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Autore: Lux_daisy    03/12/2013    4 recensioni
Dal capitolo 3:
-- Sei fastidioso, feccia. Ti conosco a malapena e già mi verrebbe voglia di massacrarti fino a farti urlare pietà, perciò ti avverto: non continuare a provocarmi --. La sua voce si era ridotta a un sussurro: si insinuò nella pelle di Squalo, strisciando come un serpente e scavò fino a raggiungere la carne e i muscoli e le ossa per poi incidersi nell’anima e mozzargli il respiro. Squalo sgranò gli occhi e per la prima volta in vita sua si accorse di provare paura di fronte a un avversario.
In una prestigiosa Accademia si incrociano le vite di due ragazzi dal passato difficile. Xanxus e Squalo si odiano e si scontrano, si respingono e si attraggono, come le falena di fronte alle fiamme, senza capire quant'è grande il pericolo di bruciarsi.
Genere: Azione, Drammatico, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Dino Cavallone, Superbi Squalo, Xanxus
Note: AU, Lemon, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Un risveglio movimentato



Una tenue luce mattutina e la sensazione di un braccio intorpidito riportarono Squalo alla realtà, strappandolo alla dolcezza e all’oblio del sonno. Sbatté le palpebre diverse volte prima di riuscire a mettere a fuoco e nel rendersi conto di non trovarsi nella sua stanza, provò a mettersi seduto, ma fitte di dolore alla schiena e al sedere lo costrinsero ad evitare qualsiasi movimento inconsulto.
Si rigirò piano nel letto e quando i suoi occhi si posarono su Xanxus, il suo cuore perse un paio di battiti. Sdraiato accanto a lui, il moro dormiva tranquillo, una mano tenuta mollemente sul cuscino, vicina al suo volto.
Squalo si strinse nelle coperte e lo fissò immobile e in silenzio. Le immagini di quello che era successo la sera prima gli si riversarono in mente, impetuose e violente come una cascata. Arrossì senza volerlo e si accucciò ancora di più nelle coperte, come se cercasse di placare quel gelo che strisciava in lui e che non voleva saperne di andarsene.
Rabbia, imbarazzo, vergogna, senso di colpa: stava provando tante di quelle emozioni diverse che non sapeva come si sarebbe dovuto sentire davvero.
Non riusciva a credere di averlo fatto con Xanxus e di essere stato il passivo, per giunta.
“Si può cadere più in basso di così?!” pensò con disperazione. Strinse gli occhi e trattenne uno sbuffo: l’ultima cosa che voleva era svegliare l’altro ed essere costretto ad affrontarlo.
In realtà non aveva la più pallida idea di cosa avrebbe dovuto fare d’ora in poi né tantomeno di come avrebbe potuto continuare a stare nei Varia.
A stare vicino a lui.
A guardarlo ogni giorno.
A sentire la sua voce.
A sopportare le sue provocazioni.
Aveva sempre creduto di essere una persona forte.
Era stato fiero di sé e della paura che incuteva agli altri; aveva sempre provato una certa soddisfazione a mettere in mostra le sue capacità di combattimento e non aveva mai dubitato di se stesso. Anzi, aveva spesso dimostrato un carattere arrogante e orgoglioso che non aveva fatto altro che aumentare le schiere dei suoi nemici.
Poi i suoi genitori erano stati uccisi e, nonostante il dolore, era riuscito ad andare avanti, dimostrando ancora una volta di possedere una grande forza per la sua età.
Ne aveva passate tante, ma in qualche modo se l’era sempre cavata.
Era convinto che ce l’avrebbe fatta anche in quell’Accademia, invece aveva incontrato Xanxus ed era andato tutto a rotoli.
Non era mai stato in grado di opporsi a lui e aveva finito per rimanere intrappolato nella sua ragnatela, come una mosca vittima del ragno.
Adesso che lo guardava, così calmo e rilassato com’era raro vederlo, si convinse di non essere forte per niente.
Aveva lasciato che lo facesse suo… e gli era piaciuto.
Certo, se si escludeva il dolore lancinante che aveva provato quando l’altro gli era entrato dentro. Per lunghi momenti aveva creduto di poter morire e le lacrime gli avevano annebbiato la vista, ma poi, in un modo che non capiva neanche lui, era arrivato il piacere e niente aveva più avuto importanza.
Inoltre aveva dormito serenamente per la prima volta dopo le tante notti trascorse in preda a sogni a cui si era sforzato di non pensare.
 
Sospirò rassegnato e, nonostante il dolore, si mosse piano per alzarsi. Strisciò fuori dal letto, afferrò rapido i vestiti e, sempre sforzandosi di non fare rumore, uscì fuori dalla stanza.
Si rivestì in corridoio, ringraziando il fatto che, essendo ancora le sei e mezza del mattino, non si vedeva anima viva in giro. Camminò lentamente verso la sua camera, ma arrivato a metà strada, si rese conto di non avere alcuna voglia di affrontare né Dino né un’altra mattinata di lezioni.
Voleva stare solo.
Infischiandosene delle conseguenze e ignorando il desiderio di farsi una doccia, si diresse fuori dal dormitorio.
Attraversò i giardini deserti, disseminati di alberi dalle foglie gialle e rosse. Il sole aveva da poco fatto capolino, ma veniva a tratti nascosto dalle nuvole che stavano ricoprendo il cielo. L’aria era decisamente fredda e Squalo rabbrividì, stringendosi nella felpa e calandosi il cappuccio in testa. Non era neanche andato a prendersi il giubbotto, ma si disse che non gli importava.
Costeggiò l’alta cancellata che segnava il perimetro dell’Accademia e una volta giunto al lato est, si arrampicò su un grosso albero i cui rami si riversavano all’esterno. Grazie all’agilità che non gli mancava di certo, si inerpicò su quella corteccia ruvida, facendo leva sulle gambe e issandosi sulle braccia: gattonò su un ramo solido e spesso, lasciando che la cancellata scorresse sotto di sé e appena la superò, si lasciò cadere. Atterrò rannicchiato sulle ginocchia per attutire l’impatto, ma il suo corpo ancora dolorante sembrò voler punire il suo gesto di fuga con delle fitte che lo fecero grugnire e imprecare.
Fece dei profondi respiri e, calmatosi, si rimise in piedi. Lanciò un’occhiata alla Galilei, prima di allontanarsi, senza una meta e con la mente vuota.
Camminò a lungo, desideroso solo di allontanarsi, di fuggire, convinto che in questo modo avrebbe potuto liberarsi del peso che sentiva gravargli in petto.
Incrociò le braccia, mentre brividi di freddo gli correvano lungo gli arti e la schiena e si pentì velocemente di non aver preso il giubbotto pesante, ma si sforzò di  ignorare il gelo e accelerò il passo.
 
Erano ormai trascorsi più di venti minuti da quando aveva lasciato l’Accademia e prima che potesse impedirselo, si chiese se Xanxus fosse già sveglio e se l’avesse cercato o se si fosse disinteressato della sua assenza. A quel pensiero si sentì male e si vergognò di se stesso, ma per quanto cercasse di non pensare a lui, i dolori ai fianchi e alle gambe non facevano che ricordargli la notte trascorsa con il moro.
Proseguì per quasi altri quindici minuti e si ritrovò in uno dei parchi pubblici della città. Nonostante la lunga camminata, continuava a sentire freddo: il cielo si era completamente annuvolato e ad ogni respiro che Squalo faceva l’aria si condensava in piccole nuvolette.
Passeggiò un po’ tra i viali alberati: a quell’ora il parco era deserto, ad eccezione di qualche corridore mattutino e di un paio di tizi che portavano a spasso i loro cani.
Mentre camminava senza sapere bene cosa fare, incrociò un gruppo di ragazzi che proseguivano in direzione opposta alla sua: tre di loro portavano i capelli tinti, mentre un altro aveva diversi piercing in volto e tutti indossavano vestiti che volevano copiare quelli dei rapper americani. Anche se una volta non fosse stato uno di loro – eccetto per l’abbigliamento – li avrebbe riconosciuti comunque: teppisti in cerca di risse. Lo capì dai loro sguardi e dall’atteggiamento: erano quelli che lui stesso era solito mostrare quando se ne andava in giro con i suoi compagni.
Continuò per la sua strada e li vide ghignare e lanciarsi occhiate eloquenti. Gli si avvicinarono e mentre lo superavano, uno di loro lo urtò apposta: Squalo conosceva bene quell’espediente, lo aveva usato molte volte in passato. Non si fermò e non si voltò, ma quello lo afferrò per una spalla e lo costrinse a guardarlo.
<< Ehi, stronzetto! Che fai, non ti scusi per essermi venuto addosso?! >>. Squalo gli piantò gli occhi addosso: quel tipo era alto quanto lui, aveva gli occhi scuri e i capelli biondo chiaro, semi nascosti da un cappello nero con visiera.
<< Perché diavolo dovrei scusarmi, idiota? Sei stato tu ad urtarmi di proposito >> replicò l’argenteo con tono arrogante.
Gli altri reagirono irrigidendosi e Mr. Cappello aggrottò le sopracciglia, irritato.
<< Come hai detto? >>.
Senza che potesse controllarlo, le labbra di Squalo si piegarono in un ghigno. << Non dirmi che sei sordo oltre che essere un coglione. Cavolo, amico, il destino è stato proprio crudele con te >>.
Col viso stravolto dalla rabbia, quello afferrò Squalo per la felpa con entrambe le mani. << Chi cazzo ti credi di essere per parlarmi così, brutto stronzo! >>.
<< Sono uno che non ha nessuna intenzione di perdere tempo con un branco di coglioni come voi, quindi perché non ve ne tornate a tormentare i quattrocchi e i bambini delle elementari? >>.
Con la coda dell’occhio, vide gli altri tre circondarlo e prima ancora che potesse prendere l’iniziativa, Mr. Cappello gli assestò un pugno allo stomaco, che Squalo incassò con un piccolo grugnito di dolore. Dopo essere stato pestato da Xanxus, un colpo come quello poteva a malapena essere considerato degno di questo titolo.
Squalo piantò i suoi occhi grigi in quelli dell’altro e il suo sorriso si fece talmente crudele che i suoi denti sembrarono affilarsi come quelli dell’animale di cui portava il nome.
<< Hai appena firmato la tua condanna a morte, bastardo >> dichiarò gelido. Si avventò sull’avversario prima che quello potesse reagire, buttandolo a terra con una spinta e piazzandogli un calcio nelle parti basse.
Un grido strozzato risuonò nel silenzio del parco e in pochi istanti la rissa si fece accesa e violenta.

Squalo lottò come non faceva da molto tempo: schivava, scartava e contrattaccava, mentre il cuore pompava il sangue sempre più rapido e l’adrenalina scorreva selvaggia e prepotente, annebbiando tutti gli elementi superflui, come il freddo, il dolore e soprattutto i pensieri.
Nonostante la maggiore agilità e forza fisica, l’essere in quattro contro uno creò alcuni problemi a Squalo, ma la rabbia e la furia che gli imperversavano dentro lo trasformarono in una bestia senza controllo.
Ricevette alcuni colpi andati a segno che gli spaccarono quasi il labbro e lo ferirono alla fronte e al collo, ma ci fece caso a malapena, troppo concentrato a sfogare la sua frustrazione su quei tipi che avevano osato sfidarlo.
Fu… liberatorio.
Se Squalo avesse dovuto descrivere la sensazione che stava provando in quel momento, non avrebbe saputo usare una parola migliore.
In quei veloci e concitati momenti si sentì libero da ogni cosa che l’avesse angosciato negli ultimi tempi.
Fu come rinascere.
Sentirsi di nuovo se stessi nella violenza e nell’irrazionalità di quel combattimento. Tornare al passato, quando scontri del genere erano quasi all’ordine del giorno.
Forse era assurdo, forse era folle, ma del resto Squalo non si era mai considerato un ragazzo normale e mai aveva cercato di comportarsi in tal modo.
I pugni e i calci, il dolore inflitto, la sensazione dei suoi colpi che si infrangevano sui corpi degli avversari: tutto sembrò amplificarsi all’inverosimile e quando Squalo assestò un ultimo cazzotto sul volto dell’unico ragazzo rimasto in piedi, rompendogli il naso, non poté trattenersi dal sorridere come una bestia finalmente appagata del sangue versato.
 
Nell’istante in cui fece ritorno il silenzio, segno che la lotta si era conclusa, dal cielo iniziò a cadere una pioggia che non impiegò molto a infittirsi.
L’adrenalina nel suo corpo cominciò a scemare fino a scomparire e Squalo rimase fermo ad osservare i quattro ragazzi che si lamentavano quasi piangendo e faticavano a rialzarsi.
In men che non si dica si ritrovarono tutti fradici e solo allora il vincitore decise di andarsene, lasciando gli sconfitti alla fuga e all’umiliazione.
Riprese a camminare, senza curarsi di cercare un riparo e aspettare che smettesse di piovere: semplicemente andò avanti.
Ripercorse il tragitto dell’andata, mentre l’acqua continuava a precipitare su di lui, inzuppandogli capelli e vestiti e facendolo rabbrividire fin nelle ossa.
 
Di nuovo all’Accademia, vi rientrò passando per il cancello principale che a quell’ora era orami stato aperto e si diresse al suo dormitorio. Gli studenti che lo vedevano per i corridoi gli lanciarono occhiate sorprese e perplesse, ma Squalo li ignorò bellamente e raggiunse la sua stanza.
Varcata la soglia, si ritrovò davanti Dino che di sicuro stava uscendo per andare a mensa: del resto erano le otto del mattino e le lezioni sarebbero iniziate tra mezz’ora.
Squalo vide l’altro sgranare gli occhi e fissarlo con aria sconvolta. Entrò in camera e richiuse la porta alle sue spalle, mentre i secondi di silenzio si allungavano.
<< Sq-squalo… che ti è successo? >> gli domandò d’un tratto il biondo, interrompendo quel momento di stallo.
L’argenteo fece vagare lo sguardo per la stanza prima di rispondere. << Una brutta mattinata >> si limitò a dire con tono freddo e distaccato.
<< Ma… ma sei completamente zuppo! E anche ferito! Che diavolo hai fatto? Dove sei stato? >>.
<< Hai intenzione di continuare a farmi il terzo grado? >> replicò l’altro acido, fissandolo in cagnesco, mentre i capelli e i vestiti gocciolavano ancora e bagnavano il pavimento.
L’espressione di Dino si fece stizzita. << E tu hai intenzione di continuare a comportarti da coglione, a quanto vedo >>.
Le labbra di Squalo si curvarono in un sorriso amaro. << Finalmente ti sento dire quello che pensi davvero >>.
Il biondo gli si avvicinò di un passo e lo fissò negli occhi. << Che sei un coglione? Sì, lo penso. L’ho pensato dall’inizio di tutta questa storia, ma questo non vuol dire che smetterò di preoccuparmi per te >>.
Squalo si rabbuiò subito. << Fa’ come ti pare >> disse, per poi dirigersi verso il bagno.
<< È stato Xanxus a colpirti? >> volle sapere l’altro, senza spostarsi dalla sua posizione.
L’argenteo si fermò, ma rimase di spalle. << Non è stato lui >> dichiarò serio. Non attese una replica ed entrò in bagno, deciso a farsi una doccia calda.
 
Erano ore che sentiva freddo in ogni angolo del suo corpo e non appena l’acqua scese sulla sua pelle, accarezzandola, Squalo chiuse gli occhi e buttò fuori un lungo sospiro. Rimase sotto quel getto rilassante per molti minuti, lasciandosi avvolgere dal calore e dalla sensazione di pulito, nonostante il pizzicore continuo delle ferite. Finito, evitò accuratamente di guardarsi allo specchio: non voleva vedere i segni che Xanxus gli aveva lasciato, anche se era pienamente consapevole di ognuno di essi.
Una volta fuori, si rivestì e andò in mensa. Dopo le ultime dodici ore il suo stomaco brontolava affamato e poco gli importava che avrebbe dovuto rivedere il moro. O meglio, in realtà gli importava e lo preoccupava, ma si fece coraggio dicendosi che non avrebbe comunque potuto evitarlo.
Che poi era vero. “Purtroppo” pensò entrando nell’ampio locale ormai semivuoto. Vista l’ora, la maggior parte degli studenti aveva già finito di fare colazione ed era pronta per l’inizio delle lezioni. Restavano solo i ritardatari, tra cui ovviamente non potevano mancare i Varia, che poco e niente si interessavano di rispettare la puntualità tanto voluta dai professori.
Riempito il vassoio, Squalo si sistemò al loro tavolo come al solito e subito si ritrovò ad essere fissato.
<< Squaletto, ma che hai combinato? >> gli chiese Lussuria, indicandogli il volto con un dito smaltato di verde.
L’interpellato scrollò le spalle e addentò il suo cornetto.
<< Boss, perché hai picchiato Squaletto? >> continuò quello, rivolgendosi a Xanxus, dato che Squalo non rispondeva.
Il moro, che non toglieva gli occhi di dosso all’ultimo arrivato, grugnì e affilò lo sguardo. << Io non c’entro niente sta volta >>.
Lussuria si sporse verso il Boss. << Non ci stai mentendo, vero, Boss? >>.
I suoi occhi rossi si spostarono su di lui. << No, feccia, non sto mentendo, ma se ti interessa tanto, potrei picchiare te >>.
L’altro non disse niente e tornò a rivolgersi all’argenteo. << Allora chi è stato, Squaletto? >>.
Questi sollevò lo sguardo dal vassoio. << Ho avuto una discussione animata con un branco di idioti >>.
<< Shishishi, chi è stato tanto folle da attaccare un componente dei Varia? >> s’intromise Belphegor, mentre una mano giocherellava con un coltello.
<< Erano solo degli idioti senza cervello! >> sbottò Squalo, stufo di quelle domande, << e comunque non erano di questa scuola >>.
Gli altri lo fissarono confusi.
<< Che vuoi dire? >> insistette Levi, << dove hai incontrato questi tipi? >>.
Squalo sbatté le posate sul tavolo. << Che cazzo di fottuto problema avete?! >> esclamò con voce rabbiosa, << fatela finita con questo terzo grado! >>.
Stranamente tutti si zittirono, sorpresi da una simile reazione e l’argenteo poté tornare alla sua colazione. Anche se teneva lo sguardo basso, sapeva che Xanxus lo stava osservando e che la discussione non sarebbe finita là.
 
 
 
La mattinata di lezioni trascorse lenta e noiosa come al solito. Squalo non ascoltò quasi niente delle parole dei professori: all’inizio la causa fu la sua mente che non la smetteva di rimuginare sugli ultimi avvenimenti, ma dopo alcune ore iniziò a sentirsi male.
Ricominciò ad avere freddo, anche se la temperatura nell’aula era tiepida grazie ai riscaldamenti accesi e la gola prese a bruciare, facendolo tossire.
Alla fine delle lezioni, quando tutti gli studenti si dirigevano in  mensa per il pranzo, Squalo si rese conto di fare addirittura fatica a camminare: la testa gli girava, il petto gli doleva, sentiva il volto bruciare e sudava freddo.
D’un tratto, mentre era in corridoio, sentì una mano posarsi sulla sua spalla e si voltò, ritrovandosi davanti il volto preoccupato di Dino.
<< Squalo, va tutto bene? >>.
L’argenteo gli mise una mano sul petto, come a volersi sorreggere e un attacco di tosse gli tolse il respiro. Il biondo, sempre più impensierito, poggiò la sua guancia sulla fronte dell’altro e si ritrasse subito, gli occhi leggermente sgranati.
<< Stai bruciando! Ti porto subito in infermeria! >> annunciò allarmato, mentre cingeva il fianco di Squalo con un braccio per aiutarlo a camminare.
Squalo tossì di nuovo e gli sembrò di avere delle lame che gli trapassavano la gola. Dopo un minuto scarso di strada la sensazione di malessere, già di per sé brutta, peggiorò ancora e Squalo sentì le forze venirgli meno.
L’ultima cosa che udì fu la voce angosciata di Dino che chiamava il suo nome e l’ultima cosa che vide fu il pavimento che si avvicinava troppo rapidamente alla sua faccia.
Poi fu il nulla.
 
 
 
 
<< Non si è ancora svegliato? >>…
… << Aveva la febbre altissima! Come ha fatto a ridursi così? >>…
… << So solo che è tornato in stanza completamente zuppo… >>…
… <>…
… << Zitti! Non fatevi sentire! >>…
… << Ragazzi, non vi avevo detto di non fare chiasso? >>…
 
Frasi smorzate di una discussione che la sua mente colse distanti, come se appartenessero a un altro mondo, come se stesse sognando. Voci diverse, serie e concitate, che gli erano familiari.
D’un tratto provò la sensazione di avere qualcosa di morbido sotto il corpo e i suoi occhi si schiusero, lasciando che il nero scemasse in qualcosa di confuso e vagamente luccicante.
Sbatté le palpebre diverse volte prima di riuscire a mettere a fuoco l’ambiente circostante e ciò che vide per primo fu un gruppo di teste all’interno del suo campo visivo.
<< Oh, guardate! Si sta riprendendo! >> esclamò una voce. Trascorsero lunghi istanti prima che Squalo la collegasse al proprietario, ovvero Lussuria. Fece vagare il suo sguardo per la stanza e si accorse che Dino e i Varia erano attorno al letto sul quale era disteso. Letto che, comprese altri lunghi istanti dopo, doveva trovarsi in infermeria.
<< Squalo, come ti senti? >>. Fu Dino a parlare e ad avvicinarsi ancora di più a lui, mentre lo osservava con un’espressione tra il sollevato e il preoccupato.
Schiuse la bocca, come a voler parlare, ma si sentiva troppo debole confuso per riuscire ad articolare parole di senso compiuto.
<< Squaletto, rispondi! Stai meglio? >> continuò Lussuria con voce agitata.
<< Per l’amor del Cielo, ragazzi! >> , il medico della scuola, un uomo sulla cinquantina, con baffi e capelli brizzolati e con indosso un camice bianco, irruppe nel campo visivo di Squalo, << vi ho già detto e ripetuto che questa è un’infermeria, non un cortile! State stressando il vostro amico, lasciatelo tranquillo! >>.
<< Ma noi eravamo preoccupati per Squaletto! >> si lamentò Lussuria, come questo fosse una scusa per la loro rumorosa presenza.
<< Shishishi, parla per te: io volevo vedere se sarebbe schiattato >>.
A quelle parole Squalo, Dino, Lussuria, Viper e persino il dottore lanciarono un’occhiataccia a Belphegor, ma lui, ovviamente, essendo un principe, non si scusò.
<< Beh, come potete vedere, sta bene >> dichiarò l’uomo, fissando i visitatori con aria scocciata, << ha solo bisogno di altro riposo, perciò fareste meglio ad andarvene >>.
Da quando aveva ripreso conoscenza, Squalo non aveva aperto bocca e ora, mentre vedeva Dino e i Varia lasciare l’infermeria, si limitò a salutarli con un cenno del capo.
Xanxus fu l’ultimo ad uscire e prima di farlo, piantò i suoi occhi rossi in quelli grigi dell’altro e lo fissò per lunghi secondi, durante i quali l’argenteo si limitò a restituire lo sguardo, senza sapere esattamente cosa avrebbe dovuto provare. Si rese però conto che il suo cuore aveva accelerato di colpo, calmandosi solo quando il moro sparì dalla sua vista e lui rimase con il dottore.
 
 
 
 
<< Sono contento che stai meglio. Quando mi sei svenuto tra le braccia… beh, mi sono davvero spaventato >>.
Squalo lanciò un’occhiata a Dino, seduto su una sedia di fianco al suo letto, e abbozzò un sorriso di scuse.
Dopo che tutti se n’erano andati, il medico aveva posto a Squalo delle domande per capire cosa avesse potuto scatenare una febbre così alta e violenta, ma lui era rimasto molto vago nelle risposte e l’uomo non aveva insistito più di tanto, prescrivendogli riposo e alcune medicine.
Del resto, non poteva certo raccontare che era sgattaiolato fuori dall’Accademia e che era rimasto coinvolto in una rissa, anche se si convinse che il medico sospettasse qualcosa. Non aveva detto niente perché era un membro dei Varia o perché era sotto la tutela del Preside?
“Beh, non che mi importi…” si era detto prima di riaddormentarsi.
Aveva riposato fino a sera e dopo aver fatto una cena leggera e insipida, aveva ricevuto la visita di Dino. La febbre era scesa, ma non gli era ancora passata del tutto e la gola continuava a fargli male e a farlo tossire; per di più aveva dolori in tutto il corpo e si sentiva dannatamente debole e stanco.
Odiava quella situazione.
Odiava stare male ed essere costretto a letto.
E odiava soprattutto il fatto che, ogni volta che si distraeva, la sua mente finisse per pensare a Xanxus.
Per questo fu silenziosamente grato della visita di Dino: almeno doveva imporsi di prestare attenzione all’altro. Inoltre gli aveva portato il suo I-pod e qualcosa da leggere, dandogli così modo di ammazzare il tempo, visto che sarebbe dovuto restare in infermeria per la notte.
<< I Varia non sono ancora venuti a trovarti? >> gli chiese dopo un po’ il biondo, dato che erano rimasti entrambi in silenzio.
<< No e sinceramente mi va bene così: casinisti come sono, mi farebbero aumentare il mal di testa >>.
L’altro ridacchiò. << Sono… beh, come dire… eccentrici >>.
<< Sì, come dei tizi appena usciti da un manicomio >> precisò Squalo, sarcastico.
<< Forse, però erano davvero preoccupati per te. O almeno Lussuria lo era di sicuro. Quando l’ho incrociato in corridoio e ti ha visto privo di sensi, stava quasi per andare nel panico, ma alla fine mi ha aiutato a portarti in infermeria e dopo è corso ad avvertire gli altri >>, si interruppe e sorrise di nuovo, << ora che ci penso, è stato divertente >>.
<< Mi fa piacere che il mio stato di salute ti diverta tanto >> replicò l’argenteo, fingendosi offeso.
<< È stato divertente vedere Lussuria in quello stato, Squaletto >> lo prese in giro Dino con un ghigno soddisfatto.
Per tutta risposta Squalo gli lanciò addosso il bicchiere di plastica vuoto che aveva in mano. << Fanculo! Non ti ci mettere pure tu con questo Squaletto del cavolo: è irritante! >>.
Senza smettere di sorridere compiaciuto, il biondo rincarò la dose. << Io lo trovo perfetto, invece! Ti dona tantissimo, Squaletto >>.
L’occhiataccia inceneritrice che l’altro gli lanciò non lo fece desistere. << Sei così adorabile, Squaletto! >>.
<< Se non la pianti immediatamente, ti farò finire su un vero letto d’ospedale e non ti posso promettere che ti rialzerai >>.
<< Oh, no Squaletto, perché sei così cattivo con me? >> cinguettò il biondo in una perfetta imitazione di Lussuria – con tanto di mignoli all’insù - che strappò a Squalo una risata.
Risata che poi purtroppo si trasformò in un altro colpo di tosse, ma per una volta tanto l’argenteo non se la prese. Chiacchierare e scherzare di nuovo in quel modo con Dino gli fece più piacere di quanto avrebbe mai ammesso: nonostante i caratteri opposti che li distinguevano e nonostante il modo in cui l’aveva trattato, Squalo fu contento che l’altro ci tenesse ancora a lui tanto da andare a fargli visita.
Anche se pensava di non meritarsi la sua amicizia.
 
Ripresosi, stava per rispondere, quando la porta dell’infermeria si aprì ed entrarono due ragazze. Dato che la tenda attorno al letto non era chiusa su tutti i lati, Squalo poté vedere le nuove arrivate e non appena una di loro gettò casualmente uno sguardo verso di lui, i suoi occhi si sgranarono per un momento. L’attimo dopo Squalo reagì allo stesso modo: quella che stava guardando era la stessa ragazza che aveva trovato in camera di Xanxus la sera prima. Adesso era vestita con un jeans e un maglione bianco e i lunghi capelli castani erano legati in una treccia, ma l’argenteo non ebbe alcuna difficoltà a riconoscerla.
A quanto pareva, aveva semplicemente accompagnato una sua amica, dato che l’altra ragazza stava parlando con l’infermiera, mentre lei continuava a fissare Squalo con uno sguardo di imbarazzo, ma anche di irritazione.
Avendo notato  lo strano scambio di occhiate tra i due, Dino intervenne. << Squalo, per caso conosci Gabriella? >>.
<< Non esattamente >>. In quel momento le due ragazze salutarono l’infermiera e se ne andarono.
<< E allora perché vi guardavate in quel modo? >>.
Squalo fissò il biondo con la coda dell’occhio per poi tornare ad osservarsi le mani. << Beh, ecco, diciamo che l’ho beccata a letto con Xanxus >>.
<< Cooosa?! >> esclamò Dino sconvolto, con un’ottava di voce più alta.
<< E non urlare, cazzo! >> sbottò l’altro, sforzandosi di fare una cosa che non era da lui, ovvero mantenere i decibel bassi.
<< Scusa, scusa, è solo che una notizia così… sicuro che fosse lei? >>.
<< Sicuro, solo che non sapevo come si chiamava… >>.
<< Non ci posso credere! Insomma, Gabriella è una delle studentesse con i voti più alti e fa anche parte del Comitato Studentesco: perché una ragazza come lei se la fa con uno… beh, con Xanxus? >>.
Squalo sbuffò, infastidito da quell’argomento: non gli andava proprio di rievocare le immagini della sera prima. << Che vuoi che ti dica… forse le piacciono i cattivi ragazzi >>.
<< Mmmh >> fece Dino, come se stesse riflettendo su chissà cosa, << quindi lei e Xanxus stanno insieme? >>.
Squalo ebbe quasi voglia di scoppiare a ridergli in faccia per una simile domanda, invece con tono serio disse: << Xanxus non sta con nessuno. Lei voleva farlo e lui l’ha accontentata, tutto qua. Non c’è niente tra di loro >>.
<< In effetti sarebbe strano il contrario… insomma, Xanxus non mi sembra il tipo da relazione fissa, anzi, non mi sembra proprio il tipo che possa interessarsi ad altri >>.
L’altro rimase in silenzio, lo sguardo basso. D’un tratto la gola gli si era fatta secca e la causa non fu il suo stato di salute.
<< Cavolo… giuro che sembra incredibile! >> riprese subito dopo Dino,<< cioè, Xanxus fa davvero paura…. com’è possibile che qualcuno sia attratto da lui tanto da andarci a letto? >>.
A quella domanda, apparentemente così semplice e priva di malizia, Squalo ebbe l’impressione di ricevere un altro cazzotto in piena faccia.
Si sentì… ferito, perché per quanto la cosa lo spaventasse e lo facesse incazzare, negare di provare qualcosa per l’altro dopo quello che era successo tra loro sarebbe stato fin troppo ipocrita. Nonostante non sapesse dare un nome o una spiegazione a questi sentimenti che lo terrorizzavano, sapeva di averli e di non poter mentire a se stesso, per quanto gli avrebbe fatto un immenso piacere poter fingere che non esistessero.
Del resto stavamo parlando di Xanxus. Il moro era stato ben chiaro sulla sua visione del sesso: non gli importava con chi lo faceva, per lui era solo uno sfogo, un istinto che non aveva niente a che vedere con le emozioni, ammesso che lui ne avesse mai provato qualcuna.
Perciò ora che era riuscito ad ottenere quello che voleva non aveva più alcun motivo per interessarsi a Squalo.
E tutto questo Squalo lo realizzò in quei brevi istanti di silenzio che seguirono l’affermazione di Dino e se ne sentì afflitto e sollevato allo stesso tempo.







A dispetto delle mie previsioni negative sono riuscita a completare anche questo capitolo ^^ anche se mi convince molto poco....
spero che non vi sia risultato troppo lungo, ma per una volta non mi andava di interromperlo in un punto critico.... beh che dire, è un cap Squalo-centrico u.u gli altri si vedono poco e niente, soprattutto il Boss, ma mi sono divertita a scrivere della rissa e delle scenetta tra Dino e Squ in infermeria - questi 2 mi ispirano troppo >.< quindi come sempre, mi auguro che vi sia piaciuto e vi ricordo che i commenti, anche solo 2 righe sono graditi e ringrazio tutti voi che commentate e seguite la mia storia, spronandomi ad andare avanti ^^
un bacione e alla prossima!
  
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