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Autore: Ukki    02/12/2013    4 recensioni
[TeruShi Crack!Pairing]
Aveva visto persone, uomini e donne, di una bellezza feroce ed elegante e disumana. Shirou era carino, nella sua graziosa eccentricità, ma non aveva nessuna ragione (nessuna ragione legittima) per catalizzare così la sua attenzione.
E lui non aveva nessuna ragione, ugualmente legittima, per concedergliela.
Genere: Angst, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Crack Pairing | Personaggi: Afuro Terumi/Byron Love, Altri, Hera Tadashi, Nuovo personaggio, Shawn/Shirou
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Questione di tempo


Capitolo 1





I titoli del telegiornale scorrevano febbrilmente sullo schermo, appena più vicini rispetto all'inviata dai capelli castani che muoveva spasmodicamente le labbra con sguardo allucinato. Terumi si chiese se la sirena dell'ambulanza bianca parcheggiata poco più indietro fosse accesa -in quel caso, rifletté, la folla che si stava radunando ai piedi del palazzo sarebbe stata comodamente assordata.
Come mai qualcuno avesse chiamato il numero di emergenza, poi, rimaneva un mistero: dubitava che chiunque potesse sopravvivere, dopo una caduta di sedici piani. Della donna, in ogni caso, non poteva essere rimasto molto.
Accavallò le gambe e ravviò i lunghi capelli biondi. Un paio di medici caricarono sull'ambulanza una barella coperta da un lenzuolo macchiato. Sullo sfondo, una bambinetta con un fiocco rosa in testa nascose il viso arrossato contro la spalla della mamma.
Gli umani, rifletté, nutrivano nei confronti della morte un terrore che non avrebbe esitato a definire comico. Si rifiutavano di capire che fosse semplicemente naturale, come respirare. Addirittura più facile. Portò la lattina colorata alle labbra e lasciò che il liquido gassato gli sfrigolasse un attimo sulla lingua prima di deglutire.
L'ambulanza partì lampeggiando luci blu, mentre i titoli cambiavano e il viso sorridente di un qualche politico si faceva a poco a poco largo sullo schermo. C'era una sorta di coerenza: dalle sciocchezze di qualcuno, pensò, erano passati a quelle di qualcun altro.
Spense la televisione e appoggiò la testa allo schienale del divano, a occhi chiusi. Erano così patetici. Tanto deboli da essere incapaci di sopravvivere senza provare assuefazione o felicità. Non ci si sarebbe dovuti affidare a beni tanto semplici da sottrarre. Quella donna, ricordò, non ne aveva avuta una gran quantità. Non abbastanza da evitare di pregarlo di concederle la forza per farla finita, in ogni caso.
Deformò l'alluminio umido sotto le dita. Erano gli umani che lo disgustavano di più, quelli così: troppo codardi sia per vivere che per morire. Per quanto lo riguardava, le aveva fatto un favore interrompendo la sua vita grigia di occhi acquosi e rimpianti acquattati negli angoli. Lo aveva chiamato shinigami, si fece presente con una smorfia. «Ti aspettavo da così tanto tempo...»
Lo aspettava. Lo aspettavano tutti, in realtà, quasi fosse stato un qualsiasi benefattore impegnato nel suo lavoro. Per un fugace momento, si chiese cosa avrebbe pensato tutta la feccia in sua attesa se avesse saputo -o anche solo immaginato- che il loro bene occupava una delle ultime voci nella lista delle sue priorità.
Probabilmente non avrebbe fatto tutta quella differenza, finché lui e i suoi colleghi avessero continuato a risparmiare loro la fatica di decidere in quale mondo abitare. Il cellulare sul bracciolo accanto a lui iniziò a vibrare silenziosamente: socchiuse un occhio e lesse il nome sul display luminoso.
Il primo impulso fu quello di scaraventare il telefono contro il muro e godersi la pioggia di ingranaggi che ne sarebbe seguita, poi decise di lasciar squillare a vuoto. Eppure lo sapevano che non gli piaceva essere disturbato. Specialmente dopo un incarico tanto tedioso.
Colpi alla porta. Maledì il mondo intero e, controvoglia, si alzò ringhiando tra i denti. Trovò a tentoni la maniglia nell'ingresso buio ingombro di scatole di dubbia collocazione e contenuto. Se qualunque cosa fosse nascosta dietro il cartone ondulato non gli era servita fino a quel momento, ragionò, avrebbe potuto farne a meno anche più avanti. Il trillo acuto del campanello a pochi centimetri dall'orecchio sinistro per poco non lo assordò. E lo stesso progettò di fare lui al ragazzo perfettamente tranquillo che si ritrovò davanti sul pianerottolo.
«Tomo» soffiò «ci sento
L'ospite annuì pacato e prese a dondolarsi sulla suola di gomma delle vecchie scarpe da ginnastica nere. Avevano i lacci di colori differenti, notò Terumi. Nel complesso, somigliava fin troppo a un umano: se qualcuno lo avesse incontrato per strada, la prima cosa che si sarebbe chiesto sarebbe stata come si fosse procurato la cicatrice rosea che gli si diramava sulla guancia sinistra, non se nel tempo libero girasse per le case ad appropriarsi della voglia di vivere della gente.
Si spostò per lasciarlo entrare. Tomo studiò in silenzio il disordine che aleggiava nell'ingresso e ridacchiò dietro il palmo sporco di penna blu. «Sul serio, Terumi, se qualcuno di loro entrasse in casa tua penserebbe di avere a che fare con un pazzo.»
«E se qualcuno di noi entrasse nella tua penserebbe di aver sbagliato condominio.»
Lo osservò attorcigliarsi pensosamente uno dei lacci della felpa intorno all'indice, mentre le note di una qualche canzone pop, rock o affini sgusciavano fuori dalle cuffie lucide che aveva calcate nelle orecchie. No, decisamente non sembrava un ladro di voglia di vivere.
«Ormai ho inquadrato il tuo punto di vista. Tuttavia,» dedicò una pausa all'osservazione di una scatola piena di ampolle vuote «non puoi vivere in un mondo di cui non fai parte. Non funzionerà.»
Terumi fece spallucce. «Ha funzionato per tanto tempo. Perché dovrebbe smettere proprio ora?» domandò giocherellando con la lattina accartocciata che ancora stringeva in mano.
Si accorse di non riuscire ad esplicitare il suo “tanto tempo”. Provò a calcolare approssimativamente la durata della sua permanenza in quell'appartamento buio, incassato in un condominio davanti a un ospedale pediatrico nella periferia di Tokyo: i ricordi si persero nella nebbia. «In che anno siamo?»
«Quasi nel 2014. La signora con il cane bianco che viveva al piano di sotto è morta tre anni fa. Da qualche mese lì vive una ragazzina che frequenta la facoltà di medicina. Te n'eri accorto?»
Abbassò lo sguardo; il tempo degli umani scorreva così velocemente. Troppo, almeno per lui. Sentì un rumore strascicato quando Tomo incrociò le braccia sul petto con disapprovazione. «Lo guardi il telegiornale?» indagò muovendo un passo verso il salotto, dove il telecomando faceva bella mostra di sé posato sul divano.
«Nel vero senso della parola. Non mi piace che si tocchino le mie cose senza permesso.»
L'altro lo ignorò e dopo un secondo lo schermo della televisione illuminò la stanza di un alone di luce danzante. Terumi rabbrividì quando l'icona della mancanza di audio scomparve dal suo angolo e la voce concitata del presentatore in giacca e cravatta riempì l'aria immobile del locale.
«La gente si fa domande, Terumi. Si chiedono perché altre persone muoiano così, da un giorno all'altro, senza avvertire nessuno» spiegò Tomo lentamente.
La luce artificiale incendiava i capelli chiari di entrambi di riflessi multicolori. «E tu avviseresti, se progettassi di suicidarti?» Lui, dal canto suo, era sicuro che non lo avrebbe fatto.
«Non rispondi al cellulare e non ti fai sentire. Siamo preoccupati per te. Non puoi continuare così.»
Terumi osservò intensamente la felpa blu con una stampa cangiante, gli occhi cinerei luminosi nella penombra, i capelli biondi raccolti in una coda di cavallo. L'espressione contrita del suo viso, con il labbro inferiore leggermente tremante.
«Per cosa dovreste preoccuparvi, Tomo?» domandò con lentezza, soppesando le proprie parole. «Dimmi il nome di una sola cosa che potrebbe distruggere uno di noi.»
Le mani del ragazzo si strinsero nelle tasche dei jeans dalle ginocchia strappate. Terumi inarcò le sopracciglia di fronte alla smorfia interdetta che gli deformò per un secondo il volto. La musica ovattata si fermò; con un sospiro, Tomo tirò fuori un piccolo lettore MP3 e armeggiò a disagio con i minuscoli pulsanti fino a selezionare un'altra canzone. Gli rivolse uno sguardo grave. «Il tradimento, ad esempio.»
Terumi sentì un brivido freddo corrergli giù per la spina dorsale e un velo di pelle d'oca depositarglisi sul corpo, facendogli formicolare la nuca e tremare le braccia abbandonate lungo i fianchi. Anche quando gli diede le spalle, seppe di avere lo sguardo trepidante dell'altro incollato alla schiena. «È questo che pensano ai piani alti?»
Il ragazzo esitò. «Loro... non lo hanno detto» mormorò infine. Lo sentì muovere qualche passo indietro, quasi temesse un attacco da parte sua. Voltò appena la testa nella sua direzione, abbastanza da inquadrare con la coda dell'occhio l'espressione stravolta dipinta sul suo viso.
«È questo che pensi tu, allora?»
«Non ho la presunzione di giudicare il comportamento dei miei compagni, Terumi» ribatté Tomo sulla difensiva. Si passò stancamente una mano tra i capelli legati, fissandolo mortificato. «Volevo soltanto avvertirti di fare attenzione. Non puoi fare sempre quello che ti pare, le voci corrono.»
Si incamminò in silenzio verso la porta rimasta socchiusa, accompagnato dalle solite note soffuse.
«E proprio Atena crede alle voci?»
Il ragazzo sorrise appena, la mano posata sul pomello di metallo freddo. «Non dimenticare che furono in gran parte le voci che giravano su Aracne a scatenare la sua ira. Anche se quelle, alla fine, si rivelarono fondate. Abbi cura di te.» Alzò la mano in segno di saluto e uscì sul pianerottolo.
Terumi lo sentì scendere le scale nelle sue scarpe dalla suola di gomma. Si avvicinò alla porta e la chiuse del tutto, riparandosi gli occhi dalla luce esterna.
Tradimento. Si sentì come se qualcuno lo avesse colpito molto forte sullo stomaco. Quegli idioti, si ripeté, pensavano che lui progettasse di voltare loro le spalle. Per unirsi a chi, poi, non lo aveva ancora capito: agli umani, forse? Si augurò che una simile idea non fosse passata neanche per l'anticamera di uno di quei cervelli bruciati. Il solo pensiero bastava a fargli girare la testa dalla nausea. Spense la televisione e rimase a fissare lo schermo nero con sguardo vacuo finché il rumore soffuso della vibrazione del telefonino non gli giunse alle orecchie.
La foto che accompagnava il nome lo fissò con aria di sfida dal display. Portò il dispositivo all'orecchio e premette il tasto verde. «Sono due volte che chiami nel giro di mezz'ora. Lo sai che costa?» domandò irritato, lasciandosi cadere a peso morto sul divano.
La voce dall'altra parte della cornetta gli ricordò vagamente lo schiocco che avrebbero potuto produrre le fauci di un cobra pronto ad attaccare. Non che lui avesse mai affrontato un cobra, del resto. «Athena è venuto?» Il tono disinteressato lo innervosì.
«Già.» Posò la testa su un cuscino rosso abbandonato sul bracciolo. «Perché l'hai mandato?»
Nel breve silenzio che seguì immaginò il suo interlocutore scrollare le spalle con noncuranza e arcuare gli angoli della bocca verso il basso. Magari scoprendo leggermente i denti. «Come promemoria. E per assicurarmi che tu fossi rientrato. Stai rendendo la vita difficile a tutti noi.»
Terumi contò i granelli di polvere fluttuanti nell'aria immobile della stanza. La lama di luce proveniente da una fessura nella persiana illuminava la loro lenta discesa brulicante. Fece schioccare la lingua contro il palato con nervosismo. «Pensavo fosse il mio lavoro rendere la vita difficile alle persone» mormorò. «Non l'hai detto tu, Kageyama?»
«Dovresti sapere che non mi piace che mi si chiami così.»
«Dovresti sapere che è proprio per questo che lo faccio.» Appallottolò uno scontrino dimenticato in tasca tra l'indice e il pollice. Il codice a barre scolorito dal sudore dei suoi polpastrelli macchiò la carta di scuro.
Sentì l'uomo tossicchiare per schiarirsi la voce. «Chiaramente. Tipico di te. Comunque, visto che ti sei degnato di rispondere, sarebbe apprezzabile che tu ci concedessi la tua presenza qui per una mezz'oretta.»
La pallina umida gli scivolò di mano e scomparve in mezzo ai peli del tappeto grigio scuro. Si chiese dove avesse lasciato ciò che restava della lattina con cui si era gingillato fino a pochi minuti prima. «Aspetta un attimo» soffiò nella cornetta.
Lasciò il cellulare sul divano e balzò in piedi, scrutandosi febbrilmente intorno alla ricerca di qualcosa, qualunque cosa, con cui tenere impegnate le mani. Si era quasi arreso all'evidenza di dover svuotare una delle scatole nell'ingresso, quando notò il riverbero metallico sul tavolino: l'alluminio si era scolorito quasi del tutto, ma non importava. Appena la prese sul palmo, l'odore appiccicoso dello zucchero gli invase le narici. Con un sospiro di sollievo, tornò a sedersi. «Stavi dicendo?»
«Stavo dicendo che questa tua necessità di avere continuamente qualcosa in mano ha del patologico.»
«No, non era questo che stavi dicendo, ne sono quasi sicuro» commentò scuotendo la testa.
Kageyama sbuffò dall'altra parte del filo. Sentì il tamburellare impaziente delle sue dita su qualcosa di simile al vetro. «Ti voglio qui in venti minuti» tagliò corto.
Terumi portò silenziosamente il taglio della mano alla fronte. «C'è altro?» indagò prima di chiudere la comunicazione.
Percepì l'uomo dischiudere le labbra come per aggiungere qualcosa, e poi esitare. «Sì.» Il suo tono si era fatto grave, e il biondo si costrinse a prestare attenzione. «Vedi di non dimenticare chi sei. A tra poco.»


Angolo dell'autrice:
People, Ukki è tornata con una nuova long.
Sono quasi commossa, devo ammetterlo: con le precedenti non è andata tanto bene le ho cancellate una dopo l'altra senza pietà alcuna, ma di questa ho già pronti i primi cinque capitoli, quindi mi sento fiduciosa.
A parte il fatto, ormai chiaro, che sono capace di scrivere in maniera vagamente decente solo sulla mia OTP, ci sono alcuni aspetti che forse dovrei chiarire: cosa diavolo centri Kageyama, ad esempio. Ma verranno spiegati meglio nel prossimo capitolo, e detesto fare spoiler con ogni fibra del mio essere. Comunque, se c'è qualcosa che davvero non vi è chiaro -e quindi che io non ho spiegato bene-, fatemelo sapere con una recensione, please ~
Oggi fai un Ukki felice, dona una recensione a questa fic! È facile, veloce e assolutamente gratuito!
Okay. Penso di aver detto tutto, spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto!
Baci

Ukki


PS Il punto in cui Tomo parla delle "voci" che suscitarono l'ira di Atena si riferisce a una particolare versione del mito di Aracne secondo cui furono le ninfe dei boschi a riferire alla dea che una mortale si reputava più abile di lei con il telaio.


  
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