Lì
dove fiorivano le viole
Capitolo 1
Il vecchio Lou contemplava il Mississipi scorrere
appoggiato allo schienale della sua sedia a dondolo all'ombra del suo portico e
non faceva altro che pensare a quanto fosse imponente. Quel fiume, le cui acque
scorrevano dalla notte dei tempi, lo aveva rapito dal primo sguardo. Era stato
per causa sua che si era trasferito in quel campo isolato e aveva costruito la
sua fattoria con le sue stesse mani nonostante le mille lamentele di sua moglie
Rose che avrebbe voluto restare a vivere in città.
"Lou, mi spieghi come facciamo a vivere qui?
Non c'è nulla nel raggio di km" si era lamentata una volta mentre
lui sotto il sole di agosto con 40° all'ombra armeggiava con i chiodi e il
martello per tirare su quello che sarebbe diventato il loro portico.
L'uomo si voltò verso di lei, che batteva nervosamente il piedi contro il
pavimento improvvisato, la prese per mano e la portò sulla riva del fiume.
Disse a sua moglie di chiudere gli occhi e di spegnere la mente per un secondo.
"Ascolta solo il suono del fiume" le suggerì,
lei con poca convinzione eseguì il comando. Ad un certo punto, suo marito si
avvicinò a lei e le sussurrò di aprire gli occhi.
"Ora vedi quello che vedo io?" le aveva domandato, sapeva
che sua moglie sarebbe riuscita a capire la magnificenza di quel fiume, la
magia di quel luogo. L'aveva sposata per la sua capacità di vedere oltre,
d'altronde.
Lei annuì, lo vedeva. Aveva ascoltato i mille racconti che quel fiume
trascinava con sé dal profondo dalle sue viscere, visto i mille spiriti che
l'affollavano, sentito l'odore del tabacco e del cotone appena raccolto. Tutte
emozioni che quel fiume ancestrale portava con sé.
Vissero in quella casa per tutta la loro vita, crebbero insieme i loro tre
figli, i gemelli Jack e Andrew e la piccola Sophie,
insegnando loro i valori in cui credevano: l'amore per la natura e
per le cose autentiche, l'importanza dell'amicizia e della famiglia, il
rispetto per il prossimo e per la vita.
Avevano vegliato i loro figli tutte le notti e cullato i loro sogni finché
poterono, dopodiché li lasciarono andare. Ogni tanto tornavano a trovarli,
passavano con loro piacevoli weekend in compagnia delle loro famiglie.
Rose adorava i bambini, Dio solo sa quanto fosse felice nel vedere quelle creaturine camminare per tutta casa.
Lou guardava quella donna con ammirazione, l'adorava,
la venerava. Lei gli aveva restituito la vita, la voglia di mettersi in gioco.
Il giorno che se ne andò, erano seduti sulla loro sedia a dondolo mano nella
mano. Rose respirava ormai affannosamente, suo marito capì che ormai le restava
poco da vivere, strinse la sua mano più forte che poté, voleva che sentisse il
suo calore.
La donna si voltò verso di lui, nei suoi occhi lesse tutta la gratitudine di
cui quel fragile corpo era ancora capace. Stava per lasciarlo, Lou lo sapeva, anche se non riusciva ad accettarlo.
"Come farò senza di te?" affermò fra le lacrime. Sua
moglie sorrise, non parlò ma Lou capì che Rose
confidava in lui, lo stava incoraggiando, poi si voltò di nuovo verso il fiume.
Nel fiume avrebbe trovato la consolazione per la sua perdita, d'altronde era
nelle sue acque che Rose avrebbe trovato rifugio.
Rimasero seduti l'uno accanto all'altra a guardare l'ultimo tramonto della
vita di Rose senza dirsi nulla. All'improvviso Rose parlò: "E'
stato bello vivere con te, mi sono divertita tanto"
Lou si voltò verso di lei per ringraziarla a sua
volta, ma ormai Rose non respirava più.
Gli ci vollero diversi anni per riprendersi dalla sua morte ma un giorno si
svegliò con l'odore del gelsomino, il profumo di sua moglie, che si diffondeva
in tutta la sua stanza e capì che la sua Rose non se n'era mai andata riuscendo
finalmente ad andare avanti.
Erano passati già otto anni dalla sua morte e il vecchio Lou
sentiva che presto l'avrebbe raggiunta, ma non quel giorno.
Quel giorno sarebbe venuta la sua nipotina Bérenice,
la figlia minore di suo figlio Jack, l'unica che ancora veniva a trovarlo. Gli
altri nipoti erano troppo presi dal loro lavoro per venire a trovare il
loro vecchio nonno, anche Bérenice lavorava ma
riusciva sempre a fare un salto nella vecchia casa coloniale di Lou, soprattutto il giorno del suo compleanno.
Lou sentì il cancello aprirsi, la sua nipotina era
arrivata.
«Nonnino, dove sei? Ah! Eccoti!» esclamò dopo averlo visto
seduto nel porticato. «Buon compleanno!» trillò la
ragazza.
L'anziano sorrise nel vedere sua nipote; ogni volta che la vedeva non poteva
fare altro che pensare che somigliasse incredibilmente a Rose, anzi, era
identica a sua moglie.
Bérenice tolse una torta di mele da uno scatolino che
portava con sé e tagliò tre fette, una per lei e due per suo nonno. Sapeva che
era ghiotto di torte di mele.
Il nonno la ringraziò, assaporò la torta e fece un segno di approvazione col
capo. «E' ottima!» affermò con convinzione.
Dopodiché le domandò del lavoro, di come procedesse la storia con il suo
fidanzato, dei suoi prossimi progetti; la ragazza parlò a lungo, le piaceva
confidarsi con suo nonno, le veniva spontaneo, lo faceva fin da piccola.
Avevano instaurato un rapporto speciale nel corso degli anni, si capivano anche
con un solo sguardo, ma ciò che Bérenice amava di più
del loro rapporto era il modo in cui suo nonno ogni volta riusciva a darle la
giusta dritta, ad indicarle la via da proseguire.
Suo nonno era una fonte inestimabile di consigli, lui le era stato sempre
accanto sia nei momenti più belli della sua vita che in quelli più difficili. Lui
era stato il primo a congratularsi con lei il giorno della sua laurea, la
persona che l'aveva accompagnata al suo primo colloquio di lavoro.
Fu sempre suo nonno a consolarla quando il suo primo ragazzo la lasciò e anche quando
sua madre morì, sostituendosi a suo padre Jack che era rimasto troppo scosso
per poterle stare vicino.
Suo nonno c'era sempre stato per lei e per questo le era infinitamente
grata. Ed era questa la principale ragione che spingeva Bèrenice
ad andare a trovarlo appena poteva, voleva che sapesse che su di lei poteva
fare affidamento, così come lei poteva farlo su di lui.
Finì di raccontargli le principali novità e domandò a sua volta cosa avesse
fatto nelle ultime settimane. Suo nonno scoppiò a ridere, cosa poteva fare un
vecchio solo?
«Piccola, cosa vuoi che ti dica? Abito da solo da ormai otto anni e qui non
viene mai nessuno, a parte te, ovviamente» le disse ammiccando. Sua
nipote sorrise, socchiuse le labbra ma poi le richiuse, il vecchio Lou sapeva che sua nipote aveva appena avuto un'idea ma
si vergognava di dirla perciò fece pressione affinché parlasse.
La ragazza arrossì, suo nonno la conosceva troppo bene. «Nonno, me la
racconti una storia? Come quando ero piccola..» gli chiese.
Ricordava ancora quanto le piacessero le storie di suo nonno, si era sempre
addormentata sentendo la sua voce raccontare storie popolate da fate e
draghi, ambientate in tempi antichi mai esistiti.
Lou sollevò un sopracciglio e annuì, sua nipote aveva
avuta un'ottima idea. Era il momento perfetto per raccontare una storia perciò
le disse di accomodarsi.
«La storia che sto per raccontarti, Bérenice, è
molto importante perciò voglio che tu le riservi la massima attenzione» l'avvertì
l'anziano perciò dopo essersi assicurato che sua nipote le rivolgesse piena
attenzione, si schiarì la gola e iniziò il proprio racconto.
«Correva l'anno 1962, eravamo in pieno boom economico, gli Stati Uniti erano
ritenuti una grande nazione e ovunque era palpabile uno spirito patriottico ma
soprattutto la piena fiducia nelle potenzialità della nazione che ci ospitava.
Sai, all'epoca esisteva ancora la segregazione, soprattutto nel Sud.
Non era strano vedere famiglie benestanti maltrattare donne di colore per le
strade ma non è di questo che voglio parlarti oggi. Voglio parlarti di un
ragazzo, si chiamava Lucas» esordì suo nonno.
«Lucas era nato in una piccola famiglia di contadini, piuttosto umili, nella
periferia di New Orleans. Fin da piccolo aveva manifestato un amore
incondizionato per i libri, la notte rimaneva sveglio per leggere il più
possibile. Voleva capire tutto ciò che lo circondava, non ne aveva mai
abbastanza, ogni giorno era desideroso di imparare qualcosa di più.
Tuttavia, c'era una materia di studio che lo affascinava moltissimo: la
filosofia. Aveva divorato interi manuali di filosofia, il pensiero dei vecchi
maestri lo incuriosiva. Passava intere giornate nella biblioteca della città
del jazz alla ricerca di nuovi spunti, di nuove teorie filosofiche con cui
inebriarsi.»
«L'amore per la filosofia di Lucas era evidente e colpì Brad,
il proprietario della biblioteca, poco più grande di Lucas, che lo prese
sotto la sua ala. Gli insegnò tutto ciò che sapeva, insieme trascorsero interi
pomeriggi a discutere, lanciandosi in discorsi che erano consapevoli che solo
loro avrebbero potuto capire. Trovarono l'uno nell'altro l'amico che cercavano
da sempre, e man mano che quella amicizia si consolidava, il loro contatto con
la realtà si affievoliva sempre di più.» l'anziano fece una piccola
pausa per riprendere fiato. «Lucas però sembrava non curarsene, non
accorgersi che non riconosceva più le persone che gli abitavano accanto, che a
differenza dei suoi coetanei, lui non aveva ancora avuto una relazione con una
donna. Sembrava che la sua vita sarebbe stata interamente dedicata al sapere,
però un giorno qualcosa cambiò.»
«Brad entrò nella sala lettura dove Lucas trascorreva tutti i suoi pomeriggi
con una bottiglia di the freddo, faceva un caldo infernale quell'estate. Fuori
si sentiva il rumore di quelle poche automobili e delle corriere che scappavano
fuori città per trovare rifugio sulle rive del fiume, lui però stava lì, anche
quel giorno, a studiare. L'amico gli porse un bicchiere di the che Lucas accettò
senza indugi, poi gli chiese di andare a prendere qualcosa da mangiare e il
ragazzo uscì.»
«Mentre camminava per le strade di New Orleans, Lucas non poté fare a meno di
notare quanto fosse cambiata quella città e che lui non se n'era affatto
accorto nonostante avesse vissuto lì tutto il tempo. Svoltò l'angolo della
strada, trovò una tavola calda aperta e vi entrò. Dentro notò una coppia di
fidanzatini seduti ad un tavolo appartato che mangiavano un gelato dalla stessa
coppa e una coppia di uomini seduti agli sgabelli del bancone parlare con una
cameriera, l'unica presente in quel momento.
Lucas si avvicinò e chiese due fette di lemon pie, la
donna gli sorrise. "Fai una sorpresa alla fidanzata?" gli
domandò ammiccando.
Il ragazzo avvampò, fidanzata? Oh! Lui non ne aveva, anzi, non ne aveva mai
avuta una.
La cameriera sollevò un sopracciglio. "Un ragazzo carino come
te senza la fidanzata? E cosa aspetti a trovarla?" gli chiese
ridendo assieme ai due uomini che ascoltavano la conversazione. Il ragazzo
diventò ancora più rosso e non rispose, in effetti, non sapeva nemmeno lui cosa
avrebbe potuto dirle.
Dopodiché prese la propria ordinazione, pagò e uscì. Di ritorno alla biblioteca
non faceva altro che riflettere sulle parole della cameriera, forse aveva
ragione. Forse anche lui si doveva sistemare, trovare qualcuno, e passarci
tutta la vita insieme. Lo facevano tutti, anche i suoi genitori lo avevano
fatto, perché lui non avrebbe dovuto?
Entrò nella biblioteca, offrì la fetta di torta a Brad che iniziò a mangiarla e
rimase in silenzio davanti alla sua senza toccarla. "Lucas, non la
mangi? Perché sinceramente per me è ottima" affermò l'amico, lui
la spinse verso di lui, non aveva affatto fame e non aveva nemmeno voglia di
studiare più.» Il vecchio Lou fece un'altra pausa per umettarsi
le labbra, bevve un sorso di limonata e riprese il racconto.
«Quel giorno ritornò a casa volentieri per la prima volta in vita
sua, voleva riflettere da solo, lontano dai libri e da Brad.
Mentre tornava a casa, incontrò la sua vicina Daisy, la ragazza aveva la
sua stessa età e si era appena fidanzata. Lei gentilmente lo salutò e continuò
a camminare, Lucas non si fermava mai a parlare, però quel giorno la bloccò.
"Daisy, scusami. Ho saputo del tuo fidanzamento, congratulazioni" le disse
leggermente imbarazzato, la ragazza gli sorrise calorosamente e lo ringraziò.
"Com'è essere fidanzati?" le domandò ingenuamente, la
ragazza scoppiò a ridere. "E' molto bello, Lucas" gli
rispose con tono materno e se ne andò.
Inutile dirti che Lucas quella sera non riuscì a dormire, la sua mente
continuava ad elaborare senza accennare a smettere. Tutto l'amore che nella sua
vita aveva conosciuto era quello per i libri, a parte quello di sua madre che
negli ultimi anni si era allontanata perché sentiva di non capirlo più ed aveva
ragione. Lui non era più lo stesso.
Da quando con Brad aveva stretto quell'amicizia che era più simile ad una stima
puramente intellettuale che ad un rapporto affettuoso. Si trovò a chiedersi se
nella vita non ci fosse di più che lo studio e le pagine piene di scritte di
quei voluminosi libri che era solito divorare.»
«Per una settimana, Lucas non andò in biblioteca ma rimase a casa ad aiutare i
suoi con il raccolto, come non faceva da tempo. Fu piacevole stare di nuovo
tutti in famiglia, i suoi erano piuttosto sorpresi ma grati che avesse deciso
di uscire da quella biblioteca per fare qualcosa di vero.
In effetti, i suoi genitori non avevano mai capito l'amore per i libri di
Lucas, per loro era solo una perdita di tempo, anche se non glielo dicevano.
Lucas dopo quel piccolo assaggio di vita quotidiana, decise di ritornare in
biblioteca, doveva parlare con Brad, renderlo partecipe della sua nuova
consapevolezza.
Quando finì di parlare con Brad, dopo avergli raccontato della cameriera, di
Daisy che si sposava, del raccolto dei suoi, l'amico lo fissava con una strana
luce negli occhi, lesse la disapprovazione.
Brad non capiva, Lucas era come lui, come poteva pensare di comportarsi
come tutti gli altri?
"Cosa farai quando le tue convinzioni crolleranno? Quando ti accorgerai
che tutto ciò per cui ti svegli ogni mattina giorno dopo giorno è soltanto una
futilità?Continuerai a farlo perché devi? Oppure smetterai esattamente come ho
fatto io?" esordì Brad con tono di sfida.
"Non è un errore sottrarsi a questa scelta che vuole fare di te uno dei
tanti. Io e te possiamo essere diversi, noi siamo i detentori di una verità che
pochi potranno conoscere e pochissimi riusciranno a capire. In realtà
sottraendoci a questa scelta, scegliamo davvero. Riesci a seguirmi?" soggiunse.
"Sì, riesco a seguirti, ma c'è qualcosa che m'impedisce di essere
pienamente d'accordo, qualcosa che mi blocca. Che senso ha per noi essere i
detentori di questa fantomatica verità che ci renderebbe liberi ma al tempo stesso
prigionieri?" disse tutto d'un fiato tirando fuori una grinta che
non credeva di possedere. Brad aggrottò la fronte, era evidentemente confuso. "Prigionieri?
Ma che dici?"
"Sì, prigionieri. Tu continui a ripetermi che devo sottrarmi a questa
scelta, che devo essere diverso. Ma in cambio cosa otterrei? Nulla, al di fuori
di una consapevolezza che renderà ancora più pesanti le mie giornate. Essere
consapevole che tutto è inutile è come autocondannarsi ad un'esistenza infelice
senza che nessuno ti ci abbia costretto. E questo per me è ancora più
inutile" concluse senza permettere all'amico di controbattere.
Lasciò Brad, che si grattava il capo ancora stranito per la sua affermazione, e
uscì dalla biblioteca intenzionato a non ritornarvi mai più. Si rese conto che
il suo amico aveva ragione: lui era diverso anche se non aveva fatto nessuna
scelta e improvvisamente si sentì rubato di sé stesso.
Realizzò che non aveva mai vissuto veramente, che si era lasciato trascinare
dalla bellezza di eruditi discorsi e complesse teorie filosofiche, da cui
nessuno avrebbe mai tratto alcunché, perdendo di vista ciò che importava
veramente.
Ma nello sguardo delle persone che affollavano distrattamente le strade di New
Orleans scorse la gioia di vivere, che aveva per molto tempo rinnegato e a cui
non era più disposto a rinunciare.
Capì che non era solo, tanti altri come lui affrontavano quotidianamente il
medesimo percorso, e questo gli diede la forza di ricominciare. Nulla era
perduto, in realtà il suo percorso era appena iniziato.»
L'anziano si voltò verso sua nipote che lo guardava affascinata e sorrise. Sì,
dopotutto gli somigliava davvero.
«E poi nonno, cosa è successo? Con Brad si è più rivisto? Comunque sono
d'accordo. Nulla può nascere dal completo distaccamento dalla realtà» affermò
sua nipote decisa, quel Brad, a suo avviso, era un idiota troppo impaurito
dalla vita per poterla affrontare.
«Non lo rivide più, anzi, decise di lasciare la città. Si trasferì a
Charleston dove Julien, un amico di suo padre, gli avrebbe insegnato il
mestiere di carpentiere.
Suo padre per la prima volta fu orgoglioso di suo figlio. Stava finalmente
prendendo in mano la sua vita.
A Charleston, Lucas decise di reinventare sé stesso, si trasformò
completamente, si dimenticò dei libri, dei filosofi e dei dibattiti con Brad.
Ogni giorno si svegliava all'alba per andare a lavorare, cantando assieme a
Julien mentre si recavano nel cantiere. Gli piaceva la sua nuova vita,
ogni giorno conosceva qualcuno di nuovo, sperimentava qualche emozione diversa.
Si rese conto di essere più empatico di quello che credeva.»
Il vecchio Lou sentì sua nipote ridere e le
chiese come mai ridesse. «Beh, questo Lucas è un po' scemo. Insomma, se
non hai provato a parlare con le persone, come poteva pensare di non essere
empatico?»
Anche Lou rise, sua nipote aveva ragione e continuò a
raccontare dei primi mesi di Lucas a Charleston mentre l'orologio continuava a
scorrere. Sua nipote era sempre più rapita dalla storia al punto che si scordò
che doveva tornare a casa con la corriera delle tre e mezza; aveva promesso al
suo fidanzato che sarebbe rientrata in tempo per la sua partita di baseball.
«Cavolo! La partita!» esclamò d'un tratto interrompendo il
racconto del vecchio Lou, però ormai era tardi per
tornare in tempo perciò disse a suo nonno di non preoccuparsi e di continuare
il racconto, lei voleva sapere come continuava la storia.
E il vecchio Lou non poté fare che accontentarla.