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Autore: Anamin    03/12/2013    0 recensioni
In questo breve racconto ho cercato di descrivere l'emozione di un breve, ma intenso, momento intercorso fra me e la mia fidanzata (che è al corrente del testo; il suo nome non è comunque menzionato). Rivivere a posteriori un breve istante del proprio passato, se carico di ricordi, stupisce perfino noi stessi.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Novembre. Una mattina qualunque di un giorno qualunque.
Alcuni ambulatori di neurologia sono confinati in un ala parecchio distante dal reparto omonimo, in un corridoio semideserto che un tempo ospitava la pneumologia e che ora è adibito ad attività varie ed eventuali.
Un paziente ha dato buca, stare seduti dopo un po’ stanca, così mi ritrovo a vagare senza meta insieme a un mio collega – e amico – nell’inconcludente attesa di renderci un po’ meno inutili.
In fondo al corridoio, dietro un bancone improvvisato, mi colpiscono i colori sgargianti di tanti pupazzetti in bella mostra.
“Questo è Lallo il Pappagallo” mi dice una dottoressa. “Con cinque euro di contributo minimo puoi finanziare la ricerca contro la sclerosi multipla”.
Quasi senza pensare porto la mano alla tasca, sfilo il portafogli e sgancio una banconota da cinque in mano alla responsabile. Infilo Lallo al sicuro nello zaino e torno in ambulatorio.
Non stavo già nella pelle di consegnare il regalo alla mia fidanzata.

***

Novembre. Qualche giorno dopo.
Io e la mia fidanzata – Lei – siamo seduti l’uno di fronte all’altra. Siamo vicini – il tavolo basta appena per noi due; riesco a sentire il profumo di pesca che emanano i suoi capelli.
Il McCafè non è quel che si dice un posto di classe, ma il locale è grande e accogliente; ogni volta mi duole ammetterlo, ma si sta proprio bene.
I bambini urlano e corrono, le mamme parlano fra loro, gli addetti al servizio sfrecciano come formiche impazzite dietro al bancone; i miasmi di fritto putrido sono indescrivibili, ma ci si fa l’abitudine.
Lallo è di nuovo nello zaino, al sicuro fra le mie gambe. Aspetto solo il momento giusto. Aspetto solo di poterla stupire.
Abbiamo finito di fare merenda. Lei mi racconta qualcosa per la quale fingo attenzione; io apro lo zaino senza che Lei se ne accorga.
Aspetto che finisca il suo discorso. Lallo è già fra le mie mani.
Ho aspettato abbastanza. Agisco.
“Hei! Guarda laggiù chi c’è!” le dico io, fissando il nulla alle sue spalle.
Lei si gira; con la mano libera tiro a me il vassoio, mentre con l’altra appoggio Lallo proprio davanti a lei. Quando si rigira – non aveva visto proprio nessuno – mi guarda in viso, perplessa, poi abbassa lo sguardo e lo vede.
I suoi occhi si aprono fin quanto possono e le spalle sussultano appena, come se il morbido intruso l’avesse spaventata; poi solleva di nuovo il capo, mi fissa negli occhi e sul suo volto mediterraneo si apre un sorriso sfolgorante.
Tutto il resto svanisce; ogni cosa estranea a me, a Lei e a Lallo cessa di esistere in quello stesso istante. Siamo altrove. Siamo in un Universo tutto nostro.
Il mio cuore già batteva forte, ma a quella reazione si emoziona a tal punto da voler uscire fuori dal petto e saltare di gioia. I muscoli tesi si rilassano, i piedi e le mani smettono di agitarsi frenetici, il groviglio di pensieri si srotola e ogni singolo neurone si concentra sull’incantevole bellezza su cui si stanno posando gli occhi.
Lei mi guarda, io guardo Lei; entrambi guardiamo Lallo.
Lei vorrebbe parlarmi, vorrebbe chiedermi spiegazioni, capire il motivo di quel gesto, sapere dove e quando ho preso quel pupazzo così buffo, quanto l’ho pagato, se è forse un rimedio per qualcosa che non le farà piacere o se è un semplice pegno d’amore.
Lei vuole parlarmi, lo so – la conosco – vuole subissarmi di mille domande, di diecimila grazie e di centomila non dovevi, ma quel sovraffollamento di pensieri la blocca, le impedisce di dare sfogo alla caoticità di una mente femminile su di giri.
Io la osservo, felice, divertito, inebetito dalla sua bellezza così semplice e spontanea. Avrei un milione di cose da dirle, altrettante da chiederle, ma il mio semplice cervello maschile è cavaliere quanto me e aspetta che sia Lei la prima a parlare.
Mai attesa è stata così dolce.
Attorno è noi imperversa il caos, ma la nostra attenzione non è per nessun altro. Orde di bambini sotto l’effetto di una pesante dose di zuccheri starnazzano all’inverosimile per ogni regalo scartato dal festeggiato; aggregati di mamme, casalinghe o in carriera, regrediscono agli stadi più imbarazzanti dell’adolescenza, autoconvincendosi di potersi ubriacare con qualsiasi bevanda analcolica; i padri, coinvolti in un rituale, di per se semplice, trasformatosi in guerra mondiale, cercano inutilmente nicchie sonore per discorrere, finendo tuttavia con il perdere i propri pensieri fra le pieghe di una gonna mai troppo corta; le povere animatrici vagano inascoltate e senza meta chiedendosi che senso abbia la loro vita.
Ma a Noi non importa, non in quell’istante. Dopo avremmo riso, sparlato, indicato, spiato e origliato a volontà. Ora è un’altra cosa.
Infine, quell’istante finisce.
Le urla tornano a martellare sui nostri poveri timpani, i miasmi McDonaldiani a oltraggiare il mio naso, le gonne – mai troppo corte – a solleticare di tanto in tanto i miei occhietti vispi.
“Perché?” mi chiede lei.
“Perché si” le rispondo io.
“Ma… non dovevi” ribadisce poco convinta, mentre già stringe forte Lallo a se.
“E perché no?”.
Lei mi guarda. È al settimo cielo. Non sa cosa rispondere, ma a me non importa. Ciò che desideravo l’ho già ottenuto. Godermi appieno quel singolo istante dal palco principale; godermelo con tutto me stesso in tutta la sua breve lunghezza.
Chissà se mi dimenticherò mai di questo pomeriggio. Chissà se, vedendo fra molti anni Lallo riposto da qualche parte poco in vista, sarò in grado di rivivere ogni singola meravigliosa sensazione. Chissà per quanto tempo ancora quel buffo pupazzo colorato farà parte del legame che ci tiene uniti in modo così speciale.
 
Quanto dura un istante?
Un’istante può durare per sempre.
  
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