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Autore: Friedrike    02/12/2013    1 recensioni
Ludwig Beilschmidt e Felicia Vargas (rispettivamente Germania e Fem!Italia del Nord), in un contesto AU, quello della Seconda Guerra Mondiale. Non più Nazioni, bensì un uomo ed una donna che s'innamorano l'uno dell'altra. Si conoscono ad un ballo in Italia ed è subito amore. Ma la guerra li separa e quando il soldato della Wehramcht ritornerà dal fronte niente sarà più come prima.
Genere: Angst, Fluff, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas, Nuovo personaggio, Sud Italia/Lovino Vargas, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Dovunque sarai, ti amerò per sempre.'
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Troppe volte questa vita è stata sconvolta.
La ragazza è stanca, ma forte. Ha salutato in lacrime il nonno, i partigiani, gli amici ed i parenti come se fosse un addio, perché dopotutto non sa quando e se tornerà.
E' salita in treno con tanti sogni e pochi bagagli, una valigia con tutto ciò che le occorre in quanto donna, bei vestiti, trucchi, le lettere del suo soldato al fronte, e una più piccola che le occorre in qunato mamma, perciò contenente le cose del piccolo Mathias Andrea. 
Se lo guarda e se lo coccola anche adesso, seduta compostamente sul posto di un treno che forse ha conosciuto troppi dolori, troppe separazioni ma chissà quanti ritrovi e ricordi ha anche portato con sé.
Pensa ancora, la ragazza, alla lettera scritta da Luwig nella quale diceva: sono vivo.
Quasi non ci credeva! Ha dovuto confrontarla con le altre, per vedere se la scrittura fosse la stessa, se qualcuno la stesse ingannando, ma niente, niente bugie, basta menzogne. 
Certo avrebbe voluto tornare prima dal suo uomo, tuttavia le lettere in tempi di guerra viaggiano più lentamente ed i treni sono spesso pieni. 
Così, adesso, salita sul primo che ha trovato libero, sogna di riabbracciarlo, di baciare ancora quelle labbra sottili, così dolci, mai troppo affamate di gloria e passione.
Scendere dal treno risulta sempre un po' difficoltoso se si hanno due bagagli ed un bebé, ma per fortuna trova anche stavolta una buon'anima che le da una mano.
Con un sorriso ringrazia quell'uomo, non un soldato, un uomo semplice, mite, e di quei tempi lei sa che è difficile trovarlo, e si guarda un attimo intorno. 
Aveva detto al marito che sarebbe stata lì per quell'ora e per quel giorno, vale a dire il giovedì alle sette, l'umidità della sera è già calata ma del tedesco non v'è traccia.
Una donna che a Felicia pare conosciente si avvicina a lei. Non riesce a ricordare dove l'abbia vista. Ed ecco che quella, cordiale e rispettosa, le parla.
-Frau Beilschmidt.-
L'italiana si emoziona quasi. Non si era mai sentita chiamare così, con l'appellativo di Signora ed il cognome del suo innamorato. Stringe al petto il figlioletto che, stanco dal viaggio sebbene lo abbia praticamente passato a dormire, si lamenta un po' e rivolge all'estranea uno sguardo dal carattere interrogativo.
-Sì, sono io.. e voi siete...? Perdonatemi, non ho memoria del vostro viso.-
-Non importa, io ho memoria del vostro; seguitemi, vi condurrò a casa. Il mio nome è Marika, sono le domestica di..-
-Ah! Che sbadata, mi spiace. Ora mi ricordo di voi.-
Ma viene costretta a girarsi da un urlo. 
Istintivamente porta la mano a coprire il volto del bambino perché non veda, sebbene lui sia tutt'altro che interessato alle vicende dei grandi. 
Due ragazzi hanno appena consumato un dialogo simile, a dieci metri di distanza. 
-Chi sei?- ha chiesto lei. Poi si è spostata un po', cercando di intravedere sul treno dal quale scende un soldato dietro l'altro, l'arrivo del suo promesso sposo. 
-Sono io, amore.-
E quel ragazzo, col viso sfigurato per metà scoperto per metà bendato da una benda bianca, le si piazza davanti, parlando con voce tremante. -Sono Peter.-
E lei ha urlato. -No!-  in lacrime. 
Felicia si chiede come possa farlo. Non sa in che condizioni troverà il suo, di sposo, però è pronta a giurare che gli rimarrà accanto anche se quegl'occhi azzurri si fossero iniettati di sangue e violenza, anche se il volto pallido si fosse sfigurato per sempre da innumerevoli cicatrici, anche se il corpo, scolpito a modello greco, anzi, ariano, fosse stato mutilato. 
Stringendo le labbra, ha visto piccole lacrime colare giù da quelli che un tempo erano stati begl'occhi verdi e che ora sono un ammasso informe. Però è vivo. Ed i sentimenti sono di certi li stessi, perché è sempre lui, Peter. 
La ragazza decide di aver visto abbastanza e sale sull'auto, completa persino d'autista, e lasciandosi aiutare si mette comanda per affrontare un ultimo, piccolo viaggio. 
-Complimenti, è davvero un bellissimo bambino- dice la domestica, Marika. 
-Grazie- risponde lei, col solito sorriso. Il bimbo se la ride. 
Agita un poco le manine verso la donna, adesso di mesi ne quasi quattro e di voglia di conoscere il mondo ne ha tanta. Non ha conosciuto solo le braccia della madre, lei ha sempre voluto s'abituasse a stare con tutti, in modo tale che ora, vedendo il papà... ha una fitta al cuore. 
Si sente nervosa, ha paura che entrambi non si riconoscano.  Per tutto il tragitto si chiede cos'abbia impedito a Ludwig di andarla a prendere alla stazione e ripensa a quel certo Peter, bel ragazzo sfigurato. Eppure arriva a destinazione senza scomporsi. 
Scende dall'auto e nota subito il tedesco sulle scale di casa che l'aspetta.
Egli è appoggiato al muro dell'abitazione e lì vicino ha le stampelle. Non si è ancora totalmente ripreso, ma per fortuna il rischio di un'infezione è già stato scongiurato -o così si direbbe. 
Gli occhi azzurri del giovane soldato si specchiano in quelli della moglie e nel visetto dolce del figlio che però non vede ancora bene. 
Fa un passo avanti e si appoggia alla colonna neoclassica che con la gemella sta dinnanzi la porta. 
La giovane donna italiana sente piccole calde lacrime scorrere sulle guance leggermente truccate e gli si avvicina, abbandonando lì i bagagli, incurante di tutto. Gli si avvicina e lui le fa cenno di fare ancora dei passi e di salire le scale. 
Lei ubbidisce.
-Ludwig...- sussurra. 
Lui non sa chi guardare prima ed i suoi occhi passano veloci dalla moglie al figlio; zoppica un po' ma si avvicina a loro. Appoggia le labbra alla fronte della sua bella e fa uan carezza sulla guancia del suo bambino.
-E'... è.. cresciuto così tanto..- bisbiglia lui. 
Parlano a bassa voce, per viversi meglio. 
Leri ride, e piange, e si asciuga le lacrime. -Sì.. è diventato un ometto.-
Mathias apre la boccuccia e sbadiglia, accoccolandosi nella sua coperta morbida, celeste chiaro. 
Ludwig appoggia una mano sulla guancia della ragazze e le regala un lungo e dolce bacio. 



Una coperta leggera si posa sulle loro spalle, sistemata in questo modo dall'italiana.
Sono entrambi nel letto del soldato, vestiti, distesi lì per riposarsi qualche attimo. Mathias dorme ancora in mezzo a loro e stanno un po' stretti, ma non importa perché ne hanno bisogno. 
Adesso vivono il momento di silenzio che segue al temporale delle emozioni e dei racconti dell'orrore, quello in cui si riflette un po' sui fatti e si decide se essi siano reali o meno. Lo sono, ahiloro, questa volta. 
Romano è morto, Gilbert è stato deportato e, forse, è morto pure lui; entrambi però risparmiano all'altro troppi dettagli. Felicia non parla degli altri partigiani, anche perché quello non è il luogo adatto -non la casa di tre soldati del Reich; e Ludwig, dal suo verso, non può raccontare le atrocità della guerra ad una donna che, in quanto tale è sensibile -lei lascia pure lui lo pensi, senza arrabbiarsi troppo. E poi.. non capirebbe, probabilmente... non le dirà neanche che ha ucciso il suo aggressore. Vuole solo che dimentichi. 
Ripartirà presto, ma almeno staranno di nuovo insieme per un poco. 
-Tuo fratello starà bene...- promette lei. 
Lui non ci crede. Ma la guarda negli occhi ed annuisce una sola volta. -O morirà con onore.- 
Non crede neanche a questo. Una morte onorevole in un forno? Bruciato vivo, probabilmente nudo, ammassato con altri senza distinsione? Eppure il biondo non sa cos'avviene nei campi, non esattamente..
-Non morirà.-
-Non lo so... non voglio illudermi.-
Col viso stanco di chi ha conosciuto l'Inferno, chiude gli occhi con la speranza di chi vuole il Paradiso ma sa che non potrà mai accedervi, perché ha trattato coi diavoli e violato la purezza degli angeli; no, non lui. Non quest'ultima cosa. Ma Ludwig non crede più in niente e così appoggia la fronte sul guanciale, lasciando che la donna che ha scelto per la vita lo accarezzi dolcemente.
-Ti fa male la gamba?- chiede lei dolcemente. 
-Non me ne lamenterò. Avrebbero dovuto tagliarla.-
Lei fa solo un cenno col capo sebbene lui non possa notarlo e bacia la sua fronte. -Ti amo.-
Ma lui si è già addormentato.. 



Ringrazia di non avere uno specchio con sé.
Probabilmente, se lo trovassero addormentato profondamente, lo prenderebbero per polsi e caviglia e lo butterebbero in una fossa comune.
La pelle diafana s'è fatta più secca per mancanza di acqua. Sotto gli occhi vermigli sono nate profonde occhiaie violacee, forse enfatizzate dal contrasto con questo particolare colorito di pelle albina. I capelli, purtroppo radi, sono bianchissimi come sempre e dalla consistenza strana al tatto (ciò, tuttavia, è sempre stato nella sua persona) e sulla nuca si notano segni rossi e rosa, dovuti alla scarsa delicatezza con la quale è stato rasato. 
Non vuole vedersi. 
Non è la prima volta che si vegogna del suo aspetto, ma stavolta non sono i suoi colori a dargli fastidio, non un paio di occhi rossi lo turbano poi tanto -in fin dei conti, a quelli, s'è abituato.
Lui, un magnifico pilota, con una divisa neanche a righe, ma a brandelli. Lui, che tanto ama l'ordine, costretto ad ammucchiare e nasconde le poche cose che recupera. Quando riesce a ottenere -quelle rarissime volte- un pezzo di carne nella zuppa, conserva in tasca il pane per mangiarlo la sera. Non è detto che abbia altro fino al giorno dopo. 
Non è l'unico a fare così e qualcuno se ne approfitta. Si aggrediscono l'uno con l'altro, sono stanchi, affamati, e gli estranei sono estranei; ed i familiari, qualche volta divengono nulla. 
"Ludwig..." sospirò tra sé Gilbert guardando il cielo. "Spero tu sia al sicuro, fratellino."
Un bastone lo picchia sulle ginocchia e lui è costretto a riprende il suo lavoro pesante. Continua a spaccarsi la schiena -se solo si scoprisse da quel pigiama, quanti lividi, quanti tagli! 
Quanta inumanità in quel mondo. 



I soldati sono sempre un po' porci.
Sono sempre un po' bambini, vogliono sempre una donna; hanno il  bisogno fisico ed emotivo di avere un donna che li stia ad ascoltare e soddisfi le loro voglie. 
Felicia non ha ancora fatto questo. 
E Ludwig, beh, è pure lui un soldato ed innanzitutto un uomo. Si sveglia quella notte, fissa il soffitto tra un sospiro e l'altro gli pare più scuro del solito, come se quel bianco si fosse fatto meno splendente e più opaco. Chissà.
Si volta appena, lei si è addormentata rannicchiata in quel letto troppo piccolo per ospitare più di una persona, le carezza la guancia e le sistema una ciocca di capelli. Si sente meglio.
Forse è una questione emotiva, ma l'operazione dopotutto è andata bene. La guarda, la sua donna, il suo sguardo s'insinua sotto i vestiti, togliendoli svelto, eppure le sue mani sono ancora ferme. Nervosamente cerca di guardare altrove; non ci riesce. 
Perciò si alza, si avvicina alla culletta del piccolo Mathias e nota sorpreso quegl'occhi verdi spalancati. Si decide a prenderlo in braccio, senza ansie lo stringe a sé e gli sussurra di fare silenzio. Esce dalla camera ma non s'azzarda a scendere le scale. Eppure! Si sente così in forze! 
-Non riesci a dormire neanche tu, eh?- gli sussurra dolce. 
Da un'altra occhiata alla scalinata. Poco a poco, dovrebbe farcela.
Un passo dopo l'altro, stringendo il figlio al petto, protettivo, arriva all'ultimo gradino soddisfatto. 
-Hai visto quanto sono forti i tuoi genitori?- e s'avvicina al divano, perché è già leggermente stanco, sedendosi e appoggiando il bebè sulle sue gambe unite. Gioca con le sue manine. 
-Aaaach, Mathias. Sei diventato grande, eh? Chissà se ti ricordi di me?- chiede retorico sfiorando con le lunga dite fredde la sua guanciotta. Si china un po' e gliela bacia. Il bimbo ride.
Sono così belle, insieme... 
Mathias Andrea si agita un po', muovendo vivace i piedini, con gli occhi fissi  su quelli del padre. Si ferma di scatto e spalanca la boccuccia. -Gh...nh...-
Ludwig appoggia la schiena al divano ed incrocia al petto le braccia, guardandolo dolcemente. -Cosa c'è, che hai? Gott, quanto vorrei tu parlassi. Non ho neanche la minima idea di quando inizi a parlare un bambino...-
Alza lo sguardo vestro destra pensoso, le sue labbra s'incrociano in una smorfia. -Mmh...-
Il piccolo allunga di nuovo la mano su di lui, pare voglia afferrare qualcosa. Il soldato gli porge la mano, non capendo, e lui gli afferra l'indice, poi se la ride. Così il padre si concede un piccolo sorriso. 
Una figura esile, sottile, coperta solamente da una camicia da notte in tessuto leggero e una vestaglia poco  più pesante, scende le scale lentamente, coprendo uno sbadiglio con la mano. Si sporge un poco dal muro e li osserva silenziosa e con un bel sorriso sulle labbra.
-Quando inizierai a camminare, t'insegnerò molte cose, te lo prometto- sta dicendo il giovane biondo al suo bimbo. -Ti prometto, che t'insegnerò quello che i tuoi zii non hanno potuto insegnarti... Ti prometto che cercherò di essere un buon padre. Ma dovrai avere pazienza,  non so ancora cosa significhi avere un figlio e potrei sbagliare. Non ti prometto, però, che ti rimarrò sempre vicino, perché mentirei. Nessuno rimane per sempre.- 
Gli carezza appena i capelli scuri, osservandolo da più vicino.
Felicia si stringe nella sua camicia, con quel gesto tipico che hanno le donne, quel gesto elegante che le invita a coprire le nudità. Esce dal suo nascondiglio e si avvicina a loro due. 
-Sarai un ottimo padre, vedrai.- 
Il ragazzo alza vivamente il capo. -Mh?- 
-Siete bellissimi. Vorrei tanto farvi una foto- ridacchia ancora. Incontrando il suo sguardo, gli fa l'occhiolino, poi gli si siede accanto, la vestaglia in questo gesto si alza un po' finendo sopra il ginocchio. 
Ludwig non può fare a meno di guardare, stringere le labbra, sforzarsi di concentrarsi sul figlio. Lei si copre. Poi, furba, maliziosa, si stiracchia appena e lascia che la gonna si alzi ancora di più. Si appoggia a lui, con la guancia sulla sua spalla.
-Amore?-
-J-ja?- deglutisce quello. 
-Alzati.-
-Was...?-
Lei si alza per prima e gli porge entrambe le mani. Poi nota il suo sguardo confuso e stringe a sé il suo bambino con un braccio solo (la forza di una madre...) e con l'altra mano libera, afferra quella del tedesco.
Sale le scale, arriva in camera, isolata rispetto le altre, vicina a quella ormai vuota dell'albino, e subito sistema il bimbo nella culletta. -Tu fai la nanna- gli bisbiglia. 
Si volta, poi, e lo guarda in quel modo sensuale che solo le donne possono avere; con quella furbizia nello sguardo che è loro, mai volgare a meno che loro non lo vogliano. Quello sguardo che vuole un po' stare al centro dell'attenzione, che brilla. Sembra quasi una sfida.
Ludwig, seduto sul letto la osserva e cerca di ricacciare indietro impuri pensieri senza riuscirci.
Lei si avvicina, lentamente, calibrando passi gesti e parole. 
Appoggia le mani sul suo petto accarezzandolo con la sinistra, distrattamente. 
-Da quanto mi desideri così ardentemente...?- domanda sottovoce.
Le guance del soldato diventano rosse e lui un poco balbetta. -I-Ich... veramente...-
-Allora?-
-...Da sempre.- 
La vestaglia cade via dalle spalle dell'italiana, giungendo presto a toccare i suoi piedi. Appoggia un ginocchio sul letto. -Quindi...- 
Si china un po' su di lui, che è assai titubante. Sa che questa volta non potrà fermarsi, non ci riuscirebbe... 
Lei gli carezza i capelli ed il viso, continuando a guardarlo. E lui niente.
-Per l'amore del cielo, Ludwig!- Però lei si è stufata di attendere (lei!) e rotea lo sguardo sbuffando. 
Perciò, il militare non se lo fa ripete. In qualche istante, si alza, baciandola voglioso, le mani sul suo corpo, tra i suoi capelli, che la spogliano svelti. 
Felicia trattiene un sorrisetto. Si sente pronta; non ha più paura. 
Poco dopo si ritrova con la schiena appoggiata alle coperte bianche, morbide del letto. 
Il giorno dopo neanche il sole riuscirà a svegliarli. Ci sono solo loro, e la loro incoscienza di giovani di vent'anni. 









  
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