dal Campo. Possibile che tre semidei di discreta forza non li attirassero?
Datemi pure del pessimista, ma a me non piaceva tanta calma.
Sarah tornò dopo dieci minuti, sventolando entusiasta i tre biglietti convalidati: viaggio di ventiquattr’ore diretto da Oslo a New York.
Mancava solo un quarto d’ora alla partenza, così ci mettemmo subito in fila.
Stavamo per imbarcarci quando un urlo squarciò l’aria.
Ci voltammo tutti e tre verso l’entrata dell’aeroporto dove la gente si disperdeva in preda al panico. Le porte di vetro erano state abbattute come se qualcosa di grosso ci fosse saltato dentro.  I mortali fuggivano in ogni direzione, cercando di evitare la pioggia di detriti che ci impediva di vedere cosa stava succedendo, ma poi lo vidi.
 Un essere lungo almeno dieci metri e largo quattro, protetto da resistenti squame come quelle di un drago. Le dimensioni erano quelle di un autobus. Dalla bocca saettava la lingua biforcuta e gli occhi gialli osservavano la gente alla ricerca di qualcosa: noi.
Lo sapevo… troppo facile.
Tipico della sfortuna semidivina: non puoi entrare in un edificio pubblico senza portarti dietro un mostro. Almeno non mi avevano mai fatto pagare i danni.
Impugnai la mia fida spada che prese la forma di una spada lunga.
Davanti a noi c’era un Wyrm** che stava demolendo l’intero aeroporto per trovarci.

 
*Dritt: merda in norvegese
**Wyrm: parola che, genericamente, indica i draghi e le creature affini nella mitologia Norrena, qui, però, ho rimaneggiato la parola per indicare delle viverne a quattro zampe.
koala's space.
Buonasera a tutti! Incredibile a dirsi, ma questi due autori sono riusciti a pubblicare in un momento che non sia a cavallo tra la notte e il giorno. Lascio la parola a AxXx^^
Salve gente :D Per rendere la storia più abbordabile e meno complicata, abbiamo deciso di semplificare certi aspetti della mitologia Norrena (forse questa nota stava meglio all’inizio).
I norreni avevano una ventina di divinità, più quelle minori e i giganti. Problema è che, però, le informazioni su di essi sono molto poche, frammentarie e, spesso, contraddittorie. Per questo abbiamo ridotto il numero a tredici(in realtà sarebbero dodici, in quanto Hell è considerata una divinità malvagia assestante). Quindi ho fatto in modo che alcune divinità "assorbissero" le caratteristiche di altre simili in modo da non creare contraddizioni(il sole, per esempio, veniva associato a Baldr e altre due divinità minori).
Infine ho voluto omettere la divisione tra dei Vanir e Aesir, in quanto molte informazioni sui primi sono mancanti e, in pratica, ho deciso di farli riunire.

Vanir e Aesir sono due le due famiglie degli dèi nordici, anche se sulla prima abbiamo trovato poco e nulla. Ho trovato però, una persona che non sapeva scrivere touch-screen *angelica*
-.-

Speriamo vogliate ancora dirci cosa ne pensate, accettiamo tutti i tipi di recensioni, scleri ed eucalipto. E biglietti di Catching Fire gratis, perché quel film vale la pena di essere visto almeno dieci volte.
Un saluto!^^
 
Soon on "Sangue del Nord": pov di Astrid, l'eliminazione di un lucertolone, una rivelazione un tantino sconcertante e l'incontro con T.....
 
  
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