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Autore: Fragolina84    02/12/2013    1 recensioni
"Non c'era possibilità di vivere senza di lei, tanto che il primo impulso fu quello di staccare il reattore dalla piastra nel suo petto e lasciare che le schegge ancora nel suo corpo trovassero la strada verso il suo cuore. O quello che restava del suo cuore, perché Victoria l'aveva appena fatto a pezzi. Sarebbe bastata una settimana, poi tutto sarebbe finito"
Per il titolo di questo lavoro mi sono inchinata all’inglese. Trovo che I belong to you sia più musicale della sua traduzione in italiano: io appartengo a te.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Tony Stark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La riunione si era protratta più del previsto e a quella era seguita la solita, interminabile cena di lavoro. Era quasi l’una quando Tony rientrò nella sua camera d’albergo.
Quel viaggio in Europa era assolutamente necessario e aveva insistito parecchio perché Victoria lo seguisse. Ma lei era impegnata con il suo ultimo spettacolo e così lui era a Parigi, la città più romantica del mondo, senza la sua donna.
Si versò uno scotch dal mobile bar e si abbandonò in poltrona, prendendo il cellulare.
Durante le noiosissime ore di colloqui aveva mandato qualche sms a Victoria, come faceva sempre. La donna però non aveva risposto. A Malibu erano le quattro del pomeriggio, perciò decise di chiamarla.
Lasciò squillare il cellulare finché non si inserì la segreteria telefonica. Era strano che lei non avesse trovato nemmeno un istante per mandargli un sms e che non rispondesse, ma non tanto da preoccuparlo veramente. Tuttavia, chiamò Jarvis.
«Jarvis, sai dov’è Vicky?»
«No, signore. È uscita ma non ha detto dove andava».
«Ah, vuoi dire che è già tornata dal lavoro? Sto provando a chiamarla al cellulare, ma non risponde».
«Sì, signore. È tornata verso le undici. Non le risponde al cellulare perché l’ha lasciato qui».
Tony aggrottò la fronte. Era inusuale che dimenticasse in giro il cellulare, ma l’uomo non aveva motivo di preoccuparsi perciò salutò Jarvis e riattaccò, dopo avergli raccomandato di dire a Victoria di chiamarlo non appena fosse tornata, a qualsiasi ora.
La sveglia suonò alle sette e Tony si rese immediatamente conto che Victoria non aveva ancora chiamato. A Malibu erano le dieci di sera quindi Victoria doveva per forza essere a casa. La chiamò, ma di nuovo non rispose. Cominciava davvero a preoccuparsi della sua assenza. Chiamò Jarvis.
«No, signor Stark. La signora non è ancora rientrata».
«E perché diavolo non mi hai richiamato?» sbottò lui, saltando su dal letto.
«Perché non mi aveva detto di chiamarla, in caso non fosse tornata».
«Jarvis, mettimi in comunicazione con Pepper».
Diversamente dal solito, la sua assistente non lo aveva seguito in Europa, trattenuta in patria da diversi appuntamenti a cui doveva presenziare al posto di Tony.
Pepper rispose a metà del secondo squillo. «Buongiorno, signor Stark».
Era ovvio che Pepper fosse già sintonizzata sul fuso orario europeo.
«Pepper, c’è qualcosa che non va» esordì, e le raccontò brevemente cos’era successo. «Non può non essere ancora tornata, dev’essere successo qualcosa».
«Ora stia calmo, Tony. Mi faccia fare qualche controllo, sono sicura che c’è una spiegazione. La richiamo tra poco».
Pepper viveva nell’ala orientale della mastodontica residenza Stark sicché ci mise pochi secondi a raggiungere il garage sotterraneo. Tutte le auto di Tony erano parcheggiate al loro posto.
«Buonasera, signorina Potts» la salutò Jarvis.
«Jarvis, quando è tornata esattamente Victoria?»
«Alle dieci e cinquantasette minuti».
«E quando è uscita?»
«Alle dodici e tre minuti».
Pepper sbirciò di nuovo le auto parcheggiate nel sotterraneo. «Ma che auto ha preso? Mi sembrano tutte qui».
«Un’auto è venuta a prenderla, signorina Potts».
«Mostramela» ordinò.
Jarvis attivò uno dei maxischermi virtuali e proiettò le immagini che aveva registrato. Pepper vide un SUV bianco parcheggiare davanti all’ingresso della villa e Victoria salire a bordo con la valigia.
«Jarvis, la targa».
Eseguì un veloce controllo sul numero che le diede il computer. L’auto risultava appartenere ad una società di noleggio. Era troppo tardi per chiamarli, ma Pepper si segnò il numero. Poi chiamò Tony.
«Un SUV bianco a noleggio?» domandò Tony. «Ma che diavolo sta succedendo?»
«Victoria è salita a bordo. Tony…»
«Che c’è? Perché si è interrotta, Pepper?»
«Tony, Victoria aveva una valigia con sé».
«Che vuole dire?»
«Si è fatta venire a prendere da un’auto a noleggio, ha fatto la valigia…» disse Pepper, ma Tony la fermò.
«Ok, dirò a Happy di organizzarmi il volo. Torno a casa».
«No!» esclamò Pepper. «Il contratto che sta negoziando è troppo importante per abbandonare tutto in questo modo. Non c’è molto che potrà fare qui, almeno finché non riuscirò a scoprire qualcosa di più. Resti a Parigi, Tony. Domattina chiamerò l’agenzia di noleggio. Nel frattempo lei non si muova».
Tony era combattuto. Capiva che era successo qualcosa di grave: Victoria non se ne sarebbe mai andata senza avvisarlo. Il suo istinto era quello di tornare a Malibu il più presto possibile. Con l’armatura Ironman ci sarebbero volute solo poche ore. D’altro canto, dovette ammettere, Pepper aveva ragione: il contratto con i francesi era molto importante ed erano quasi in dirittura d’arrivo.
«D’accordo. Ma mi tenga informato, mi chiami a qualsiasi ora».
«Può starne certo, Tony. Sono sicura che ci sia un motivo per tutto questo».
Tony tacque per un tempo talmente lungo che Pepper pensò che fosse caduta la linea.
«Pepper…»
«Sì, Tony?»
«La ritrovi. Smuova chi vuole, chiami anche il Presidente in persona, ma la ritrovi».
«Stia tranquillo e concentrato su quello che deve fare. Qui ci pensiamo io e Jarvis».
Per il momento Pepper non poteva fare altro, così tornò nel suo appartamento e si mise a letto. Ma faticò a prendere sonno. Nonostante le rassicurazioni che aveva propinato a Tony, c’erano molti elementi che non tornavano in quella storia.
Se si fosse trattato di qualsiasi altra donna, il primo pensiero sarebbe stato che l’avesse lasciato. Tutto faceva pensare a quello. Victoria aveva abbandonato il cellulare, aveva fatto la valigia e aveva chiamato qualcuno che venisse a prenderla. Questo poteva valere per tutte le donne… ma non per Victoria.
Victoria le era piaciuta subito. Era diversa dalle altre donne che avevano frequentato la villa di Malibu e che lei aveva occasionalmente buttato fuori di casa. Victoria era entrata nella vita di Tony in maniera diversa, senza clamore, senza pubblicità.
Aveva una carriera già avviata quando lo aveva conosciuto quindi non era pensabile che lo avesse fatto per secondi fini. No, ogni volta che Pepper li vedeva insieme non poteva fare a meno di pensare che fossero fatti l’una per l’altro. Victoria amava Tony: era un assioma inconfutabile. Ma allora, perché aveva fatto la valigia e aveva cercato di scomparire?
L’enigma non aveva soluzione e Pepper, infine, si addormentò. Ma il mattino seguente si mise all’opera presto.
Andò personalmente presso la società di noleggio. In un primo tempo non vollero sentire ragioni: per motivi di privacy non potevano darle alcun dato. Ma poi il nome Stark fece il suo effetto e la biondina dietro il bancone arrossì come se avesse davanti Tony in persona. Pepper chiese di parlare con l’autista e la ragazza lo chiamò all’interfono.
«Sì, ieri sono stato a Malibu Point» disse Carson, l’autista di colore che era andato a prendere Victoria.
«La donna che è salita a bordo: dove ha chiesto di essere portata?»
Carson scosse la testa. «La donna non mi ha detto nulla, signora. La destinazione mi era già stata assegnata».
«Da chi?» chiese Pepper e l’uomo si strinse nelle spalle.
«Non lo so. Mi è stato detto che avrei dovuto andare a prenderla e portarla al Brentwood Country Club».
«Va bene. Quando siete arrivati lì, la donna è scesa?»
«Sì. C’era un’altra auto che la stava aspettando».
«Un’altra auto?» domandò Pepper e Carson annuì. «Che auto era? Ricorda la targa?»
«Mi dispiace, non ho guardato la targa» dichiarò Carson. «Era una Chevrolet nera, non ricordo il modello».
La cosa si complicava. Era evidente che Victoria aveva fatto quelle manovre per non essere rintracciata. No, non poteva essere. Possibile che li avesse ingannati tutti in quel modo? È vero, era un’attrice, ma era possibile che avesse finto così bene e così a lungo?
«Qualcosa non va, signora?» chiese Carson.
Pepper si scosse. «No, è tutto a posto. La ringrazio per la sua disponibilità».
Uscita dall’autonoleggio, tornò al 10880 di Malibu Point.
«Jarvis, quanto tempo ci si impiega in auto da qui al Brentwood Country Club?» domandò Pepper al computer.
«In condizioni di traffico normale, trentotto minuti».
«Ok. Ho bisogno di accedere alle registrazioni delle telecamere presenti in zona. Bancomat, controllo traffico, qualsiasi cosa. Usa il riconoscimento facciale e cerca Victoria. Analizza l’orario compreso tra le dodici e le due».
«Subito, signorina Potts». Jarvis si mise a lavorare. Pepper si versò del succo d’arancia e attese.
«L’ho trovata, signorina Potts» disse infine Jarvis.
Nel fotogramma isolato da Jarvis, Victoria stava salendo a bordo della Chevrolet di cui le aveva parlato Carson. Purtroppo, la targa non era visibile.
«È l’unica immagine disponibile?» chiese Pepper.
«Sì, signora».
«Maledizione» imprecò Pepper. Sbirciò l’orologio: a Parigi erano le sette di sera passate da poco. Era probabile che Tony fosse ancora in riunione, ma le aveva detto di chiamare non appena avesse saputo qualcosa.
«Jarvis, chiama Tony, per favore» chiese. Il viso di Tony apparve sullo schermo mentre il computer faceva partire la chiamata.
«Mi dica, Pepper». La voce di Tony era tesa e quasi irriconoscibile.
Pepper gli spiegò quello che aveva scoperto. «Purtroppo non riusciamo a risalire alla targa della seconda auto. Mi dispiace, Tony» concluse, rammaricandosi per la sconfitta.
Dall’altro capo, Tony taceva. «È ancora lì?» chiese infine.
«Torno a casa» disse, laconico.
«Aspetti, Tony…» cominciò, ma non la lasciò proseguire.
«No, Pepper. Il mio posto non è qui, anche perché in questo momento non sarei in grado di concludere neanche l’acquisto di un DVD su ebay, figuriamoci un contratto da centinaia di milioni di dollari».
Si congedò con poche concitate parole dai francesi con cui stava negoziando gli ultimi dettagli del contratto e uscì dalla sala riunioni. Happy lo stava aspettando fuori dalla stanza.
«Happy, sveglia i piloti e falli preparare. Torniamo a Malibu».
Poi si rivolse di nuovo a Pepper. «La terrò informata sull’orario di arrivo. Voglio la R8 ad attendermi all’aeroporto non appena il jet toccherà terra».
«Sì, Tony. Ci penso io» disse ma le rispose solo il clic di fine chiamata.
Il volo fu un inferno per Tony. Gli spazi ristretti sembravano volerlo soffocare, ma pensava con orrore a cosa sarebbe successo se non avesse avuto un jet privato, cosa che gli aveva permesso di essere in partenza meno di un’ora dopo aver chiuso la telefonata con Pepper.
Attese per tutto il viaggio una chiamata dalla sua assistente, sperando che avesse novità. Ma la telefonata non arrivò. Quando arrivarono all’aeroporto, Tony si precipitò giù dalla scaletta. Pepper lo attendeva accanto alla R8.
«Nessuna novità, giusto?» chiese, ma non attese nemmeno la risposta. Aprì la portiera, sedette al posto di guida e avviò il potente motore. Happy salì dal lato passeggero.
«Mi segua alla sua velocità, ci vediamo alla villa» disse rivolto a Pepper attraverso il finestrino aperto e sgommò via.
Happy era abituato alla velocità di guida di Tony e al suo stile estremamente sportivo ma quella volta ebbe davvero paura.
Tony imboccò la rampa di accesso al garage mancando di un soffio il muretto di cemento e inchiodò violentemente una volta raggiunto il sotterraneo. Non appena scese, Jarvis lo chiamò.
«Signor Stark, bentornato. C’è un video messaggio per lei».
L’uomo ebbe un tuffo al cuore. Era lei. Doveva essere lei.
«Di chi è?» domandò imperiosamente.
«Della signorina Johnson, registrato due giorni fa».
«Perché diavolo non me l’hai detto prima?» domandò Tony, furioso. Jarvis aveva un messaggio di Victoria e l’aveva tenuto nascosto.
«La signora mi aveva chiesto espressamente di non consegnarglielo fintanto che non fosse tornato a Malibu».
Pur nella rabbia di quel momento, Tony intuì che Victoria aveva capito in fretta come ragionava Jarvis. Era il modello più sofisticato di intelligenza artificiale al mondo, capace di fare un complimento da solo o di fare scelte anche complesse. Ma restava pur sempre un computer e, come tale, aveva protocolli che potevano essere aggirati.
«Mostramelo» ordinò.
Il viso di Victoria comparve sul monitor. Il solo vederla gli procurò un senso di sollievo che tuttavia svanì non appena notò la sua espressione.
Ciao Tony.
La sua espressione e quell’esordio gli fecero scorrere un brivido lungo la schiena. Non sembrava nemmeno la sua Victoria, ma piuttosto un’estranea. La donna rimase in silenzio per un tempo che gli parve infinito.
Nella mia vita ho sempre affrontato ogni problema a testa alta, senza paura. Non mi sono mai considerata una codarda, ma oggi non ho il coraggio di affrontare questa cosa. Non c’è un modo facile o indolore per dirti ciò che ho da dirti.
Decisamente non prometteva bene. Tony si avvicinò alla scrivania e ne afferrò il bordo per sostenersi. Non voleva sentire altro. Ma lei era lì, sul monitor. E pareva guardargli dentro l’anima. Poi, improvvisamente, affondò il colpo.
Me ne vado, Tony.
Parole terribili, fatali. Di colpi in battaglia ne aveva ricevuti parecchi ma mai nessuno aveva avuto quella potenza. Fu come una bomba atomica in pieno petto.
Ho pensato a lungo a noi in questi giorni e mi sono resa conto che non sono sicura della nostra storia. So che avrei dovuto parlartene di persona, ma credimi: è meglio per entrambi.
Quelle parole non avevano significato per Tony. Non capiva cosa volesse dire “non sono sicura della nostra storia”. Tutto sembrava incomprensibile perché non gli era mai giunto alcun segnale che lei provasse quei sentimenti. Altrimenti avrebbe lottato, avrebbe fatto di tutto per trattenerla con sé. Ricordava benissimo com’era finita l’ultima telefonata: ti amo, Tony Stark! L’aveva detto con tale gioia, con tale trasporto, che lui era stato ad un passo dall’indossare la sua armatura e volare per mezzo globo solo per poterla baciare.
Non cercarmi, non provare a contattarmi. Mi dispiace di aver fatto perdere tempo ad entrambi, ma non sei ciò che voglio, Tony.
Si chiese quanto ancora sarebbe durata quella tortura. Ma la tortura era appena iniziata.
È finita.
Fu solo in quel momento che Tony capì davvero quanto l’amava. Non c’era possibilità di vivere senza di lei, tanto che il primo impulso fu quello di staccare il reattore dalla piastra nel suo petto e lasciare che le schegge ancora nel suo corpo trovassero la strada verso il suo cuore. O quello che restava del suo cuore, perché Victoria l’aveva appena fatto a pezzi. Sarebbe bastata una settimana, poi tutto sarebbe finito.
Qualcuno gli posò una mano sulla spalla. Si voltò lentamente: era Pepper. Strano, non si era nemmeno accorto che fosse arrivata.
«Mi dispiace, Tony» disse, ma lui la guardò stranito perché non capiva a cosa si riferisse. Poi alzò lo sguardo e Victoria era ancora sul monitor, in un fermo immagine che la faceva assomigliare ad un quadro. Era l’ultima immagine che aveva di lei.
«Quella non è la mia Victoria» mormorò, quasi inaudibile.
Pepper gli strinse la spalla. «Mi dispiace terribilmente, Tony».
«Perché continua a dirlo? Tutto questo non ha senso, Pepper. Io…» ma non riuscì a proseguire e chinò la testa.
«Se n’è andata, Tony».
A quelle parole, l’uomo raddrizzò di scatto la testa. «No, Victoria non è andata via. Deve esserci qualcos’altro. Jarvis, c’è un altro messaggio?»
«No, signore. È tutto».
Pepper lanciò un’occhiata a Happy. Tony sembrava rifiutare la verità, era chiaramente sotto shock. «È finita, Tony» disse e l’uomo indietreggiò come se l’avesse colpito.
L’enormità di quella rivelazione gli piombò addosso. Finché stava guardando quel video non si era reso conto di essere nel mondo reale. Ma Pepper era un’altra cosa: lei non mentiva mai, non gli nascondeva mai nulla e ora aveva pronunciato quella frase. Guardò prima Happy poi Pepper e…
«Jarvis! La mia armatura!» abbaiò.
«Subito, signore».
«Che intende fare?» chiese Pepper seguendolo mentre si posizionava sulla pedana che già si stava aprendo.
«Devo andarmene di qui».
«Non è una buona idea, Tony. Non nelle sue condizioni» provò Pepper, ma già la parte inferiore dell’armatura era posizionata. «Jarvis, interrompi la sequenza» ordinò disperatamente, ma Tony sogghignò.
«Crede davvero che un suo ordine a Jarvis valga più del mio?»
Eccolo, era tornato! Quello era il vecchio Tony Stark, quello viziato, quello abituato al comando. Quello scomparso in una grotta in Afghanistan. Quello che Victoria aveva cambiato.
Ma ora Victoria non c’era più e così la sua influenza. Pepper ebbe improvvisamente paura per ciò che Tony avrebbe potuto fare a se stesso e agli altri, ma non riuscì a dare voce alla sua inquietudine perché Tony abbassò la maschera sul viso e volò via.
 
Il cellulare vibrò sul tavolino e Victoria sbirciò il display, ma sapeva già che era Tony. Sicuramente era in riunione e si annoiava. L’aveva tempestata di sms in quella giornata, ma le prove del nuovo spettacolo l’avevano impegnata più di quanto si fosse aspettata, sicché non aveva ancora risposto.
Prese il cellulare per leggere il messaggio ma qualcuno bussò alla porta del camerino.
«Avanti!» esclamò Victoria. Era Sandy, una degli assistenti.
«C’è un signore che vuole vederti».
«Fallo entrare» rispose.
La ragazza si fece da parte e Christopher Roberts comparve sulla soglia.
«Buongiorno, signorina Johnson».
La visita era totalmente inaspettata, sicché Victoria rimase spiazzata.
«Tutto bene, Vic?» chiese Sandy preoccupata.
La donna si riprese in fretta e si alzò per stringergli la mano.
«Sì, Sandy. Puoi andare, grazie».
La giovane uscì e chiuse la porta.
«Confesso che mi ha presa in contropiede, signor Roberts».
«Mi trovavo a passare da queste parti, ho visto il cartellone con la sua immagine all’esterno e ho pensato di entrare a salutarla».
C’era qualcosa che suonò terribilmente falso alle sue orecchie. Lo guardò negli occhi e ciò che vide non le piacque. Una orribile sensazione di pericolo si impadronì di lei: avrebbe voluto che Tony fosse lì e improvvisamente capì il perché della dimostrazione di forza data due settimane prima alla festa della Ascam.
Christopher vide la donna stringere gli occhi e capì che aveva intuito qualcosa.
«Oh, al diavolo!» proruppe. «Non sono un attore. Inutile continuare questa farsa».
Victoria aggrottò la fronte. «Mi scusi ma non la seguo».
«È semplice, molto semplice. Ti voglio, Victoria».
La notizia fu una mazzata in pieno petto, talmente potente che Victoria arretrò di un passo. Rimase in silenzio, immobile come un animale spaventato.
«Stai bene, mia cara? Sei pallida» disse lui, avvicinandosi, ma la donna fece un altro passo indietro.
«Stia lontano, per favore».
Non era un caso che lui si fosse fatto avanti proprio quando Tony era lontano. L’aveva avvicinata mentre era al lavoro, lontana dalla protezione delle guardie del corpo del suo fidanzato, lontana dalla sicurezza di villa Stark. Forse le paranoie di Tony sulla sua sicurezza non erano poi tanto campate in aria e si pentì di essersi incaponita nel rifiutare la protezione che lui pretendeva che avesse.
«Non capisco, signor Roberts».
«Oh, lo so che hai capito benissimo, Victoria. Voglio che lasci quello scemo di Tony, voglio che tu sia la mia donna».
«Lei è pazzo!» sbottò Victoria e lo aggirò svelta, dirigendosi verso la porta.
«Aspetta».
Qualcosa nel suo tono la indusse a fermarsi con la mano sulla maniglia.
«Ho qualcosa che ti convincerà» proseguì, pescando il cellulare dalla tasca della giacca. Armeggiò per qualche istante poi girò il display verso la donna.
Era una ripresa di una stanza semibuia. Al centro di essa era posizionata una sedia su cui stava una donna. Era legata e stava con la testa china in avanti sicché Victoria non poteva vedere altro che la cascata di riccioli ramati.
Victoria osservò con orrore un uomo vestito di scuro con un passamontagna sul viso entrare nell’inquadratura, afferrare da dietro quella massa di capelli e far sollevare la testa alla prigioniera. Ma non aveva bisogno di vedere il viso: lanciò un’occhiata allo specchio del suo tavolo da trucco e vide riflessi gli stessi capelli, dello stesso color rame brunito. La donna ripresa era sua sorella.
«Violet». Mosse le labbra ma non uscì alcun suono. Poi fissò lo sguardo su Roberts. «Che cosa le hai fatto, bastardo?»
«Sta bene. Non è ferita né lo sarà mai, se collabori».
«Cosa vuoi da me?»
Christopher rimise il cellulare in tasca. «Ascoltami bene: ora dirai che non ti senti bene e andrai a casa. Preparerai la valigia e lascerai un messaggio per Tony, dicendogli che è finita».
Victoria scosse la testa, mentre gli occhi si riempivano di lacrime. «Non riuscirò ad ingannarlo» disse, ma lui si strinse nelle spalle.
«Sei un’attrice e hai talento. Usalo».
Victoria non riusciva a parlare: aveva negli occhi l’immagine terribile di Violet nelle mani di quell’uomo. Vedendo che taceva, Roberts riprese la parola.
«Manderò un’auto a prenderti tra due ore esatte. Lascerai il tuo cellulare e qualsiasi altro dispositivo elettronico a villa Stark, non voglio che lui ti rintracci così in fretta. Non dirai a nessuno dove stai andando. Salirai in auto e stop». Victoria taceva ancora e lui le agitò una mano davanti al viso. «Stai ascoltando, vero? Capisci ciò che dico?»
Lei annuì.
«Tra qualche giorno faremo la nostra prima uscita ufficiale e Tony capirà che oltre ad averlo abbandonato, sei passata dalla parte del nemico». Ridacchiò.
Victoria sentì il mondo tremarle sotto i piedi. Non sapeva se avrebbe avuto la forza per ferirlo in quel modo. «E se rifiutassi?» domandò e come risposta le sarebbe bastato il sorriso da lupo che vide dipingersi sul suo viso.
«Ogni tua azione avrà ripercussioni sulla cara Violet. Segui le mie istruzioni e le sue condizioni miglioreranno».
«E se farò come vorrai, lei sarà libera?» chiese la donna, ma si rendeva conto che la risposta era scontata.
«Libera? Perché tu possa tornare di corsa da Tony? No, mia cara. Violet rimarrà mia ospite, ma non è escluso che domani, quando avrò capito che posso fidarmi di te, io le permetta di venire a stare da noi, magari».
Victoria rabbrividì al pensiero del futuro che si prospettava.
Roberts raggiunse la porta e si girò a guardarla. «L’auto sarà davanti al tuo cancello tra due ore. Sii puntuale» e fece per uscire, ma lei lo fermò.
«Perché mi fai questo?»
«L’obiettivo non sei tu, tesoro. Sei solo nel posto sbagliato al momento sbagliato. L’obiettivo è dare una lezione a Tony Stark. Lui è sempre stato il primo della classe, il piccolo genio, il ragazzo prodigio. Ora è addirittura un supereroe. Ebbene, se lo conosco, e lo conosco bene, il tuo abbandono gli farà perdere la testa. E quando uno perde la testa e ha a disposizione una superarmatura, non sai mai cosa potrebbe combinare». Sorrise in modo affabile. «Il primo piano prevedeva di rapirti e basta. Ma poi ti ho vista sui tabloid e alla festa della compagnia e mi sono detto: perché non aggiungere un tocco pittoresco a questa faccenda?»
Aprì la porta del camerino. «Ah, non pensare neanche di avvisare Tony. Il tuo telefono è sotto controllo, quindi lo verrei subito a sapere. A più tardi, mia cara» disse e uscì.
Victoria ciondolò fino alla poltrona e vi si lasciò cadere.
Il piano di Christopher era chiaro. Aveva ragione: Tony avrebbe perso la testa non appena avesse capito che lei se n’era andata. Ciò che avrebbe potuto fare in seguito non era ipotizzabile. Era sicura che la cosa avrebbe avuto una risonanza mediatica enorme, come qualsiasi notizia che riguardava Tony. E se Tony avesse compromesso la sua immagine e quella di Ironman, anche le Stark Industries ne avrebbero risentito. Il Pentagono avrebbe potuto rivedere l’accordo per la fornitura degli armamenti, togliendolo a lui e affidandolo alla Ascam.
Ma Victoria non vedeva molte strade davanti a sé. Violet era in pericolo e l’unica cosa che poteva fare per salvaguardarla era cedere alla richiesta di Christopher.
Guardò l’orologio: era già trascorso un quarto d’ora da quando lui se n’era andato. Doveva muoversi. Chiamò Sandy.
«Non mi sento molto bene, Sandy. Temo di avere un po’ di influenza. Mi spiace ma vado a casa».
La ragazza la guardò di traverso. Parve voler obiettare, ma poi notò gli occhi arrossati e il volto pallido e annuì. Victoria raccolse in fretta le sue cose, salutò Sandy e uscì.
Quella mattina era uscita con la R8 di Tony. Avviò il motore e guidò come una furia. Solitamente le ci voleva un’ora e più per compiere il tragitto tra Los Angeles e Malibu, ma in quaranta minuti avvistò il promontorio su cui era costruita villa Stark.
Erano quasi le undici quando parcheggiò direttamente nel garage sotterraneo. Le armature di Tony erano schierate nelle loro nicchie e la donna ebbe un tuffo al cuore.
«Bentornata, signora» la accolse Jarvis. «È rientrata prima oggi».
Non sapeva cosa rispondere perciò tacque.
Salì al piano superiore e poi in camera da letto. Recuperò la valigia e la riempì con alcuni capi scelti a caso dalla cabina armadio. Lasciò il cellulare sul proprio comodino e sedette sul letto, guardando verso la vetrata che affacciava sull’oceano.
«Jay, ho bisogno di te».
«Mi dica, signora» rispose il computer.
«Devo registrare un messaggio per Tony».
Su una sezione della vetrata apparve il suo viso, come in uno specchio. «Quando vuole, signora».
«Prima però devo darti alcune istruzioni. Questo messaggio non dovrà essere recapitato a Tony. Gli mostrerai questo video solo quando tornerà dall’Europa. Non prima. È chiaro?»
«Sì, signora».
«Bene, avvia la registrazione, per favore».
Un bollino rosso e la scritta REC apparvero nell’angolo superiore sinistro. Victoria guardò dritto davanti a sé.
«Ciao Tony» esordì e poi si bloccò. Non sapeva come fare, non sapeva cosa dirgli. Le parole rifiutavano di uscire dalle sue labbra. Ma poi rivide il viso spaventato di Violet e si fece forza. «Nella mia vita ho sempre affrontato ogni problema a testa alta, senza paura. Non mi sono mai considerata una codarda, ma oggi non ho il coraggio di affrontare questa cosa. Non c’è un modo facile o indolore per dirti ciò che ho da dirti».
Fece un respiro profondo e si sentì svuotata di ogni emozione.
«Me ne vado, Tony. Ho pensato a lungo a noi in questi giorni e mi sono resa conto che non sono sicura della nostra storia. So che avrei dovuto parlartene di persona, ma credimi: è meglio per entrambi».
Si rendeva perfettamente conto che non era granché come interpretazione. Lui avrebbe capito che stava mentendo: la sera prima si erano sentiti al telefono e lei aveva concluso la telefonata con “Ti amo, Tony Stark”. Quel cambio di direzione improvviso gli sarebbe parso quanto mai incomprensibile.
«Non cercarmi, non provare a contattarmi» aggiunse, sapendo benissimo che lui non l’avrebbe ascoltata.
Doveva chiudere, non poteva proseguire oltre. «Mi dispiace di aver fatto perdere tempo ad entrambi, ma non sei ciò che voglio, Tony. È finita».
Si alzò e uscì dall’inquadratura. Jarvis spense la registrazione.
«Fammelo rivedere» ordinò la donna.
Era effettivamente una pessima interpretazione. Sperò con tutto il cuore che bastasse ad ingannarlo.
«Ci sta lasciando, signora?» chiese Jarvis.
«È complicato, Jarvis».
«Mi dispiace» commentò la voce. «Era una buona compagna per il signor Stark».
La donna non seppe cosa rispondere.
Stava raccogliendo alcuni effetti personali quando Jarvis l’avvisò che un’auto era ferma al cancello. Gli ordinò di farla passare e afferrò la valigia.
«Mi raccomando, Jarvis. Tony dovrà avere accesso al videomessaggio solo nel momento in cui tornerà a Malibu. Il viaggio in Europa è troppo importante per le Stark Industries e, se glielo mandassi prima, abbandonerebbe tutto per tornare immediatamente».
«La avverto che quando non risponderà al cellulare, il signor Stark chiamerà me».
Era un problema. Se lui non avesse ricevuto risposta alle sue chiamate si sarebbe ovviamente preoccupato e avrebbe chiamato Jarvis, chiedendogli notizie.
«Dirai che sono uscita e non ho detto dove andavo. Non dare alcun dettaglio in più, a meno che non ti venga richiesto» disse Victoria. Non c’era molto altro che potesse fare.
Si guardò intorno per un’ultima volta ma ogni cosa in quella stanza parlava di loro due.
«Addio, Jarvis» mormorò con la voce spezzata.
«Addio, signora. Ci mancherà».
Victoria singhiozzò e corse giù per le scale.
Un uomo di colore le stava tenendo aperta la portiera del SUV bianco e lei si infilò sul sedile posteriore. Non si voltò indietro, ma anche se l’avesse fatto non sarebbe cambiato nulla: attraverso il fiume di lacrime che le traboccava dagli occhi non avrebbe potuto vedere nulla.
  
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