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Autore: Reagan_    02/12/2013    2 recensioni
Ci si può innamorare senza riserve e senza motivo? Anche quando si è diversi, opposti?
Georgiana Sullivan è una analista finanziaria, cresciuta in una famiglia benestante della New York dei grattacieli.
Donald Jeter è un medico afromericano specializzando in chirurgia che si divide fra il lavoro, lo studio e il volontariato nel suo vecchio quartiere degradato.
Diversi eppure innamorati.
Opposti eppure simili.
Nella New York delle luci e delle risate offuscate dal buio della Guerra Fredda.
Storia che partecipa al "Slice of Life" Challenge.
Genere: Generale, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Storia che partecipa alla Challenge "Slice of Life" indetto da areon.
Link Challenge:http://freeforumzone.leonardo.it/d/10511289/-Slice-of-Life-challenge/discussione.aspx
Prompt:  Colazione
Titolo: Ottobre 1972-Una colazione
Autore: Reagan_
Fandom: Originali-Romantico
Personaggi: NC
Genere: Romantico
Rating: Verde
Avvertimenti: Nessuno
Lunghezza: (conteggio parole e numero pagine):2422


La speranza è buona come prima colazione, ma è una pessima cena.

Francis Bacon

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Una Colazione



Joelle fissò il suo abito giallo chiaro. La gonna a ruota cadeva perfettamente e nascondeva le cosce piene dalla vista di tutti. Sorrise nell'immaginare la sorpresa di Henry, fra poche ore, nel vederla avanzare con un abito talmente poco ortodosso e che ricordava terribilmente il vestito che aveva indossato per il loro primo e focoso appuntamento. Arrossì ricordandosi le mani di Henry che non riuscivano a stare ferme. Si passò la mano fra i capelli e si voltò alla ricerca dell'approvazione di Georgiana che invece aveva gli occhi fissi sui fogli con i nomi degli invitati.
Joelle trattenne un respiro e si morse le labbra.
Aveva sperato che con il suo matrimonio lampo, i preparativi e tutte le cose da decidere e sistemare prima della partenza di Henry per il Vietnam, la sua migliore amica si riprendesse.
Eppure i suoi occhi erano ancora velati di rabbia e dolore.
Li intravedeva ogni volta che si ritrovava a parlare del suo quasi marito o di tutte le piccole cose che quest'ultimo le lasciava in casa.
Ad ogni domanda esplicita che le rivolgeva, Georgiana scuoteva la testa e le ripeteva che era tutto finito e i dettagli della storia non erano poi così importanti.
Ma quando vide lo sguardo angosciato della sua amica sui fogli con la lista degli invitati, si sentì mancare e i suoi buoni propositi erano crollati sotto l'evidenza di quel suo errore madornale.
-L'hai invitato.- disse lei lasciando i fogli sul piccolo tavolino. -Perché?-
Joelle si sedette sul piccolo pouf rosa della stanza tremendamente giovanile della sua futura suocera e le prese le freddissime mani. -E' amico di Henry. Hanno fatto il liceo insieme e pare che Henry ci tenesse molto. Non sono riuscita a spuntarla su questa cosa.- mormorò lei cercando di nascondere più che altro a sé stessa che aveva gioito nel venire a sapere da Henry quell'improvviso invito. Sperava che quei due potessero almeno parlarsi, e forse, ricucire il loro rapporto. Lei era riuscita a farlo con Henry mesi prima, perché per loro sarebbe stato diverso? Tuttavia la reazione della sua amica, la preoccupò.
-Capisco. In fondo è anche il suo giorno.- sussurrò Georgiana riprendendo colore alle guance. -Rimango arrabbiata con lui, mettilo ad un altro tavolo o sposta me. Non voglio dare spettacolo.-
Georgiana buttò un'occhiata al suo orologio e sorrise mestamente. -Mancano solo un paio di ore, dobbiamo muoverci.-
Joelle annuì ma prima di alzarsi e sistemare l'abito, l'acconciatura e il trucco, non poté non chiederle cosa fosse successo tra loro.
Georgiana chinò il capo, sospirò e finalmente confessò.
-Mesi fa, sono andata a casa sua per la prima volta. Stava male e l'avevo convinto a starsene da me, data la vicinanza con l'ospedale. Mentre dormiva avevo deciso che ci voleva più di un cambio, quindi ho preso l'auto e sono andata.- s'interruppe per fissare l'amica che la guardava timidamente.
-Mi sono scontrata con  un tizio che pare fosse un suo amico. Mi apre la porta di casa sua e quando entro … -la voce le trema per un lungo momento. -Vedo un cappotto viola e una sciarpa di seta, che non sono miei. Non so perché ma non mi è venuto in mente che potessero appartenere a una cugina o una sorella. Quel suo modo di fare strano, il fatto che non parlasse mai della sua famiglia, non mi avesse presentato ai suoi amici e nemmeno portato a casa sua come se si vergognasse di me, mi era improvvisamente chiaro.-
-Aveva un'amante?- domandò Joelle sconcertata.
-Peggio. La fidanzatina scelta da mamma.- rispose Georgiana con una punta di rabbia.



Si guardò allo specchio e rabbrividì.
Era stato obbligato a partecipare all'addio al celibato di Henry Rodham, ritrovandosi suo malgrado in un night club di infima qualità, dov'era sicuro che ancora girasse la sifilide.
Lo sposo aveva esagerato con l'alcool ed era stato costretto ad infilargli le dita in gola per fargli svuotare lo stomaco. Gli altri amici, sposati e non, si erano limitati ad approfittare delle ragazze disinibite che ballavano e servivano ai tavoli quasi nude. Henry si era divertito ben poco, troppo preso a compatirsi per l'imminente partenza per il Vietnam, gridando alla folla disinteressata che non poteva certo lasciare Joelle vedova così giovane e gettarla fra le braccia di qualcuno che forse poteva darle più amore di lui.
Tutte quelle lagne del militare lo avevano depresso e si era ritrovato a confidarsi con il suo vecchio compagno di scuola.
Aveva sbagliato tutto con Georgiana.
Lei sarebbe dovuta comparire in un altro momento, magari dopo la sua imminente promozione a responsabile del suo reparto, magari dopo una proposta di andare a fare ricerca in qualche prestigioso laboratorio.
Aveva una mente brillante e il suo più grande difetto era proprio questa consapevolezza.
Nel giro di un anno, forse due, sarebbe riuscito a permettersi una bella casa in periferia, avrebbe finito il mutuo del piccolo appartamento dove era cresciuto con i suoi genitori, aiutato suo fratello Bernie con l'officina e pagato un matrimonio sontuoso.
Georgiana gli serviva.
Era una donna colta e alla mano, simpatica ed avvenente. Sarebbe riuscita a tenere cene con i colleghi colmando inevitabilmente le sue mancanze, dando istruzioni alle cameriere, gestendo al meglio l'educazione dei suoi figli. Cena dopo cena, serata dopo serata, avrebbe ottenuto il rispetto e la considerazione che sentiva di meritare.
Ma aveva rovinato ogni cosa, perché all'alba dei suoi trentadue anni non sapeva dire di no a sua madre.
Sistemò la cravatta, passò il pettine ai lati dei suoi riccioli scuri e si mise la giacca nuova.
Ora sembrava meno stropicciato dalla notte di baldoria e aveva un aspetto decisamente distinto.
Sorrise come faceva Sidney Poitier nei suoi film e si avviò.



Henry e Joelle ballavano con trasporto nel mezzo del grande giardino della dimora estiva dei Rodham.
Il vestito giallo si alzava e si abbassava con una certa dose di malizia e Henry non riusciva non staccare la mani dal suo corpo.
I loro sorrisi, le loro risate e la loro complicità furono un boccone difficile da ingoiare per Georgiana.
Aveva ormai completato i suoi doveri di damigella d'onore e si era buttata sui flûte di champagne e vino. Le caviglie gli facevano male, i suoi occhi indugiavano fin troppo su Donald e la sua giacca blu notte, i fiori freschi con cui si acconciata i capelli stavano già appassendo.
Le lacrime minacciavano di scendere, ma si trattenne e rimase a lungo a guardare i due sposini ballare allegri.
Gli altri invitati, pochi per non dare scandalo dato che si vociferava che la ragazza fosse incinta vista la rapidità con cui i due si erano sposati e la ricchezza dei Rodham, sembravano divertirsi e ballare.
Georgiana si sedette e li invidiò.
Si era resa conto di non essere poi così forte. Era solo una ragazzina che sognava l'abito bianco, fiori e serate eleganti. Quando a lavoro s'intravede il weekend i colleghi non facevano che chiederle indirizzi di ottimi ristoranti e consigli su piccoli regali e le colleghe ispezionavano con lei ogni capo del loro guardaroba. Era cresciuta in ambienti raffinati e pomposi, la cosa migliore che poteva fare era smettere di fare l'adolescente ribelle e cercare di non compromettersi ulteriormente.
Doveva essere forte ed imparare a mitigare l'amore.
Dopo i balli, venne servita una cena sostanziosa e gli invitati si spostarono nuovamente all'aperto per respirare l'aria frizzante dell'autunno. Georgiana preferì togliersi e proseguire verso la piccola fontana e sedersi sul prato bagnato. I suoi sensi erano annebbiati da ore dall'alcool perciò non si accorse la figura alta di Donald che le si sedeva accanto.
Nessuno dei due riuscì a parlare.
Donald la fissò e ammirò la dolce curva del seno piccolo, i fianchi stretti e le gambe magre.
Era così diversa da Minnie, così diversa da tutte le ragazze che aveva conosciuto che la consapevolezza di quanto fosse perfetta lo faceva sentire povero e insulso.
-Ho rotto con Minnie.- esordì senza rendersi conto. -Sono stato uno stupido. Volevo … Volevo far tacere mia madre. Minnie era sempre intorno e l'ho lasciata fare. Era più facile fare così.-
La frase la colpì e strinse con maggiore forza il bicchiere di bollicine che stava sorseggiando, lo lasciò balbettare scuse vacillanti.
-So di averti ferito e in quei mesi non ho fatto nulla per sistemare quella situazione. Aspettavo.-
-Aspettavi cosa?- ringhiò Georgiana tentando di non cedere alle urla che premevano in gola. -Aspettavi che vi beccassi a letto? A ridere alle mie spalle? Sii uomo Donald. Abbi il coraggio di ammettere che l'idea di avere un harem ti piaceva.-
Donald sbarrò gli occhi. -Cosa? Mi credi capace di queste cose … -
-Non so cosa sei in grado di fare, Donald. Dammi una sola ragione per cui non dovrei lanciarti addosso questo bicchiere.-
Donald la prese per le spalle e la voltò verso di lei, per la prima volta il castello delle sue ambizioni già provate, stava sprofondando.
-Perché tu sei la persona giusta. Perché stare con te mi arricchisce, perché ti amo e perché mi odio.- balbettò Donald, non riuscendo ad esprimersi come voleva, inciampando nelle banalità del caso.
Georgiana lo guardò a lungo.
Non c'era poesia in quello che le aveva appena sputato.
Non vedeva nulla di particolarmente sublime, niente che avrebbe potuto scrivere sul suo diario ed imparare a memoria.
Solo il vuoto della proiezione dell'amore su di lei.
Nonostante quelle parole orrende, il suo cuore non aveva smesso di battere e fare strani salti, la parte irrazionale di sé, la stava spingendo verso quel petto solido su cui aveva posato troppo spesso il capo.
-Minnie non esiste più vero?-
-Sì, le ho detto chiaramente che non l'avrei mai sposata.- rispose con un sospiro di sollievo, intuendo le prime barriere di Georgiana cedere.
-Sei mai andato a letto con lei?- chiese lei, socchiudendo gli occhi ed accusando lentamente gli effetti dell'alcool.
-No. Era una tutta casa e chiesa. Voleva che aspettassimo … -
-E sapeva di me, eh? O hai preferito non dirglielo, signor Jeter?-
-Sapeva … Sapeva tutto. Credeva che fosse una … Avventura.- confessò l'uomo lasciando cadere le mani da quelle soffici e bianche spalle.
Georgiana scoppiò a ridere.
Lei era l'avventura, lei!
La ragazza educata dal circolo delle Lady di New York, tutta casa e scuola esclusive, cene galanti e ballo delle debuttanti, aveva mandato all'aria la sua reputazione per un ragazzo di colore ed ora si ritrovava ad essere definita l'amante, la storia senza futuro di un uomo già occupato.
Si gettò fra le sue braccia ubriaca di mille sensazioni aggrovigliate, biascicò di voler ordinare la colazione e si addormentò.



La bocca impastata, la vista non perfettamente nitida e il dolore allo stomaco, l'avevano fatta alzare alle prime luci dell'alba.
Si trascinò nel bagno e si lavò il viso con acqua fredda.
Sobbalzò quando notò che a seguirla non erano gli echi dei suoi passi malfermi, ma l'ombra di Donald.
-Stai male?- le domandò stropicciandosi gli occhi ed avvicinandosi a lei, sicuro e confidente come sempre.
Le sistemò un paio di ciocche castane dietro l'orecchio e le sorrise dolcemente.
E Georgiana si sentì mancare a causa delle sua nausea.
Fu complicato farsi la doccia, vestirsi e scendere in sala da pranzo. Il resto della casa dormiva, gli sposi si erano rinchiusi nel piccolo bungalow convinti che nessuno li avesse visti, i genitori dello sposo erano fuggiti a gambe levate poco prima della mezzanotte e lei aveva fame. Molta fame.
Non appena fece il suo ingresso nel grande e spazioso salotto, vide Donald, seduto su una piccola poltrona e i ricordi della serata precedente arrivarono veloci come uno schiaffo. Si umettò le labbra e camminò verso di lui.
-Ho preparato la colazione, mangiamo fuori?- domandò indicando il cesto improvvisato e la caraffa di spremuta.
Georgiana annuì e lo seguì come un automa, una marionetta spenta e stanca.
L'incredibile capacità con cui il giovane chirurgo era passato da uomo pentito a capo di famiglia, l'aveva fatta rabbrividire di piacere e rabbia.
Il sole brillava forte quel mattino, irradiando le sedie e i tavoli spogli dei fasti della sera precedente.
Donald si prodigò a sistemare tutto con grande perizia, si era assentato per qualche secondo per portare la bollente caffettiera e una volta seduto, l'aveva tramortita di parole.
Georgiana non riusciva ad ascoltare, aveva preferito concentrarsi sul bacon perfettamente cucinato, sulle uova strapazzate salate come piacevano a lei, sulla freschezza del succo d'arancia, sulla morbida consistenza della mollica del pane. Era stata accolta a braccia aperte da lui e il loro amore celebrato con una colazione degna delle altre che avevano consumato nella spensieratezza.
Appoggiò la schiena sulla tastiera della sedia e alzò gli occhi.
-Cosa stiamo facendo? Cosa vuoi da me?- il tono serio con cui aveva parlato bloccò fin da subito le chiacchiere di Donald.
Lui appoggiò i gomiti sulla tavola e si pulì con perizia da ogni residuo di cibo.
-Sposarti, Georgiana. Sposarti.- ripose lui calmo.
La ragazza si passò una mano fra i capelli scompigliandoli. -Ma perché? E non ti azzardare a parlare di amore e passione, dico sul serio Don.-
Donald emise un sospiro. -Sono un uomo ambizioso. Voglio diventare un medico stimato e riconosciuto. Voglio il rispetto che mi è stato negato quando ero più piccolo e realizzare ogni mio desiderio. Quando mia madre mi obbligò a conoscere Minnie ed a uscire con lei, ne ero quasi entusiasta. E' una persona piacevole e simpatica, ma totalmente inadatta. Non legge i giornali, non studia, non s'interessa di nulla che non sia il canto, la casa, il trucco e la chiesa. Lei era sicura che avrebbe ottenuto un matrimonio perfetto e la giusta posizione sociale per prevalere a Harlem o nei ghetti dei neri. L'ape regina, insomma. Ma io volevo e voglio di più. Io desidero avere una compagna capace di colmare le mie lacune, organizzare feste del genere, farmi sopportare gli scrittori russi, introdurmi nel bel mondo, aiutarmi nella mia scalata. Voglio te. Tu potresti darmi tutto quello che cerco da anni.-
-E cosa daresti in cambio?-
-La mia totale devozione ed amore.-
Georgiana avvicinò la sedia al tavolo e riprese in mano le posate. Donald aveva chiuso per un secondo gli occhi, rendendosi conto di aver aperto totalmente il suo cuore a Georgiana e vergognandosi per le sue parole e desideri.
La voce della donna gli giunse lontana e fece faticare a comprendere di essere stato quasi assolto.
-So già che me ne pentirò già a cena, ma almeno sei stato sincero. Martedì verrai conoscere i miei.-




   
 
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