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Autore: zoey_gwen    04/12/2013    8 recensioni
Gwendolyn Smith è una ragazza solitaria, insicura, esclusa da tutti e sola.
Nessuno, neanche suo padre, Jack Smith, sembr capirla.
Solo un piccolo ciondolo di ghiaccio delle steppe russe, la rappresenta, ed è la chiave di un oscuro passato a cui Gwen non può sfuggire..
E poi l'amore, quello vero, che Gwen non ha mai provato fino ad ora, sarà la chiave per la felicità.
Tratto dal capitolo 13:
"Smisi di ascoltare, per via delle calde e silenziose lacrime che da tempo sgorgavano dai miei occhi color pece, gli stessi di quella sgualdrina di mia madre. Aveva ingannato me e Crystal, con le sue false parole mielose... Come aveva potuto? Mi sedetti per terra, affondando i jeans nella terra umida e rigogliosa, mentre rivoli cristallini solcavano le mie guance"
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"-E così sono la tua ragazza, adesso?- ironizzai, baciandolo per l'ennesima volta. Lui mi fissó intensamente, guardandomi con il suo solito ghigno beffardo -Certo, a meno che tu non lo voglia...- come risposta lo baciai appassionatamente, mentre un anello dalla struttura d'argento con due smeraldi ed un onice incastonato al centro si infilasse al mio dito come segno del nostro amore."
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Duncan, Gwen | Coppie: Duncan/Gwen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
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La lettera mi cadde dalla mia mano tremante.

Scivolò lenta sul pavimento, per poi posarsi come un farfalla sul suo fiore.

Tremavo come una foglia, ero terribilmente confusa.

Non capivo il significato delle parole, sebbene avessi sempre saputo il loro significato.

Ma non su di me.

Non riuscivo a capire il loro significato su di me.

Avevo bisogno di calmarmi, quindi versai un bicchiere di acqua frizzante in un bicchiere di vetro.

Bevvi un sorso, ma il bicchiere cadde dopo poco.

La mia mano non riusciva a stare ferma.

Piccoli frammenti di vetro erano sparsi per tutta la stanza, e mi ricordarono il mio cuore infranto.

Mio padre sentì il fracasso, e aprì la porta.

-Gwen, che succede?- chiese allarmato.

Gli occhi mi si inumidirono alla vista di quella persona, tanto bugiarda da nascondermi la mia origine.

-C-cosa significa quella lettera?- sputai freddamente.

Mi guardò sinceramente stupito, poi sembrò capire e si portò una mano alla bocca.

-COSA SIGNIFICA QUELLA LETTERA?- urlai di nuovo.

Lasciai via libera alle lacrime che scivolarono lente.

-Gwen... Non te lo mai detto perchè...- lo fermai.

-Quindi la lettera dice la verità? Sono stata davvero adottata?- mi faceva uno strano effetto dire quelle parole.

Lui si avvicinò, tentando di prendermi le mani, ma io mi scostai.

-Non toccarmi, bastardo- sibilai, allontanandomi.

Una volta, non mi sarei mai permessa di parlare così a mio “padre”.

Ma adesso, quello che dicevo era poco in confronto a come mi sentivo.

Era la verità.

Ero russa, o alaskana, o di qualunque altro stato.

L'uomo che mi ha adottato è uno schifoso stronzo, non potrò mai perdonarlo.

-Gwen, io volevo dirtelo ma non è facile farlo- iniziò, la voce tremante.

Se non fosse per la situazione, avrei riso.

Difficile da dire? DIFFICILE DA DIRE?

-E PER QUESTO HAI PREFERITO NASCONDERLO! NSCONDERMI LE MIE VERE ORIGINI, E TUTTO QUESTO PER DICIASSETTE ANNI!- urlai, furiosa.

Volevo piangere, dare sfogo a tutta la mia rabbia, frustrazione, disperazione.

-So che ho fatto un gesto bruttissimo, ma io ti ho dato un tetto, una casa, affetto. Cosa che i tuoi non avrebbero fatto- spiegò Jack Smith.

Era l'unico nome potessi dargli.

-Non provare a nasconderti dietro queste cose. Quello che hai fatto non ha scuse, e non ti perdonerò, lo sai- decretai, fredda.

Lui si alzò dal mio letto, poi andò verso la porta.

-Gwen, io ti ho adottato per farti felice, niente di più- sussurrò, gli occhi lucidi.

Poi uscì, lasciandomi sola con il mio dolore.

Fuori pioveva a dirotto.

Mi affacciai alla finestra, e cominciai il mio pianto disperato, così sofferto.

Le mie lacrime si mischiarono alla pioggia.

Cosa avrei fatto adesso?

Sarei andata via di casa?

Avrei cercato i miei genitori?

Come mi sarei comportata con Jack Smith?

Non lo sapevo.

Se prima la mia vita faceva schifo, adesso non avrei proprio saputo dire una definizione.

Chiusi la finestra, e presi la lettera in mano.

Qua vi era scritto un sito internet, potevo farci un salto.

Presi il computer, e scrissi il sito su Google.

Passai tutto il pomeriggio sul computer, cercando negli archivi il mio nome, qualsiasi riferimento a me.

Niente.

Non vi era assolutamente niente.

 

 

La sera, a cena, non scesi come al solito nella sala da pranzo.

Non avevo fame e anche se l'avessi avuta in quel momento non sarei scesa comunque.

Sentii il rumore dei piatti e delle forchette, e il rumore dei passi di Jack.

Forse si aspettava che scendessi, ma se era intelligente probabilmente non l'avrebbe fatto.

Verso le nove e trenta, andai a dormire.

Anzi, meglio, mi coricai solamente dato che non potevo dormire.

 

 

La mattina, mi alzai molto presto.

Erano circa le sei, volevo uscire subito anche a costo di dover aspettare due ore fuori al gelo.

Non volevo rivedere Jack.

Mi misi la divisa scolastica, troppo colorata e vivace per i miei gusti, e mi truccai le labbra di nero, gli occhi con una matita nera e ombretto viola.

Uscii senza fare colazione, per fortuna quel giorno non pioveva e non mi infradiciai.

Una volta davanti al cortile della scuola, pensai che avrei potuto scappare, lontano da tutto e da tutti.

Non mi sarei mai liberata di quella sofferenza, mai.

Avevo voglia di sfogarmi, di urlare, piangere, mostrare tutto il mio dolore.

-Ehi, come mai già qui?- una voce maschile.

Quando mi girai e vidi Duncan arrossii leggermente.

-Non avevo voglia di vedere Jack- spiegai frettolosamente, sedendomi sul muretto della scuola.

Aveva una sigaretta in mano, e tirò una lunga fumata per poi buttare la cicca e schiacciarla sotto il piede.

-Jack? Non era tuo padre?- senza volerlo, quel punk centrò l'argomento.

Mi si inumidirono gli occhi.

-No.- sussurrai, fredda.

Lui sorrise maliziosamente.

-Perchè? Ti ha messo in castigo?- sghignazzò ironicamente.

Mi impuntai -CAZZO, NON CAPISCI? SONO STATA ADOTTATA!- urlai, con quanto fiato avevo nei polmoni.

Il sorriso andò via dal suo volto, e assunse un aria dispiaciuta.

-Scusa, non sapevo... Non immaginavo- balbettò, perdendo improvvisamente la sicurezza iniziale.

Alzai le spalle.

-Fa niente, dai- finsi, anche se in realtà l'unica cosa che volevo era piangere.

-Vuoi andare a fare una passeggiata nei dintorni?- chiese lui, cambiando fortunatamente discorso.

-Sì, va bene- risposi, e ci incamminammo verso il lago vicino alla scuola.

Ci sedemmo su una panchina proprio davanti al lago.

-Sai, mi dispiace molto per la tua situazione- ritornò sull'argomento, e non trattenni un sospiro.

-Non sai quanto dispiace a me- replicai, e lui mi prese la mano.

-Gwen, io sembro un punk duro e sicuro di me, ma in realtà ho anche io le mie fragilità, le mie insicurezze, le mie paure. Ho sofferto anche io, e talmente tanto da volermi nascondere dentro una corazza da duro. Mia madre è morta quando avevo due anni e mezzo, mio padre se ne è fregato altamente di me, drogandosi e andando a letto con le prime che gli capitavano. Non ho mai avuto una famiglia.- mi confessò.

Lessi la tristezza nei suoi occhi, e fui stupita da questa improvvisa dichiarazione di sincerità.

-Ho scoperto ieri dell'adozione. Una lettera diceva tutto quanto, io sono russa- gli dissi allora.

Lui mi prese tra le braccia, e sentii una sensazione di sicurezza in quella calda e dolce morsa.

Non ci parlammo, semplicemente restammo abbracciati per un po', a pensare.

-Oh, è meglio andare, sono le otto!- gridò all'improvviso Duncan, alzandosi e prendendo lo zaino.

Corremmo davanti alla scuola, e mi mancò il cuore.

Courtney Barlow, con il suo seguito di ochette, ci stava osservando avanzare con un espressione truce.

-Amore, che succede?- chiese con voce mielosa, più falsa di un soldo bucato.

Amore?

In che senso amo... No, no, no!

Ecco l'ennesimo stronzo che mi ha ingannata!

Lui è fidanzato con quell'oca della Barlow, mi ha solamente preso in giro!

Non dissi nulla, semplicemente corsi via.

Mi sedetti a terra, e cominciai a piangere in silenzio.

 

  
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