Si
svegliò di colpo, ma tutto sembrava continuare esattamente come nel suo sogno.
Stava salendo le stesse scale, e non ricordava di esservi arrivato.
Non
vi fece caso. Si era abituato, ormai. Sonno e veglia parevano confondersi in un
crepuscolo grigio e indistinto. Riprese a salire, giunse ad un pianerottolo e
si trovò davanti una pesante porta di legno scuro, chiusa con un chiavistello
di ferro. Ma come sempre il chiavistello cedette ad una lieve pressione delle
sue dita, con uno scatto metallico, e la porta cigolò penosamente, un rumore
insopportabile, eppure a volte sentiva di preferirlo a quel silenzio assoluto
che gli raggelava l’animo. Dentro, sempre la medesima luce fioca, che non si
capiva di dove venisse, e che permetteva appena di distinguere i contorni delle
cose, per non andare a sbattervi contro. Appoggiata alla parete, dalla quale
pendevano i resti di una tappezzeria logora, una grande cassapanca. Tentò di
aprirla, ma non riuscì a trovare la serratura, il coperchio pareva saldato.
Andò
avanti, in fondo al corridoio uno specchio rifletteva incerto la penombra della
stanza dalla quale era appena uscito. Si affrettò ad allontanarsi. Gli specchi
avevano per lui un non so che d’inquietante, da molto tempo non osava più
passare di fronte ad uno di essi.
Ora
il corridoio, dopo una svolta a destra, proseguiva diritto fino ad immergersi
nell’oscurità più completa, e ai suoi lati, per quanto si poteva indovinare
andando a tentoni, si aprivano innumerevoli porte, alcune chiuse, altre solo
accostate. Un soffio gelido proveniente da una delle porte socchiuse lo fece
rabbrividire. Affrettò il passo, chiudendo gli occhi, andando avanti ancora,
non avrebbe saputo dire per quanto tempo. Inciampò in un tappeto, e riaprì gli
occhi. Riusciva adesso ad intravedere qualcosa, da una parte una scala a
chiocciola scendeva nel buio, dall’altra una ripida scaletta s’inerpicava verso
il piano superiore, e lassù pareva che una piccola candela ardesse rischiarando
appena le tenebre. Sapeva bene che scegliere l’una o l’altra non avrebbe fatto
differenza, ormai da anni senza conto continuava a girare per gli stretti
corridoi di quella casa, senza mai giungere da nessuna parte, se andava in una
direzione prima o poi sarebbe comunque finito nella direzione opposta, le scale
parevano non seguire la normale concezione dello spazio, e si moltiplicavano
all’infinito, creando percorsi nascosti e tortuosi, o forse il percorso era
sempre il medesimo, solo cambiavano gli oggetti posti in esso.
Non
ricordava quasi più nulla della sua vita precedente, del perché avesse deciso
di entrare in quel luogo maledetto, all’inizio era per lui un diletto trovare
sempre nuovi passaggi, aggirarsi di stanza in stanza osservando i curiosi
soprammobili. Ma la luce era via via venuta meno, e lui aveva continuato a
vagare senza meta, il tempo si era fermato, gli orologi avevano smesso di
segnare le ore con i loro cupi rintocchi. Forse lui era già morto e non se
n’era reso conto, continuava a camminare, prigioniero in eterno di quel
labirinto, spettro invisibile che non ha mai riposo. Si chiese d’un tratto se
ci fosse qualcun altro in quel luogo, se altri fantasmi si aggirassero per quei
corridoi senza mai incontrarsi.
Scrollò
le spalle e prese la scala che portava verso l’alto.