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Autore: DK in a Madow    02/12/2013    3 recensioni
[Completa!]
...mi obbligo a guardare il cielo ormai buio sotto il manto della notte, ricacciando indietro le lacrime che spingono tra le ciglia. Non un bagliore, nessun segno, solo un grande buco nero sopra le nostre teste.
Il cielo delle città non ha stelle.

*
- Ah sì? – chiedo, ostentando una sicurezza che non posseggo solo per non mostrarmi vile di fronte alla sua sfacciataggine – Ma tu chi sei?
Abbassa la testa, come presa alla sprovvista, le sue mani che afferrano la gonna del vestito stringendola nervosamente. Poi i suoi occhi tornano sui miei, così vivi, così irreali.
- Grace. – risponde in un soffio.
Accenno a un sorriso senza denti, le labbra serrate che danno forma ad un ghigno.
- Strano. – dico, dando un tiro alla mia sigaretta – Da come parli si direbbe il contrario.

*
Imparare a vedere con gli occhi del cuore e scoprire che la paura d'amare è grande quanto quella di morire, così forte da impazzire, ma capace di farti rinascere.
Una breve long nata quasi dal nulla e che è cresciuta tra le note di The Rain Song.
Come sempre, nessuna pretesa.
Genere: Introspettivo, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jimmy Page, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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1.

Can I take you, baby, to the show?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

New York, 26 Luglio 1973

 

Apro gli occhi, inspirando così forte da cacciar fuori uno sbadiglio. Mi passo una mano tra i capelli, soffermandomi sulla nuca tornata scoperta dopo anni passati sotto una nuvola corvina che non sopportavo più, le mie dita che trovano un lieve sudore.

- Svegliati, Page, stiamo per atterrare!

La voce di Peter rompe l’aria come un tuono, facendomi sobbalzare, un colpo di tosse che irruento mi rimbomba nella gola.

- Cazzo. Volete abbassare l’aria condizionata? – dico, alzandomi in piedi, un brivido che attraversa la mia schiena sudata facendomi imprecare sottovoce.

- Sei sempre il solito, Jimmy. – afferma una voce all’improvviso – Stai sempre a lamentarti.

- Parli facile, Plant! – esclamo, superando i sedili di fianco al mio e raggiungendolo sul corridoio – Tu potresti camminare sul ghiaccio a petto nudo e non faresti uno starnuto. Io sono un po’ più … delicato. – concludo con ironia, facendolo ridere.

- Delicato un cazzo, Page. Sedetevi tutti che stiamo atterrando! – annuncia Peter tornando dalla cabina di controllo – E tu. – esclama puntandomi un dito contro – Vedi di non buscarti qualche malanno. Ho la sensazione che le cose non andranno bene a New York, quindi non ti ci mettere pure tu.

- Tranquillo Peter. – dico, poggiando una mano sulla sua spalla – Nel caso mi dovessi ammalare, sicuramente sapresti trovarmi delle infermiere competenti, o sbaglio? – aggiungo ghignando, mentre Robert applaude in segno di approvazione.

- Tienitelo nei pantaloni Page o a furia d’infilarlo ovunque te lo scordi tra le gambe di qualcuna! – tuona improvvisamente un’altra voce provocando le risate dell’intero Starship.

- Buongiorno finezza, Bonzo! – esclama un’altra somigliante ad uno squittio.

- Menomale che ci sei tu, Jonesy. – dice Peter lasciando una violenta pacca sulla spalla del nostro bassista facendolo barcollare – Mettili in riga e vedi di farli sedere, o appena l’aereo s’inclina li ritroviamo tutti sul vetro della cabina di controllo schiacciati come moscerini.

- E tu, mio caro Peter. – inizia Robert, passandogli un braccio sulle spalle minuscole rispetto all’enorme ventre che si ritrova Grant – Cerca di non metterti sulla coda dell’aereo, altrimenti lo sbilanci e non atterriamo più! – esclama, facendo diventare la faccia di Peter scarlatta.

- Ringrazia tutte quelle ragazzine che ti guardano nei pantaloni e sganciano la grana per un vostro album. – sputa rabbioso – Altrimenti a quest’ora rimarresti senza lavoro e senza gioielli di famiglia, Plant. – conclude, allontanandosi, mentre noi continuiamo a ridere, Robert che cerca di chiedergli scusa, ma tra una risata e l’altra fallisce miseramente.

Venti minuti dopo, finalmente, atterriamo, io che continuo a tossire contro l’aria afosa e rovente di New York, la mia camicia verde che mi si appiccica addosso per via del sudore, mentre a terra ci aspettano le nostre auto e quelle della polizia, Robert che mi segue nei sedili posteriori con la sua giacchetta avana completamente sbottonata. Partiamo subito e venti minuti dopo siamo all’entrata posteriore del Madison Square Garden.

- Vestiti e strumenti sono nei camerini, ragazzi. Diamoci una mossa! – esclama Grant una volta scesi dalle auto, facendo tintinnare i suoi anelli tra le mani enormi, mentre il braccio di Robert si fa strada sulle mie spalle e insieme ci dirigiamo all’interno del palazzetto, noncuranti di fotografi, fan e agenti della polizia, tutti urlanti intorno a noi.

- Amo l’America. – sussurra Robert una volta arrivati nel backstage, liberandosi subito della giacca per poi dirigersi in bagno, l’idea di chiudere la porta che non lo sfiora minimamente, mentre Jonesy e Bonzo ci raggiungono affannati, quest’ultimo che, appena nota la figura di Robert nel bagno, ne approfitta per avvicinarlo silenziosamente. Veloce come un fulmine, gli tira un calcetto sul dietro delle ginocchia, facendolo piegare leggermente in avanti, l’imprecazione che arriva chiara e forte anche a me e Jonesy che scoppiamo a ridere.

- Fanculo, Bonzo! – esclama Robert, guardandosi in basso – Guarda come mi hai ridotto.

- Ma smettila di lamentarti per un po’ d’acqua. – tuona lui, uscendo dal bagno per poi stravaccarsi su una panchina con una risata soddisfatta.

- Eh certo, parla quello nascosto dietro una batteria …

Il battibecco continua, le loro frasi che sfociano nel classico repertorio d’asilo, mentre io e Jonesy ci avviamo nei camerini, lasciando che i due idioti se la vedano da soli e, arrivati davanti alle nostre porte, John si lascia sfuggire un sospiro sommesso. Credo non ci sia nemmeno bisogno di chiedergli cos’abbia, è così evidente, ma far finta di nulla sarebbe un gesto egoista.

- Ti mancano, vero? – dico dolcemente, rivolgendogli un sorriso.

- Non puoi nemmeno immaginare quanto. – sospira, mettendosi le mani sui fianchi mentre il mio pensiero va subito a Scarlet. L’ultima volta che l’ho vista, circa tre mesi fa, dormiva beata sotto le coperte lilla del suo lettino, il naso che sporgeva dal lenzuolo e la mia voglia mal frenata di stringerla forte, limitandomi a un bacio sulla sua fronte fresca, tenera d’innocenza, il suo odore così simile al mio.

- Scusami, Jim. – dice Jonesy improvvisamente arricciando le labbra e mi accorgo di aver cambiato umore, lo sguardo perso altrove e la faccia del mio amico sinceramente dispiaciuta.

- Tranquillo, John. – dico, dandogli una pacca sulla spalla – Non me la sono presa.

- Meno male! – sorride lui, grattandosi la testa.

- Dai, muoviamoci. – lo incito, per poi aprire la porta del mio camerino – Prima che arrivi Grant a farci la predica.

E così, ridendo piano, ci chiudiamo le porte alle spalle.

 

 

 

*

 

 

 

- New York! Goodnight!

E New York risponde con un urlo al saluto di Robert e sento che sarà davvero una buona notte per tutti quanti, sia per loro sotto il palco, sia per noi che l’abbiamo calcato, tutti uniti nella stessa stanchezza ed estasi, la musica che continua a rimbombare nei timpani esattamente come il rullante di John che, nonostante non stia suonando più, continua a vibrare impercettibilmente. Felici e tremendamente sudati, scendiamo dal palco, io che mi passo una mano sul petto accaldato, Robert dietro di me che ha già iniziato a fare battute idiote e io che ne rido. Ormai sono in preda all’euforia nonostante le gambe tremanti per la stanchezza, così senza tanti preamboli raggiungo l’auto che riporterà in albergo, fiondandomi sul sedile posteriore con un verso di sollievo. Pochi secondi dopo, l’abitacolo s’illumina, il sorriso di Robert che si accende contagiandoci tutti, Peter compreso, che inizia a darci strette di mano e complimenti.

Tre giorni sono passati in fretta e finalmente si torna a casa, lasciandoci alle spalle questi tre mesi passati a chiedermi continuamente dove cazzo fossi, la stanchezza, la folla e le loro urla. Credo che me le porterò nel cervello per tutta la vita come un disco in loop. A volte ho quasi paura di dimenticare ciò che succede fuori dal palco, che ogni cosa mi sfugga di mano e che ogni singolo gesto si stia svolgendo in qualche posto remoto della mia mente, dove un burattinaio immaginario riesce a muovere le fila contorte della mia vita. E poi i sogni. Sembra che nemmeno lì mi sia concesso un briciolo di pace e lucidità, mentre davanti ai miei occhi passano le immagini di terrore vissute sul Falcon Jet, il mio corpo che sobbalza sul sedile proprio come è successo un mese fa e poi, ogni maledetta volta, il sogno si conclude col mio corpo abbandonato al centro della strada, morente e bagnato dalla pioggia.

- Jimmy? – la voce di Robert mi riporta alla realtà e stancamente mi volto a guardarlo – Jimmy, amico mio, non è il momento di dormire. Siamo al Drake!

- Cosa? – chiedo con la voce impastata dal sonno. Non mi ero nemmeno accorto di essermi addormentato, così mi stropiccio gli occhi focalizzando il volto di Robert di fianco al mio, la sua espressione stanca ma felice allo stesso tempo.

- Siamo in albergo, compare! – esclama – Stiamo tornando a casa.

Istintivamente, gli sorrido. Poi lo sportello posteriore si apre, la faccia di Peter che scruta dentro.

- Smettetela di fare le checche voi due e datevi una mossa!

- Sembri geloso, Grant! – risponde Robert prontamente e, una volta sceso dall’auto, inizia ad infastidire Peter imitando moine degne di donnicciole da quattro soldi. Senza che se ne accorgano, scendo dal lato opposto al loro, guardandomi in giro e avvertendo un morso di malinconia. In fondo, l’America mi mancherà. Nonostante i clacson assordanti e la puzza del fumo di scarico delle auto, i problemi e il costante senso di disorientamento, sentirò comunque uno spazio vuoto all’altezza del petto, anche se misero in confronto a quello lasciato dalla lontananza da Londra. Mi mancherà il cielo limpido del Texas e le notti calde della Florida. Mi mancherà il tramonto della California, vedere il sole calare nel mare prima del concerto col naso nascosto tra i capelli di lei, le lenzuola stropicciate e il loro profumo di bucato che si mescola coi nostri odori.

- Jimmy!

Un paio di braccia esili e perfette si stringono attorno al mio collo, mentre avverto il calore di un seno accennato sulla mia schiena.

- Lori. – esclamo staccando lo sguardo dalla strada per posarlo sui suoi occhi che brillano intensamente, la mia mano destra che si stringe attorno al suo braccio – Non dovresti comportarti così in strada, lo sai …

- … che se ci vedono siamo fottuti. Sì, lo so. – risponde, con voce acutissima, imitando quella di una bambina – Ma non m’importa. – aggiunge con fare impertinente.

- Oh, sì, tanto quello che se ne va in gattabuia se lo beccano con una minorenne sono io. Che t’importa. – dico, pizzicandole l’avambraccio stretto ancora attorno il mio collo, Robert e Peter che discutono ancora mentre aspettiamo l’arrivo di Jonesy e Bonzo rimasti indietro.

- Non sono così insensibile.

- Oh, certo che non lo sei. Lo so bene. – dico con fare malizioso, allungando il collo per posarle un bacio sulle labbra – Sei solo egoista, bambina impertinente. – concludo severo, la sua bocca che subito si spalanca per poter replicare, quando viene interrotta dal rumore sinistro e angosciante delle ruote che frenano bruscamente sull’asfalto, seguite da un tonfo sordo, morbido, secco. Poi, solo il suono di qualcosa (o qualcuno) che striscia lontano, un gemito debole, lieve. Mi volto di scatto verso la strada sulla quale ora sono puntati decine di occhi, compresi i nostri. Il tempo di capire di cosa si tratti e già le prime urla rompono il silenzio, la prima quella di un’autista fermo al centro della strada, il parabrezza della sua auto completamente crepato e sporco di sangue, le sue mani nei capelli ispidi e gli occhi sgranati contro una figura a pochi metri da noi.

L’urlo soffocato di Lori mi riporta alla realtà e subito le porto una mano sugli occhi e il volto contro il mio petto, sperando che non abbia visto ciò a cui tutti stanno assistendo senza far nulla. Il corpo tremante, preso dagli spasmi, i lunghi capelli biondi impiastricciati di sangue, il volto sfigurato e il bacino rivolto su un fianco, evidentemente rotto. Nonostante il caldo asfissiante, un brivido mi percorre la spina dorsale, il sudore che torna a percorrermi le tempie come una carezza fredda che sa di morte. Mi sembra quasi di sentirne i passi mentre avvicina l’esile stelo tremante sull’asfalto, le braccia spalancate contro il cielo come ali di un angelo caduto, il suo petto che, ogni secondo che passa, trova l’immobilità dopo un ultimo sussulto.

- Merda! – sento sussurrare al mio fianco, le mie braccia strette attorno alle spalle di Lori. Quando mi volto, trovo l’espressione sconvolta di Bonzo, Jonesy di fianco a lui che guarda la strada con aria sofferta, le mani sui fianchi, mentre poco lontani da noi, Grant ha passato un braccio attorno alle spalle di Robert che, silenziosamente e senza aggrottare il viso, piange. E mentre il suono dell’ambulanza rompe il silenzio, mi obbligo a guardare il cielo ormai buio sotto il manto della notte, ricacciando indietro le lacrime che spingono tra le ciglia. Non un bagliore, nessun segno, solo un grande buco nero sopra le nostre teste.

Il cielo delle città non ha stelle.

 

 

*

 

 

 

- Peter?

Questo si volta con fare omicida, la mascella che sporge in avanti sotto la barba nera, la guancia poggiata sulla mano, il gomito puntellato sul bracciolo dell’ultimo sedile in fondo all’aereo.

- Vedi di sparire, Richard. – sputa freddo.

E questo se ne va, senza obiettare, sconfortato. È da ieri che tenta di parlare con Grant, ma questo, dopo il fattaccio del furto all’hotel, si rifiuta di parlargli.

Il silenzio è calato nello Starship, interrotto solo dal lieve russare di Robert seduto dietro di me, mentre sulla fila parallela alla mia, oltre il corridoio, Bonzo è intento a montare un piccolo camion giocattolo comprato apposta per Jason, mentre Jonesy, dopo aver impacchettato la bambola che ho comprato  per la mia Scarlet, si è immerso nella lettura di Jake e il fagiolo magico, intento a trovare il modo perfetto per leggerlo alle sue piccole quando tornerà nel Sussex.

La testa sulle mie gambe, Lori dorme tranquilla, una sua mano poggiata sul ginocchio, le sue gambe raccolte sul suo sedile di fianco al mio. Sotto di noi, l’Atlantico ci porta a Londra. Distolgo lo sguardo, non riesco a guardarla. Ho quasi paura di guardarmi le gambe e trovare il suo cranio costellato di sangue, l’immagine di quell’incidente che ritorna alla mia mente come il peggiore degli incubi, tant’è che ho paura di addormentarmi e dover rivivere tutto ancora una volta. Mi porto una mano sulle labbra, controllando una leggera nausea, cercando di equilibrare il mio respiro.

Stai tornando a casa, mi ripeto.

Stai tornando a casa. Al sicuro. Non avere paura.




















Angolo della pazza:
Eccomi! ^^
Ehm, eccoci al primo capitolo.
Come si sarà capito, questa è una storia che si svolge più dentro Jimmy che fuori. E' un tentativo di narrazione introspettiva che vorrei diventasse estrema, sperando che funzioni.
Non voglio dire molto su questo capitolo, vorrei lasciarvi viaggiare con la fantasia.
Ci si legge al prossimo capitolo.
Un abbraccio,
Franny
   
 
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