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Autore: Lily_90    05/05/2008    15 recensioni
Fu nel 1968 che per la prima volta il nerbo di un movimento di trasformazione radicale fu costituito da un ceto intellettuale per antonomasia: gli studenti.
Il Sessantotto fu l'anno della “contestazione globale” , della rimessa in discussione del rapporto genitori-figli, docenti-studenti, rapporti basati fondamentalmente sul principio d'autorità. Questa coscienza autocritica nei confronti di chi deteneva da sempre il potere si manifestò con cortei studenteschi di piazza, occupazioni delle sedi universitarie, in cui a parlare per la prima volta furono i giovani, che si volsero al futuro come protagonisti coscienti della propria vita.
Il 1968 fu anche e soprattutto l'anno dell'emancipazione femminile.
“- Io non voglio finire come mia madre - mormorò d'un tratto Temari, il capo chino. - La donna è un altro essere rispetto all'uomo, e la sua coscienza non può essere definita in base alle decisioni dell'altro. Io voglio essere libera di pensare, agire, di essere ciò che sono, senza che mio padre, i miei fratelli o mio marito m'impongano le proprie scelte. Io voglio essere libera di decidere per me. Compreso essere libera di sbagliare. Sono stanca di dover sottostare al potere decisionale di mio padre, e so che se mi sposerò dovrò sottostare a quello di mio marito. Non sono una povera femminuccia impaurita incapace d’intendere e di volere! Io voglio avvalorarmi nel lavoro, desidero autonomia. Per una donna non esistono solo pentole e figli, anche se immagino che questo è un concetto difficile da accettare per un misogino come te – impervase con fervore, senza più fiato, gli occhi sfavillanti come due fiaccole. “
Una ff ambientata durante l’Italia del ’68.
TERZA CLASSIFICATA a parimerito con Kaho_chan al concorso ShikaTema indetto da bambi88 e arwen5786
Genere: Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Temari, Shikamaru Nara
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Just Prima parte

Just as long as you stand by me, my darlin'


Fu nel 1968 che per la prima volta il nerbo di un movimento di trasformazione radicale fu costituito da un ceto intellettuale per antonomasia: gli studenti.
Il Sessantotto fu l'anno della “contestazione globale” , della rimessa in discussione del rapporto genitori-figli, docenti-studenti, rapporti basati fondamentalmente sul principio d'autorità.
Questa coscienza autocritica nei confronti di chi deteneva da sempre il potere si manifestò con cortei studenteschi di piazza, occupazioni delle sedi universitarie, in cui a parlare per la prima volta furono i giovani, che si volsero al futuro come protagonisti coscienti della propria vita.
Il 1968 fu anche e soprattutto l'anno dell'emancipazione femminile.
Movimenti di liberazione della condizione sociale e sessuale della donna furono espressi con autonome manifestazioni di piazza.
La questione emerse per lo più nel pieno degli anni Settanta, ma è proprio grazie a questi primi moti del ‘68 che la contestazione femminile divenne poi un fenomeno di massa.
Per esempio, prima del Sessantotto, una ragazza che ritornava a casa con mezz'ora di ritardo per la cena si prendeva come minimo due schiaffi, perché il contrattempo era ritenuto di per sé losco, e magari collegato a implicazioni di natura sessuale.
Durante quell'anno e dopo, quella stessa ragazza che rimaneva a dormire fuori a occupare l'università con i suoi compagni, non si prendeva nessuno schiaffo, ma l'avvenimento coinvolgeva tutta la famiglia in una discussione seria.
Ma questo non accadeva nel ‘68 nella famiglia Sabaku no, fondata saldamente sul rispetto per il capofamiglia, per i valori tradizionali del sistema borghese.
Secondo l'intransigente morale del Signor Sabaku, la donna dipendeva dalla figura maschile, quindi una donna prima di essere tale, era figlia, moglie e madre. E lui aveva provveduto ad aggiogare a un morso troppo stretto la moglie e l'unica figlia femmina: Temari.
Temari lo metteva a disagio durante i grandi pranzi domenicali con i dirigenti di fabbriche, suoi colleghi. Lei esprimeva ideali, secondo il Signor Sabaku, rischiosi circa la libertà sociale e sessuale della donna. Declamava in modo pericoloso che la donna doveva prendere coscienza di sé, decidere autonomamente della propria vita, essere libera di essere se stessa e non desiderare di nascere uomo, come faceva invece arguire la società del tempo.
E queste audaci argomentazioni, sopra la tavolata di uomini altoborghesi, erano ritenute sconvenienti e troppo autocritiche per una femmina, considerata da secoli esclusivamente come l'angelo protettore del focolare famigliare.
Temari si prendeva due schiaffi dal padre, che la relegava in camera.
Il Signor Sabaku no credeva fermamente che questa rigida educazione sortisse i suoi effetti, e una volta che avrebbe trasformato Temari nella donna servile che lui si prefigurava, l'avrebbe maritata a uno di quei “figli di papà” degli alti quartieri di Roma.
Le aveva concesso l'università giusto per tenerla a bada.
Ma il Signor Sabaku non sapeva che un cavallo troppo tirato per la briglia, quando si ferma di colpo, il morso gli sguscia dai denti.


***

Aprile, 1968.
Era pomeriggio.
Temari stava inginocchiata sul bancone della prima fila, a destra dell'altare.
Bisbigliava parole confuse, una preghiera recitata a bassa voce, le mani giunte sul piano d'appoggio e gli occhi bassi, come in segno di prostrazione.
L'abito bianco, stretto sul busto, scendeva dalla vita con una gonna a pieghe. I lembi si ripiegavano su se stessi, sull'inginocchiatoio ligneo che martoriava le ossa.
Non era ora di liturgia, e lei stava lì per confessarsi.
Ma questo era quello che aveva raccontato a suo padre.
Intrecciò le dita, nervosa, chiedendosi quando quello stupido di un moretto fosse andato a prenderla.
L'aveva chiamato dalla cabina telefonica nel primo pomeriggio, ma era già una buona mezz'ora che stava aspettando lì, inginocchiata, fingendo di recitare rosari. E a Temari non piaceva aspettare.
Si passò una mano fra i capelli per conferirgli maggiore volume e un paio di ciuffi ribelli le ricaddero obliqui davanti ai grandi occhi verdi.
Temari emise un pesante sospiro, guardandosi attorno con circospezione. Un sacrestano passava di tanto in tanto e si genufletteva di fronte all'altare; per tutta la chiesa, fino all'alta cavità delle campate del soffitto, si diffondevano il profumo degli incensi e il fulgore dei ceri; tese le orecchie, ascoltando quel silenzio solenne che metteva in risalto il tumulto del suo cuore.
- Quando arriva lo ammazzo, quando arriva lo ammazzo, quando arriva lo ammazzo - sussurrò Temari, pronunciando le parole con tono frenetico.
- Pregavi per me, seccatura?! - .
Voce atona, intonazione strascicata.
Intonazione che la irritava e la eccitava al tempo stesso.
- Mi hai fatto aspettare mezz'ora - sbottò Temari, in un acido bisbiglio, mantenendo lo sguardo fisso sull'altare e fingendo di pregare.
Shikamaru roteò gli occhi.
Oltretutto che si era scomodato per andarla a prendere.
Questo era il dolce e il gentile ringraziamento.
- Che seccatura - biascicò lui, inginocchiandosi affianco alla bionda. Senza accorgersene poggiò un ginocchio su un lembo del vestito a mezze maniche di Temari, e con fare tedioso si frugò nella tasca della camicia.
La ragazza lo vide con la coda dell'occhio sfilare una nazionale dal pacchetto e afferrarla fra i denti.
- Per Dio, siamo in chiesa! - sbottò Temari, togliendogli bruscamente la sigaretta dalla bocca e stritolandola in un pugno.
Shikamaru sbuffò, lo sguardo annoiato.
Neanche fumare si poteva più fare in pace.
- Da quando t'importa? È da un mese che non vieni in chiesa per pregare - replicò Shikamaru, il tono fiacco. - Che seccatura! Andiamo o devi finire la tua preghierina? - la canzonò, ancora immusonito per la sigaretta che gli era stata sottratta.
Temari si voltò a guardarlo di scatto, scoccandogli un'occhiata assassina.
Però aveva ragione.
Era un mese che si davano appuntamento in quella chiesa, sempre allo stesso bancone, non certo per pregare. Era una copertura, perché il padre di lei non sapesse della loro relazione puramente sessuale.
O almeno Temari credeva di ritenere tale quella relazione.
La bionda eresse fiera la testa sul collo. Tirò via, stizzita, una balza del vestito di cotone bianco da sotto il ginocchio del ragazzo e si alzò, sgranchendo le gambe tornite; percorse la navata laterale di Santa Maria in Trastevere, seguita con discrezione da Shikamaru, che le camminava abulico a qualche passo di distanza. Ma poi, con gran disappunto di Temari, il ragazzo si portò affianco a lei e, agguantandola per un braccio, la spinse non proprio delicatamente contro un pilastro per baciarla, tenendole ben ferme le braccia che tentavano di allontanarlo.
- Porca miseria, non qui! - ringhiò Temari, sottovoce, appena si separarono per riprender fiato. – È sconveniente - .
- Sconveniente? - ripeté Shikamaru, una nota sarcastica nella voce. - Siamo nel 1968. Tu lotti contro le convenzioni, o te ne sei già dimenticata?! - le disse, un sorriso sghembo.
E quella risposta, come un argomento irresistibile, la convinse.
Temari gli accarezzò una guancia, scostando un ciuffo scuro finito davanti alla bocca.
Shikamaru riavvicinò le labbra, afferrandole le spalle e spingendola contro la colonna di granito. E lei percepì il battito del suo cuore, sotto la pelle, aumentare inesorabile.
- Mi conoscono tutti qui, e tutti conoscono la mia famiglia - sussurrò Temari, distaccandosi dalle sue labbra e respingendolo.
Fastidiosamente lunatica.
Lui non attardò ad irritarsi, ma lei con il capo accennò alle vecchie signore vestite di nero disperse per le file parallele di banconi, dai quali si levavano mormorii sommessi.
- Che palle - sbuffò Shikamaru, irritato. - Sbrighiamoci ad andare a casa mia allora - tagliò corto, prendendo la mano della bionda e trascinandola di peso fuori dalla chiesa.
Attraversarono la piazza e si arrestarono dinnanzi alla Lambretta bianca di Shikamaru parcheggiata vicino al bar.
Vecchi signori stavano seduti ai tavolini a parlottare degli ultimi moti e cortei studenteschi che agitavano in quel periodo diverse città italiane e straniere. Dal jou box nel locale provenivano distinte le parole di una canzone:

"Amore aspettami
corro a piedi da te
son cento chilometri
che io faccio per te ... "

Shikamaru inserì la chiave nella fessura.
Temari si alzò le falde del vestitino bianco e salì dietro, tenendosi stretta ai fianchi del ragazzo.

" ... andavo a cento all'ora
per trovare la bimba mia ... "

Le parole si affievolirono quando la Lambretta con un rombo sordo partì, serpeggiando fra la folla della piazza.
Le pieghe del vestito di Temari si sollevarono sbarazzine, attorcigliandosi attorno a un fianco e avvolgendo in basso i calzoni di Shikamaru.

***

Shikamaru stava sdraiato sul letto, la schiena sprofondata nel morbido guanciale. Il pacchetto di sigarette sbucava dal bordo della tasca della camicia, mentre i capelli corvini erano sciolti sulle spalle, suscitando l'ira di sua madre Yoshino, che non approvava affatto quello stile eccentrico fuori dagli schemi tradizionali.
In realtà, se fosse stato per lui, i capelli li avrebbe tranquillamente tagliati e tenuti corti pur di non sentirla borbottare. Ma Temari gliel'aveva impedito. Aveva detto che se quei capelli facevano infuriare sua madre, allora doveva tenerli appositamente così lunghi.
Per mitigare la stizza di Yoshino, Shikamaru quando girava per casa li legava, ma appena arrivava quel demonio sotto mentite spoglie di attraente trasteverina, allora subito l'elastico spariva, altrimenti doveva sorbirsi le sue di grida.
Sulle gambe piegate e divaricate Shikamaru teneva appoggiato un foglio ruvido, uno di quelli che usava per i corsi alla facoltà di architettura, per tracciare qualche schizzo.
Era bravo in disegno, e l'estate scorsa era stato a Parigi per studiare le arti figurative. Ricordava alcune delle domeniche pomeriggio passate a realizzare ritratti di signore borghesi da una panchina dei lussureggianti giardini francesi.
E ora, sul letto di casa sua, grattava in un monotono ronzio la matita sulla carta, gettando fugaci e furtive occhiate alla ragazza affacciata alla finestra.
Temari aveva i gomiti impuntati sul davanzale freddo, il mento raccolto in una mano dalle unghie a mandorla.
Da quella finestra della camera di Shikamaru si poteva ammirare tutto il suggestivo paesaggio di Roma, che si stagliava nel lontano orizzonte. In primo piano si collocavano il Tevere, che scorreva impetuoso con l'Isola Tiberina, costruita per regolare e armonizzare il flusso del fiume, e poi Ponte Sisto, Ponte Garibaldi, gli ampi viali sui cui perimetri s'inseguivano in una perfetta simmetria querce dalle chiome frondose; e infine, in lontananza, s’innalzava l'imponente cupola di San Pietro.
Una folata di vento s'ingolfò dalla finestra, facendo sussultare i suoi capelli dorati che si scompigliarono a un tratto, indomiti, selvaggi, sfiorando la bocca vermiglia. Le palpebre erano leggermente abbassate, carezzate da quella fresca brezza che fuori faceva mormorare di un lamento pacifico le foglie. I raggi smerigliati filtravano attraverso le chiome verdeggianti, fra i rami robusti, dai quali proveniva il melodioso verso delle rondini, che in piena stagione primaverile, al risveglio della natura, si libravano dai loro nidi e planavano sul Tevere, sfiorando con le piume nere il pelo dell'acqua giallognola.
- Levati da lì. Prendi freddo - disse a un tratto Shikamaru, apprensivo, alzando lo sguardo oltre il suo foglio.
Lei fece schioccare la lingua, l'espressione contrariata.
Temari roteò gli occhi verso l'alto soffitto dall'intonaco bianco e accostò le persiane scrostate dell'ampia finestra. Scansò con il piede scalzo il suo vestitino bianco e casto, abbandonato sul tappeto, e si portò davanti al cassettone. Una scatola incrostata di conchiglie adornava la superficie lignea. Temari aprì un cassetto e cominciò a frugare fra gli indumenti del ragazzo.
Sulla parete dalla carta giallognola era appeso uno specchio su cui si riflettevano i tratti armonici del suo volto, che ricordava una figura di angelo che non le si addiceva affatto.
Shikamaru osservò per un istante la curva bianca della schiena della giovane scomparire negli slip di pizzo, la forma carnosa delle cosce, i capelli dorati che si sbizzarrivano dietro la nuca, avvolgendo dolcemente le spalle.
Scosse il capo, sorridendo.
Ogni pomeriggio, quando arrivava a casa sua, Temari si spogliava del vestitino casto con cui il padre la vedeva uscire di casa e indossava gli abiti di moda a quel tempo fra le femministe come lei.
Per timore che il padre sorprendesse le prime minigonne in voga nel 1968 nel suo armadio, Temari le aveva nascoste a casa sua, fra le camice e i boxer, insieme a una spazzola e un paio di autoreggenti.
Shikamaru pensò che se Yoshino avesse messo le mani in quei cassetti, avrebbe sicuramente messo in discussione le sue tendenze sessuali. Per tale motivo le impediva di rovistare nei suoi cassetti, anche se tenerla lontana si rivelava ogni giorno un'ardua impresa.
Temari alzò una camicia ed estrasse la sua spazzola; pettinò i capelli, con un moto languido e lento. Il corpo tornito era ricoperto solo dal completino intimo. Così girava per casa sua, quando Yoshino e Shikaku erano fuori.
E Shikamaru doveva ammettere che la cosa non gli dispiaceva affatto.
Lui la guardava da dietro, nello specchio. Cercò d'incrociare lo sguardo con quello della bionda, ma lei lo sfuggiva apposta, come se non le interessasse.
Shikamaru sorrise di traverso, perché sapeva di non esserle indifferente.
Temari era la classica femminista estremista che faceva credere a suo padre di essere il modello di figlia servile che avrebbe accettato passivamente il ruolo tradizionale di moglie e madre, che si sarebbe sottomessa al marito, che avrebbe trascorso la vita dietro a pentole e uncinetti come faceva sua madre Karura; e infine che era la perfetta cristiana cattolica che ogni domenica mattina andava in chiesa a recitare il rosario.
Peccato che il Signor Sabaku non sapesse che la domenica mattina lui, Shikamaru, la portava con la sua Lambretta bianca a fare l'amore al Gianicolo o a Villa Borghese, e che Temari i giovedì pomeriggio, invece di andare al corso di uncinetto dalle suore del convento, distribuiva volantini insieme agli altri studenti in rivolta.
Il solo pensiero di come quella seccatura riuscisse a farla a suo padre lo induceva a sorridere sornione, anche perché si sentiva complice di quel piano sovversivo.
Alla radio, sita sul comodino, passavano una delle canzoni più famose in quegli anni e la sua dolce melodia si propagava dirompente per il vecchio appartamento:

"When the night has come
and the land is dark
and the moon is the only light we'll see ...
"

Temari ributtò la spazzola nel cassettone, senza premurarsi di coprirla con qualche indumento.
Incedette tenendosi straordinariamente dritta fino al letto del ragazzo. Affondò un piede nudo sul bordo dell'alto materasso, in modo da flettere la gamba destra; s'infilò un autoreggente e lo tirò su lentamente, fino a quando la balza di pizzo nero non arrivò a inguainare la coscia dalla forma carnosa.

" ... and mountains should crumble to the sea
I won't cry, no I won't shed a tear
just as long as you stand, stand by me ...
"

Temari afferrò l'altro autoreggente, riverso inerte sulla sponda del letto, e indossandolo con fare sensuale dardeggiò i grandi occhioni acquamarina in quelli neri di Shikamaru.
Sulle labbra di lui affiorò un sorriso sghembo.
- Cosa diavolo ti guardi, Nara? - abbaiò d'un tratto Temari, guardandolo di traforo.
- Niente che non abbia già visto - replicò atono lui.
Quella donna era indomabile e lunatica.
La peggior specie della sua razza.
L'attimo prima era quasi dolce, l'attimo dopo si tramutava in una belva feroce.
L'istante prima lo provocava infilandosi sensualmente quei dannati autoreggenti, simbolo dell'emancipazione e della libertà sessuale della donna, e l'istante dopo lo aggrediva come se non avesse diritto di vederla nuda.
D'altro canto, Shikamaru sapeva la loro che tipo di relazione era o meglio non era.
Temari era stata chiara fin dall'inizio su questo punto, e lui si domandava perché dopo settimane continuasse a farsi violentare da quella donna.
Era cominciato tutto con l'occupazione della facoltà di architettura di Valle Giulia, in febbraio.
La notte aveva dormito lì, e si era ritrovato sopra quella femminista aggressiva che l'aveva costretto a fare sesso con lei.


Shikamaru si aggrappò con le mani allo scaffale, che vibrò.
Il volume “I canoni di Policleto” cadde a terra. Il tonfo sordo del libro venne ricoperto dai gemiti tutt’altro che trascurabili che animavano la sezione “Arte classica” della biblioteca universitaria di Valle Giulia.
La schiena della ragazza si graffiava contro i bordi dei ripiani lignei ad ogni spinta dell’amante.
Entrambi si tappavano la bocca sulla spalla dell’altro per soffocare i loro gridi, per timore di essere uditi.
- Mi sto stancando a fare l’amore in piedi – si lamentò Shikamaru, all’orecchio di quella femminista aggressiva.
- Bastardo – ghignò lei, affannata, contorcendosi fra le sue braccia. – È la cosa più romantica che riesci a dire a una donna in momenti come questi?! Che sei stanco di fare l’amore?! – lo schernì con aria di superiorità, abbandonando il corpo contro il petto virile del ragazzo.
Shikamaru sentì palpitare il suo seno, che si gonfiò come per trattenere un anelito.
- Scusa, ma è la cosa più romantica che mi viene da dire ad una seccatura che ti sbatte contro il muro e ti violenta – rimbeccò lui, sorridendo sornione.
La bionda sorrise a sua volta e fece per trascinarlo giù con sé, scoppiando in una risata subitanea: - Così almeno la smetti di lamentarti - .
Shikamaru per tutta risposta si tirò su i pantaloni. – Famme fumà na sigaretta prima – sospirò rassegnato, accedendo una nazionale e mettendosi in finestra.
Lei, indispettita, si alzò da terra e a piedi scalzi raggiunse il ragazzo. D’un tratto affondò il volto nelle sue scapole sudate e gli cinse i fianchi con la calda dolcezza delle sue braccia nude.
Era dal primo giorno di università che andava appresso a quel moretto, senza darlo a vedere. Eppure era solo un ragazzetto sciapo ( così l’avrebbe definito suo padre ) che preferiva fumare una nazionale che prestare le dovute attenzioni alla donna nuda dietro di lui.
- Fanculo,
Shikamaru – s’inasprì la bionda, indignata, e fece per andarsene.
Shikamaru gettò via la sigaretta e si voltò indietro con uno scatto rapido, sbalordito.
Non pensava che lei conoscesse il suo nome.
L’afferrò prontamente per una mano e la tirò indietro, braccandola contro il muro.
Shikamaru percepì la sua mano delicata tremare impercettibilmente nella sua.
E allo stesso modo mai la sua mano aveva tremato in quella di una donna.
- Perché? Perché mi hai fermata? – ringhiò acida lei, gli occhi ridotti a fessure che irradiavano ira.
- Perché se tu scappi, io come faccio a ritrovare l’uscita della biblioteca?! – si giustificò lui, sornione, stuzzicandola per gioco e facendola infervorare ancor di più.
La giovane lo incenerì con lo sguardo e gli mollò un colpo secco di mano sulla guancia.
Lo spinse via con strafottenza e fece per andarsene, ma Shikamaru la imprigionò fra le sue braccia, di nuovo.
- Stavolta che ho detto di male,
Temari? – sorrise scaltro il ragazzo, guardandola fissamente nelle iridi acquamarina e mandandole dietro l’orecchio una ciocca ribelle.
Temari fu afferrata da un leggero tremito e, stordita, guardò quei profondi occhi neri che la inchiodavano.
Non pensava che lui conoscesse il suo nome.
Perché non gliel'aveva detto?
- Bastardo – ghignò Temari, avviluppandogli il collo con le braccia e baciandolo irrequieta.
Si erano desiderati entrambi dal primo giorno senza saperlo, e ognuno aveva portato avanti il suo gioco d’amore.
Peccato che quello di Temari continuasse tutt'ora.
Ma lui era disposto ad aspettare finché il suo gioco non si fosse trasformato in amore.
Shikamaru la strinse contro di sé, maledicendosi mentalmente.
E così, alla fine, quella terribile donna l’aveva fatto ricominciare daccapo. Sempre in piedi per giunta.


Ma quella terribile donna era stata la sua salvezza.
Infatti era stata lei, la mattina dello sgombro dell’università, a sfilarsi una scarpa e a sbattere il tacco in testa al poliziotto che stava per ammanettarlo.
Poi lui, Shikamaru, aveva afferrato Temari per mano, portandola via da quell’inferno che si era scatenato. Avevano corso come forsennati per tutta Piazza di Spagna, scavalcando poliziotti armati ed evitando camionette.
Si erano rifugiati a Villa Borghese e lì avevano ricominciato a fare l’amore.
Amore sì. Perché quello era stato per lui fin dall'inizio.
Da quella volta Temari gli era stata sempre con il fiato sul collo.
Lo obbligava perfino a studiare insieme, perché lui aveva viaggiato e Temari amava ascoltare le descrizioni dei giardini di Parigi, dei monumenti, delle opere d'arte. Aveva cercato di sbarazzarsi di quella seccatura, ma si era rivelato alquanto faticoso e inutile, e quindi, alla fine, l'ostinazione di lei l'aveva indotto ad arrendersi. E Shikamaru si ritrovava sempre in una cabina telefonica a parlare tutta la notte con Temari, perché il padre le proibiva di uscire la sera, e allora lui la chiamava e le teneva compagnia.
Era da un mese che studiavano insieme ogni pomeriggio, e non era strano se durante lo studio di un qualche progetto architettonico il tutto sfociasse in sesso. Sesso, mai amore.
Temari ci teneva a sottolinearlo, perché una femminista estremista come lei non aveva bisogno di essere sentimentalmente legata a un uomo. Ed era sempre lei a decidere dove, come e quando. A seconda del suo umore, lo andavano a fare a Villa Borghese o al Gianicolo. Ma quando era lui quello smanioso di una scopata, Temari lo rifiutava.
Quell'arroganza lo infastidiva, tuttavia era un mese che persisteva a farsi violentare da quella trasteverina incandescente, perché in fin dei conti non gli dispiaceva poi così tanto.
Shikamaru continuò a grattare pigramente la matita sul foglio spesso e ruvido.
- Cosa stai disegnando? - domandò Temari, senza troppo entusiasmo.
Era frequente che quel moretto durante i loro pomeriggi, a casa sua, si mettesse a ritrarre qualcosa di noioso come le nuvole che oscuravano il cielo.
- Niente - mentì Shikamaru, che di sorbirsi le sue chiacchiere quel pomeriggio non ne aveva proprio voglia.
- Che stai disegnando? - insistette lei, il tono autoritario.
- Niente - ripeté Shikamaru, la voce piatta.
Temari, indispettita, salì sul letto, gattonò sul morbido materasso e scivolò con il suo corpo avvolto nel pizzo fra le gambe di Shikamaru, facendo aderire il suo petto prosperoso, messo in risalto dal reggiseno guarnito di merletti sfarzosi, al suo torace virile. Piantò una mano al lato del bacino del ragazzo, per sostenersi, mentre l'altra corse a impadronirsi prepotente del foglio ruvido.
Shikamaru emise un grugnito e si ficcò la matita in bocca. Osservò le labbra carnose e vermiglie di Temari incrinarsi in un ghigno compiaciuto mentre esaminava il disegno sporco di sbavature di matita.
Temari, gli occhi verdi sfavillanti come fiaccole, si mise a cavalcioni su Shikamaru, sventolandogli spavalda davanti al naso il foglio ruvido.
- Mi ritrai mentre m'infilo gli autoreggenti, Nara? - profuse sottovoce e con tono suadente.
- Seccatura - mugugnò stranito Shikamaru, indirizzando lo sguardo a un punto confuso del pavimento.
Temari si piegò su di lui, facendo rifluire i capelli dorati sul suo volto scolpito in un perenne broncio sonnacchioso. Gli levò la matita di bocca e gli impresse un bacio irruente, come irruenti erano tutti i suoi baci accesi di passione, ma che di amore e sentimento avevano ben poco.
Lei si distaccò di alcuni millimetri per riprender fiato.
Shikamaru si azzardò ad accarezzarle le anche superbe, che si sfumavano nella rotondità della coscia.
Temari, con un irritante sogghigno, s'impadronì nuovamente delle sue labbra calde.

“Whenever you're in trouble won't you stand by me,
oh now now stand by me
Oh stand by me, stand by me, stand by me … “


Temari si sollevò sulle ginocchia, rimanendo a cavalcioni su di lui; le mani allacciate dietro la sua nuca gli afferrarono decise il volto e, avida, gli mordicchiò il labbro inferiore.
Shikamaru sentì i morbidi polpastrelli di Temari scendere dal viso ai suoi fianchi, insinuandosi poi sotto la camicia. Lui portò le mani sulla parte posteriore delle sue ginocchia, per poi ripercorrerle voluttuoso le cosce ben tornite, prigioniere degli autoreggenti. Si fermò all'elastico degli slip trasparenti e fece per tirarli giù, ma la voce stizzita di lei lo impietrì.
- Che diavolo fai, Nara? - .
Lo diceva Shikamaru che non poteva permettersi di prendere l'iniziativa, altrimenti lei s'innervosiva.
- Dobbiamo distribuire i volantini - tagliò corto Temari, scendendo da quella posizione e ritoccando le mattonelle a scacchiera del pavimento.
Indossò una delle prime minigonne colorate e dal tessuto leggero diffuse fra le femministe, e si passò una mano fra i capelli per conferirgli un aspetto ribelle.
Shikamaru guardò quella minigonna e quegli autoreggenti dannatamente eccitanti.
Era strano vedere vestita o meglio svestita in quel modo la sua compagna di facoltà, e le ragazze in generale.
- Sembri una puttana - commentò spiccio, rizzandosi su con un brontolio sommesso.
Temari lo incenerì con lo sguardo, assottigliando quegli inquietanti occhi verdi.
- Io mi vesto come mi pare, e ho diritto di uscire con una minigonna senza che qualcuno di voi si senta in dovere di approfittarne - ribatté, gelida.
- Ritiro quello che ho detto, basta che la smetti di gridare. Ho mal di testa, my darlin' - tagliò corto Shikamaru, pronunciando con un pungente tono sarcastico quel soprannome.
Temari gli lanciò un'altra occhiata torva, dopodiché, ignorandolo, afferrò i volantini e spense seccata la radio, ponendo fine a quel momento dolce quanto disgustoso.
- Sono troppi. Come faccio a distribuirli tutti? - si lamentò Shikamaru, accennando ai numerosi volantini.
- Non m'importa. Devi distribuirli, e come sono affari tuoi - ribatté Temari, risoluta.
Shikamaru trasse un lungo sospiro di rassegnazione, mentre gli occhi scesero a divorare le cosce tornite, strette in quegli autoreggenti dannatamente sexy.
Scosse il capo.
Non sexy, seccanti.
Sbuffò, chiedendosi perché dovessero attirarlo così tanto.
Gettò un'occhiata al pacchetto di volantini che quella strega gli aveva sbattuto in mano.
Saranno stati un centinaio.
Li riversò nel suo zaino, dove Temari aveva già infilato il vestitino bianco.
Quello sarebbe stato sicuramente il pomeriggio più lungo e noioso della sua vita.

***

Il giorno era calato, e sotto a Ponte Garibaldi il Tevere scorreva giallognolo a causa dei rifiuti.
I raggi del tramonto imporporavano i massi sul fondo e l'Isola Tiberina, che si ergeva su un tratto del fiume, vicino al Campidoglio. Le chiome rigogliose delle querce spiovevano sul largo muraglione del lungotevere; uno stormo di rondini dalla coda ampia e biforcuta macchiò d'un tratto il manto azzurro della città, cinguettando squillante.
- Quanti volantini hai distribuito? - s'informò Temari, rizzandosi a sedere sul muraglione del lungotevere.
- Tutti - strascicò Shikamaru, massaggiandosi le tempie dolenti.
- Hai ancora mal di testa? - domandò Temari, sfoderando un ghigno di compiacimento.
- Sì, quindi smettila di rompere le palle - tagliò corto Shikamaru, stranito.
Non aveva né la forza né la voglia di discutere con lei.
La bionda, sorridendo indispettita, lo agguantò per un lembo della camicia e lo costrinse a mettersi davanti a lei. Gli avvinghiò le gambe intorno ai fianchi, mentre le mani andarono a fasciargli il bacino.
Shikamaru per tutta risposta rimase fermo, sbadigliando sonoramente.
Era stanco di dover subordinare sempre i loro momenti passionali al suo umore.
Temari non se la prese. Anzi, quell'atteggiamento indifferente sembrò intrigarla ancora di più.
Le sue mani scesero sul bacino, maliziose.
- Aspetta un momento ... che diamine ... ? - fece Temari, la fronte aggrottata.
Shikamaru sbuffò, preparandosi psicologicamente a una sfuriata, perché lui sapeva che cosa avevano trovato le sue mani.
La bionda tirò fuori dalla tasca dei calzoni una rivoltella.
Lo guardò truce, gli angoli della bocca che si sollevavano rabbiosi.
- Shikamaru, che diavolo ci fai con una pistola in tasca? - tuonò Temari, furiosa.
- Me l'ha data Naruto. Ha detto che può servirci per le manifestazioni in piazza o durante le occupazioni per difenderci dai poliziotti - strascicò lui, senza dare peso alla questione.
Temari scosse il capo, in segno di rimprovero. - Quel teppista di Naruto ... E tu che gli dai pure retta! È pericoloso girare con questa roba in tasca ... Hai pensato se ti arrestassero con questo ferro addosso? Vuoi farti qualche mese a Regina Coeli? Sei un incosciente, un immaturo ... - .
La ragazza s'interruppe, ammonendo il moro con lo sguardo.
- Che cos'hai da ghignare? - sbottò, acida.
Le labbra di Shikamaru s'incresparono in un sorriso sornione.
- Sei preoccupata per me, Temari? - fece furbo, la testa scura reclina su una spalla.
- Assolutamente no! - ringhiò la bionda, la voce piena di stizza. - Semplicemente non voglio finire in mezzo ai guai per colpa di una testa calda - sbottò, lanciando l'arma nel Tevere.
La rivoltella finì sul fondo del fiume con un tonfo sonoro che provocò lo zampillio dell'acqua.
Seguì una breve pausa, in cui l'unico rumore era il rombo delle vetture che sfrecciavano sul selciato, attraversando Ponte Garibaldi.
- Sarebbe così assurdo per una femminista innamorarsi, Temari? - disse a un tratto la voce profonda di Shikamaru.
Lei sussultò appena.
- Io non ho bisogno di un uomo. Io non ho bisogno di essere amata. Mi basto da sola - sibilò, sciogliendo le gambe dai fianchi di lui e spintonandolo via con fare brusco.
- Il femminismo estremista genera solitudine, Temari - replicò pacato Shikamaru, puntando i gomiti sul parapetto e volgendo lo sguardo al fiume, che scorreva con sonori guizzi sotto di loro.
- Io non voglio finire come mia madre - mormorò d'un tratto Temari, il capo chino. - La donna è un altro essere rispetto all'uomo, e la sua coscienza non può essere definita in base alle decisioni dell'altro. Io voglio essere libera di pensare, agire, di essere ciò che sono, senza che mio padre, i miei fratelli o mio marito m'impongano le proprie scelte. Io voglio essere libera di decidere per me. Compreso essere libera di sbagliare. Sono stanca di dover sottostare al potere decisionale di mio padre, e so che se mi sposerò dovrò sottostare a quello di mio marito. Non sono una povera femminuccia impaurita incapace d’intendere e di volere! Io voglio avvalorarmi nel lavoro, desidero autonomia. Per una donna non esistono solo pentole e figli, anche se immagino che questo è un concetto difficile da accettare per un misogino come te – impervase con fervore, senza più fiato, gli occhi sfavillanti come due fiaccole.
Shikamaru sorrise, il volto imporporato dal sole rosso come il tuorlo di un uovo.
- Io non sono un misogino. Dico che le donne sono seccature, ma non ho mai detto che un uomo può fare a meno di una donna - disse, voltandosi a guardarla con espressione seria. - La penso come te sulla questione femminile, altrimenti non ti aiuterei nella tua lotta insieme agli altri ragazzi o a nascondere le tue minigonne nei miei cassetti, anche se ti confesso che si sta rivelando abbastanza stancante - .
Temari proruppe in una squillante risata.
Shikamaru levò lo sguardo su di lei, i capelli corvini lambiti dalla leggera brezza della sera.
- Un uomo non è niente senza una donna, e se non fosse per voi non ci saremmo neanche noi. Io, come uomo, ho bisogno della tua presenza, non della tua libertà. E se t'interessa saperlo, se diventassi mia moglie avrei rispetto dei tuoi pensieri, delle tue decisioni - .
Sulle labbra di Temari affiorò un mezzo sorriso.
Le gambe avvolte negli autoreggenti neri penzolavano allegre dal parapetto e i capelli le si illuminavano di una luce tutta nuova con i raggi fiammeggianti, che cadevano tremuli a picco nell'acqua del Tevere, sul quale si protendeva in avanti l’ombra delle arcate del ponte.
Shikamaru ghignò di rimando, lo sguardo indirizzato all'orizzonte, che andava ad assumere via via toni sempre più fiochi.
Dio volle che proprio in quel momento l'austero Signor Sabaku passasse di lì.
Temari ebbe giusto il tempo di vedere l'espressione irosa di suo padre, che l'attimo dopo si ritrovò imprigionato un polso nella sua mano dalla morsa forte e impetuosa. Con uno strattone il Signor Sabaku la fece scendere dal muraglione, cogliendo di sorpresa Shikamaru.
- Ti diverti a imbarazzare la nostra famiglia? - gridò il vecchio uomo, la voce vibrante per la collera. - Come ti permetti di disonorare il nostro nome andando in giro come una poco di buono? - si adirò, squadrando allibito la figlia.
A stento riconosceva la giovane adolescente con il rosario sul petto che la domenica mattina usciva di casa per recarsi a Santa Maria in Trastevere a pregare e confessarsi.
- Disgraziata, puoi dimenticarti l'università ... Ecco cosa succede alle donne quando mettono il naso a un centimetro fuori dalla cucina: cominciano a credere di saper tutto e invece non sanno niente - sentenziò l'uomo, gli occhi iniettati di sangue.
- No, semplicemente cominciano a pensare - ribatté Temari, digrignando i denti.
Il Signor Sabaku la strattonò violentemente, ma Temari si divincolò.
Al solo pensiero di trascorrere una vita dietro a un paio di fornelli, le saliva la bile al cervello.
Era intelligente, probabilmente anche più di suo fratello Kankuro, eppure non contavano i suoi voti alti alla facoltà di architettura, contavano soltanto i valori tradizionali del sistema borghese.
Lei, impulsiva per natura, non poteva tacere, non poteva accettare passivamente.
- Non ci torno a casa – sbottò Temari, tenace.
Stavolta si sarebbe opposta con tutte le sue forze.
- Se non torni a casa non sei più mia figlia - ribatté a tono il padre, crucciato per quell'improvvisa ribellione ai valori tradizionali della famiglia.
Temari alzò presuntuosa lo sguardo su di lui.
- Bene, allora non sono più tua figlia - affermò, in un sibilo velenoso.
Il padre, con inumana severità, le mollò due schiaffi che la colpirono in pieno viso. E ora gli occhi le lacrimavano di riflesso, la guancia destra livida.
Temari si sentì agguantare per la vita.
Si voltò, stordita: era Shikamaru che si era fatto avanti, e la sua espressione non lasciava presagire niente di buono.
Shikamaru cinse Temari per un fianco, stringendola a sé.
- Le chieda scusa - intimò al Signor Sabaku, la voce inflessibile.
- Fila a casa, ragazzino, invece di divertiti ad approfittare di mia figlia. Sta' disgraziata ... invece di aiutare sua madre in cucina, si diverte a fare la puttana. Ma appena torniamo a casa facciamo i conti a modo mio - minacciò l'uomo, a denti stretti.
A Shikamaru che il Signor Sabaku fosse il capofamiglia e per questo potesse prendere Temari a schiaffi, non gliene importava un bel niente. Non era nella sua pragmatica arrabbiarsi, e anche in situazioni del genere manteneva la sua indole calma. Ma Temari non gliela doveva toccare nessuno, e soprattutto non si toccavano le donne e basta.
Shikamaru fece indietreggiare Temari, strinse la mano in un pugno e mollò un cazzotto in pieno viso al Signor Sabaku, colpendolo con le nocche. Una striscia di sangue sprizzò dal naso dell'uomo, che cadde a terra, frastornato.
- Ma guarda te sto' stronzo - borbottò Shikamaru, tastandosi le nocche pulsanti.
- Shikamaru - lo chiamò Temari, in un mormorio spaventato.
Shikamaru si voltò a guardarla: stava piangendo.
- Andiamo via ... Ti prego, andiamo via ... prima che arrivi la polizia ... Ti prego ... - .
E lui non se lo fece ripetere due volte.
Alla sua richiesta, tirò fuori dalla tasca le chiavi della Lambretta parcheggiata lì, sul marciapiede. Aiutò Temari a salire dietro di lui e mise in moto, percorrendo velocemente tutto Viale Trastevere.

***


Dedicata a shikatema, stefy90, niraw.

Note dell’autore:
allora volevo specificare alcune cosette!!
1) L’introduzione storica iniziale è riferita esclusivamente all’Italia, non è a livello mondiale;
2) i primi moti dell’emancipazione femminile nel ‘68 avvenivano in gruppi costituiti da ragazze e ragazzi, per questo Shika dice che aiuta Tem nella sua lotta per l’emancipazione della donna;
3) la differenza di linguaggio di Shika, Tem e il Signor Sabaku rispetto a Shikaku e Yoshino è dovuta alla diversa formazione culturale dei personaggi. Shika e Tem costituiscono il ceto intellettuale degli studenti, il Signor Sabaku appartiene all’alta borghesia, mentre Shikaku e Yoshino rappresentano ancora quella parte analfabeta che c’era all’epoca in Italia, ed appartengono al proletariato;
4) la leggenda sulla fontana di Trevi non corrisponde a quella reale, ma è stato quello che mia madre ha detto a me quando a sei anni ho buttato per la prima volta la monetina nella fontana. Quindi ho preferito conservare quella di leggenda!!

In origine questa ff era una shot. Per questioni di lunghezza ho dovuto dividerla in due parti. La seconda arriverà venerdì o il prossimo lunedì. La storia non è stata corretta. L'ho lasciata così come l'ho consegnata.
Beh, non ho nient'altro da aggiungere, se non ringraziare bambi88 e arwen5786 per aver sopportato questa lunga one-shot, e fare i miei più sentiti complimenti prima di tutto alla mia compagna di podio Kaho_chan, poi a Chimera in blue jeans, ad _ayachan_ e senz'altro a tutte le autrici che hanno partecipato al contest ShikaTema.
Un bacio.
  
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