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Autore: I racconti di Dakotah    02/12/2013    0 recensioni
Ella è una giovane donna ormai, ma non ha ancora perdonato la madre per averla abbandonata.
Cosa succede però se per uno strano gioco del destino, le due si incontrano inaspettatamente?
Tra sogno e realtà si consuma l'incontro misterioso tra due donne collegate da un sottile filo invisibile.
Benvenuti a Segreto Oscuro
"Di nuovo sentii quel sussurro nelle orecchie e stavolta, percepii chiaramente il messaggio.
La verità è nascosta negli occhi di chi crede.
Cosa voleva dire e soprattutto, di chi era la voce che avevo appena sentito?
Feci per toccare l’insetto con le dita, sollevando la mano che tremula, non fece in tempo a sfiorare la spilla"
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La luce del sole filtrava leggera attraverso il tessuto pesante della tenda color rosa pesco della mia camera.
Le pupille ancora dilatate per l’oscurità della notte appena trascorsa, fecero comunque fatica ad adattarsi a quel piccolo scorcio di luce che ormai si posava leggiadro sui pochi mobili della stanza, rendendo visibile la danza dei piccoli granelli di polvere che volteggiavano leggeri e sospesi a mezz’aria.
Sollevai lentamente una mano coprendomi gli occhi con le dita, avvolta nel tepore della mia temperatura corporea e nella soffice stoffa del mio pigiama di seta che accarezzava sinuoso la mia pelle olivastra.
Non volevo alzarmi.
Al piano di sotto ormai la giornata della famiglia Peters era cominciata con i suoi consueti ritmi frenetici e proprio mentre mi ero decisa a scendere dal letto, vincendo così la mia pigrizia, avvertii sulle mie gambe una piccola pressione, seguita da una sensazione di piacevole calore.
Era ciambella, il gatto siberiano regalatomi da mia madre per il mio quindicesimo compleanno.
Erano passati tre anni ormai da quando una mattina semplicemente non la trovammo in casa.
Era andata via, senza salutare, senza spiegazioni e un solo biglietto sulla mia scrivania, che misi via da qualche parte, senza avere tuttavia il coraggio di buttarlo.
Dopo la consueta dose di coccole e grattini, Ciambella mi lasciò libera di fare una doccia veloce per poi scendere a fare colazione.
“ La principessa Ella finalmente si degna di sedere alla nostra tavola”- mi provocò mio fratello Pierce, come ogni mattina del resto.
“Smettila idiota, non la finirai mai di assillarmi?” – lo redarguii bonariamente, masticando un toast con sopra un sottile strato di marmellata alla pesca.
Mio padre rideva chiaramente sotto i baffi ed evitando,rassegnato, di rimproverarci per quella piccola e quotidiana lite, si limitò a darmi un bacio sulla fronte e una pacca sulla spalla di Pierce, per poi sparire oltre l’uscio di casa diretto a lavoro.
“Oggi non aspettarmi a pranzo fratellino, vado con le mie amiche in giro per la città” –esordii, rompendo un insolito silenzio-  “ allestiscono un piccolo mercatino delle pulci, quasi quasi  vendo la tua collezione di vecchi cartoni animati, che ne pensi?”- lo punzecchiai,conscia che la sua risposta sarebbe stata tutt’altro che divertita.
Pierce non era il tipo di ragazzo disposto a sottostare alla supremazia di una sorella maggiore, motivo per il quale la sua reazione fu quella di tirarmi addosso uno dei calzini riposto nel cesto della biancheria sporca, poggiato sul pavimento ed in attesa di essere portato di sotto in lavanderia.
“Tu e le tue amiche non metterete mai le vostre manine delicate sui miei cartoni animati Ella!”- disse risoluto e dopo essersi messo tra i denti una fetta di pane croccante si dileguò, lasciandomi con il calzino in testa e il toast in bocca.
Qualche istante più tardi avevo già sbrigato gran parte delle faccende domestiche, messo i panni in lavatrice, preparato lo scatolone di vecchie cianfrusaglie da vendere al mercatino delle pulci e armata di buon umore ero passata davanti l’uscio di casa aspettando che Sophie, la mia migliore amica, venisse a prendermi con il suo rottame di famiglia, una piccola utilitaria con la quale probabilmente il nonno aveva combattuto le guerre mondiali.
Il rumore del clacson attirò la mia attenzione e barcollando come una papera  per via del peso dello scatolone che sorreggevo tra le braccia, salii in macchina salutandola con un ampio sorriso, nascosto a tratti da quel fastidioso muro di cartone.
“Hai deciso di venderti tutta quanta la casa?” – esordì ridendo, mentre con la coda dell’occhio faceva un inventario degli oggetti dentro lo scatolone.
Sophie era un’attenta osservatrice, niente sfuggiva al suo controllo, men che meno quel tripudio di cianfrusaglie, dal valore di poche decine di dollari.
Il tragitto fu breve e tra una chiacchiera e l’altra  passammo l’ora successiva a sistemare gli oggetti di ognuna di noi nella bancarella di fortuna che avevamo allestito con le altre del gruppo, Elena , Rose e Sammy.
Il sole batteva cocente sul nostro capo, ormai intorpidito dalla calura di quella splendida giornata e sorseggiando un po’ di tè freddo, cominciammo a vendere i primi libri vecchi, qualche penna e qualche vecchio quaderno di scuola rimasto intatto.
Improvvisamente una coccinella si posò sul dorso della mia mano ed intenta com’ero a contare i pallini neri sulla splendida forma di quell’insetto, non m’accorsi che un’anziana signora aveva cominciato a fissarmi senza tuttavia far nulla per catturare la mia attenzione.
“E’ una Polyphaga, della famiglia delle coccinellidae” disse infine la donna, senza aggiungere altro.
Quasi sobbalzai, cercando di riprendere il controllo e di non sembrare troppo sorpresa o addirittura spaventata.
La donna aveva una bella presenza, nonostante l’età visibilmente avanzata.
Lunghi e lisci capelli grigi, dita affusolate, adornate da anelli incastonati di pietre preziose e un aspetto austero, che metteva sicuramente in soggezione.
“Mi perdoni signora, ero distratta e non mi sono accorta che..” – lasciai cadere le parole una dopo l’altra, in una frase che si dissolse come un castello di sabbia sotto l’impeto del vento.
La donna stava infatti indicando qualcosa nel mio bancone, una vecchia spilla di mia madre a forma di libellula.
Rimasi spiazzata e senza aggiungere altro, porsi la spilla alla donna, che la raccolse senza indugio.
“Non ho soldi da darti..solo quest’oggetto, sono sicura che ti piacerebbe averla nella tua collezione..”-disse poggiando sulla bancarella una vecchia tazza da tè molto colorata, senza una trama ben precisa, solo un intreccio indefinito di cromie e fantasiosi ghirigori.
La presi tra le mani e fissandola con insistenza, non mi accorsi che la donna era fuggita via con la mia spilla.
“Hey!!! Signora si fermi!!!”- scattai in piedi urlando.
Ma ormai della donna non c’era più traccia ed io mi ritrovai ad aver dato via una spilla di mia madre, per una misera tazza da tè.
“Sono sicura che ti piacerebbe averla nella tua collezione” aveva detto, peccato che io non avessi alcuna collezione di tazze, men che meno tazze da tè.
Quella sera, rientrata a casa sul tardi e visibilmente molto stanca, l’idea di bere da quella tazza non mi abbandonava, come un tarlo annidato nella zona più recondita della mia mente che stanca, si fece sopraffare da quell’assurda curiosità, come se l’utilizzare quell’oggetto riscattasse in un certo senso il furto che avevo subito.
Fissavo il  fondo della tazza, stretta tra le mani, sul quale scorgevo i resti dei miei biscotti che avevo inzuppato e che avevano creato una piccola poltiglia di molliche.
La mia mente, assopita in  un continuo rimuginare sull’accaduto del giorno, finì con il lasciarsi trasportare da un improvviso flusso di pensieri ed immagini indefinite, come indefinito era il decoro della mia nuova tazza  e quando mi destai da quel tumulto di emozioni, un sussurro al mio orecchio mi fece sobbalzare, destandomi da quello stato catatonico.
“Ma che diamine…” – imprecai a voce alta, accorgendomi che non solo non ci fosse nessuno al mio fianco ad avermi sussurrato strane parole all’orecchio, ma cosa assai più pazzesca, non ero più seduta al tavolo di casa mia.
Sgranai gli occhi e mi diedi un paio di pizzicotti al braccio, tanto per rammentare a me stessa di essere perfettamente lucida.
Avevo tra le mani la tazza della signora sconosciuta e dentro di essa, mi accorsi della presenza di un oggetto a me familiare, la spilla di mia madre.
Andiamo Ella, fai un bel respiro e affronta le cose con razionalità.
“Aiuto!!!!!!!”- cominciai ad urlare, contrariamente ai miei propositi di qualche istante prima.
Mi guardai intorno , scorgendo solo alberi e una strana atmosfera che mi rendeva irrequieta, sull’attenti, come se mi aspettassi da un momento all’altro qualcosa di spaventoso.
Improvvisamente, la libellula dentro la tazza prese vita.
Le zampette, che prima erano perfettamente incastonate nella bronzea forma della spilla, si sgranchirono, prendendo magicamente vita ed uscendo dalla tazza, l’insetto poco prima inanimato si librò davanti ai miei occhi.
Di nuovo sentii quel sussurro nelle orecchie e stavolta, percepii chiaramente il messaggio.
La verità è nascosta negli occhi di chi crede.
Cosa voleva dire e soprattutto, di chi era la voce che avevo appena sentito?
Feci per toccare l’insetto con le dita, sollevando la mano che tremula, non fece in tempo a sfiorare la spilla incantata.
La libellula schizzò via come una pallina impazzita e costringendomi a tenere il suo passo, mi addentrai nel bosco, cercando di non perderla quanto meno di vista.
Fu a quel punto, correndo tra gli alberi, che mi accorsi di una figura poco distante da me.
Era lei,l’anziana signora che mi aveva rifilato la tazza prendendosi la mia spilla.
La donna continuava a guardarmi, proprio come al mercatino delle pulci, senza dire niente e avanzando verso un enorme specchio- che diavolo ci facesse uno specchio in mezzo al nulla poi era l’ennesimo dei misteri- poggiò una mano sulla superficie riflettente di esso.
Avanzai a piccoli passi nella direzione della signora sconosciuta e prima che potessi dire o fare qualcosa, successe l’inaspettato, qualcosa alla quale non avrei potuto credere, neppure adesso che mi trovavo chissà dove, con spille animate e strani voci misteriose.
Era mia madre.
Il volto della signora anziana mutò in quello di una giovane donna, bella come il sole.
I lunghi capelli bianchi si tinsero di castano, le rughe che solcavano il volto della donna si distesero, mostrando quanto giovane fosse ancora la sua pelle olivastra, come la mia.
“Mamma…”- biascicai a stento, tra incredulità ed una rabbia crescente.
In quella mia invocazione si celavano mille domande, in cima alle quali il perché di quell’abbandono.
Era infelice?Aveva un altro uomo? E che diavolo di posto era mai quello?
“Lo so tesoro, hai mille dubbi e tanta paura” –esordì con una voce quasi incorporea- “ma non posso spiegarti tutto quanto adesso..”- disse assegnata, probabilmente a quella che sarebbe stata la mia reazione.
Mi avvicinai , con fare risoluto e puntandole il dito contro mi rivolsi a lei con astio, un odio quasi disumano, innaturale rispetto a quello che dovrebbe essere un amore incondizionato per la propria madre.
“Tu, sei andata via, senza dire nulla, senza salutare, non ti fai sentire da anni e adesso vuoi dirmi che non puoi spiegarmi?”- urlai con il viso solcato da lacrime troppo pesanti per essere nascoste dall’orgoglio.
“ Che posto è mai questo, che diavoleria hai architettato per poter parlare con me?” –non le davo tempo di rispondere ad una sola delle mie accuse.
“Trucchi da baraccone mamma, non crederei a niente di quello che mi diresti o che mi dirai!” –sentenziai alla fine.
Sembrava compassionevole, nonostante il mio sfogo irriverente.
Si avvicinò a me e poggiandomi una mano sulla spalla, che scansai immediatamente, cercò di dirmi le poche parole che arrivai a sentire direttamente dalle sue labbra.
“Esistono mondi sconosciuti agli umani bambina mia, questo è uno di quelli.  Siamo esseri destinati al segreto, obbligati a mentire ai propri cari sulla terra, dove fummo mandati per unirci a voi e creare così una razza ibrida”- raccontò con voce ancora più armonica.
“Cosa stai cercando di dirmi mamma, ti aspetti davvero che creda a queste fandonie?”- la accusai ingiustamente.
“Come ti spieghi quello che hai visto Ella? Sei maggiorenne, ora puoi sapere la verità sulla tua natura bambina mia. Sei un essere perfetto, per metà di questo mondo. La tazza è il veicolo per “segreto oscuro”, la tua vera dimora. Fu forgiata da uno stregone del villaggio affinchè fosse il tuo passaporto per questo mondo. In un certo senso era destino che l’avessi prima o poi”- disse infine, facendomi intuire forse che il tempo a nostra disposizione era finito.
Balbettai  nel tentativo di dire qualcosa, mentre guardavo la tazza ancora tra le mani e scuotendo il capo, incapace di credere a nulla, la guardai piena di paura.
“Io…non so…” – era tutta una pazzia, non c’era altra spiegazione.
“La verità è negli occhi di chi crede bambina mia e nei cuori di chi ascolta…” – disse dandomi un bacio in fronte, ma stavolta non mi scansai.
Improvvisamente udii un rumore sordo, avevo lasciato cadere la tazza sul manto erboso e quando mi abbassai per raccoglierla, fortunatamente non si era scheggiata, fui travolta da una strana sensazione.
Gli occhi si fecero pesanti e quasi persi i sensi, cercando di capire dove aggrapparmi, cosa fare, per non perdere mia madre ora che l’avevo ritrovata.
“Mamma…Mamma”- Urlavo, con la testa sul tavolo della cucina e la tazza sul pavimento.
Non si era rotta, mio fratello la stava riponendo nel lavandino, rimproverandomi del disastro che avevo combinato con il tè.
“Pensare alla mamma non ti fa bene Ella, vai a dormire..”- disse stranamente comprensivo.
Era stato un sogno, un dannatissimo sogno.
La delusione fu talmente tanta da farmi correre in camera mia furibonda, con le lacrime agli occhi e la sola voglia di mettermi a dormire e non pensare più a niente.
La tazza sedeva pacifica in cucina, dove sarebbe rimasta sino al mattino successivo, mentre delusa e amareggiata chiudevo gli occhi nel mio letto, pensando a come il destino si prendesse gioco di me.
Da qualche parte, nella mia stanza, il messaggio che trovai la mattina della fuga di mia madre giaceva dimenticato, in mezzo a qualche maglione.
Non lo avevo neppure letto quando lo trovai, la rabbia e il dolore mi avevano resa cieca ed insensibile verso ogni forma di giustificazione a quel gesto snaturato, quale era l’abbandono di un figlio.
“Gli addii non sono il mio forte, per cui ti lascio con la speranza di rivederti un giorno. Prenditi cura di tuo padre e tuo fratello, forse un giorno mi perdonerai. Ricorda sempre Ella, la verità è negli occhi di chi crede e nel cuore di chi ascolta”.
Se e quando avessi trovato quel messaggio  allora forse sarei stata a  metà strada per quella tanto attesa verità.
 
 
  
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