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Autore: holls    03/12/2013    9 recensioni
Un investigatore privato, solo e tormentato; il suo ex fidanzato, in coppia professionale con un tipo un po' sboccato per un lavoro lontano dalla luce del sole; il barista del Naughty Blu, custode dei drammi sentimentali dei suoi clienti; una ragazza, pianista quasi per forza, fotografa per passione; e un poliziotto un po' troppo galante, ma con una bella parlantina.
Personaggi che si incontrano, si dividono, si scontrano, si rincorrono, sullo sfondo di una caotica New York.
Ma proprio quando l'equilibrio sembra raggiunto, dopo incomprensioni, rimorsi, gelosie, silenzi colpevoli e segreti inconfessati, una serie di omicidi sopraggiungerà a sconvolgere la città: nulla di anormale, se non fosse che i delitti sembrano essere legati in qualche modo alle storie dei protagonisti.
Chi sta tentando di mettere a soqquadro le loro vite? Ma soprattutto, perché?
[Attenzione: le recensioni contengono spoiler!]
Genere: Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Nathalan'
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18. Raggio di sole
 
 
18 gennaio 2005, mattina.
Anche quella mattina, Alan si trovava lì, in centrale, seduto alla sua scrivania. Era intento a sbrigare alcuni casi minori e faccende amministrative, in attesa di ciò che aspettava con maggior impazienza: i risultati riguardanti il caso Sánchez.
Rilesse ancora una volta le dichiarazioni lasciate da Nathan, ma non vi notò nulla di sospetto. Si sentiva in colpa anche solo nell’ipotizzare che il ragazzo potesse essersi macchiato di un tale crimine, ma si sentiva ancora più in colpa nell’escludere quell’ipotesi, da buon custode della Legge qual era.
All’improvviso, qualcuno bussò alla porta: era un suo sottoposto, e aveva in mano un pacco di fogli.
Alan lo ringraziò, facendogli cenno di lasciarli sulla sua scrivania. Quando se ne fu andato, cominciò a dargli un’occhiata: erano i risultati dell’autopsia e dell’esame balistico.
 
Da quanto leggeva, sembrava che Sánchez fosse stato ucciso con sei colpi di pistola.
Erano stati ritrovati, infatti, sei proiettili calibro 9mm Parabellum provenienti da una Beretta M9, la semi-automatica più venduta negli Stati Uniti. La morte era stata provocata da un proiettile che aveva reciso l’aorta, provocandone il decesso poco dopo a causa di un’emorragia interna. La nota particolare era che la direzione dei proiettili non era frontale, ma si erano conficcati nel corpo di Sánchez come se l’assassino si fosse trovato continuamente alla sua sinistra, senza mutare la sua angolazione.
L’esame balistico, però, era più interessante. Nonostante fossero stati sparati sei colpi, era stato ritrovato un solo bossolo. L’area di McGuire Fields era stata perlustrata in lungo e in largo, senza risultato. Non c’erano tracce di materiali derivanti dall’esplosione di polvere da sparo, il che faceva pensare che il corpo fosse stato solo successivamente trasportato laggiù.
L’altra nota stonata era il fatto che il corpo sembrava essere stato trascinato, ma nel luogo dove si interrompeva la scia di sangue non vi era alcuna traccia ematica evidente.
In altre parole, all’improvviso era sbucata una scia di sangue, che terminava nel punto dove era stato ritrovato il cadavere, senza però che ci fosse una motivazione sensata sul come fosse iniziata.
 
Alan riordinò le idee. Qualcuno, in luogo non ancora precisato, aveva sparato a Sánchez sei colpi di pistola con una Beretta M9. Lo aveva poi caricato, presumibilmente su un’auto, e trasportato fino a McGuire Fields. Dopo essere in qualche modo riuscito a nascondere le tracce di sangue, lo aveva buttato a terra e trasportato manualmente fino al luogo del ritrovamento.
Consultare tutti i registri di vendita di armi era impensabile: la Beretta M9 era troppo diffusa. Quali elementi avrebbero potuto sfruttare per arrivare al colpevole? Anche l’esame di tracce biologiche sul corpo di Sánchez, senza avere nemmeno una pista, sarebbe stato inutile.
Certo era sicuro che la scientifica avrebbe comunque ricercato tracce di DNA altrui e, probabilmente, avrebbero richiamato Nathan per confrontare i due risultati, sempre che non avessero già preso i suoi dati in altro modo. La probabilità che ciò accadesse era molto alta, e si augurò solo l’esito negativo del confronto.
 
Da quel che ne sapeva, nessun’altra denuncia era occorsa nei confronti di Sánchez. Non risultava coinvolto in fatti di cronaca recenti, né la sua descrizione sembrava combaciare con quella di uomini denunciati giorni o settimane prima, a esclusione, ovviamente, di quella di Nathan. Il suo ex sembrava davvero l’unico che potesse avere un buon movente per far fuori Sánchez. La violenza, la tentata aggressione. Ma lui gli aveva giurato, e gli credeva, che con l’omicidio non c’entrava niente.
Aveva provato a rintracciare nuovamente le precedenti vittime di Sánchez, ma era riuscito solo ad appurare che non c’entravano niente. L’uomo non sembrava aver avuto più rapporti nemmeno con i vecchi trafficanti di droga con i quali aveva avuto dei precedenti, quindi anche quella pista non sembrava quella da seguire.
L’evidenza continuava a essere una sola, ma non voleva crederci.
A spezzare nuovamente i suoi pensieri fu Ashton, che fece capolino alla porta.
« Disturbo? »
Alan scosse il capo.
« No, entra. Che cos’hai lì in mano? »
Ashton si rigirò tra le dita una videocassetta e sorrise soddisfatto.
« È la registrazione di una telecamera a circuito chiuso. Vicino a casa di Sánchez c’è una banca, e ho pensato che potesse aver registrato qualcosa. »
« L’hai già guardata? »
« Non ancora. Aspettavo te. »
 
I due si recarono nella sala video. Ashton gli spiegò che il filmato durava un’ora e che vi era registrato quanto accaduto tra le una e le due del dodici gennaio. Inserì la cassetta, e il video partì.
La telecamera era probabilmente inclinata di circa quarantacinque gradi, rispetto all’ingresso della banca, in quanto inquadrava il marciapiede sottostante e i due lati della strada piuttosto in profondità. La qualità del video, purtroppo, non era eccelsa, a causa della quasi totale assenza di luce.
Nel video non accadde nulla per diverso tempo, tanto che Alan lo mandò avanti velocemente. Poi, però, dopo circa dieci minuti, fecero la sua comparsa un’auto e il suo proprietario, che entrava nella palazzina di Sánchez. La telecamera era troppo lontana perché si potesse distinguere chiaramente il volto di quella sagoma, ma l’altezza, la corporatura e le ampie falcate gli fecero pensare che fosse una persona di sesso maschile.
L’uomo uscì dalla palazzina dopo cinque minuti circa. Ma non era solo: portava appresso qualcun altro, tenendone il braccio intorno al suo collo, per sorreggerlo; e il nuovo ospite sembrava non camminare, come se fosse trascinato dall’altro. Alla fine, l’uomo caricava l’altro in auto, saliva in macchina e ripartiva.
Per tutto il resto del video, nessun altro entrò o uscì dalla palazzina. Ashton gli aveva riferito che, in casa di Sánchez, c’erano stati evidenti segni di colluttazione. Alan ne dedusse che, molto probabilmente, l’uomo che era entrato nella palazzina lo aveva fatto col preciso scopo di portare via Sánchez, per poi ucciderlo altrove.
Niente sembrava frutto del caso, anzi: pareva un piano ben studiato.
Poi, però, una nota stonata interruppe quella melodia che filava troppo liscia.
« Un momento. Chi ci garantisce che l’uomo portato via sia Sánchez? »
Ashton sorrise con un pizzico di soddisfazione, come se, aspettandosi quella domanda, avesse già provveduto a cercare la risposta.
« Pare che sia stato visto vivo poche ore prima, al mini-market sotto casa. Inoltre, l’unica persona che è entrata o uscita dalla palazzina di Sánchez è proprio quella ritratta nel video. »
Alan rimandò indietro la videocassetta, tornando al punto in cui arrivava l’auto; ma proprio mentre si apprestava a ricontrollare i fotogrammi, qualcuno bussò alla porta.
Era Clark, un suo collega.
« Alan, il capo vuole vederti. Dice che è urgente. »
Alan si scambiò un’occhiata con Ashton, che sembrava intimargli di andare, per non scontentare troppo Edmond.
 
Il capo lo fece sedere davanti alla sua scrivania. Si ricordava l’ultima volta che era stato lì: Edmond gli aveva affidato le indagini su Nathan e il maniaco, promettendogli una posizione più alta. Lo sguardo del capo era accigliato e incupito; non c’era stampato sopra il solito sorrisetto canzonatorio.
Alan si preoccupò.
Il capo incrociò le mani e le portò davanti alla bocca, pensoso. Poi alzò lo sguardo verso di lui e, finalmente, parlò.
« Ho delle brutte notizie per te, Alan. »
Alan aggrottò la fronte. Si chiese quali fossero e cominciò a sentirsi inquieto. Edmond continuò.
« Ho saputo che sei coinvolto personalmente nel caso Sánchez. Mi hanno riferito che hai avuto una relazione con il ragazzo che lo ha denunciato e che è stato interrogato pochi giorni fa, Nathan Hayworth. »
Alan si sentì gelare e il respiro sembrò mancargli. Pronunciò a fatica una risposta.
« È vero, non posso negarlo, ma… »
Il capo alzò la mano verso di lui, mostrandogli il palmo, segno che non doveva continuare.
« Non è questo il punto. È un po’ che ti ho affidato questo caso, e ancora non sei arrivato a capo di niente. Sospetto che questo tuo coinvolgimento ti impedisca di lavorare con lucidità. »
Alan scosse il capo, incespicando in cerca delle parole giuste.
« Ho solo bisogno di un altro po’ di tempo per raccogliere indizi… »
Il capo lo fermò un’altra volta.
« Non credo che sia questione di tempo, Alan. Ashton è nelle tue stesse condizioni e ha già fornito numerose informazioni interessanti per questa indagine. E tu, invece, cosa hai fatto? »
A quella domanda, Alan non seppe rispondere. Non poteva negare ciò che stava dicendo il capo: effettivamente, era arrivato a capo di ben poche cose. Edmond proseguì.
« Alan, mi dispiace dirtelo, ma devo sollevarti dall’indagine. »
Alan spalancò gli occhi, incredulo.
« Che cosa? »
« È un caso molto delicato, e abbiamo bisogno di persone competenti che riescano a tenere separati il lavoro e la sfera privata. Sei sempre stato un investigatore brillante, ma non mi piace come hai lavorato a questo ultimo caso, hai perso davvero troppo tempo prezioso. Perciò, l’unica cosa che posso fare è toglierti il caso e affidarlo al solo Ashton. »
Alan non seppe cosa dire. Continuava a scuotere il capo, come se lo aiutasse a trovare le parole per controbattere, ma riuscì solo a sembrare un babbeo con lo sguardo perso nel vuoto. Alla fine si alzò, e uscì dall’ufficio senza dire una parola.
Si sedette su una delle sedie della sala d’attesa, fissando vacuo la realtà intorno a lui.
Quel caso, per lui, significava davvero troppo.
Era innanzitutto l’occasione per un avanzamento di carriera, che aspettava da diversi anni. Ma non significava solo quello, per lui.
Era stato la molla che lo avevo spinto a riavvicinarsi a Nathan, a parlargli di nuovo, a chiarire tanti aspetti oscuri del suo passato. Quel caso rappresentava una sorta di sottile linea rossa che aveva il potere di unirli, di riavvicinarli un po’ di più.
Inoltre, si sentiva in dovere di risolvere quel caso, di scoprire se davvero Nathan c’entrasse qualcosa con l’omicidio di Sánchez. Doveva capire se Nathan gli aveva raccontato tutta la verità o se invece gli nascondeva ancora qualche torbida vicenda. Sapeva che non sarebbe potuto vivere col tormento che, proprio il ragazzo che aveva amato, fosse anche un freddo assassino.
Non si sarebbe arreso, e si ripromise di far luce su quella vicenda.
Ufficialmente o meno.
 
***
 
Quando Alan girò le chiavi nella toppa, si meravigliò di non trovarvi le solite due mandate. Come entrò in casa e vide, all’entrata, un paio di scarpe che non erano le sue, si ricordò che aveva lasciato a Jack una copia delle chiavi sotto lo zerbino, in modo tale che potesse aspettarlo in casa. Alan non era stato troppo entusiasta di quella proposta, ma non aveva trovato nemmeno un buon motivo per rifiutare.
Il ragazzo sbucò nell’ingresso e gli corse incontro salutandolo con un consueto bacio, che Alan ricambiò a fatica.
Da quando c’era stata quella scazzottata, Jack era diventato molto più docile, nei suoi confronti; probabilmente cercava di riparare a quella brutta figura. Ma Alan, invece, aveva reagito diversamente: non poteva certo scordare la morsa allo stomaco vedendo Nathan a terra, colpito in quel modo. In quel momento, gli era sembrato quasi un fiore delicato che qualcuno aveva osato toccare.
« Bentornato! Com’è andata oggi? »
Alan appese le chiavi al muro e si sfilò il cappotto senza dire una parola. Non era proprio dell’umore, ma per fortuna Jack se ne accorse subito.
« È successo qualcosa, vero? Puoi parlarmene, se vuoi. »
Alan si strusciò un palmo sulla fronte, come per liberarsi dallo stress. Sospirò.
« Ho bisogno del tuo aiuto, Jack. »
Il ragazzo corrucciò la fronte, per lasciare poi spazio, un attimo dopo, a un sorriso appena dischiuso.
« Davvero? Di cosa si tratta? »
« Abbiamo il video di una telecamera di sicurezza che ritrae il presunto assassino di Sánchez. Purtroppo non si vede granché, ma magari puoi aiutarmi a trovare indizi utili. »
Jack rimase a bocca aperta e non disse niente. Fissò Alan per qualche frazione di secondo, poi si fece pensoso.
« Aspetta, perché lo stai chiedendo a me? E Ashton? E il segreto professionale? »
« Sarò breve, perché non voglio ritornarci più. Mi hanno tolto il caso a causa del mio coinvolgimento con Nathan, quindi ora c’è solo Ashton a occuparsene. Ma non ho intenzione di darmi per vinto così, senza lottare. Pensi di potermi aiutare? »
Jack annuì debolmente, ancora frastornato da tutte quelle informazioni.
« Però hai detto che non si vede quasi niente, giusto? Non so quanto potrà essere d’aiuto un occhio poco esperto. »
« Tentar non nuoce. Se saremo fortunati, scopriremo qualcosa; altrimenti, resteremo al punto di partenza. »
Alan tirò fuori dalla borsa la videocassetta e fece cenno a Jack di seguirlo in camera, dove teneva il videoregistratore.
 
Arrivò subito al punto più interessante. Vide di nuovo la macchina del presunto assassino, che usciva dall’auto e che camminava verso la palazzina, entrandovi. Scrutò ancora una volta quella sagoma nera e indistinta, ma non notò alcun segno particolare in quell’uomo. Poteva essere chiunque.
Jack indicò un punto in mezzo allo schermo.
« Avete già identificato l’auto? Il modello, almeno. »
Alan mandò indietro il video, fino al punto in cui la macchina entrava in scena. Avvicinò il suo sguardo al monitor e assottigliò gli occhi, come se servisse a scovare dettagli nascosti. Dopo qualche momento espose le sue considerazioni.
« Il passo dell’auto è piuttosto lungo, ma l’abitacolo è alto e spazioso. Inoltre, il design è piuttosto spigoloso, o almeno così pare. »
« E quindi? »
« Quindi non è né un’auto di lusso, né un’auto moderna. Sembra quasi un vecchio modello. »
« Quanto vecchio? »
Alan scrollò le spalle.
« Non saprei, ma non mi pare improbabile che possa risalire agli anni Settanta. E questo non può che essere un vantaggio, per noi. Quante persone usano ancora auto così vecchie? »
Jack annuì, sorpreso, come se stesse ancora cercando di acchiappare il risvolto che quella domanda implicava. Alan continuò, come in preda all’entusiasmo di una grande rivelazione.
« Sembra quasi una Ford Mustang o una Mercedes Classe S. O altro che ci somigli. Mi hai dato una grande idea, Jack. Ti ringrazio. »
Il ragazzo si limitò a sorridere, mentre osservava l’espressione estasiata di Alan.
« Cos’hai intenzione di fare, adesso? »
Alan si portò una mano sul mento.
« Potrebbe essere una buona idea studiare le tracce di pneumatici che l’assassino ha lasciato, e controllare se coincidono con qualche auto di vecchia fattura. Se la ricerca andrà a buon fine, potremmo consultare il Registro Automobilistico e vedere se è possibile risalire al proprietario dell’auto. »
« Mi sembra un’ottima idea, sì. Ma dell’uomo nel video, cosa ne pensi? »
« Non si vede granché. Però sicuramente non è un fuscello, per trasportare un uomo in quel modo. Non mi sembra che faccia una gran fatica. Quindi, direi di poter escludere che…  »
Alan incrociò le braccia e pensò un attimo, quasi esitante sul terminare la frase.
« … che quell’uomo sia Nathan, giusto? »
Jack aveva completato la frase al posto suo.
« Non vorrei trarre conclusioni affrettate, ma direi di sì. L’hai visto anche tu, è troppo mingherlino per una cosa simile, e non sai quanto la cosa mi sollevi, questioni personali a parte. Pensare che una persona che mi è vicina sia un assassino, mi fa venire i brividi. »
Né Alan né Jack proferirono parola, continuando a seguire, sul monitor, gli spostamenti della figura misteriosa, che intanto caricava Sánchez in auto. Jack si mordicchiò le pellicine ai lati dell’unghia, facendo scorrere il suo sguardo dallo schermo ad Alan, finché non smise di torturarsi le dita, trovando il coraggio di fare la sua domanda.
« Hai mai provato a pensare che, quello nel video, potrebbe essere un complice? Credo anche io che quello che vediamo non sia Nathan, ma se fosse seduto nel sedile del passeggero e avesse partecipato comunque all’omicidio? »
Lo sguardo di Alan gelò. Le sopracciglia si incresparono. Non aveva mai preso in considerazione quell’ipotesi. Poi si ricordò perché.
« Nathan ha un alibi per quell’ora. Non poteva trovarsi lì nell’auto, era con un amico. »
« Sempre che questo amico dica il vero. E poi, magari non era lì, ma poteva aspettarlo altrove. »
Alan si alzò di scatto dalla sedia, ancora accigliato. Non aveva repliche per quell’affermazione: ricordava che Nathan aveva un buco di ben mezz’ora.
« È inutile stare qui a parlarne. Dobbiamo raccogliere prove e agire. »
Senza nemmeno aspettare una risposta, corse ad infilarsi il cappotto, pronto per uscire di nuovo.
« Dove vai? »
« Da Nathan. Ho bisogno di parlare con lui. »
Jack incrociò le braccia, mentre le sue labbra si piegavano in un sorriso canzonatorio.
« Perché, se fosse lui il colpevole, pensi che te lo direbbe? »
Alan finì di abbottonarsi il cappotto.
« No. Ma so riconoscere una persona quando mente. »
Jack osservò Alan mentre si preparava per uscire e, nel frattempo, cercò di tenere a bada la sua lingua, che fremeva dalla voglia di parlare; e se la teneva chiusa tra i denti, perché non uscisse alcuna parola. Ci riuscì. 
« A dopo. »
Jack non fece in tempo a salutarlo a sua volta, che la porta di casa si era già richiusa.
Come Alan fu uscito, Jack si levò il suo sorrisetto dal viso, per lasciar spazio alla malinconia.
E riuscì a domandarsi solo una cosa.
 
Non sarà che, forse, sei solo innamorato?
 
***
 
Tutte le volte che arrivava davanti al complesso universitario, rimaneva stupito della sua grandezza. Decine di edifici che si stagliavano lungo una via infinita, costeggiando il parco di Washington Square, con la sua statua di Garibaldi simbolo di fortuna per gli studenti universitari. Si diceva che, gettando un penny contro la statua, l’anno accademico sarebbe stato un successo.
Era proprio lì che aveva dato appuntamento a Nathan, vicino alla sua facoltà, in modo che non ci mettesse troppo.
Diresse i suoi passi verso l’entrata nord del parco, presieduta da un immenso arco romano, e fu assalito da un senso di déjà-vu: era pressoché identico a quello parigino.
Lo osservò più da vicino, e poté notare una grossa ‘W’, iniziale di George Washington, circondata da statue di un uomo valoroso in varie occasioni, vestito con abiti Settecenteschi. Le statue sembravano celebrarlo in molti momenti della sua vita, veri o presunti: in una era vestito come un condottiero di guerra, con un tricorno sul capo e lo sguardo fiero; un’altra lo raffigurava con una lunga tunica e una spada tra le mani, puntata a terra. In ognuno di questi quadretti, era sempre circondato da figure di stampo mitologico.
Ogni volta che metteva piede in quel parco, non poteva che essere colto da stupore per l’architettura e ammirazione per quel personaggio.
La grande fontana in mezzo alla piazza, però, catturò la sua attenzione. Aveva intenzione di fare solo un giretto sotto quel sole tiepido per poi aspettare su una panchina, ma il nugolo di persone a un lato della fontana lo costrinse a rivedere i suoi piani. Mano a mano che si avvicinava, le note di un pianoforte si facevano sempre più vivide, finché, sbirciando tra un braccio e una testa di curiosi davanti a lui, non ne vide la provenienza.
Non era raro che qualche artista in erba decidesse di esibirsi in quella piazza, ma quel ragazzo era particolarmente bravo. Si fece largo tra la folla e si lasciò ammaliare, come tanti altri, dal suono di quelle note suonate con particolare maestria.
Il ragazzo finì poco dopo, tra gli applausi di tutti. Alan decise pure di lasciargli qualche spicciolo.
 
Non appena la folla si diradò, riuscì a scorgere Nathan, che lo salutò con un sorriso tirato. Alan si accorse che aveva ancora qualche difficoltà a incrociare il suo sguardo.
Lo raggiunse salutandolo a sua volta, mentre il silenzio calava tra loro; ma non era come lo stesso, pesante, silenzio che aveva aleggiato in casa sua, la sera che aveva scoperto la verità. Piuttosto, Alan si ritrovò a osservare i lineamenti delicati di quel volto, e i suoi occhi dalla leggera parvenza orientale.
Quanto tempo era passato dall’ultima volta che aveva potuto osservarlo così da vicino?
Nathan si voltò verso di lui, e i loro occhi si incrociarono; imbarazzati, entrambi distolsero lo sguardo repentinamente.
Alan tossicchiò.
« Ci facciamo una passeggiata? »
Nathan rispose con un cenno del capo, senza che il suo volto tradisse alcuna emozione di felicità o sorpresa per quella proposta; sapeva che Alan aveva voluto incontrarlo per un motivo ben preciso.
L’inverno aveva ormai privato gli alberi di ogni loro foglia, il che non dispiacque a nessuno dei due, dato che i rami, secchi e nudi, lasciavano trapelare i raggi del sole e il loro tepore.
L’aria intorno a loro era riempita dagli schiamazzi di bambini che si rincorrevano a suon di palle di neve, mentre altri si divertivano a costruire bizzarri pupazzi con legnetti al posto delle mani, alle cui estremità erano inseriti un paio di piccoli guanti.
Alan e Nathan passeggiavano silenziosi in mezzo a quel manto candido, aspettando che uno dei due aprisse la conversazione. Alla fine, Nathan si fermò di colpo, seguito subito dopo da Alan.
« Perché mi hai chiesto di incontrarci? »
Alan riprese a camminare, oltrepassando due bambini che facevano sfrecciare le loro macchinine sulle panchine del parco. Nell’osservarli, un sorriso nostalgico gli si dipinse sul volto. Intanto, Nathan si era avvicinato a lui.
« Quando ero piccolo, abitavo con i miei genitori in una villetta nella periferia di Brighton. Un giorno, mio padre tornò tutto contento perché aveva acquistato la sua prima auto. Sai che modello era? »
Nathan spostò gli occhi da una parte all’altra, senza capire il filo di quel discorso. Poi scosse il capo e fece spallucce, aspettando la risposta.
« Era una Mercedes S. »
Alan scrutò l’espressione di Nathan, che non mutò in alcun modo da quella precedente: sembrava ancora smarrito. Alan continuò.
« Era una bella macchina, aveva un bel design. Solo che, dopo qualche settimana, anche il nostro vicino si munì di un’auto. Mio padre ne rimase folgorato, e cominciò a maledire l’auto che aveva appena comprato, perché l’altra gli piaceva di più. »
« E che auto era, l’altra? »
Alan sorrise, ripensando a quella scena nella sua testa.
« Una Ford Mustang. »
Nathan pronunciò una silenziosa espressione di finto stupore. Alan provò a studiare i muscoli del suo viso, ma non notava alcuna contrazione, né nessun altro cambiamento. L’andatura di Nathan era sempre la stessa, regolare e tranquilla, l’espressione sul suo viso sempre sconclusionata e interrogativa.
« Non conosci nessuna di queste auto, vero? »
« Non è mica colpa mia se mi parli di macchine del Paleolitico. »
Alan ridacchiò, e gli tirò una pacca amichevole sulla schiena.
« Guarda che non sei mica tanto più giovane, sai! »
Nathan, che era poco più avanti, si voltò verso di lui, con occhi divertiti e un sorrisetto malizioso, accompagnati, poco dopo, da una linguaccia.
Si sentì strano. Gli sembrava di essere tornato ai vecchi tempi, quando erano ancora una coppia, e ai loro litigi sulla sua presunta anzianità, che emergeva quando raccontava a Nathan di ricordi legati alla sua infanzia.
Gli mancava.
Le loro risate, la loro complicità, quel sorriso sbarazzino. In quel momento si accorse quanto tutto quello gli mancasse.
Ma, stando a quanto gli aveva detto Jack, Nathan si vedeva con un altro.
Come la sua mente fu attraversata da quel pensiero, sentì il petto stretto in una morsa.
Si accorse che Nathan stava rallentando il passo, finché non si fermò. Poi, si voltò verso Alan. L’espressione divertita era scomparsa; adesso era serio e lo guardava dritto negli occhi.
« Sei venuto qui solo per parlarmi della tua infanzia? »
Alan fu incapace di distogliere l’attenzione da quello sguardo. Sapeva che avrebbe dovuto fargli più domande, per capire se aveva qualche legame con l’omicidio di Sánchez, ma nel momento in cui aveva nominato le auto non aveva tradito alcuna ansia o agitazione.
Per la polizia non sarebbe mai bastato. Ma bastava per lui.
« Si tratta dell’omicidio di Sánchez. »
Nathan schioccò la lingua e abbassò lo sguardo.
« Già, dimenticavo che ci incontriamo solo per lavoro, io e te. »
« Vorresti incontrarmi per qualche altro motivo? »
« Vorrei solo che la smettessi di credermi un criminale. »
Alan non seppe che dire. E forse, pensò, era meglio se non diceva niente. Si accorse che, tutte le volte che provava a parlare civilmente con Nathan, finiva sempre per fare o dire qualcosa di inopportuno. Si grattò la testa, in cerca di una soluzione intelligente, ma Nathan parlò prima di lui.
« Forse è meglio se ci salutiamo qui. Così potrai dedicarti al tuo caso. »
« Veramente, non ci lavoro più. Adesso è rimasto ad Ashton, visto che è stato così bravo. »
Alan si stupì dell’intonazione con cui aveva pronunciato quelle due parole. Ci sentì quasi una punta di invidia e di rabbia; si sorprese.
« Che vuol dire? »
Alan poggiò le mani sui fianchi, poi sospirò, espellendo una gran quantità d’aria.
« Vuol dire che è stato più bravo di me. E non posso negarlo, visto che è lui che ha scoperto un sacco di cose, tra cui la tua… storia. »
Nathan rimase a bocca aperta e arrossì, anche se, probabilmente, era impossibile accorgersene, con quel freddo.
« È stato lui? Davvero? »
« La cosa ti sorprende? »
« No, no. Mi fa un po’ rabbia, forse. Non ho dei bei ricordi. »
Alan annuì, mordicchiandosi l’interno del labbro superiore. Seguì un attimo di silenzio, dove entrambi guardavano altrove, imbarazzati dall’argomento della loro conversazione. Dopo un momento di esitazione, Alan parlò.
« Non credi che sia meglio così? »
« Perché così adesso mi disprezzi e mi credi un assassino? »
« Io non ti disprezzo. Non sarei qui con te, adesso. »
« E che c’entra? Il lavoro è lavoro, no? »
« Nathan, vuoi piantarla con questa storia? Ma non lo capisci che è solo una tua fantasia? Non lo vedi? »
« No. Vedo solo qualcuno che vuole interrogarmi ogni volta che ne ha l’opportunità! »
Alan lo prese per un braccio e lo strattonò, tirandolo a sé.
« Ma insomma, non capisci che mi manchi e che ogni pretesto è buono per stare con te? »
Allentò la presa. Non si era neanche accorto delle parole che era sgusciate via dalla sua bocca e che avevano stordito lui stesso per un momento. Stava forse ammettendo che, per quel tutto quel tempo, altro non aveva desiderato che incontrarlo, con una qualunque scusa?
In quel momento, tutto gli apparve così ovvio.
Quel pomeriggio d’ottobre, quando avevano rotto, aveva sofferto un dolore indicibile, perché aveva sentito che qualcosa gli era sfuggito di mano, che il ragazzo che amava gli era scivolato tra le dita senza un perché. Poi, però, aveva scoperto la verità. Non riusciva ancora ad accettarlo, ma almeno aveva una spiegazione. Non c’era stato nessun tradimento, sentimentalmente parlando, non c’era nessun altro uomo tra loro. Nessuna domanda senza risposta.
Nathan si liberò da quella mano che gli cingeva il braccio, osservando Alan con sguardo torvo.
« Ma tornatene dal tuo fidanzatino, va’. »
Nathan riprese a camminare per la sua strada, dandogli le spalle. Le sue orme si imprimevano sulla neve sempre più velocemente, e presto la sua figura sarebbe stata troppo lontana per distinguerla, se Alan non si fosse dato una mossa.
Era quello il momento. Ora o mai più.
Alan cominciò a muovere qualche passo verso Nathan, fino a che non raggiunse le ultime orme del ragazzo.
Lo prese nuovamente per un braccio, facendolo voltare, e imprigionò quel corpo tra le sue braccia, perché non scappasse da lui.
Non gli diede nemmeno il tempo di replicare a quel gesto, che gli prese il volto tra le mani, avvicinandolo a sé.
E lo baciò.

 

Sera a tutti! Allora, contenti? :D Finalmente questi due si sono riavvicinati *___* Sono felice almeno quanto voi, se lo siete! XD Ah, avete notato qualcosa di particolare in questo capitolo? Indizio: rileggete quello precedente :D Basta anche solo l'inizio :) A questo proposito, comunque, vi pregherei di non scrivere alcuno spoiler nelle recensioni ^^
Cosa accadrà adesso con Jack? Alan terrà il piede in due scarpe o lo mollerà? Scoprirete tutto martedì prossimo!
A presto *_________*
   
 
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