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Autore: I Fiori del Male    01/12/2013    9 recensioni
Alcuni credono che il nostro mondo sia governato da un’entità superiore, che traccia un percorso prestabilito per ciascuno di noi. Altri preferiscono pensare che caos e caso regnino sovrani. Nessuna di queste ipotesi è valida per Panem, dove la vita di ognuno si regge sulle scelte e sul coraggio che si deve avere per compierle, sull’abilità di governare le fiamme, notoriamente volubili, ma capaci di grandi cose, se utilizzate con abilità e saggezza.
- Io e Haymitch ci guardiamo, non appena lui raggiunge il palco, e senza che Effie lo dica ci stringiamo la mano con gli occhi fissi l’una nell’altro. Un accordo ci unisce. - [Capitolo I]
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Haymitch Abernathy, Katniss Everdeen, Peeta Mellark, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- 9 -

[Peeta’s POV]
 

La pelle di Katniss sa di foresta, di foglie umide di pioggia: gli odori del bosco sono ciò di cui è cresciuta, così come io ho vissuto respirando farina e cannella.
Creatura selvaggia e indomita, posso vederla correre attraverso il fitto fogliame dei boschi appena fuori la recinzione del distretto.
Non sono mai stato un cacciatore per lei, sfuggente e riservata da tutta una vita, sin da quando mi ammaliò col suo canto, più soave di quello di qualsiasi uccello.
Forse posso avere una sola, piccola speranza di essere riuscito infine a catturarla, malgrado l’inesperienza; nonostante la concorrenza.
 
Sento il suo corpo tremare sotto le mie dita e so che sto tremando anch’io, con l’impazienza di chi desidera una cosa da tutta una vita e si ritrova infine a toccarla con mano senza sapere come comportarsi.
Con l’eccitazione di poter dire “può essere mia.”
Eppure sto attento. Faccio solo quanto lei mi chiede, perché se osassi qualcosa di troppo potrebbe scappare di nuovo.
So che la inseguirei ancora, che morirei sulle sue tracce come l’assetato sulla scia dell’oasi, nel bel mezzo di un interminabile deserto.
Forse riuscirei a raggiungerla un’altra volta, ma che ragione può mai avere un affamato di rinunciare a un lauto pasto?
 
Sì, la fame e la sete sono le uniche sensazioni con cui posso paragonare quest’amore, che mi ha scavato dentro, donando a lei tutto ciò che avevo da dare: i miei anni migliori, il mio affetto, il mio rispetto, la mia devozione.
Ogni bacio è come un sorso d’acqua di sorgente, linfa vitale che mi rimpolpa le ossa, risposta agli enigmi irrisolvibili dell’esistenza.
Perché sono venuto al mondo?
Per vivere di lei.
 
Le mie dita sfiorano i suoi capezzoli. Mi sento arrossire come un bambino, e getto uno sguardo in alto verso il suo viso; ma lei non guarda me, no. Fissa il soffitto con la bocca spalancata, come non fosse più capace di respirare. Sento la sua pelle ricoprirsi di un sottilissimo velo di sudore, rabbrividire, pulsare quasi sotto le mie labbra.
Scendo lungo la linea del ventre, disegnando con la lingua come fosse un pennello e lei, che mi ha rubato il cuore e l’anima e la ragione, la mia tela di carne e sangue. Con i denti sfioro l’elastico della sua biancheria e lo separo dalla pelle.
Il gemito di Katniss m’incendia il sangue.
 
Con due dita faccio si che la leggera stoffa scenda lungo le sue gambe, lentamente, osservandola mentre mi guarda a sua volta, forse un po’ stupita. Deve essere la sua prima volta. Quasi mi spiace che non lo sia anche per me. Ricordo la mia, di prima volta, l’imbarazzo del non sapere che fare e la sorpresa di scoprire che il mio corpo era programmato per questo. L’incapacità di non pensare a Katniss anche allora, perché avrei voluto fosse con lei ma sapevo che dovevo provare a vivere la mia vita da solo, visto che non riuscivo nemmeno a rivolgerle la parola. Ma la mia pelle non era così calda quella volta, e nemmeno la mia testa era tanto annebbiata dal desiderio. Mi rincuoro pensando che di certo sarò in grado di dare a lei molto più di quel che diedi a quella ragazza: qualcosa, nei suoi occhi quando ci ritrovammo stretti l’uno all’altra, mi disse che aveva capito dove si trovavano i miei pensieri.   
 
Mi rialzo in piedi e la bacio, ma la guido stringendole i fianchi verso il letto che pare quasi attenderci al centro della stanza. Insolitamente docile si lascia portare e poi cadere, sprofondando nel morbido materasso tra i cuscini, assieme a me. La bacio ancora, ma la sento gemere anche a bocca chiusa e la pressione sale di più, spedendomi in un mondo fatto di forme confuse e sfuggenti ma anche di sensazioni chiarissime: ansia, impazienza, eccitazione.
So di essere pronto per compiere l’ultimo passo.
Lei lo sarà altrettanto?
 
Accarezzo le sue gambe, lentamente, giù fino ai piedi e poi di nuovo su, tra le cosce.
Altri sospiri, altri gemiti. Mi godo la visione celestiale di questa donna scossa dai tremiti, le guance rosse e le labbra turgide socchiuse; gli occhi serrati sul mondo di fuori.
È bella come l’arancio carico del tramonto. Mi chino su di lei e traccio un’altra pista di baci.
Solo quando dischiudo di nuovo la sua bocca con le mie labbra, le mie dita si avventurano nella zona più segreta, inesplorata di lei.
Sospiro, in attesa di un suo consenso, che arriva quando la sento alzare i fianchi, spingendosi contro di me, affondando le unghie nella mia schiena, mentre le mie dita sprofondano in un abbraccio caldo e umido, e ne escono, e rientrano ancora mentre la sento gemere un po’ più forte quando, preso dall’eccitazione che mi provoca sentirla gemere, spingo più a fondo.
 
La sua schiena s’inarca di nuovo, il suo seno morbido preme contro il mio petto e lei apre gli occhi, puntandoli nei miei.
 Cosa mi stai dicendo Katniss?
 Esco dalla sua intimità mentre mi afferra la nuca con entrambe le mani e artiglia i miei fianchi con le gambe, inchiodandomi col bacio più sensuale che io ricordi.
Non posso più aspettare.
Mi libero dell’ultimo indumento rimastomi, e non so nemmeno con quale coscienza sto compiendo i gesti necessari, perché nulla è nella mia testa se non tutto quanto racconta di lei.
Le prendo le mani e le stringo forte: so che le farò male, non ho controllo su questo segreto mistero che vede il dolore come un passaggio da superare, per prendersi il meglio dell’amore. Lei però non mi ferma, non parla, geme soltanto, nel silenzio ovattato di questa stanza, geme e sospira, più forte quando finalmente entro dentro di lei.
 
Ed è come rinascere. Si cancella da me l’insoddisfazione per non aver compiuto il nostro primo viaggio assieme, perché è come se fosse avvenuto: sono un altro, ora. Sono ancora il bambino che sentì gli uccelli zittirsi nel cortile per sentirla cantare, e sono l’uomo che ha ucciso e ucciderebbe ancora per tenerla in vita; ma sono anche qualcosa di nuovo: Sono suo.
 
- Katniss ... ti amo. – sussurro nel suo orecchio, prendendo un ritmo diverso, più veloce e più forte. E lei, dopo un attimo di tensione per via del dolore, mi segue, risponde alle mie spinte, e urla geme e sospira, e grida il mio nome che si mischia col suo in un mio sussurro incoerente, così come il mio respiro e il battito del mio cuore.
 
E alla fine, quando giungiamo insieme al termine di questo viaggio, so di essere davvero condannato: siamo legati in ogni senso adesso, ma questa creatura della foresta è abituata a sfuggire alle regole, figurarsi ad un povero,  pazzo cacciatore ubriaco d’amore.
 
 
 
Katniss dorme. La sua pelle profuma ancora di foresta e di pioggia, ma provo un piccolo, segreto piacere nel sentire il mio odore di panettiere ora misto al suo. La avvolgo nelle mie braccia e le carezzo piano i capelli, approfittando del suo sonno per fissarne ogni piccolo particolare: le ciglia lunghe e ricurve, qualche spruzzo leggerissimo di lentiggini appena sotto gli occhi, un leggero rossore sulle guance. Sfioro col pollice le labbra piene, poi la stringo più forte che posso.
 
Nel silenzio che avvolge questa stanza, sento il suo cuore battere regolare. Questo ritmo ha inconsapevolmente scandito la mia vita da quand’ero nulla più che un bambino. La sola idea di poter perdere questo battito mi distrugge, eppure devo tenere in conto la possibilità di fallire: tutto è contro di noi.
Avrei voluto essere nell’arena per garantirmi la possibilità di proteggerla: restando qui posso solo sperare che le persone con cui parlerò decidano di darmi retta.
Come arma, non avrò altro che la parola, quando a servirle sarà piuttosto qualcuno disposto a coprirle le spalle.
Perché è andata così? Maledetto Haymitch... mettersi d’accordo con Katniss, che non capisce il mio bisogno di proteggerla con le mie mani, non è stata una buona mossa. Lo fanno per tenermi al sicuro dicono, perché è importante che io viva; ma se lei morisse io non potrei andare avanti comunque! Non mi resterebbe niente! Non avrei il coraggio di tornare nel distretto dodici e ricalcare i suoi passi, vederla aggirarsi in ogni angolo delle strade; aprire la porta al suono del campanello sperando che sia lei, venuta a vendere a mio padre qualche scoiattolo di nascosto. Perché nessuno sembra capirlo?
 
 A un tratto un’idea si fa strada nella mia testa. Mi alzo, riuscendo a non svegliarla, e sgattaiolo fino all’anta dell’armadio rimasta aperta dove, tra le tele ormai zuppe di tempera ci sono anche quelle ancora in attesa di un’immagine che le riempia, i colori e i pennelli.
Tiro tutto fuori e recupero il cavalletto aprendolo con lentezza esasperante, scoprendo di aver trattenuto il respiro solo quando finalmente lo poso a terra delicatamente, e vi piazzo sopra la tela.
 
Katniss è davanti a me, a malapena coperta dal lenzuolo di seta grigio perla.
Dorme profondamente, il viso schiacciato di lato contro il cuscino ma disteso in un’espressione serena che pochissime volte ho potuto vedere.
La sua solita treccia si è ormai sfatta e i capelli, lunghi e scuri, sono sparsi un po’ ovunque. Le labbra sono ancora rosse e gonfie del sangue che vi è passato dentro mentre m’incendiava con i suoi baci.
È bellissima, e non voglio che il tempo corroda questo ricordo, così decido di imprimerlo sulla tela, una pennellata dopo l’altra, mantenendo il silenzio più assoluto. Vorrei poter dipingere per lei un felice futuro con la stessa facilità con cui ritraggo cose su queste tele, e invece tutto quel che posso fare, è conservare il presente man mano che mi si dispiega davanti, e il passato, prima che scompaia.
Quando ritengo di aver finito, ho le lacrime agli occhi per lo sforzo di dipingere al buio quasi completo e sono le tre del mattino, ma non mi fermo.
Sento troppo forte l’urgenza di conservare tutto quanto mi appartiene di lei, i miei ricordi legati ai suoi; e così su un’altra tela una piccolissima Katniss canta in piedi su una minuscola sedia, con indosso un vestito rosso a quadri e i capelli legati in due trecce sottili. Io la osservo, seduto al primo banco. Una ghiandaia imitatrice sorveglia il tutto con gran curiosità, appollaiata sul davanzale.
 
Su un’altra Katniss mi osserva seduta a terra, appoggiata ad un albero e fradicia per la pioggia che cade incessante da ore. Io non mi vedo, ma so che stringo due pagnotte di pane mezze bruciate e roventi nelle mani, mentre attendo che mia madre se ne vada per potergliele dare.
 
Un’altra tela ancora, e Katniss è china su un dente di leone, nel cortile della scuola. Sorride incoraggiata come non succedeva ormai da un bel po’.
 
Quando ho finito le tele, passo ai fogli e alle matite. Ci sono mille cose che non ho mai disegnato e che dopo stanotte potrei perdere per sempre. Tanti sorrisi e istanti di pace rubati dai miei occhi, perché non erano destinati a me, perché non eravamo amanti che per le telecamere.
Disegno furiosamente, ormai. Con la matita inseguo l’alba, sfruttando ogni momento prima che lei apra gli occhi e la sua mente le dica magari che quel che è successo è sbagliato; trattengo ogni secondo prima che arrivi l’ultimo giorno.
Malgrado le mie preghiere il sole non vuole saperne di fermarsi e così, dopo aver disegnato tutta la notte, vedendo col cuore più che con gli occhi, mi fermo per accostare le tende, così che la luce non la svegli prima del dovuto. Sistemo le tele ormai asciutte e i disegni nell’armadio, richiudo la scatola di tempere e il cavalletto.
 
Quando mi sdraio accanto a lei, sono svuotato di ogni peso che invece è rimasto impresso su quei fogli. Così scivolo in un sonno profondo e tranquillo, dove ogni cosa parla di lei.
 
 

“Peeta, è ora di alzarsi! Dobbiamo parlare con gli stilisti, per decidere cosa fare per l’intervista. In più sarebbe il caso di tentare di accattivarsi qualche altro sponsor.”
 
Questa è la mia sveglia. Effie Trinket che mi ricorda quali sono ora i miei compiti. Ho notato ormai da giorni come non ci sia più alcuna “grande, grande, grande giornata” ad attenderci. Il suo tono di voce è sommesso, il suo bussare più delicato.
 
L’assenza di Katniss al mio fianco, la sensazione delle lenzuola fredde sotto le mie dita è però ciò che più mi fa male.
Così mi rendo conto davvero di quanto avessi sperato di ritrovarla accanto a me, al risveglio. Non so cosa pensare, così cerco di concentrarmi sul fatto che è quasi mezzogiorno e che quindi sarà di sicuro al centro d’addestramento.
Chissà perché la cosa non mi consola per nulla.
 
Sono consapevole di non poter fare altro che tentare di dare un senso alla giornata che mi aspetta, mentre attendo la mezzanotte. La voce di Cinna risuona nella mia testa. Cosa accadrà oggi a mezzanotte? So che me lo chiederò per tutto il giorno.
 
Mi alzo stancamente, poi scosto le tende, fermandomi un attimo a osservare Capitol City nella forte luce del primo pomeriggio.
Sarebbe bella, se le si potesse togliere ciò che rappresenta per noi abitanti dei distretti.
Il sole si riflette sulle mille costruzioni di vetro e metallo, dando l’impressione che splenda di luce propria. I capitolini già si aggirano per le strade, popolandole di colori troppo forti per le mie pupille, abituate al grigiore perenne del dodici, all’opacità che tutte le cose hanno in un distretto dove ovunque si posa la polvere di carbone e nemmeno la glassatura delle torte può avere colori tanto squillanti.
 
Mi passa per la mente un macabro pensiero: le ceneri di tutti quelli che sono morti negli Hunger Games basterebbero a offuscare questi colori?
 
Scuoto la testa chiedendomi cosa mi passi per la mente, poi mi dirigo in bagno per una doccia veloce. Un quarto d’ora dopo, lascio la stanza pensando che presto quelle lenzuola su cui io e Katniss abbiamo fatto l’amore non ci saranno più.
 
Metto piede nel salone e trovo Cinna, Portia ed Effie ad attendermi assieme al pranzo. Non tocco nemmeno una portata. Invece mi verso una tazza fumante di cioccolata, inzuppandoci dentro il pane mentre Effie chiede a Cinna e Portia come pensano che si evolveranno le tendenze del momento nei prossimi giorni.
 
Ad un certo punto non ne posso più di ascoltare certe sciocchezze e passo al punto cruciale.
 
- Avete già pensato a qualcosa, per l’intervista di domani? – chiedo, e so di suonare spazientito: Effie mi sta guardando con espressione colpevole e Portia ha piegato leggermente la testa di lato e sembra un po’ stupita. So di non essere generalmente brusco con la gente ma questa giornata si sta rivelando pessima fin dalle prime ore. Prendo un bel respiro, per controllarmi. Cinna sorride comprensivo.
 
- Giusto. Parliamo delle cose importanti. Il Presidente Snow ha preteso che Katniss indossasse per l’intervista l’abito da sposa scelto dal pubblico. – ci informa Cinna, cupo.
Quasi sputo la cioccolata che stavo per ingoiare, sapendo che questo non è che un altro modo per prenderci in giro tutti. Katniss in abito da sposa il giorno prima che la mandino a morire. Ha un significato fin troppo chiaro, sopra ogni cosa lo ha per me.
Al di la della messinscena del matrimonio, se non fossimo stati ributtati negli Hunger Games avrei voluto provare a costruire una vita con lei, se mi avesse dimostrato di volerlo a sua volta.
Era l’ultima speranza cui potessi aggrapparmi e mi sarei accontentato anche di questo, ma Snow non ha mai avuto intenzione di lasciarci in pace.
 
Portia tende una mano verso la mia, chiusa a pugno sul tavolo, avvolgendola. Mi guarda, e nei suoi occhi vedo sincera preoccupazione. Non dice nulla, lo sguardo parla da se. Riesco a far spuntare un sorriso a mezza bocca come rassicurazione, per poi ritrovare la voce.
 
- Immagino non si possa evitare. – osservo, duro.  Cinna scuote la testa e Portia abbassa lo sguardo. Effie si rigira nervosamente una penna tra le dita, guardandomi di sottecchi. Quello che sto per chiedere agli stilisti le farà male, lo so per certo.
 
- Che possibilità abbiamo di salvarle la faccia? Voglio dire ... il pubblico come reagirà a questo? –
 
- Il pubblico è affascinato dalla vostra storia, Peeta. – risponde Cinna con onestà. – Snow vuole fare del male a voi e ci sta riuscendo ma non conquisterà di certo il favore del pubblico, presentando Katniss vestita da sposa il giorno prima che entri nell’arena. Sarà ancora peggio però, se entrerai in scena con lei.  Di solito i mentori non partecipano alle interviste, siedono fra il pubblico insieme agli stilisti, ma il vostro è un caso del tutto particolare e d’altronde non esiste regolamento, scritto o meno, che vieti la tua partecipazione all’intervista. Solo mi chiedo ... –
 
Il suo sguardo vola per un attimo su Effie ed io so cosa sta pensando.
D’altronde Cinna si è dimostrato capace di leggere il cuore altrui con estrema facilità e deve aver compreso, come me, la portata del sentimento che unisce Effie a Haymitch. È vero, fare questo gesto significherebbe, per me, pormi come mentore totalmente dalla parte di Katniss. Fa male.
È questo che Haymitch diceva che avrei provato dell’essere mentore? Mi sento un traditore solo al pensiero.
 
Poi Effie si volta verso di me ed io rispondo al suo sguardo, sentendolo sulla nuca. Ha le lacrime agli occhi.
 
- Credo che dovresti fare il meglio che puoi, Peeta. – dice, perfettamente composta nella voce.
I miei occhi volano alle sue mani, che stringono convulsamente la penna sotto il tavolo, ora.
Le nocche bianche come neve.
 
- Nel migliore dei casi, potremo salvare uno solo di loro e so che Haymitch preferirebbe fosse lei. – afferma.
Poi si alza con la solita grazia, e abbandona la stanza svolazzando elegantemente sui suoi tacchi. Sento la porta della camera chiudersi piano e un silenzio glaciale piombare ora tra noi tre, rimasti li.
Lascio crollare la testa tra le mani, liberandomi dalla stretta leggera di Portia. Che cosa sto facendo?
 
- Peeta, ascolta ... – comincia Portia. – Non tutto è perduto. Guardami.
 
Alzo la testa per osservarla e Cinna sorride a sua volta.
– Ricordati cosa ti ho detto ieri sul terrazzo. –
 
Annuisco, divorato dalla curiosità. – Non so di cosa si tratti ... ma Effie ne sa qualcosa? –
 
- No, e non deve saperne nulla. – mi avverte Cinna.
 
- Già che ci siamo, posso chiedervi perché nascondiamo sempre ogni cosa a Effie? Come quel che è accaduto durante il tour della vittoria nel distretto undici. Ormai mi riesce tanto naturale inventare scuse per lei quando qualcosa va male ... ma perché lo facciamo? –
 
- Effie è una persona molto fragile. – mi spiega Portia a voce bassa, chinandosi verso di me e afferrando un biscotto dal centro del tavolo come scusa. – Far confessare qualcosa a Effie è molto semplice. In futuro questo potrebbe rivelarsi ... scomodo. Perciò è meglio che non abbia nulla da dire. –
 
Sto per ribattere, evidentemente confuso, ma Cinna alza una mano per fermarmi.
 
- Non è questo il momento. Ora devo farti una domanda importante. Hai avuto occasione di parlare con qualche possibile sponsor, durante la parata. C’è qualcosa di particolare che hai detto, che dovremmo sapere secondo te? Hai per caso tentato di indurre qualcuno a sostenere Katniss in quell’occasione? -
 
- Alla parata c’era un tale, seduto accanto a me, al quale ho detto che Katniss era determinata a tornare a casa perché ... perché voleva costruire una famiglia con me. – dico, e so di essere arrossito un po’, perché in ciò che ho detto quel giorno non c’erano altro che i miei desideri.
La mia mente torna a vagare nella notte appena passata. Mi ritraggo prima di estraniarmi completamente dal mondo, scuotendo la testa.
 
- Possiamo lavorare, su questo. Peeta, saresti disposto a dire ... una piccola bugia? –
 
- Di che genere? –
 
- Faremo credere a tutti che Katniss sia incinta. – snocciola lui, pratico. Io rischio di strozzarmi con la cioccolata calda, ripensando a quanto accaduto ieri notte.
 
Proprio in quell’istante sento la porta aprirsi e torno alla realtà, mentre i miei occhi si scontrano col grigio plumbeo di quelli di Katniss, che li tiene fissi nei miei per un solo, rapido attimo, prima di posarli su Cinna e Portia.
Non mi sfugge l’improvviso rossore sulle sue guance e so che le mie devono essersi colorate allo stesso modo.
Percorro le sue forme con lo sguardo e con la mente ritorno alla morbidezza della sua pelle sotto le mie mani.
Al suo profumo.
Sto diventando matto e vorrei tornare indietro nel tempo, ripetere quello che è stato, e poi di nuovo, e ancora in eterno. Vorrei esistesse un mondo in cui Peeta Mellark possa amare Katniss Everdeen, ed essere ricambiato con onestà, avere dei figli da lei e crescerli con lei senza dover convivere con l’incubo di vederli estratti per i giochi.
Vorrei che si avvicinasse, ora, e si sedesse accanto a me, intrecciando una mano con la mia. Anzi mi accontenterei di essere guardato. So però che non accadrà.
Ha scelto la fuga.
 
- Allora, di che parlavate? – indaga lei, curiosa.
 
- L’intervista. – risponde Cinna prontamente, e per un attimo temo che stia per dirle ciò che ha detto a me, ma non lo fa.
 
- Ora vai a riposarti, prima di tornare al centro ... non avrai bisogno di provare l’abito: è uno dei vestiti da sposa mandati da Snow. Mi spiace, Katniss, non ho potuto evitarlo. –
 
Vedo il suo volto indurirsi se possibile ancora di più. Stringe le mani a pugno e, senza dir nulla, si dirige quasi di corsa verso la sua stanza. Sento la porta sbattere subito dopo e sussulto. Cinna sospira.
 
- Mi spiace davvero. – stavolta si rivolge a me. Scuoto la testa. – Non è colpa tua, Cinna, anche lei lo sa. Lascia che si sfoghi; sono certo che non ce l’ha con te. – dico, e sono sincero. Cinna è una delle poche persone con cui Katniss ha legato davvero e capisco bene come possa essere accaduto: in fondo lui è diverso dagli altri abitanti di Capitol, e lo stesso vale per Portia.  Tengono davvero a noi, lo vedo nei loro occhi e nei loro modi gentili.
 
- Più precisamente, di cosa discutevate? – chiede Haymitch, facendo così notare la sua presenza.
 
- Avremmo deciso di far credere al pubblico di Capitol che Katniss sia incinta. – ripete Portia, e di nuovo rischio di strozzarmi, anche avendolo già sentito.
Haymitch mi guarda e scoppia a ridere. Lo osservo  interdetto. Si avvicina per sussurrarmi qualcosa all’orecchio.
 
- Non è che ieri notte siate stati propriamente ... silenziosi. - Poi mi batte forte la mano sulla schiena un paio di volte, perché stavolta la cioccolata mi è andata davvero di traverso.
 
- Haymitch! – esclamo, a dir poco indignato; ma lui sorride e c’è qualcosa di strano, perché non vedo amarezza nei suoi occhi, né alcun briciolo di crudele ironia.
 
- Comunque, è una buona idea. – approva. – Anche per me ci sono restrizioni d’abbigliamento? – chiede. Portia scuote la testa.
 
- bene, allora immagino che domani Peeta sarà vestito da sposo. Perlomeno, sarebbe l’ideale. – suggerisce. Non c’è niente da fare: non sarò mai in grado di pensare da mentore come fa lui. Cinna annuisce: è d’accordo.
 
- Be, a questo punto ... – Cinna si volta verso Portia, i cui occhi brillano per un istante.
 
- C’è una cosa molto ... particolare, che potremmo mettere in scena per domani sera. Una sorpresa che scoprirete domani. Solo, Peeta, vorrei che ti preparassi per una dichiarazione seria. –
 
- Non ce ne sarà bisogno. – interviene Haymitch, prima che io possa replicare. – Peeta, non credo tu abbia bisogno di scriverti un discorso da fare al pubblico per dimostrare il tuo amore per Katniss ... il suo cuore parlerà chiaro, al momento giusto, come sempre. – li rassicura.
 
- Bene, allora.. ah, Haymitch. Quasi dimenticavo: stanotte ci vediamo sulla terrazza. Ovviamente vale solo per noi. Niente accenni di alcun tipo a Katniss; soprattutto non una sola parola con Effie. –
 
Haymitch annuisce senza chiedere spiegazioni, mentre il mio stomaco ribolle d’ansia.
 
- Bene. Torno al centro d’addestramento allora. –
 
Haymitch ci volta le spalle, incamminandosi verso l’uscita. Osservo le sue spalle larghe.
È come se la natura lo avesse creato con tutte le caratteristiche necessarie per sopportare tutto quel che si porta dietro da una vita; eppure c’è qualcosa nel suo incedere, in quel modo di tenere le spalle un po’ curve, che mi fa paura: mi chiedo se non sia arrivato ormai a un punto di non ritorno e per un attimo mi sfiora il pensiero che possa aver deciso di farla finita, in quest’arena.
Non so il perché, ma mentre si chiude la porta alle spalle desidero potergli mandare un po’ di forza.
 
Sospiro, sconfitto in partenza: potrei non averne abbastanza per me stesso. 



*Angolo autrice*   

Eccomi qua finalmente con questo capitolo, dopo quella che mi è sembrata un'eternità :D 
Insomma, non preoccupatevi, non vi ho abbandonati. Piuttosto è l'università che mi ha inghiottita nei suoi tetri abissi rubamdomi tutto il tempo che avevo a disposizione. In più devo ammettere di aver avuto un brusco calo d'ispirazione T.T Sapevo cosa volevo scrivere, ma non avevo idea del come, cosa terribile D:
Vi è piaciuto questo capitolo? Mi ha costretto al cambio di rating, ma spero che ne sia valsa la pena :) 
Ringrazio come sempre MatitaGialla ... uno di questi giorni potrei pubblicare un capitolo comprensivo di correzioni e commenti, c'è da ridere per giorni!!!  :D  
ANDATE A VEDERE LE SUE STORIE SONO BELLISSIME :P


Fatemi sapere che pensate di questo capitolo ;) 

Un bacio :*

 
   
 
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