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Autore: SunriseNina    01/12/2013    4 recensioni
Tra lui e Riou scorreva una terribile mescolanza di complicità, casualità, finzione e incomprensibili –o solamente inesprimibili?- emozioni.
La necessità di ucciderlo si faceva sempre più pressante.

Anno 1788, Parigi. Monarchia di Luigi XVI.
Il destino di Light Dieunuit subisce una svolta improvvisa, quando entra in possesso del terribile dono di un misterioso discepolo del dio azteco Xolotl. Borghese rivoluzionario, capisce immediatamente come sfruttare il potere di decretar la morte per le persone a suo piacimento.
La città di Parigi è scossa dalle morti di numerosi funzionari regi e nobili altolocati: il Re scatena contro questo assassino amico della rivoluzione un investigatore dalle capacità straordinarie perché indaghi sulla serie di morti.
Tumulti, ribellioni, proteste: in questo scenario pittoresco e settecentesco un amore tormentato unirà un'improbabile coppia di giovani uomini, sconvolgendo e intersecando le loro vite per sempre.
Genere: Guerra, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: L, Light/Raito, Misa Amane, Soichiro Yagami | Coppie: L/Light
Note: AU, Lemon, What if? | Avvertimenti: nessuno
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La carrozza trottava nella notte; nell’abitacolo dominava lo scalpitare degli zoccoli e il rumore ritmico delle ruote. I due si osservavano, ma con un atteggiamento così diverso da sembrar quasi impossibile che pensassero alla stessa cosa.
Eppure così era: nella mente di entrambi  troneggiava l’immagine della casa di Light, meta finale di quel viaggio.
Light e la sua futura sposa si guardavano in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri. La ragazza indossava un vestito dai toni autunnali, sobrio, quasi austero, in leggero contrasto con il suo corpo infantile; ma i dolci riccioli biondi che le scendevano sulle tempie, insieme all’alto collo bianco della camicia senza merletti, incorniciavano il viso come un’opera d’arte.
«Questo vestito è splendido, Mélisande. Risalta il colore dei tuoi capelli, l’ho notato per tutta la festa.»
Le guance della ragazza s’infervorarono e lei si lasciò scappare un sorriso di frivola soddisfazione.
Non mentiva affatto: la bellezza della sua fidanzata era stupefacente. Nonostante ciò, era falso il suo interessamento per il suo aspetto, o per lei in generale. Purtroppo a dividerli c’erano motivi ben più sostanziosi dell’intelletto poco fine dell’altra, o della sua fastidiosa vocettina: erano tutti particolari a cui Light si sarebbe potuto abituare, come ogni marito.
Le cause di quel disinteresse erano radicate in lui.
Non era rimasto all’oscuro della propria indole per molto tempo: grazie alla propria autostima incrollabile, nonché alla sua inclinazione poco religiosa, non si era mai condannato eccessivamente per questa caratteristica. Sapeva, da studioso razionalista, che era nato così e nulla poteva fare in proposito: tutto quel che gli era richiesto dall’umanità era fingere. Fingere sorrisi alle donne e ammiccamenti agli amici quando prendevano moglie; fingere che il giovane e avvenente professore non gli facesse alcun effetto e che non avesse sognato per mesi le labbra del vicino di casa sulle proprie.
In questo vizioso circolo di menzogne, da quando il suo fidanzamento era diventato effettivo, aveva dimostrato a sé stesso una lussuria che non avrebbe mai pensato gli appartenesse. Aveva immaginato scioccamente, all’inizio, che l’estrema bellezza di Mélisande avrebbe reso sensuale il rapporto con lei; ma non appena aveva capito l’idiozia di quell’illusione, aveva fatto un solo gesto: chiudere gli occhi.
Ogni volta che il suo corpo si avvicinava a quello della ragazza, lui chiudeva gli occhi: e immaginando, estraniandosi, aveva baciato con ardore una quantità inimmaginabile di uomini, fossero essi conoscenti o amici stretti.
Era iniziato come un espediente e aveva riguardato solo il grande amore giovanile di Light, il vicino di una decina d’anni più grande di lui, sposato e con due figli. Quando l’infatuazione si era placata, non era scomparsa con lei la lascivia –tipica nei ragazzi dell’età di Light, per di più se essa è repressa in tal modo- : aveva pensato al cugino, al compagno di classe, al professore, all’apprendista del venditore di stoffe, al giovane chierico che distribuiva le eucarestie, al cameriere di Mélisande e a un’altra infinità di volti.
Quella volta non fu diversa dalle altre. Erano ormai tre anni che i due erano fidanzati, e ogni loro incontro seguiva il solito rituale con una precisione immane: il motivo per cui i due non rompevano quella monotonia era che Mélisande pendeva dalle labbra di Light, e qualsiasi cosa le andava bene; il ragazzo, dal canto suo, variando così spesso l’oggetto delle proprie immaginazioni, non si annoiava mai eccessivamente.
Pizzi leggeri scivolarono giù dalle morbide spalle. Gli stretti lacci del corsetto si allentarono.
Lei chiuse gli occhi, e lo baciò con tutto l’ardore di una donna follemente innamorata.
Lui chiuse gli occhi, e cercò di pensare ad altro.
 
«Non passerai S.Valentino con la tua fidanzata?» chiese Eler, sorseggiando il suo tè mattutino.
«Lei capisce i miei impegni e i motivi per cui sono obbligato a trascurarla. Le ho promesso che comunque ci vedremo presto.»
Il sole in quei giorni era accecante, in netto contrasto con il freddo che ancora dominava le strade: avrebbero dovuto aspettare ancora un paio di settimane, prima che il clima primaverile facesse i suoi primi accenni d’esistenza.
Era passato un mese dal loro primo incontro; ma non volle farlo presente, nella paura che gli sembrasse importargli troppo di quell’avvenimento.
Gli omicidi continuavano imperterriti, meticolosi e precisi: tali e quali la calligrafia di Light, con cui egli spingeva le persone al patibolo. Ormai quei delitti erano ciò che di più ordinato esisteva, nel generale clima di rivolta che dilagava per la Francia: e se la nuova stagione tardava ad arrivare, di sicuro già sbocciavano desideri ardenti nel petto del proletariato e della gente comune.
In cuor suo Light sapeva che, in quel quadro di eventi, la polizia era quasi rassicurata dal suo operato pragmatico e preciso: inoltre, era ormai palese che anche tra i funzionari dell’ordine c’era chi nutriva simpatie per il carnefice misterioso. Era inevitabile, secondo Light, che chiunque avesse a cuore la giustizia sarebbe prima o poi passato dalla sua parte. Le fila dei suoi seguaci e simpatizzanti crescevano di giorno in giorno, creando un esercito di opinioni favorevoli che incoraggiavano il Dio a proseguire il suo onere nonostante i frequenti rischi.
«Ieri tuo padre ha arrestato un gruppo di filo-rivoluzionari.»
«Non ne sapevo nulla.» commentò Light, circospetto.
«Me lo ha confidato ieri sera. Non voleva dirtelo lui, così mi ha chiesto di farlo al posto suo in qualità di tuo confidente.»
Confidente. Era così che gli altri li giudicavano? Confidenti? L’idea era plausibile, dato il tempo che trascorrevano insieme; ma al contempo aveva un che di spaventoso e sinistro, considerando l’enorme segreto che si frapponeva tra loro.
«Perché non voleva che lo sapessi?»
«Sono alcuni tuoi amici.»
Il collo di Light diventò improvvisamente caldo e la sua gola roca; soffocò un colpo di tosse, e cercò di sostenere lo sguardo dell’altro con naturalezza e con credibile stupore.
«Conoscevi Marchand, Dufour e Roux?»
«Sì, due erano miei compagni di scuola. Uscivamo insieme saltuariamente.»
E non mentiva affatto: si ritrovavano in quei già citati bar di periferia, in quella cerchia di borghesi e letterati insoddisfatti che condividevano un odio ribollente per il re. Da parecchio non prendeva più parte personalmente alle riunioni, ma il seguace del Dio delle sardine marinate –Theo Maxime- lo teneva costantemente aggiornato dei loro discorsi tramite lettere; le conservava ordinatamente nel cassetto del suo scrivano, abilmente nascoste in un doppiofondo.
«Riou, pensi che siano collegabili al nostro caso?»
«Non lo escluderei. Borghesi, organizzati, contro la corona, con i mezzi per contrastare i propri nemici… direi che corrispondono a chi stiamo cercando.»
Si avvicinò a lui, chinandosi sul tavolo: «Conosci nessun altro che potrebbe essere coinvolto? Qualcuno che la pensava come loro, stessa condizione familiare o sociale e così via.»
Non capiva cosa dovesse leggere, in quelle iridi scure: era una domanda retorica? Era forse un’accusa velata? Oppure una domanda sincera, resa così sinistra dall’amarezza di quella situazione?
Light deglutì e poi sostenne quello sguardo eloquente con sfrontatezza: «No, non conosco nessuno.»
 
Camminavano sul ponte, osservando il tramonto scemare sul fiume. Degli strepiti risalivano dalle imbarcazioni, accompagnate dal solito sciabordare dell’acqua.
Un’altra giornata era passata.
Tornavano ormai verso le rispettive abitazioni, ma Eler insisteva spesso per passare nei sobborghi della città, allungando leggermente il percorso: sembrava provare la necessità convulsa di vedere ogni singolo volto di quella città, conscio che nelle sue peggiori incarnazioni languivano le più grandi verità.
Light lo accompagnava poco volentieri per quelle vie, ma il timore di chi vi abitava non era mai più forte del piacere di quelle passeggiate verso casa: dopo le giornate di lavoro, la stanchezza rendeva Eler più umano. Si lanciavano in discorsi filosofici complessi, o semplici racconti d’infanzia, ricordi giovanili, commenti su un uomo che passava o sui compagni del distretto. Era da una vita intera che Light desiderava una persona con cui potesse parlare di qualsiasi cosa: le sue amicizie, i parenti, le amanti, non erano mai riusciti a spaziare così tanto negli argomenti di conversazione. Trovava filosofi cronici, pettegoli incalliti e malinconici inguaribili: ma nessuno che avesse un eclettismo mentale per poter essere tutte e tre le cose.
Non poteva negare a sé stesso che Eler fosse un suo amico; e a rifletterci, anche la definizione di “confidente” non era poi così errata. Ogni tanto gli baluginava per la testa l’idea di non ucciderlo: avrebbe semplicemente aspettato che la rivolta fosse scoppiata –era ormai evidente che sarebbe successo-, e poi avrebbe potuto scomparire nel nulla, rinunciando amaramente alla meritata gloria. Ma si ricredeva presto: il pericolo che il suo operato venisse scoperto prima del tempo era troppo alto. Doveva rinunciare a una promettente amicizia per il bene dell’intero paese.
«Light, senti questo rumore?»
Il ragazzo si concentrò: era un vago strepitare di vetri e risa, proveniente proprio dalla strada che stavano percorrendo in quel momento.
«Non ho idea di cosa sia. Meglio cambiare strada.»
Incurante del suo commento, Eler velocizzò il passo e si fiondò a capofitto in quella direzione.
Il ragazzo sbuffò, poi si mise a rincorrerlo: non ci teneva a rimanere da solo in quei vicoli bui, specie a quell’ora della notte. Per quanto potesse benissimo difendersi in un duello, non aveva molte speranze se lo avessero attaccato in più persone: e sapeva bene che razza di persone abitavano quei luoghi.
«Costa state facendo?» la voce di Eler era autoritaria, e si rivolgeva a un duo di giovani fermi in mezzo alla strada. Uno reggeva un bastone, e sotto i loro piedi rilucevano frammenti di vetro.
Light digrignò i denti in un’imprecazione muta: chi erano? E che diavolo stava facendo Riou?
L’austriaco, senza alcuna cognizione di quel che era la realtà in quegli angoli del mondo, avanzava a passo cadenzato e sicuro verso i due uomini: «Questi sono danni agli edifici pubblici. Dobbiamo arrestarvi.»
Light si avvicinò cautamente, squadrandoli. Proprio come immaginava: giovani coetanei, panciotti costosi sbottonati per facilitare la demolizione di una lanterna appesa al muro di un edificio.
Era una moda diffusa ormai da parecchio tempo a Parigi, quella di distruggere brutalmente le illuminazioni stradali: nella demenza collettiva che aveva assalito la popolazione, il lume della ragione si era lentamente consumato, trascinando la Francia nelle tenebre. Quel gesto altro non era che una rivendicazione di quel degenerare di mentalità, costumi, menti.
“Siamo noi, i rampolli viziati di chi vi ruba il pane di bocca, con la nostra insolenza, a trascinarvi nel buio! Gioisci Francia, gioisci!”
Gli interventi della polizia erano radi, e soprattutto magnanimi: sui loro visi si leggeva la sicurezza di chi sa d’essere in netto vantaggio, una prepotenza baldanzosa aleggiava sulle espressioni un po’ brille.
«Senti, è meglio che te ne vai, morto che cammina!»
Eler ignorò l’insulto: «Vi consegnerò a chi di dovere.»
«Ma senti questo!» uno dei due lo prese per le spalle e lo spinse contro il muro «Potremmo cambiar gioco e decidere di distruggere la tua faccia! Che ne dici?»
Light non poté fingere indifferenza, e corse verso di loro: «Lasciate stare il mio amico, risolviamo la questione civilmente!»
Prese le spalle dell'assalitore, quando il bastone del compagno gli colpì la faccia con inaspettata violenza: e fu una fortuna, se solo il naso e il labbro superiore iniziarono a sanguinare. Scoppiando in un accesso di risa, l'uomo si distrasse: e bastarono quei pochi secondi perché le ultime risate gli finissero in gola, insieme a una scheggia di incisivo.
Osservò il volto sconcertato dell'altro delinquente, ancora rintronata dall’immagine di quel pugno che si schiantava sulla mascella dell’amico; deciso a dare una lezione a Light, aveva liberato Eler dalla sua morsa.
Avevano una manciata di secondi, prima che li sbranassero vivi.
«Vieni, Riou!» gli agguantò il polso e lo trascinò via, imbucando il primo vicolo che incontrò in una corsa perdifiato.
Dietro di loro sentivano i loro inseguitori incalzarli, intimando loro di fermarsi. Light strattonò Eler, facendogli cambiare bruscamente direzione nella speranza che prima o poi li avrebbero persi di vista: ma quelle voci, i loro passi affrettati, si facevano presto nuovamente vivi alle loro spalle.
La mente del ragazzo era un recinto di fiere impazzite che si attaccavano l’un l’altra: non aveva idea di dove fossero –i sobborghi in quel punto erano tutti maledettamente identici, ed erano immersi nelle tenebre-, e il suo fiato iniziava ad accorciarsi troppo. Sentiva ancora il rumore della mandibola dell’avversario che si rompeva sotto il suo pugno, e provò un brivido di terrore all’idea del contrappasso che avrebbe subito.
«Light, di qua!»
Si voltò, osservando il braccio allungato dell’amico: gli indicava un basso steccato di legno, dietro al quale vi era un minuscolo cortile.
Con uno scatto felino Eler s’arrampicò e si lasciò cadere dalla parte opposta: in pochi secondi, con un po’ più d’impaccio, Light lo raggiunse. Si ritrovarono tra una piccola catasta di legna e un mucchio abbandonato di fieno.
Erano accovacciati con le spalle contro lo steccato, vagamente nascosti dai ceppi d’albero; il giovane borghese non poté fare a meno di pensare, anche in quella situazione, alle costose scarpe che indossava, e che in quel momento navigavano nella fanghiglia maleodorante di quel buco. Probabilmente erano finiti in un porcile in miniatura, o in un punto di raccolta di immondizie, o chissà quale altro scempio. Non voleva nemmeno pensarci.
Passarono i minuti. Le voci dei delinquenti si erano prima incollerite, poi affievolite, e infine erano sparite insieme ai loro passi: nonostante questo, i due erano rimasti lì, immobili, uno accanto all’altro, in un’insensata attesa.
«Se ne sono andati.» la voce di Eler era un sussurro velatissimo.
«Probabile.» solo quando pronunciò quella parola, lo stomaco di Light sembrò sciogliersi dal nodo in cui si era aggrovigliato. Si voltò verso Eler, il cui viso era fisso su di lui: i loro fiati erano ancora affannati, un po’ per la stanchezza, un po’ per la paura, un po’ per il freddo che intirizziva i loro corpi. Ma nonostante questo, non poterono trattenere un sorriso di sollievo.
«Riou, hai della paglia tra i capelli.» Light gli indicò il ciuffetto corvino da cui spuntavano fuori due steli giallastri.
«Tu hai del sangue sulla faccia.» Eler poggiò l’indice sulla sua bocca e gli mostrò il polpastrello: era di un vivido color rubino.
Lo sapeva: percepiva il sapore caldo e ferroso del sangue fino in gola.
«Mi ha tirato il bastone in faccia. Sarebbe potuto andar peggio.»
Eler allungò nuovamente la mano verso il suo viso, toccandogli delicatamente il labbro superiore: «Ti ha dato comunque una bella botta.»
Il suo palmo era gelido e dolce, come la neve che quell’inverno non aveva imbiancato Parigi.
«Non mi sono rotto nulla, tranquillo. Fa solo un po’ male.»
Bianco come la neve. Pallido, puro, insensibile. Eppure, in quel momento, non solo il suo indice destro era tinto di vermiglio: sulle gote si stava facendo strada un innaturale rossore.
Era forse il freddo?
 
«Grazie di avermi aiutato, Light.»
Avvicinò con la mano il viso dell’altro al proprio, e lo baciò.
 
No, non era il freddo.
 
 
Non era scesa la neve quell’anno, a Parigi. Era stato un anno freddo, lugubre e gelato, che aveva inasprito i cuori della gente: ma sarebbe bastata una scintilla sola, a riscaldare l’animo di quella città.
Light sentì quel vago attrito, un doloroso e istantaneo brivido che gli attraversò il cuore: e divampò un fuoco sulle sue labbra, sul suo viso, in tutto il suo corpo.
Più calore aveva, più ne voleva: avidità e lussuria s’unirono, sbocciando in un unico, prolungato bacio.
Era la passione genuina e disarmoniosa di chi è alle prime armi con l’amore: ma poco importò a Riou se l’altro gli morse il labbro, e a Light non interessava la sua eccessiva foga. Nelle loro imperfezioni, percepirono una perfezione superiore: ed era quel bacio, così bello, così potente.
Potente e distruttivo.
 Si staccarono, ansimando ancora. I loro respiri si condensavano velocemente in sbuffi biancastri davanti ai loro visi.
Eler cercò di dire qualcosa, ma le parole gli morirono in gola più volte; Light riprese a baciarlo.
Non era il momento adatto per parlare. Per parlare c’era tempo: si sarebbe visto in seguito, avrebbero sistemato tutto. In quel momento, aveva lo spasmodico bisogno del calore della bocca di Riou, inasprito dal sangue delle proprie ferite che ancora gli bagnava le labbra.
Non gli importava del freddo, del dolore, del maledetto posto in cui si erano rifugiati: si stavano baciando. Al di fuori di questo non vi era nient’altro.
 
 
Sedevano in silenzio, contemplando due punti diversi del cortiletto. Non erano immersi in un pensiero preciso: tutt’al più, Light stava prendendo coscienza della differenza di sensazioni tra quelle appena sperimentate e quelle con Mélisande.
Anche quando i loro corpi si univano con tremendo ardore, non era per nulla paragonabile all’effusione relativamente casta che si erano scambiati.
Ma questo era solo l’aspetto più superficiale di quell’enorme guaio.
Una fitta gli trapassò il ventre, riempiendolo di ansia e panico; le sue mani si aggrapparono alla manica di Riou, nel disperato tentativo di non affogare in quelle emozioni. L’altro lo strinse a sé per rassicurarlo.
«Tranquillo. Non è successo niente. Ci sono qui io, con te.»
Ma non si contraddicevano, quelle frasi? La presenza di Riou accanto a lui, quel contatto… poteva davvero esser definito “niente”?
Desiderò ardentemente di avere il Quaderno della Morte con sé, in quel preciso istante; ne immaginava le pagine colme di nomi, trasudanti di giustizia incrollabile, di uno scopo supremo.
Avrebbe fatto quel che in quel momento gli sembrava più giusto: vi avrebbe scritto il proprio nome, mettendo fine a quell’ignobile degenerazione dei suoi comportamenti.
Aveva perso. Con quel bacio aveva perso contro Eler.
«Light, devi promettermi una cosa.»
«Parla.»
«Non è mai successo niente.»
«Tranquillo. Nessuno verrà a sapere.»
«No, Light. Non mi importa che si sappia o no, ma… non deve essere successo, e basta.»
Calarono alcuni secondi di silenzio.
«Va bene.»
 
Presero strade diverse, come per sancire la verità di quell’ultimo accordo; e Light, nella sua passeggiata notturna di ritorno a casa, sentì quelle sensazioni sgradevoli perire nel suo petto, e al loro posto farsi strada una certa sicurezza.
Già, non era successo niente.
I suoi piani erano quindi immodificati, integri, incorrotti; e lo era anche il suo cuore, il suo destino, il suo futuro!
Sogghignò alla luna nascente: no, non aveva perso affatto.
Aveva soltanto trovato qualcosa che costringeva Eler a un parziale silenzio: in qualche modo, la partita si era definitivamente ristretta a loro due. Il giovane investigatore non avrebbe più avuto alle sue spalle il corpo di polizia, già sospettoso e scettico davanti al suo operato.
La Giustizia avrebbe vinto.
“Vincerò“.
Sentiva ardere qualcosa nell’animo, e la interpretò immediatamente come la fiamma combattiva del suo spirito che si preparava alla vera battaglia.
In realtà, quel calore non si era generato da solo: ve lo aveva instillato Riou con quel gesto indiscreto. Ma un Dio, abituato a relazionarsi con un immenso e infinito universo, rimane sbaragliato davanti al microcosmo delle emozioni terrene: e inevitabilmente, non le comprende.










Note Autrice.

E finalmente, le cose iniziano a farsi ... yaoi.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, recensite per farmi sapere il vostro parere.
Fonti: Jacques Wilhelm ”La vita quotidiana a Parigi ai tempi del re Sole” (rispetto all'esistenza delle lanterne e all'usanza di farle a pezzi. #truestory, insomma.)
I nomi: Mélisande→Misa Amane, Theo Maxime→Teru Mikami. 
   
 
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